SOCIETA' A PARTECIPAZIONE PUBBLICA

Il legislatore, nel dare attuazione alla legge 7 agosto 2015, n. 124 ("Delega al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche" - c.d. Riforma Madia), con  il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 - c.d. TUSP ha introdotto il "Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica" , riordinando strutturalmente la disciplina delle partecipazioni pubbliche in società di capitali mediante la «razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità», nonché la «ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche» (art. 18, co. 1, legge n. 124/2015).

Il testo normativo originario è stato integrato e modificato ad opera del decreto correttivo  D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100

In virtù del criterio regolatorio della prevalenza, le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato si applicano agli organismi partecipati dai soggetti pubblici unicamente per i profili non derogati dal TUSP (cfr. art. 1, co. 3, TUSP).

Le disposizioni recate dal Testo unico, hanno una «funzione di salvaguardia degli equilibri di bilancio» (C. conti, Sez. reg. contr. Basilicata, 29 aprile 2021, n. 31/2021/PRSP), tenuto conto che la cosituzione di organismi societari o la semplice partecipazione a società già esistenti, oltre ad incidere potenzialmente sull'equlibrio di bilancio dell'ente pubblico socio, in passato è stata spesso attuata al fine di eludere i vincoli di finanza pubblica.

Le limitazioni poste dalla normativa riguardano non soltanto la facoltà di costituzione di società e di mantenimento delle partecipazioni societarie detenute, ma anche la possibilità di sovvenzionamento degli organismi partecipati in perdita.

La preclusione del soccorso finanziario a favore di organismi partecipati in condizione di precarietà economico-finanziaria è stata normativizzata ad opera dell'art. 6 c. 19 del DL 78 del 2010 il quale nella versione originaria stabiliva che "Al fine del perseguimento di una maggiore efficienza delle società pubbliche, tenuto conto dei principi nazionali e comunitari in termini di economicità e di concorrenza, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dall'art. 2447 codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali."
Tale disposizione normativa prevedeva due deroghe:

a) consente trasferimenti alle società a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti;

b) consente trasferimenti al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico e la sanità. Ricorrendo tale fattispecie, su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei Conti, possono essere autorizzati gli interventi in argomento

Le disposizioni del TUSP si pongono in continuità con il previgente regime normativo, confermando la preclusione del soccorso finanziario a favore di organismi partecipati in condizione di precarietà economico-finanziaria, dovuta a perdite di esercizio strutturali.

A nulla rileva l’eventuale accantonamento operato ai sensi dell’art. 21 del TUSP per le perdite registrate dall’organismo in quanto “non determina per l’ente socio alcun obbligo di provvedere al ripiano delle perdite né l’assunzione diretta dei debiti del soggetto partecipato”.

Piu' in particolare l'art. 14 c.5 stabilisce che" Le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito)), né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali.

Tale disposizione normativa prevedeva due deroghe:

a) sono consentiti trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall'Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti con le modalità di cui all'articolo 5, che contempli il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre anni;

b) sono consentiti trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico e la sanità, su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo del presente comma".

 

Ove non siano riscontrabili condizioni di <straordinarietà> ovvero motivazioni riconducibili agli stretti profili corrispondenti (cfr., più in generale, artt. 77, comma 2, Cost. e 50, comma 5, D. Lgs. 267/2000), il soccorso non è ammesso poiché costituirebbe un’elusione dell’intento del legislatore di razionalizzazione societaria in ambito pubblico.

 

Rispetto alla previgente formulazione dell'istituto del divieto di soccorso finanziario il legislatore del TUSP ha di fatto  aggravato le condizioni che consentono, nella prima ipotesi derogatoria, di superare il divieto, stabilendo che i trasferimenti «straordinari» sono consentiti «purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall'Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti […] che contempli il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre anni» (co. 5, secondo periodo).

 

SOCIETA' IN HOUSE

La società in house è il prolungamento amministrativo della pubblica amministrazione (affidante)

Requisito del controllo analogo. L'affidante deve esercitare un controllo analogo

Requisito della prevalenza (nell'interesse ed in favore degli enti pubblici)

Secondo il Consiglio di Stato le società in house sarebbero “una tipologia” del tutto distinta dalle altre, proprio per le profonde deviazioni rispetto al nucleo fondante delle società di capitali, con evidenti anomalie rispetto alla fenomenologia societaria, tanto che si prevede la deroga persino al potere di gestione degli amministratori di cui all’art. 2380-bis comma 1 c.c.

L’applicazione della disciplina speciale per l’in house derivebbe proprio dalla profondità delle divergenze rispetto ai principi di fondo della struttura societaria, in applicazione del principio di “proporzio- nalità” delle deroghe alla disciplina privatistica. Il Consiglio di Stato ha richiamato nel suo parere anche l’art. 106 del TFUE (trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) per il quale “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale...sono sottoposte alle norme dei Trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatti, della specfica missione loro a data". Per il Consiglio, dunque, "la società in house conserva...una forte peculiarità organizzativa, imposta dal diritto europeo, che la rende non riconducibile al modello generale di società quale finito dalle norme di diritto privato". Dinanzi ad un sistema complesso di deroghe alla disciplina privatistica, si dovrebbe procedersi ad una distinzione più netta tra "società a controllo pubblico", "società a partecipazione pubblica" e "società quotate", "con deroghe al codice civile che assumono connotati di intensità gradualmente più ridotta" (cfr. pagina 46 del parere; osservazioni all'articolo 3). Nell'ambito "di un secondo modello generale dovrebbero confluire le società strumentali e le società in house, con deroghe al codice civile che assumono connotati di intensità maggiore".

Con riferimento alla deroga all’art. 2380-bis c.c., per le società in house, non dovrebbe trattarsi di semplice facoltà di discostarsi da tale disposi- zione, in quanto proprio la struttura del controllo analogo, implica una deviazione dirompente da tale norma. Per il supremo consesso amministrativo, dunque, “in ogni caso, anche se si mantiene l’attuale formulazione, è indubbio che si introduce sull’assetto organizzativo...una deroga così pregnante al tipo societario disciplinato dal codice che impedisce di ravvisare una società che in esso possa essere sussunta. Ed è que- sta la ragione per la quale si è proposto di inserire autonomamente l’in house tra i tipi societari”.

 

DECRETO LEGISLATIVO 19 AGOSTO 2016, N. 175 RECANTE TESTO UNICO IN MATERIA DI SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA - IFEL (3 sett 2016)-

l decreto legislativo n. 175/2016 recante “Testo Unico in materia di società partecipate dalla pubblica amministrazione” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 210 dell’8 settembre 2016, e rappresenta la nuova disciplina in materia.
Il provvedimento è attuativo dell’articolo 18 della legge delega n. 124/2015, c.d. legge Madia. Va evidenziato come il testo, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 10 agosto, ha recepito molte delle proposte migliorative dell’ANCI di cui si tratterà in seguito. IFEL (3 sett 2016)

 

Consiglio di Stato 2660 del 2015

Il ricorrente in appello invocava il dettato delle nuove direttive comunitarie (n. 24 e 25 del 2014), che innovando gli approdi cui era giunta la giurisprudenza comunitaria, consentono a che l'affidatario in house sia marginalmente partecipato da privati.
Tuttavia, il Collegio ha ritenuto che le previsioni contenute nelle predette direttive non assumano rilievo nel presente giudizio.
In particolare la pronuncia ha escluso che la nuova direttiva, nonostante il suo contenuto in alcune parti dettagliato, possa ritenersi self-executing. E ciò in forza della considerazione che è ancora in corso il termine previsto per la sua attuazione da parte dello Stato.
Di conseguenza, sulla base del principio secondo cui la mera pubblicazione di una direttiva non determina, prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento, il superamento automatico e immediato di una disciplina preesistente di derivazione comunitaria, il giudicante ha escluso ogni pertinenza con il caso di specie delle nuove direttive.
E questo passaggio sta parte dell'importanza della decisione annotata, in quanto essa si pone in contrasto con il parere del Consiglio di Stato n. 298 del 30.1.2015, reso proprio in riferimento al medesimo affidatario, laddove veniva affermato quanto segue: "Non vi è dubbio quindi che nel caso in esame, se non vi è addirittura un'applicazione immediata del tipo "self-executing", non può in ogni caso non tenersi conto di quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in materia, introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell'U.E."

Corte di Cassazione sentenza n. 22209/2013 del 27/09/2013


Una società per azioni a partecipazione pubblica non perde la sua qualità di soggetto privato - e, quindi, ove ne sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale fallibile. La scelta di consentire all'ente pubblico di svolgere determinate attività tramite società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse forme e con le stesse modalità.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza 23 gennaio 2015, n. 1237
Sul riparto di giurisdizione in tema di società pubbliche

Riprendendo i principi già espressi dalle stesse Sezioni Unite con la pronuncia n. 30167 del 2011 e dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 10 del 2011, l’ordinanza in esame si occupa del riparto di giurisdizione in ordine alle controversie concernenti società pubbliche ed, in particolare, a quelle relative alla revoca di un amministratore nominato dal socio pubblico.

Si ha giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie relative all’attività unilaterale pubblicistica prodromica alla vicenda societaria, e dunque agli atti di costituzione, partecipazione, modificazione ed estinzione della società, compresa la scissione, che comporta la costituzione di una nuova società; ed, inoltre, per le controversie relative ai provvedimenti adottati dalle società pubbliche, laddove la legge abbia conferito loro poteri pubblicistici, nonché alle procedure di evidenza pubblica che precedono la stipula dei contratti e di accesso ai documenti amministrativi.

Si ha invece giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative agli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo o meno del modello societario, dal contratto di costituzione della società alla successiva attività di esercizio dei poteri e delle facoltà del socio fino allo scioglimento.

 

Consiglio di Stato SENTENZA 11 SETTEMBRE 2015, N. 4253
Il
legittimo l'affidamento in house alla società di cui fa parte un privato

I Comuni non possono ancora affidare direttamente a una società partecipata da un soggetto privato il servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, mancando in tal caso il requisito del “controllo analogo”, necessario per consentire l’utilizzo del “in house providing”, in luogo della gara d’appalto


Consiglio di Stato, sez. II, parere 30/01/2015 n° 298
Il Consiglio di Stato applica per la prima volta i principi stabiliti dalla direttiva europea sugli appalti 24/2014 (ancora non recepita in Italia) che allarga le maglie sugli affidamenti diretti tra società pubbliche

Il Consiglio di Stato nel parere indirizzato al MIUR relativo alla possibilità di affidamento di alcuni servizi informatici al Cineca conferma che la regola dell'80% per capire quando l'affidatario svolge la parte prevalente della propria attività con l'Ente affidante e quindi quando siamo nel campo dell'in house è già applicabile anche se è contenuta in una direttiva europea la 2014//24 del 26 febbraio 2014 non ancora recepita dall'Italia.  Con parere n. 298/2015 il Consiglio di Stato, sezione Seconda, si esprime in materia di requisiti costitutivi dell' in house providing, alla luce della nuova Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014.

TAR Friuli Venezia Giulia 629/2014
Società in house, preclusa la partecipazione dei privati anche se minoritaria e indiretta

Il Parlamento europeo con le direttive sugli appalti e le concessioni (n. 2014/23/Ue e n. 2014/24/Ue del 26 febbraio 2014), ha riconfigurato i connotati del rapporto di delegazione interorganica tra l'ente affidante e il soggetto gestore, quale presupposto di fondo che legittima gli affidamenti in house.
Alla luce di tali direttive risulta confermata la necessità che nella persona giuridica controllata non vi sia la partecipazione di capitali privati, però con l'eccezione che quest'ultima può sussistere ove essa non comporti controllo o potere di veto, e non eserciti dunque un'influenza determinante sul soggetto controllato. Ma il Tar ha ricordato che, in ogni caso, le novità introdotte in sede europea non hanno rilievo per il giudizio in esame, trattandosi di direttive non self-executing e non ancora recepite nell'ordinamento degli Stati membri (il termine ultimo previsto è il 18 aprile 2016). In questo scenario il Tribunale amministrativo non esita ad accogliere il ricorso proposto da un'impresa avverso la delibera di un Comune che affida la gestione del servizio di raccolta rifiuti a una società a partecipazione pubblica locale, la cui compagine risulta formata da numerosi Comuni e da un ente pubblico economico organizzato in forma di Consorzio, a cui aderiscono, sia pure in misura minoritaria, alcuni soggetti privati.


Orientamenti della Corte di giustizia europea

La pronuncia del Tar 629/2014 – nel definire le caratteristiche e i requisiti volti a legittimare l'affidamento diretto (e quindi senza gara) – ribadisce i principi comunitari (alquanto rigorosi) affermatisi a livello europeo con alcune pronunce della Corte di Giustizia Europea (tra le altre, sentenza 9 settembre 1999 in causa Risan n. 108/98; sentenza 18 novembre 1999 in causa Teckal n. 107/98) e, successivamente, consolidatisi in giurisprudenza anche a livello nazionale (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione V, 10 settembre 2014, n. 4599; Consiglio di Stato, sezione V, 14 ottobre 2014, n. 5080).
L'affidamento da parte di un ente pubblico a un ente terzo può avvenire direttamente (in deroga alle regole sugli appalti pubblici) soltanto nel caso in cui sussistano – in via cumulativa – i seguenti requisiti:
• esercizio da parte dell'ente pubblico sull'ente terzo di un «controllo analogo» a quello da esso esercitato sui propri servizi;
• realizzazione da parte dell'ente terzo della parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che lo controllano.

La Corte di Giustizia europea si è più volte pronunciata sul punto, confermando sistematicamente l'assunto secondo cui la partecipazione, anche minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice esclude che quest'ultima possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (sentenza Cgue 13 ottobre 2005, causa C-458/03), e ciò in ragione del fatto che "qualunque investimento di capitale privato in un'impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente" (sentenza Cgue 11gennaio 2005, causa C-26/03).

 


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