VICENDE PATOLOGICHE DEL PROVVEDIMENTO

L'invalidità degli atti della P.A. La patologia provvedimentale in diritto amministrativo e distinzione con quella di diritto civile

 

L’atto amministrativo (L’atto ammnistrativo è definito come qualsiasi manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o conoscenza proveniente da una pubblica amministrazione dell’esercizio di una potestà amministrativa (Zanobini)) per essere “valido” deve risultare conforme al paradigma legale circa gli elementi essenziali, le finalità da perseguire ed i moduli di azione da utilizzare. Per cui non sono concepibili norme di azione derogabili (Cfr Cons.St., SEZ. III – sent. 2 settembre 2013 n. 4364, ove nell’esaminare la problematica relativa alla possibilità di sostituzione automatica, ex art. 1359 cc, clausole di bando illegittime con previsioni di legge, stabilisce che “nei riguardi del regolamento di gara non risulta applicabile il principio dell’inserzione automatica di clausole imposte dalla legge, in quanto quest’ultima è giustificata solo dall’esigenza, inconfigurabile nella fase procedimentale di scelta del contraente della pubblica amministrazione, di prevedere un meccanismo che garantisca l’applicazione ai contratti già stipulati delle norme inderogabili che impongono il contenuto delle obbligazioni e dei diritti nascenti dall’accordo e la contestuale conservazione della validità e dell’efficacia di quest’ultimo”.) , né provvedimenti amministrativi atipici (Tutti i provvedimenti amministrativi nel nostro ordinamento sono tipizzati (concessioni, permesso a costruire, espropriazioni, autorizzazioni), in quanto previsti dalla legge e attribuiti ad uno specifico organo, non ci sono provvedimenti amministrativi atipici. Ci sono solo 2 casi eccezionali, previsti dalla legge, in cui viene lasciato un ampio spazio all’amministrazione che agisce:
Il prefetto in caso di urgenza o grave necessità pubblica (calamità, terremoti, emergenza ambientale) può adottare tutti i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico. Il prefetto può esercitare un potere che non è tipico, quello di adottare tutti i provvedimenti indispensabili ma sempre nel rispetto e nel limite della costituzione. Tale facoltà è riconosciuta anche al sindaco, con delle ordinanze: ordinanze CONTINGIBILI urgenti.
Ci sono quindi due casi in cui si riconosce ad un organo (prefetto, sindaco), in casi eccezionali di urgenza e necessità, il potere di prendere tutte le iniziative necessarie (potere non tipico).).

La validità costituisce una figura logica che lega “perfezione” ed “efficacia”. L’atto “perfetto” e quindi “efficace” è in sintesi: un atto “valido”. L’atto “valido” esplica legittimamente i propri effetti ed ordinariamente non consente che questi effetti vengano ridotti o elisi. Alla “perfezione” dell’atto consegue il dispiegarsi degli “effetti” tipici dell’atto medesimo: l’atto proprio perché perfettamente ricalca il modello astratto, puo’ esplicare gli effetti che l’ordinamento ricollega all’atto medesimo.

Nell’ambito degli atti amministrativi riveste peculiare importanza il provvedimento amministrativo (Il provvedimento amministrativo è il risultato dell’esercizio del potere amministrativo attribuito all’amministrazione ed è dotato di effetti sul piano dell’ordinamento generale (pertanto sotto il profilo processuale sono oggetto di impugnabilità diretta e possibilità di essere disapplicati). ) che rappresenta lo strumento giuridico attraverso il quale la pubblica amministrazione esercita, tra l’altro, poteri autoritativi (L’autoritatività è connotazione del potere rivolto alla cura dei pubblici interessi e preordinato alla produzione di assetti giuridici in capo ai terzi ed è propria di ogni provvedimento amministrativo con cui tale potere si esercita, indipendentemente dalla natura favorevole e sfavorevole degli effetti (Casetta) che incidono su situazioni giuridiche soggettive (L’incisione su situazioni giuridiche soggettive non è limitata soltanto ad effetti del manifestarsi di un fatto dannoso. Infatti taluni provvedimenti (ad esempio concessioni ed autorizzazioni), anche dove determinano effetti favorevoli per il destinatario, determinano un’incidenza negativa riguardo ad altri soggetti mediante la sottrazione ad essi di una utilitas (Giannini, Orsi Battaglini, Scoca) e quindi su diritti ed interessi legittimi, al fine di perseguire l’interesse pubblico.

L’agire della pubblica amministrazione attraverso poteri autoritativi si differenzia, dall’agire, secondo gli schemi negoziali di diritto privato (attività contrattuale) in cui la regola è quella della libertà negoziale sulla quale i limiti di legge operano eccezionalmente soltanto nel caso di valorizzare interessi superiori ed inderogabili.

Ad esempio il procedimento che sfocia nell’emanazione di atti impositivi è un procedimento di controllo, espressione di un potere autoritativo (il più autoritativo che si concepisca) finalizzato al compiuto raggiungimento dell’interesse pubblico, al mantenimento della giusta ripartizione dei carichi tributari.
La funzione impositiva è servente, strumentale, “ancillare”, rispetto a tutte le funzioni e servizi ulteriori da parte dello Stato (Le tecniche di tutela del giudice amministrativo nei confronti dei comportamenti illeciti della PA (Dir. Proc amm, fasc, 4, 2005).)

Conseguentemente sono centrali i principi di a) legalità dell’azione amministrativa (intesa come garanzia di eguaglianza e come limite all’esplicazione dell’autorità se non nei termini determinati dalla legge) e b) tipicità (Tipicità come rispetto del numerus clausus delle estrinsecazioni del potere e come vincolo rigido rispetto ai tipi ed ai modi dell’esercizio del potere (cfr. cassa sez. trib. 28 gennaio 2005 n. 1791 ove “giova rilevare che il diritto tributario è caratterizzato, tra l’altro, dalla tipicità degli atti che un ente impositore puo’ porre in essere. Ogni atto è espressione dell’esercizio di un potere assegnato da un a norma, che ne individua presupposti ed effetti”.)dei procedimenti e dei provvedimenti di imposizione(Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanza, fasc. 3, 2014, pag. 328. I fondamenti sistematici del sistema duale nullità-annullabilità) .

Nel rilevare un vizio dell’atto è, infatti, necessario procedere ad una comparazione tra l’atto posto in essere ed il modello astratto. In diritto amministrativo esiste una particolarità in base alla quale la fattispecie astratta deve rispondere ad un duplice criterio: essa deve essere conforme alle norme di legge, da un lato, ed alle regole di opportunità, dall’altro. Si tratta di due parametri costituzionalizzati nell’art. 97 Cost., che sancisce il principio di legalità, nonché quello di buona amministrazione.
Ne consegue che i vizi che possono inficiare l’atto amministrativo possono essere vizi di legittimità (qualora l’atto si discosti da quanto disposto dalle norme imperative) e vizi di merito (qualora l’atto, sebbene conforme alle norme, non sia rispondente alle regole di buona amministrazione).

L’atto amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina.
La figura dell’invalidità prende corpo in quelle ipotesi in cui l’atto imperfetto può non esplicare perfettamente gli effetti tipici (dispiegando altri effetti, diversi da quelli ordinari) o dispiegando gli effetti tipici solo transitoriamente.
L’inosservanza di norme giuridiche si sostanzia in una qualifica negativa dell’atto.
Tale sanzione puo’ essere automatica (opera di diritto, come nel caso della nullità) oppure di necessaria applicazione giudiziale (come nel caso dell’annullabilità).

In passato la categoria dell’invalidità amministrativa si configurava come annullabilità (termine che la giurisprudenza identificava con quello di legittimità).
Illegittimità degli atti significava annullabilità. Le specie della nullità non trovavano una precisa individuazione del diritto positivo, l’illegittimità amministrativa era espressamente prevista dalla legge, che ne fissava le manifestazioni tipiche, indicando nella incompetenza, nella violazione di legge e nell’eccesso di potere, i vizi tipici degli atti amministrativi La norma fu introdotta nell’ordinamento con l’art. 24 l. 31.1.1889 n. 5992, poi ripresa nell’art. 26 t.u. Cons. St. in base alla quale “spetta al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti di un'autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse d'individui o di enti morali giuridici“. La formulazione era analoga a quella prevista nella l TAR del 1971 art. 3. (art. 26, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato ed art. 2 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei Tar).

La tripartizione legislativa dei vizi, è venuta meno per abrogazione di ogni norma limitativa della impugnabilità degli atti amministrativi in virtu’ dell’art 113 della Cost c.2, ed ha assunto carattere meramente descrittivo (Corso di diritto amministrativo, V. Cerulli Irelli – Giappichelli editore .

Inoltre, le cose sono ulteriormente cambiate con l’intervento di alcuni fattori introdotti dalla legge 241/1990 e dalle sue modifiche, che hanno inciso sul modo tradizionale di concepire l’invalidità del provvedimento.

Mentre in passato era stata la giurisprudenza a delineare i contenuti di altre tipologie di vizi, compreso quello della nullità, con la riforma della legge n. 241/90 avvenuta ad opera della legge n. 15/2005 sono state introdotte importanti novità, tra cui la codificazione dell’istituto della nullità del provvedimento amministrativo (art. 21 septies) e l’introduzione dei c.d. vizi non invalidanti del provvedimento: alcune illegittimità formali o procedimentali, che possono non condurre all’annullamento dell’atto ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/90.
Tali disposizioni sono state inserite nel nuovo capo IV bis della legge n. 241/90, intitolato : «Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso», che costituisce certamente una delle maggiori novità della riforma. Il legislatore, nell’introdurre il predetto capo, ha inteso effettuare una sorta di codificazione generale di alcuni istituti e di alcune categorie fondamentali del diritto amministrativo sostanziale; in alcuni casi la codificazione ha riguardato istituti già delineati dalla giurisprudenza, mentre altre disposizioni devono essere considerate del tutto innovative.

A seguito all’emanazione della legge n. 15/2005 (La L. n. 15 del 2005 ha modificato la L. 241/90 prevedendo anche le sanzioni, a differenza di prima che prevedeva solo precetti (artt. 3, 7 e 8) senza sanzione, visto che la sanzione prevista era la generale annullabilità) l’invalidità del provvedimento è oggi disciplinata dalla L. 241/90 (rubrica del capo IV-bis della L. 241/90) e la dottrina amministrativistica riconduce nullità ed annullabilità nell’ambito della categoria della invalidità, consistente nella difformità dell’atto dalla normativa che lo disciplina.

Nel diritto amministrativo le categorie della nullità ed annullabilità, quali vizi che inficiano un atto giuridico costituente manifestazione di volontà, si presentano in relazione invertita rispetto alle omologhe figure valevoli per i negozi giuridici di diritto privato, costituendo la prima l’eccezione rispetto alla seconda; ciò in ragione delle esigenze di certezza dell’azione amministrativa (in chiave di tutela del buon andamento e di salvaguardia degli affidamenti dei privati coinvolti dall’agere pubblico), che mal si conciliano con la possibilità che questa possa restare esposta ad impugnative non assoggettate a termini di decadenza o prescrizione, quale quella di nullità disciplinata dal codice civile, tanto è vero che il codice del processo amministrativo assoggetta la medesima azione ad un preciso termine decadenziale, sebbene più ampio di quello valevole per l’azione di annullamento (Cons. St., sez. V, 16 febbraio 2012 n. 792 ).

Pertanto:

  • nel diritto amministrativo la forma patologica generale dell’atto è rappresentata dall’annullabilità, che costituisce la regola generale di invalidità, a differenza di quanto avviene nel diritto civile dove la regola generale in caso di violazione di norme imperative è quella della nullità (virtuale) (Cons. St., sez. VI, n. 3173/2007 e n. 891/2006 ). Così che il provvedimento illegittimo possa produrre effetti fino al suo eventuale annullamento;
  • la nullità dell’atto amministrativo costituisce una forma speciale di invalidità che si verifica nei soli casi (definiti nell’art. 21 septies legge 7 agosto 1990 n. 241) in cui sia specificamente sancita dalla legge (Cons. St. sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957.).Nel diritto amministrativo la nullità costituisce una forma speciale di invalidità, che si ha nei soli casi, oggi meglio definiti dal legislatore, in cui sia specificamente sancita dalla legge;
  • in diritto amministrativo (le cui norme sono tutte imperative salve eccezioni) la violazione stessa dà luogo ad annullabilità, salvi i casi eccezionali (Cons. St. A.p. n. 2/92 per la quale la nullità si produce nei casi tassativamente stabiliti (non opera, quindi la nullità virtuale), il principio generale è che la non conformità a legge del provvedimento ammnistrativo ne determina l’illegittimità, strutturata come annullabilità.)
  • mentre in diritto privato la violazione di norma imperative dà luogo a nullità del negozio (art. 1418 cc) (A differenza della nullità o annullabilità del provvedimento, in diritto civile la particolare disciplina del negozio annullabile, il cui vizio, peraltro, puo’ sempre essere eliminato mediante convalida (ex art 1444), viene giustificata non tanto per la minore gravità dei vizi stessi, quanto per il fatto che gli interessi lesi con tale negozio non sono generali, ossia a rilevanza pubblicistica (come nel negozio nullo), bensi’ particolari del soggetto agente, ossia a rilevanza prettamente privatistica.)
  • l’azione di annullamento è stata sottoposta a un termine decadenziale molto ridotto (normalmente di 60 giorni dalla conoscenza dell’atto, salvi i termini piu’ brevi che operano in settori sensibili come quello degli appalti) al fine di garantire che l’eventuale ribaltamento degli effetti del provvedimento possa giungere solo entro un breve lasso di tempo (Cfr. M. Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, Vol I, 2014 ed Giappichelli, pag. 186.);
  • l’azione di nullità (a differenza del diritto civile che è imprescrittibile) è sottoposta ad un termine decadenziale piuttosto breve di 180 giorni (art. 31 c.p.a.).

In definitiva, nell’ambito della invalidità del provvedimento amministrativo, l’illegittimità dello stesso (con conseguente sua annullabilità) costituisce la specie generale di invalidità, laddove le ipotesi di nullità con riferimento alle categorie indicate dalla legge, devono essere intese come ipotesi residuali di invalidità dell’atto (Cons. Stato, sez. VI, n. 3173/2007 e n. 891/2006)

Il regime di invalidità degli atti amministrativi si accosta, più significativamente, al particolare regime delle invalidità delle delibere assembleari. La ratio è comune, in quanto il regime di decadenza è previsto proprio perché la legalità e la conformità al diritto devono tener conto delle esigenze di continuità, stabilità, presunzione di legittimità, affidamento dei privati, inoppugnabilità dell’atto, in definitiva della certezza del diritto. Tali esigenze in diritto commerciale si esprimono evocando il favor societatis, che ha portato il legislatore per esempio a convertire le cause di nullità dell’atto di società in cause di scoglimento una volta sorta la società (art. 2332 c.c.). L’invalidità delle deliberazioni assembleari è, come quella degli atti giuridici in generale di due specie: nullità (art. 2379 cc) e annullabilità (art. 2377). In materia di deliberazioni assembleari si assiste, tuttavia, a questa inversione: l’azione di nullità è secondo i principi comune, un’azione generale (cosiddetta nullità virtuale), basata sul fatto che il contratto, o l’atto unilaterale (art. 1324 cc) è “contrario a norma imperative” (art 1418 c,1), mentre è speciale l’azione di annullamento, esperibile solo nei casi espressamente stabiliti dalla legge (artt. 1441 ss.); qui all’opposto, è generale l’azione di annullamento ed è speciale quella di nullità. La deliberazione è nulla solo nei casi tassativamente indicati dall’art. 2379 (nullità testuale); è, invece, annullabile in ogni altro caso in cui risulta presa “non in conformità della legge o dello statuto” (art. 2377 c.2). Accade percio’ che la violazione di ogni norma di legge, anche la violazione di norme imperative, comporta la semplice annullabilità della deliberazione, in deroga al principio generale, codificato dall’art. 1418 c.1. della nullità del contratto o dell’atto unilaterale contrario a norma imperative. Eccone le conseguenze. L’azione non spetta, come nel caso della nullità a chiunque vi abbia interesse, né può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 1421); ma è riconosciuta, in conformità di quanto dispone l’art. 1441 per l’azione di annullamento, solo a determinati soggetti (cit. Galgano F., Trattato di diritto civile volume quarto).

I riferimenti normativi sono gli art. 21-septies e 21-oties della legge 241/90: mentre la prima disposizione determina la centralità degli elementi essenziali dell’atto, fissando una gerarchia tra elementi dell’atto la cui lesione conduce al tipo più grave di invalidità (nullità) e elementi che, se viziati, conducono ad un tipo di invalidità più lieve (annullabilità); la seconda disposizione, mentre al primo comma stabilisce che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, al secondo comma (nell’interpretazione della giurisprudenza) non riguarda il provvedimento amministrativo in sé, ma la possibilità di chi si reputi leso dallo stesso di promuovere un giudizio diretto al suo annullamento. La circostanza che la violazione delle norme procedurali e formali non abbia influito sul contenuto del provvedimento ne impedisce l’annullamento non perché venga meno l’antigiuridicità del provvedimento stesso, ma perché il soggetto che lamenta la lesione di un proprio interesse giuridicamente protetto in seguito all’emanazione di quel provvedimento non potrebbe ricevere alcun vantaggio effettivo se questo fosse annullato dal giudice amministrativo.

Legittimo affidamento. La tutela dell’affidamento del privato nei confronti del potere autoritativo

La tutela dell’affidamento del privato nei confronti del potere autoritativo nel corso degli anni si è progressivamente intensificata.
Oltre al ruolo centrale dell’annullabilità quale patologia pubblicistica del provvedimento illegittimo ed alla previsione di ristretti termini di decadenza per esercitare l’azione di nullità o annullabilità , di recente il legislatore con la c.d. “legge Madia” (L. 7 agosto 2015, n. 124), ha introdotto modifiche in seno all’art. 21 nonies della L. 241/90 che disciplina l’annullamento d’ufficio, al fine di ridurre drasticamente i tempi di incertezza di vicende amministrative già definite.

In base alla citata previsione normativa, l’annullamento di un atto favorevole (così come l’intervento su una procedura caratterizzata da silenzio assenso o da SCIA già stabilizzata per effetto del decorso del termine di cui agli art. 19 e 20 della L. 241/90) può essere adottato dall’amministrazione interessata entro un termine ragionevole e “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici... e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”; con l’ulteriore precisazione che “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di

condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445“.

Inoltre, con riferimento agli atti affetti da illegittimità sopravvenuta si assiste ad una deroga alla retroattività degli effetti dell’annullamento.
Si tratta dell’ipotesi in cui l’invalidità sopravviene nel corso della vita dell’atto medesimo.
L’atto originariamente non viziato, viene colto da un vizio che però non si risolve in un ostacolo o in un impedimento alla sua efficacia.

Si pensi ai seguenti casi:
- un atto in origine rispondente alla formazione regolatrice della fattispecie e in seguito difforme rispetto a una nuova disciplina retroattiva;
- un atto posto in essere a seguito di norma dichiarata successivamente incostituzionale;
- un atto conforme a un decreto legge successivamente non convertito o modificato dalla legge di conversione.

Il principio di carattere generale è che la legittimità di un provvedimento deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio tempus regit actum, con conseguente irrilevanza di eventuali sopravvenute normative che determinino l’abrogazione della disciplina che aveva legittimato l’adozione del provvedimento stesso, fatta salva l’eccezionale ipotesi di invalidità successiva introdotta da una norma sopravvenuta espressamente retroattiva, nei limiti in cui ciò possa considerarsi costituzionalmente legittimo.

 

 

 


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