Consiglio di Stato n. 3453 del 09/07/2015


La possibilità che all'aggiudicazione provvisoria della gara d'appalto non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli art. 11 comma 11, art. 12 e art. 48 D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista illegittimità nell'operato dell'Amministrazione, non spettando nemmeno l'indennizzo di cui all'art. 21 quinquies L. 7 agosto 1990 n. 241, poiché in tal caso si è di fronte al mero ritiro (o all'annullamento) di un provvedimento avente per sua natura efficacia destinata ad essere superata con l’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento, e non a una revoca di un atto amministrativo «ad effetti durevoli», come previsto dalla disposizione sulla indennizzabilità della revoca.

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 920 del 2013, proposto dalla s.p.a. Industria Servizi Ecologici - Iseco, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Bezzi, Giovanni Borney e Paolo Rolfo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Paolo Rolfo in Roma, via Appia Nuova, n. 96;
contro
La Regione Valle D'Aosta, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Gianni Maria Saracco, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione Quinta del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
nei confronti di
La s.r.l. Negri, non costituitasi nel secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Valle d'Aosta, n. 105/2012, resa tra le parti, concernente l'aggiudicazione dell'appalto per l'affidamento in concessione del servizio di gestione del centro regionale per il trattamento del siero.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Valle d'Aosta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti l'avvocato Paolo Rolfo e l'avvocato Giorgio Papetti, su delega dell'avvocato Gianni Maria Saracco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 44 del 2012, proposto al TAR per la Valle d'Aosta, l'odierna appellante principale chiedeva:
a) l'annullamento del provvedimento dirigenziale n. 2273 del 24 maggio 2012, comunicato in data 25 maggio 2012, con il quale la Regione autonoma Valle d'Aosta, Assessorato all'Agricoltura ed alle Risorse naturali, aveva "denegato" l'aggiudicazione dell'appalto per l'affidamento in concessione del servizio di gestione del Centro regionale per il trattamento del siero alla s.p.a. Iseco;
b) il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata aggiudicazione;
c) in via subordinata, il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità precontrattuale della P.A. ovvero l'attribuzione di un equo indennizzo ai sensi dell'art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.

2. Il primo giudice respingeva la richiesta di annullamento e riteneva, invece, fondata la domanda di risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale, per violazione dei criteri di correttezza e buona fede, ritenendo che la strutturazione della gara, attraverso la previsione della possibilità di proporre offerte in aumento anche superiori al 20% rispetto alla base d'asta, successivamente ritenuta economicamente insostenibile dalla stessa Amministrazione regionale aveva ingenerato in capo alla ricorrente una situazione di affidamento qualificato illecitamente leso dalla stazione appaltante.
In mancanza di una puntuale prova in ordine al quantum del danno risarcibile, il TAR procedeva ad una valutazione equitativa dell'entità del risarcimento, nel quale venivano ricomprese le spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara e per la perdita di ulteriori occasioni contrattuali, mentre non trovava ristoro il «danno curriculare», giacché la revoca della gara non appariva illegittimamente emanata e quindi l'appalto comunque non si sarebbe potuto eseguire.
Per parametrare il danno, il primo giudice faceva riferimento al 2% della base d'asta per una singola annualità – 600.000 € –, quantificandolo in 12.000 €, con interessi e rivalutazione dal deposito della sentenza e fino al saldo. Ogni altra richiesta risarcitoria o indennitaria veniva respinta.

3. Propone appello l'originaria ricorrente, sostenendo che la sentenza sarebbe erronea, in quanto:
I) non sussisterebbe alcuna delle ipotesi nelle quali si potrebbe emanare un atto di revoca, come specificato dall'art. 21 quinquies l. 241/90, ed in particolare quella inerente alla nuova valutazione dell'interesse pubblico;
II) la circostanza che l'appalto non si potesse aggiudicare al prezzo a base di gara era già nota alla stazione appaltante, che aveva all'uopo previsto offerte al rialzo, sicché questa possibilità poi verificatasi non potrebbe essere posta a base di una diversa valutazione dell'interesse pubblico. Inoltre, la ponderazione in ordine alla convenienza dell'offerta sarebbe stata riservata alla commissione di gara, sicché all'amministrazione stessa sarebbe residuato solo il potere di porre in essere una nuova valutazione per fatti sopravvenuti, restando irrilevante l'assenza nel bilancio di adeguata copertura;
III) anche nell'ipotesi di revoca dell'aggiudicazione provvisoria sarebbe necessario comunicare l'avviso di avvio del procedimento;
IV) la quantificazione del risarcimento sarebbe erronea, dovendo essere pari al 5% del valore dell'appalto;
v) erroneamente il TAR non avrebbe disposto il risarcimento per violazione della riservatezza in materia di known how.

4. Con appello incidentale depositato il 26 febbraio 2013, l'amministrazione regionale si duole della pronuncia di prime cure per le seguenti ragioni:
I) l'originaria ricorrente non era risultata destinataria di un provvedimento di aggiudicazione provvisoria, poiché seconda classificata, mentre l'aggiudicataria provvisoria veniva esclusa ex art. 38 del d.lgs. 163/2006. In particolare, in data 21 maggio 2012 veniva esclusa l'aggiudicataria provvisoria, mentre in data 24 maggio 212 veniva negata l'aggiudicazione provvisoria all'originaria ricorrente ed era revocata l'intera procedura di gara, sicché non sarebbe sorto in capo all'originaria ricorrente alcun affidamento tutelabile. Inoltre, la sentenza non indica alcun comportamento violativo dei canoni di correttezza in capo all'amministrazione. In ogni caso a seguito dell'aggiudicazione provvisoria non sorgerebbe alcun affidamento tutelabile;
II) sarebbe erronea la sentenza del TAR nella parte in cui ha liquidato il danno nella misura del 2% della base d'asta per una singola annualità, pur in assenza di qualsivoglia principio di prova da parte dell'originaria ricorrente, che non avrebbe dato la prova né delle spese sostenute, né delle occasioni mancate.
L'amministrazione comunale, infine, sostiene l'infondatezza dell'appello principale, dal momento che sarebbe erroneo il richiamo all'art 21 quinquies della l. 241/90 che non può che avere ad oggetto provvedimenti definitivi, tale non essendo l'aggiudicazione provvisoria, il cui controllo costituisce un evento del tutto fisiologico ex art. 11, comma 11,art. 12 e art. 48, comma 2, d.lgs. 163/2006. In una situazione di tal fatta si sarebbe dinanzi ad un atto di ritiro e non di revoca. Inoltre, la circostanza che l'offerta della ricorrente sarebbe risultata economicamente non sostenibile sarebbe ragione sufficiente per disporre il ritiro dell'aggiudicazione provvisoria. Nessun avviso di avvio del procedimento si sarebbe dovuto inviare, stante il carattere provvisorio dell'aggiudicazione. Infondate sarebbero infine sia la richiesta di indennizzo, non risultando applicabile il citato art. 21 quinquies, come quella di danno curriculare ovvero di aumento della quantificazione del danno riconosciuto dal TAR.

5. Nelle successive difese entrambe le parti reiterano le proprie conclusioni.


6. Va esaminato preliminarmente l'appello principale, la cui disamina consente di procedere all'esatta qualificazione della natura giuridica del provvedimento impugnato ed alla conseguente individuazione della disciplina di riferimento.

7. L'atto impugnato in prime cure non può essere qualificato come atto di «revoca», ma al più di un atto di ritiro, trattandosi di un diniego di aggiudicazione provvisoria, sicché non può in alcun modo invocarsi, né quale parametro di legittimità, né a fini indennitari, quanto disposto dall'art. 21-quinquies, l. 241/90. Infatti, la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. St., Sez. III, 28 febbraio 2014, n. 942; Id., Sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 195) più volte ha chiarito che la possibilità che all'aggiudicazione provvisoria della gara d'appalto non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli art. 11 comma 11, art. 12 e art. 48 D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista illegittimità nell'operato dell'Amministrazione, non spettando nemmeno l'indennizzo di cui all'art. 21 quinquies L. 7 agosto 1990 n. 241, poiché in tal caso si è di fronte al mero ritiro (o all'annullamento) di un provvedimento avente per sua natura efficacia destinata ad essere superata con l'emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento, e non a una revoca di un atto amministrativo «ad effetti durevoli», come previsto dalla disposizione sulla indennizzabilità della revoca.
Pertanto, risulta infondata la doglianza con la quale si sostiene che non sussisterebbero i presupposti per l'adozione di una atto di revoca ai sensi del citato art. 21-quinquies, dal momento che di revoca non si tratta.
Allo stesso tempo, non trattandosi di un provvedimento amministrativo conclusivo di un procedimento di secondo grado, non era necessario alcun avviso di avvio del procedimento.
Inoltre, nessun indennizzo risulta spettante, poiché l'art. 21-quinquies non è in concreto applicabile, né è suscettibile di applicazione analogica, trattandosi di norma per sua natura eccezionale.

8. Quanto, invece, alle censure con le quali si contesta la commisurazione del danno risarcibile da parte del primo giudice, va richiamato il principio per il quale nell'azione di responsabilità per danni, proposta nei confronti della Pubblica amministrazione, il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo: pertanto, è tra l'altro onere di chi proponga la domanda risarcitoria allegare che il fatto colposo dell'Amministrazione ha causato pregiudizi alla propria sfera soggettiva, quindi specificarne la tipologia, ed infine fornirne la prova.
Nella fattispecie in esame, l'appellante principale non ha fornito alcuna prova del maggior danno subito, né della paventata lesione cagionata dall'accesso consentito da parte della stazione appaltante, sicché le correlate doglianze devono essere respinte.

9. Venendo all'esame dell'appello incidentale, deve dichiararsene la fondatezza, dal momento che non si può riconoscere alla seconda classificata, nemmeno destinataria di un provvedimento di aggiudicazione provvisoria, alcun affidamento tutelabile nel caso in cui, esclusa l'aggiudicataria provvisoria, la stazione appaltante decida di non aggiudicare provvisoriamente la gara alla seconda classificata, ma di revocare l'intera procedura di gara, non ravvisando la convenienza di procedere oltre per l'impossibilità della relativa copertura economica.
L'affidamento tutelabile, infatti, necessita di una relazione giuridica che presenti profili di ragionevole stabilità, tali da indurre una delle parti a ritenere prevedibilmente di poter ottenere il «bene della vita» al quale aspira.
Nella vicenda in esame, invece, l'amministrazione appaltante, agendo con prudenza, ha impedito il sorgere di qualsivoglia affidamento, con il non aggiudicare la gara alla seconda classificata nemmeno provvisoriamente, dopo appena tre giorni dall'esclusione dell'aggiudicataria in via provvisoria, avendo verificato la non sostenibilità – sotto il profilo economico - dell'offerta dell'odierna appellante principale, pur se operata in aumento rispetto alla base di gara, conformemente a quanto previsto dalla lex specialis.
Tale previsione rappresenta, infatti, una facoltà per le concorrenti, che però non può ritenersi impegnativa per l'amministrazione, qualora l'offerta in aumento, pur formulata all'interno della forchetta prevista dalle lex specialis, non risulti compatibile con le sue disponibilità di bilancio.
Le determinazioni di quest'ultima, quindi, non risultano in contrasto con il principio del buon andamento dell'azione amministrativa (e neppure degli invocati canoni di correttezza e buona fede).
Pertanto, nessuna responsabilità precontrattuale può ritenersi sussistente, mancando in concreto una anomalia dell'azione amministrativa e anche la riproverabilità dell'Amministrazione, oltre la presenza di un danno non jure e contra jus.
L'accoglimento del presente motivo di gravame assorbe l'esame della seconda doglianza dell'appello incidentale, dal momento che - difettando la sussistenza degli elementi costitutivi di un illecito - viene meno ogni questione sulla determinazione del danno operata dal primo giudice, trattandosi di passaggio logicamente successivo, che non può essere compiuto.

10. In definitiva, l'appello principale deve essere respinto, mentre deve essere accolto l'appello incidentale, con ciò che ne consegue in termini di parziale riforma della sentenza di primo grado e di reiezione del ricorso di primo grado.
11. Nella complessità in fatto ed in diritto delle questioni trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, rigetta l'appello principale n. 920 del 2013, accoglie l'appello incidentale e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore

 

 

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