È un provvedimento di secondo grado, espressione del potere di autotutela (motivato congruamente) con cui la P.A. ritira, con efficacia non retroattiva, un atto inficiato da vizi di merito (inopportuno, non conveniente, inadeguato), in base ad una nuova valutazione delle ragioni di convenienza ed opportunità per le quali l’atto fu emanato.

L’art. 21quinquies L. 241/1990 (come mod. dal D.L. 133/2014 conv. in L.164/2014) prevede che il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole (concessione, autorizzazione o altro atto che instauri rapporti a durata prolungata) può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato, ovvero, da altro organo previsto dalla legge, nel caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, di mutamento della situazione di fatto, non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, ovvero, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, a seguito di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti e l’obbligo per l’amministrazione di provvedere all’indennizzo degli eventuali pregiudizi verificatisi in danno dei soggetti direttamente interessati. Le controversie relative alla determinazione e corresponsione del suddetto indennizzo sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 133 del codice del processo amministrativo.
Il comma 1bis dell’art. 21quinquies, introdotto dal D.L. 7/2007, conv. in L. 40/2007, prevede che ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, gli eventuali rimborsi ed indennizzi corrisposti dalle amministrazioni devono riguardare solo il c.d. danno emergente e non anche il lucro cessante.

Esistono due specie di revoca: l’autorevoca e la revoca gerarchica; la differenza fra le due fattispecie è riconducibile al soggetto che adotta l’atto revocatorio: nel primo caso, è la stessa autorità che ha adottato l’atto da revocare, nel secondo è l’autorità gerarchicamente superiore rispetto a quella che ha adottato l’atto da revocare.
L’esercizio del potere di revoca presuppone:

a) Una mancanza attuale di rispondenza dell’atto alle esigenze pubbliche, dedotta discrezionalmente dalla P.A. in base a una nuova valutazione degli elementi che furono a base dell’atto da revocare, oppure la constatazione che non risultano sussistenti le ragioni di opportunità che legittimavano l’atto al momento della sua emanazione;

b)  l’esistenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, all’eliminazione dell’atto inopportuno.
Costituisce valida ragione del provvedimento di revoca dell’atto amministrativo l’esigenza di conseguire risparmi di spesa imposti per factum principis in ragione di una crisi economica e delle mutate condizioni delle risorse finanziarie disponibili . Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 2019 del 21 aprile 2015

Sono irrevocabili:

  • gli atti vincolati, perché questi sono sottratti al potere della P.A. di valutare le ragioni concernenti il merito;
  • gli atti la cui efficacia si è già esaurita (ad es.: per scadenza del termine, o per raggiungimento dello scopo);
  • gli atti costitutivi di status;
  • gli atti costitutivi di diritti quesiti;
  • i provvedimenti contenziosi (ad es.: le decisioni sui ricorsi amministrativi);
  • gli atti di mera esecuzione e gli atti imperfetti.

La revoca ha efficacia ex nunc: gli effetti dell’atto revocato cessano solo dal momento dell’operatività della revoca, mentre restano in piedi gli effetti già prodotti in precedenza.

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