Secondo l’autorevole dottrina (Virga), è un atto di ritiro che si attua per il sopravvenire di nuove circostanze di fatto che rendono l’atto non più rispondente al pubblico interesse e si differenzia dalla revoca, che si concreta nella rivalutazione delle stesse circostanze originarie.
Altra dottrina (Sandulli) osserva, invece, che anche in tale ipotesi ricorre la revoca. Tale interpretazione esclude la configurabilità autonoma del potere di abrogazione sulla base dei seguenti rilievi:
- l’abrogazione attiene, come la revoca, a valutazioni di opportunità dell’atto;
- l’abrogazione, come configurata da Virga, ha la medesima efficacia (ex nunc) della revoca; Nella pratica è assai difficile distinguere tra esigenze pubbliche preesistenti e sopravvenute, in quanto tale diversità è sempre frutto di diverse valutazioni soggettive. In assenza, quindi, di concrete diversità giuridiche, sembra preferibile evitare distinzioni astratte, e parlare in ogni caso di revoca.
Il regime giuridico dell’abrogazione è il seguente:
a)  gli atti suscettibili di abrogazione sono gli stessi che possono essere revocati;
b)  gli effetti della abrogazione si producono (come per la revoca) ex nunc;
c)  la differenza tra revoca e abrogazione starebbe nel fatto che la prima comporta un riesame del merito dell’atto al momento della sua emanazione; la seconda, invece, una valutazione dell’opportunità di tenere in vita il rapporto creato dall’atto in relazione a mutate situazioni di fatto (Virga); tale diversità, ammesso che esista, non influisce sul regime giuridico dell’atto.