Il più recente dibattito dottrinario e pretorio si è infatti interrogato sull’ammissibilità dei c.d. “poteri amministrativi impliciti”, ovvero di quei poteri che la P.A. spende, pur in assenza di una formale legge di investitura, in quanto necessari al fine di perseguire il fine istituzionale o il soddisfacimento dell’interesse per il cui perseguimento la legge assegna espressamente altri poteri espressamente assegnati all’Amministrazione (c.d. “poteri concomitanti" o "consequenziali").

Occorre subito precisare che la questione dei poteri impliciti si pone prin- cipalmente nelle ipotesi in cui l’azione amministrativa consista nell’esercizio di un potere pubblicistico, mentre rileva meno nelle ipotesi in cui la stessa sia esercizio di autonomina privata, in quanto in tale ultima evenienza la stipulazione di contratti innominati è insita nella disciplina di diritto co- mune (articolo 1332, comma 2, c.c.), senza bisogno di ricorrere alla teoria di cui si discorrere.

È anche opportuno precisare che il tema dei poteri impliciti non ha alcuna connessione, se non terminologica, con la questione degli atti impliciti, che viene in rilievo quando determinati provvedimenti amministrativi produca- no effetti ulteriori rispetto a quelli indicati nell’atto formale dell’autorità (si pensi alla dichiarazione implicita di pubblica utilità). L’ammissibilità di atti impliciti non pone problemi sul piano del principio di legalità, in quanto, in presenza degli stessi, non è messa in discussione la sussistenza di una base formale di legittimazione, ma viene in rilievo una questione di interpretazione degli effetti (ancorché non espressi) voluti dall’amministrazione e prodotti dall’atto da essa adottato.

L’istituto dei poteri impliciti pone con chiarezza un problema di tensione tra l’esigenza della funzione, che impone l’attribuzione all’amministrazione dei poteri necessari per perseguire l’interesse assegnato, e l’esigenza della garanzia, per cui occorre proteggere il cittadino dall’esercizio di poteri non normativamente previsti.

Nella soluzione di questo conflitto assume un rilievo centrale l’accezione che si accolga del principio di legalità.

Convivono fatalmente, in questo quadro, orientamenti contrapposti.

Il primo, individua nella legge il fondamento necessario e imprescindibile di ogni potere amministrativo di tipo autoritativo e, conseguentemente, esclude la configurabilità di poteri impliciti. L’inammissibilità di poteri non espressamente previsti è, secondo questa tesi, una conseguenza inevitabile di una lettura rigorosa del principio di legalità dell’azione amministrativa. La formulazione vaga ed elastica della disposizione legislativa non può riconoscere implicitamente al soggetto pubblico spazi di manovra potenzialmente incidenti sulle sfere giuridiche dei privati, senza che essi trovino nella legge una sufficiente ed adeguata copertura: le esigenze di garanzia e democraticità dell'azione amministrativa prevalgono sulle opposte esigenze di funzio- nalità ed efficienza.

Il secondo orientamento dà, invece, del suddetto principio una lettura tesa a giustificare la legittimità dei poteri impliciti purché siano strumentali alla realizzazione del fine esplicito al quale sono collegati. Si attribuisce prevalenza alle esigenze di funzionalità rispetto a quelle di garanzia, negando un’interpretazione rigida del principio di legalità, sul presupposto che la stessa produrrebbe un eccessivo ingessamento dell’azione amministrativa e presupporrebbe la capacità del legislatore di prevedere e regolare tutto in via preventiva

La tesi emersa negli ultimi anni ha sposato un approccio di compromesso, che dà del principio di legalità un’interpretazione meno rigorosa laddove non venga in rilievo l’esigenza di proteggere i diritti dei cittadini dall’esercizio di poteri non previsti apertis verbis dalla legge. Facendosi forte dei riferimenti comunitari e del rinvio dell’art. 1 L. n. 241/1990 ai principi dell’ordinamento comunitario, la scuola di pensiero più evoluta è arrivata così a sostenere che, in presenza di determinate condizioni, al Legislatore è consentito assegnare il potere in modo teleologico o finalistico, e quindi indeterminato. Si è così ammesso, anche da noi, pur se con molti paletti e significativi distinguo, un criterio di legittimazione per obiettivi, pur in assenza di espressa diposizione di legge.

Meno rigorosa deve invece essere la connessione laddove si sia al cospetto di poteri neutri, di nuova generazione, che non incidano in modo diretto nella sfera di libertà e nel patrimonio giuridico-economico dei destinatari.

Si distingue, al riguardo, tra poteri di decision making, che si traducono in atti direttamente lesivi di tipo tradizionale, e poteri di policy making, che, come accade per i poteri regolatori delle autorità indipendenti, si concretizzano nell’apposizione di regole generali, suscettibili di applicazione a una pluralità di soggetti, per i quali l’enumerazione degli obiettivi può essere meno dettagliata e il ricorso a poteri impliciti è quasi fisiologico. Si tratta, in questo caso, di poteri impliciti in senso improprio, che non sono in grado di mettere in pericolo intereressi sostanziali di rilievo costituzio- nale.

Il potere implicito è stato quindi considerato ammissibile per poteri regolatori neutri, mentre è stato escluso con riferimento a poteri a contenuto ablatorio o sanzionatorio, e, più in generale, a poteri che si traducano in misure individuali direttamente lesive. Sulla base di tali coordinate, il problema della compatibilità dei poteri impliciti col principio di legalità è stato risolto in senso positivo con riferimento ai poteri regolatori delle Authorities, i quali, ponendo norme generali e astratte in un determinato settore economico al solo scopo di ripristinare o assicurare al suo interno la logica del mercato, non sono di per sé in grado di incidere direttamente sulle posizioni giuridiche dei privati, con la conseguenza che risulta più attenuata l'esigenza del rispetto del principio di legalità e più blanda la relazione di conformità tra azione amministrativa e norma di legge. Laddove l'attività consista nell'apposizione di una regola generale, si ripete, la legge può limitarsi a dettare i criteri rappresentati da obiettivi e finalità perseguiti da poteri non espliciti, ma indispensabili.

La dequotazione del principio di legalità sostanziale sancita da questa tecnica legislativa, che non consente alla legge di stabilire con precisione il contenuto della regola e il potere che l’Amministrazione è chiamata a eserci- tare, deve essere compensata dal rafforzamento del c.d. “principio di legalità procedimentale e pubblicitaria”,


 

 

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