LE PROMESSE UNILATERALI


L’art. 1987 stabilisce che le promesse unilaterali producono effetti obbligatori solo nei casi in cui ciò sia previsto da un’espressa disposizione di legge. Al di fuori di queste fattispecie contemplate in via tipica, la promessa unilaterale di eseguire una prestazione non produce alcun effetto giuridico: l’autonomia privata ha come fonte dell’obbligazione il contratto. La ragione di quest’atteggiamento rigoroso è che esse si pongono in contrasto con il principio secondo cui non si può incidere unilateralmente sulla sfera giuridico-patrimoniale di un soggetto terzo, anche se dovessero derivare per il destinatario dell’atto conseguenze benefiche e con il principio secondo cui ogni attribuzione patrimoniale deve poggiare su una causa (riconoscere effetti obbligatori ad una nuda promessa significherebbe legittimare i negozi astratti, impedendo all’ordinamento di controllare la circolazione della ricchezza).
La promessa al pubblico è la promessa di eseguire una prestazione in favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione (es. 1) mi farò carico dei costi per l’iscrizione all’università del ragazzo più povero della città; es.2) darò 100.000 euro a chi ritroverà il mio cane). La promessa al pubblico differisce dall’offerta al pubblico, che è una proposta diretta alla conclusione di un contratto, indirizzata ad una cerchia di soggetti determinati: in tal caso eventuali obbligazioni scaturiranno dal successivo contratto e non dalla proposta.
La promessa al pubblico vincola il suo autore non appena è resa pubblica. Al riguardo si ritiene che l’obbligazione sorge solo quando di verifica lo stato di cose divisato dal promittente. L’azione o la situazione indicate dal promittente operano quale condizione legale di efficacia del negozio, con la conseguenza che fino a quando la condizione non si verifica il vincolo gravante nel promittente si esaurisce nella sola irrevocabilità della promessa. Tuttavia in presenza di una giusta causa la promessa sarà revocabile; la revoca sarà efficace solo se resa pubblica con modalità uguali o equivalenti a quelle utilizzate per rendere pubblica la promessa. La revoca non può aver luogo se la situazione o l’azione richieste dal promittente si sono verificate, a prescindere dalla comunicazione di esse.
La promessa vincola il suo autore solo fino alla scadenza del termine da lui stabilito o ricavabile dalla natura o dalle finalità della promessa medesima. Se non è stato posto alcun termine, decorso 1 anno dal momento in cui è stata resa pubblica, il vincolo del promittente cessa qualora non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa. La comunicazione è un onere a carico dell’interessato e il suo mancato assolvimento entro il termine stabilito comporta la decadenza di un diritto di credito già acquisito. Il codice prevede che ove più persone compiano l’azione o si ritrovino nella situazione stabilita, la prestazione promessa spetta a colui che per primo ne ha dato comunicazione al promittente.
Il codice include tra le promesse unilaterali la ricognizione di debito (ammetto di dover dare a Tizio 10.000 euro) e la promessa di pagamento (pagherò a Tizio 10.000 euro), ma in tali 2 casi gli effetti che si producono hanno natura processuale, determinando non l’insorgere di una obbligazione, ma un’inversione dell’onere della prova (c.d. astrazione processuale della causa). Di norma, infatti, spetta al creditore provare i fatti che stanno a fondamento del suo diritto, ma nel caso di ricognizione di debito o promessa di pagamento spetterà al debitore provare l’inesistenza del rapporto da cui trae origine la pretesa del creditore. La giurisprudenza ha ammesso il carattere rinunciabile del vantaggio della regola dell’inversione dell’onere probatorio e la possibilità dell’attore di invocare il predetto rapporto fondamentale (c.d. promessa titolata).

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La gestione di affari


Essa è fonte di obbligazioni sotto 2 profili: 1) Il gestore, ossia colui che, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuare l’attività intrapresa e a condurla a termine, finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da sé; 2) qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, essa è fonte di obbligazioni anche a carico del gerito, secondo uno schema che ricalca quello del mandato. Come nel mandato, la gestione comporta una sostituzione nell’altrui attività giuridica; ciò risulta sul piano degli effetti, posto che il gestore nel continuare e nel condurre a termine l’attività intrapresa, è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato (ad es. obbligo di operare con la diligenza del buon padre di famiglia; obbligo di presentare il rendiconto al termine della gestione).
Ne discende che l’interruzione dell’attività intrapresa o l’inosservanza della diligenza configurano un inadempimento, del quale sarà chiamato a rispondere il gestore ai sensi dell’art. 1218. Appare ispirata alla stessa logica della regola secondo cui la responsabilità del mandatario va valutata con minor rigore ove il mandato sia a titolo gratuito, la regola che attribuisce al giudice il potere di moderare il risarcimento in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad assumere la gestione.
La prossimità con il mandato si coglie ove si rifletta sulle obbligazioni gravanti sul gerito: rimborsare le spese, necessarie e utili, sostenute dal gestore, adempiere le obbligazioni che questi abbia assunto in nome di lui o comunque tenerlo indenne per quelle assunte in nome proprio. Nel 1° caso il gerito sarà tenuto ad adempiere le obbligazioni personalmente, nel 2° egli dovrà tenere indenne il gestore dai costi dell’adempimento. Ne deriva che la gestione può essere rappresentativa o non rappresentativa: nel 1° caso si applica la disciplina della rappresentanza legale (gli effetti degli atti posti in essere dal gestore ricadono nella sfera giuridica del gerito); nel 2° caso si applica la disciplina del mandato (gli effetti degli atti posti in essere dal gestore investiranno la sua sfera giuridica).
Quanto alla ratifica, in forza della quale la gestione produce gli effetti che sarebbero derivati dal mandato, essa non comporta la conversione ex post di una gestione non rappresentativa in una gestione rappresentativa, ma consente al gerito di appropriarsi di una gestione che altrimenti sarebbe inefficace per mancanza di uno dei requisiti previsti dalla legge, fermo restando che gli effetti si atteggeranno diversamente a seconda che si tratti di rappresentanza rappresentativa o non rappresentativa.
La gestione impegna il gerito solo quando sia utilmente iniziata (utiliter coeptum): al riguardo nessun peso riveste l’esito della gestione, essendo sufficiente che l’attività del gestore apparisse utile allorché fu avviata; l’utilità va apprezzata in modo oggettivo, chiedendosi cioè come avrebbe operato una persona normalmente avveduta e diligente che si attenga alle regole della buona amministrazione in quella medesima situazione; quanto al momento in cui la gestione può ritenersi utilmente iniziata deve farsi una valutazione prognostica effettuata con riferimento al momento in cui il gestore è intervenuto e alle sole circostanze di fatto che gli fossero note all’epoca.
L’espressione affari allude ad attività materiali e negoziali. Il gestore può compiere atti di straordinaria amministrazione (ad es. può provvedere alla vendita di derrate alimentari soggette a deterioramento custodite dal gerito in un magazzino). Inoltre, il gestore può compiere sia attività che apparivano necessarie, sia attività che apparivano opportune e convenienti alla conservazione del patrimonio del gerito. Si ritiene, invece, che la gestione non possa ricomprendere atti negoziali diretti a conseguire un vantaggio (ad es. il gestore non può investire denaro del gerito in un’operazione finanziaria particolarmente vantaggiosa).
Una differenza tra mandato e gestione è che il mandatario opera sulla base di un incarico ricevuto dall’interessato: egli è obbligato e al tempo stesso autorizzato a porre in essere l’attività oggetto del mandato; la mancata esecuzione dell’incarico è inadempimento e i risultati dell’attività svolta dal mandatario ricadono nella sfera giuridica del mandante. Il gestore opera senza esservi tenuto, quindi il suo intervento, come chiarito dalla Cassazione, è spontaneo.
Carattere della gestione è l’absentia domini, in quanto il gestore è obbligato a proseguire l’attività intrapresa nell’interesse del gerito finché questi non sia in grado di provvedervi da sé. Tale requisito per la Cassazione si configura non solo quando il gerito sia nell’impossibilità di provvedere alla cura dei propri affari, ma anche quando non rifiuti espressamente o tacitamente l’ingerenza del gestore.
Scientemente significa nella piena consapevolezza della inerenza dell’affare medesimo ad una sfera giuridico-patrimoniale terza.

Il pagamento dell’indebito


Il pagamento dell’indebito è fonte di obbligazione, in quanto l’accipiens (colui che ha ricevuto la prestazione) dovrà restituire al solvens (colui che ha eseguito la prestazione) quanto ricevuto senza avervi titolo. L’accipiens dovrà anche corrispondere frutti e interessi a far data dal giorno del pagamento o dal giorno della domanda di restituzione a seconda che abbia ricevuto la prestazione rispettivamente in mala fede o in buona fede.
La regola illustrata riguarda sia l’indebito oggettivo, che l’indebito soggettivo ex latere accipientis. Il 1° ricorre quando il rapporto obbligatorio a cui si intendeva dare esecuzione non esiste (ad es. contratto da cui è scaturita l’obbligazione adempiuta dal solvens che venga successivamente dichiarato nullo, annullato o risolto). Il pagamento del debitore effettuato ante tempus non è un indebito oggettivo. L’indebito soggettivo ex latere accipientis, invece, ricorre quando il debitore esegua la prestazione in favore di un soggetto diverso dal creditore: in tal caso il soggetto non legittimato a ricevere il pagamento è tenuto a restituirlo al debitore, salvo che ricorrano gli estremi del pagamento al creditore apparente. Il creditore, tuttavia, può ratificare il pagamento o trarne vantaggio: in tal caso il debitore è liberato e l’accipiens non dovrà restituire il pagamento al debitore.
Diverso è l’indebito soggettivo ex latere solventis che si ha quando un soggetto esegue erroneamente una prestazione da lui non dovuta nelle mani del creditore: tale soggetto avrà diritto alla ripetizione di quanto prestato solo quando abbia eseguito la prestazione credendosi debitore in base ad un errore scusabile. In tal caso gli spetteranno anche i frutti e gli interessi maturati dal giorno del pagamento o dal giorno della domanda di restituzione a seconda che il creditore abbia ricevuto la prestazione in mala fede o in buona fede, ossia sapendo o ignorando che il solvens non fosse il debitore. Il creditore, nonostante la scusabilità dell’errore del solvens, non è tenuto a restituire la prestazione ricevuta solo quando si sia privato in buona fede del titolo o delle garanzie del credito: per buona fede si intende l’ignoranza del fatto che il solvens non fosse il debitore.
La prestazione è irripetibile anche in presenza di un errore non scusabile del solvens, ma in tal caso il solvens è surrogato per legge nella posizione del creditore (è un caso di surrogazione legale).
Sia nel caso di indebito soggettivo che in quello di indebito oggettivo la prestazione sarà ripetibile solo ove l’accipiens goda della capacità d’agire e della capacità naturale, perché in caso contrario egli sarà tenuto alla restituzione solo ove la prestazione sia stata rivolta a suo vantaggio.
La giurisprudenza ritiene che la disciplina dell’indebito sia applicabile sia al caso in cui la prestazione consista nel pagamento di una somma di denaro, sia nel caso in cui consista in un facere o in un dare. Nel caso della prestazione consistente in un facere la dottrina ritiene che si possa ripetere l’equivalente monetario della prestazione medesima.
Se la prestazione indebita ha ad oggetto una cosa determinata (bene consegnato dal compratore in forza di un contratto risultato nullo), chi ha ricevuto la cosa è tenuto a restituirla: in tal caso il solvens che non ha mai perso la proprietà del bene, oltre all’azione di rivendicazione, gode dell’azione di ripetizione dell’indebito che è più agevole sotto il profilo probatorio. Se la cosa è perita, anche per caso fortuito, chi l’ha ricevuta in mala fede è tenuto a corrisponderne il valore (si tratta di rimedio di natura restitutoria e non risarcitoria); se la cosa è soltanto deteriorata, colui che l’ha data può richiedere l’equivalente o la restituzione e un’indennità per la diminuzione di valore. Chi ha ricevuto la cosa in buona fede non risponde del perimento o del deterioramento della cosa, ancorché sia a lui imputabile, se non nei limiti del suo arricchimento (ciò significa che se la cosa era assicurata contro i danni, l’accipiens deve restituire l’indennità percepita dedotto l’ammontare dei premi corrisposti).
Se chi ha ricevuto la cosa in buona fede l’ha alienata prima di conoscere l’obbligo di restituirla è tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento verso il solvens (in tal caso il solvens esperisce l’azione di cui all’art. 2041).
Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. In caso di alienazione a titolo gratuito il solvens che abbia infruttuosamente escusso l’accipiens ha diritto di agire nei confronti del terzo nei limiti del solo arricchimento conseguito.
Se l’alienazione è stata a titolo oneroso e il terzo non ha corrisposto ancora il corrispettivo, il solvens (sia in buona fede, sia in mala fede) è surrogato ex lege nel relativo credito. Nel caso di accipiens in mala fede, inoltre, il solvens potrà agire nei suoi confronti per ottenere la differenza tra prezzo dovuto e valore del bene.

L’arricchimento senza causa

L’arricchimento senza causa

L'azione di indebito arricchimento
Quando un soggetto, senza avervi titolo, si appropria di utilità riservate dalla legge ad un altro soggetto, sorgerà a suo carico l’obbligo di indennizzare colui che ha subito il depauperamento: quest’ultimo, dunque, vanterà una pretesa creditoria da farsi valere con l’azione di ingiustificato arricchimento (art. 2041). Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda. Tale rimedio potrà essere esperito solo quando non si disponga di altro rimedio: da qui la sussidiarietà dell’azione in parola. La giurisprudenza ritiene che tale azione non potrà esperirsi quando esiste un altro rimedio, ma questo risulti in concreto inibito per prescrizione o decadenza. E’ necessario che arricchimento di una parte e depauperamento dell’altra discendano dalla stessa vicenda e che siano legati da un nesso di correlazione, presentandosi come effetto di un unico spostamento patrimoniale. La differenza con il risarcimento ex art. 2043 è che l’obbligazione risarcitoria è commisurata al danno patito e ristora la vittima per il danno subito a seguito del fatto illecito, l’arricchimento senza causa presuppone che una ricchezza sia stata creata attraverso l’esercizio di poteri che spetterebbero per legge ad altri. Inoltre, esso differisce dalla ripetizione dell’indebito perché qui si tratta di acquisizioni di ricchezza altrui non negoziate con il legittimo titolare della risorsa (es. profitti realizzati con la vendita di cd e di dvd contraffatti).
La giurisprudenza si è occupata della possibilità di esperire l’azione in parola nei casi in cui difetti il rapporto d’immediatezza tra soggetto arricchito e impoverito. Il caso riguardava la P.A. che, dopo aver richiesto pareri legali o redazioni di progetti a professionisti esterni e dopo aver messo a disposizioni di altre amministrazioni tali elaborati, abbia poi dedotto la nullità del rapporto contrattale di base (per mancanza della forma scritta) sottraendosi cosi all’obbligo di pagare il corrispettivo pattuito. La giurisprudenza ha ritenuto l’esperibilità nei confronti delle altre amministrazioni diverse da quella committente dell’azione in parola da parte del professionista. La Corte ha anche precisato che ove il terzo arricchito abbia conseguito il vantaggio a titolo gratuito, l’azione è esperibile se 1) manca altro rimedio giudiziale a favore dell’impoverito; 2) quando sussiste la unicità del fatto causativo dell’impoverimento, nel senso che la prestazione dell’impoverito è andata a vantaggio dell’arricchito, con esclusione dei casi di arricchimento indiretto, ossia causato da soggetto diverso da quello a cui era destinata la prestazione dell’impoverito. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso è esperibile l’azione nei soli casi in cui l’arricchimento sia stato causato dalla P.A. o sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito.


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