RICORSO GIURISDIZIONALE »»» azione di annullamento

AZIONE DI ANNULLAMENTO

L’annullamento dell’atto amministrativo è la prima e necessitata forma di reazione avverso la contrarietà al diritto.
In base all’art. 29 c.p.a. l'azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di sessanta giorni.

L’annullamento giurisdizionale si differenza dall’annullamento d’ufficio , giacchè espressioni di due distinti poteri l’uno giurisdizionale e l’altro amministrativo. Il giudice non ha la discrezionalità che possiede la pubblica amministrazione “se il giudice accerta una invalidità nella specie di illegittimità non può che annullare, a meno che non ci si trovi nelle ipotesi previste dall’art. 21-octies L. 241/90 o dall’art 34 c. 3 c.p.a.. In nessun caso il giudice opera una valutazione di opportunità sull’interesse pubblico di modulare gli effetti dell’annullamento in quanto tale agire si porrebbe in contrasto sia con la concessione della funzione giurisdizionale accolta nella costituzione che è orientata in senso soggettivistico
La concezione soggettivistica pone al centro del sistema la tutela del diritto dell’individuo e solo su un secondo piano la tutela del diritto obiettivo configurata quale effetto indiretto e secondario della tutela individuale

e sia con il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

L’azione di annullamento è rimasta azione costitutiva che ha la finalità di rimuovere per il passato l’atto illegittimo, e di ripristinare anche pro-futuro le condizioni di legalità e di legittimità della funzione pubblica.
Il c.d. effetto ripristinatorio implica la cancellazione delle modificazioni della realtà (giuridica e di fatto) intervenute per effetto dell’atto annullato, determinando l’adeguamento dell’assetto di interessi alla situazione giuridica esistente prima dell’adozione dell’atto impugnato.
La pronuncia di annullamento, considerata in funzione della sola verifica di legittimità dell’“atto”, senza alcuna incidenza sull’assetto del “rapporto” tra le parti, non può definirsi satisfattiva in quanto la funzione della giurisdizione amministrativa del processo è quella di proteggere gli interessi sostanziali giuridicamente qualificati. Sul fronte dell’annullamento si è cercato di porre rimedio a questo deficit di satisfattività facendo leva sugli ulteriori effetti della decisione di annullamento con la valorizzazione dell’effetto conformativo (con il quale viene vincolata la successiva attività della amministrazione all’esercizio del potere).
La dottrina e la giurisprudenza amministrativa (già prima che il legislatore se ne rendesse conto nel 2000 in occasione della riforma del processo amministrativo) evidenziarono che sia l’effetto ripristinatorio che quello conformativo, derivante dall’annullamento giurisdizionale, lasciavano comunque vuoti di tutela per cui si rendeva necessario ammettere nuove azioni.

Il problema andava affrontata dando rilevanza non soltanto all’atto ma anche al rapporto, non soltanto al profilo oggettivo ma anche a quello soggettivo. Il giudice amministrativo, istituito come giudice di annullamento, sia per successive nuove attribuzioni, sia per una sua forza espansiva, si è trasformato nel tempo. La giurisdizione non è più soltanto la sede per ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo in quanto l’istanza giurisdizionale è risolutiva di vari tipi di controversie, in cui, protagonista non è più solo ed esclusivamente l’atto amministrativo, ma la potestà amministrativa, articolata attraverso il procedimento amministrativo, che, pertanto tende a perdere il connotato autoritativo per acquisire quello prevalentemente di composizione di interessi .

V. Caianiello, Le azioni proponibili e l’oggetto del giudizio amministrativo, in Problemi dell’amministrazione e della giurisdizione, Padova, 1986, 720.

Una prima ricostruzione aggiornata dell’azione di annullamento è stata fatta dal consiglio di Stato sez. VI con sentenza 9 febbraio 2009, n. 717 che afferma (richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 30254/2008), come più indici normativi testimoniano la trasformazione dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento a giudizio sul rapporto.

Basti pensare: all’impugnazione con motivi aggiunti dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso (art. 21, primo comma, l. T.A.R., modificato dall’art. 1 L. n. 205/2000); al potere del giudice di negare l’annullamento dell’atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies L. n. 241/1990, introdotto dall’art. 21 bis L. n. 15/2005); al potere del giudice amministrativo di conoscere la fondatezza dell’istanza nel giudizio avverso il silenzio-rifiuto (art. 2, comma 5, L. n. 241/1990, come modificato dalla L. n. 80/2005 in sede di conversione del D.L. n. 35/2005).
Il giudizio amministrativo, rimane perciò, un giudizio sull’atto, ma in una versione diversificata a seguito della normativa sopravvenuta, nella quale va inclusa quella in esame, nel senso che il rapporto di cui il giudice amministrativo accerta la legittimità o è quello già riflesso nell’atto impugnato o è quello di cui il ricorrente pretende la trasfusione in un successivo atto della P.A., mediante l’esecuzione del giudicato nel caso di perdurante inerzia della P.A..

Peraltro il giudice amministrativo deve tener presente che non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Si tratta di un atto vincolato per l’aspetto da considerare (vincolatività che può essere sia prevista dalla relativa normativa sia per effetto dello svolgimento del relativo procedimento ad es. auto-vincolo della P.A. o di un atto presupposto o di un accordo procedimentale che fa venir meno la discrezionalità residua).

In tal caso se viene denunciato un vizio di forma o di procedimento dell’atto e il suo contenuto dispositivo non potrebbe essere diverso in modo palese, valutazioni attinenti al contenuto del provvedimento, effettuate ex post dal giudice anche d’ufficio, tale atto non va annullato. Il non annullamento del provvedimento, sebbene formalmente illegittimo, si base sulla constatazione che diventa inutile

annullare un atto allorché il privato non potrebbe trarre dalla sentenza alcuna ulteriore utilità. Anche in questa previsione si coglie la centralità dell’effetto conformativo. Se la pretesa è certamente infondata, non vi è spazio alcuno per un utile effetto; diventa, quindi, inutile produrre l’effetto demolitorio.

Di regola, in base alla tesi tradizionale, l’accoglimento dell’azione di annullamento comporta l’annullamento con effetti ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa, che può anche retroattivamente disporre con un atto avente effetti ‘ora per allora’.
Tale regola fondamentale è stata affermata ab antiquo (come ineluttabile corollario del principio di effettività della tutela), poichè la misura tipica dello Stato di diritto – come affermatosi con la legge fondamentale del 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato – non può che essere quella della eliminazione integrale degli effetti dell’atto lesivo per il ricorrente.

Tuttavia quando la sua applicazione risulterebbe incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale, è stato recentemente ritenuto che la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato a seconda delle circostanze deve trovare una deroga, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti Cfr Cons. St. sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488. ,o con la loro decorrenza ex nunc ovvero escludendo del tutto gli effetti dell'annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi.

Così è stato ritenuto illegittimo un piano - Cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2755/2011 - faunistico venatorio regionale, senza disporne l’annullamento, il cui effetto sarebbe stato di eliminare le pur insufficienti misure protettive per la fauna, ritenendo invece congruo statuire l’obbligo di procedere entro dieci mesi all’approvazione di un nuovo piano faunistico, secondo le indicazioni fornite dalla sentenza in sede di accoglimento delle censure formulate dal ricorrente.

Nel contempo si intravede l’apertura verso la definizione della giurisdizione amministrativa come giurisdizione piena, in quanto l’annullamento non è in grado di ristorare completamente la lesione arrecata dall’attività amministrativa al privato e non assicura alcuna stabilità al godimento da parte del ricorrente della pretesa sostanziale, in quanto la pubblica amministrazione potrebbe comunque dettare un provvedimento limitativo della medesima situazione di vantaggio del ricorrente.
In questo contesto si assiste al dilatamento dei confini del giudizio di ottemperanza che conferma il vuoto di tutela della sentenza di annullamento.

Con il codice amministrativo il contenuto della pretesa giudiziale non è più la verifica della legittimità del provvedimento e, di conseguenza “la valutazione sulla validità (o meno) di un atto o provvedimento amministrativo non costituisce più l’oggetto dell’accertamento giudiziale così come l’annullamento non è più il contenuto principe della sentenza che il giudice andrà ad assumere. L’invalidità (o meno) di un atto costituirà il presupposto per la qualificazione in termini di illiceità (o di ingiustizia) dell’eventuale pregiudizio subito dal ricorrente, mentre l’annullamento costituirà uno dei possibili contenuti della sentenza di condanna, una delle possibili forme di reintegrazione in forma specifica.

Vengono introdotte azioni ulteriori, che in ossequio del principio della domanda, il privato è libero di individuare al fine di tutelare nel modo migliore la propria situazione giuridica soggettiva:

  • azione avverso il silenzio (artt. art. 31 e 117), in base alla quale il giudice può conoscere tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario, che può nominare con la sentenza che definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata; può pronunciare sulla fondatezza della pretesa nel caso in cui si tratti di attività vincolata o quando risulti che non residuano ulteriori margini discrezionali e non sono necessari adempimenti istruttori a cura dell’amministrazione;
  • azione di condanna (art 34 c.1 lett c). Secondo la quale il giudice può condannare al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno. Un’azione di condanna della P.A. al pagamento di somme di danaro di cui risulta debitrice nella materia, relativa a diritti attribuiti alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo, è stata introdotta solo dall’art.26 L.n.1034/1971. La sua formula ambigua con riferimento alla giurisdizione esclusiva e di merito è stata intesa, al fine di non relegare la sua applicazione a casi sporadici, nel senso che la relativa condanna è ammissibile in presenza di un diritto soggettivo sia che si tratti di giurisdizione esclusiva che di merito. Dall’ambito dell’azione ex art.26 erano escluse le domande risarcitorie e in generale i diritti patrimoniali consequenziali, riservati alla giurisdizione ordinaria ex art. 7 L.n.1934/1971 e art. 30 T. U. n.1054/1924. Come azione di condanna è stato configurato anche il ricorso per l’accesso ai documenti amministrativi (art.24 L. n.241/1990). L’art. 35 L. n.80/1998 ha introdotto l’azione di condanna della P.A. al risarcimento del danno per lesione di diritti soggettivi in relazione a controversie attribuite alla giurisdizione esclusiva e fu eliminata la riserva al giudice ordinario sui diritti patrimoniali consequenziali. Quindi (per effetto sentenza Cass. S. U. n.500/1999) anche per lesione di interessi legittimi (art. 7 l. n.205/2000).
  • azione di condanna all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e possibilità di disporre misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile (condanna a un facere specifico) (art 34 c.1 lett c). Per cui il soggetto, attraverso la reintegrazione in forma specifica, consegue le stesse utilità che gli sono garantite dalla legge. Questo tipo di tutela comporta la condanna dell’amministrazione a un dare, a un facere o a un praestare specifico che ripari il pregiudizio subito dal privato, configurando una vera azione di adempimenti.

L'azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto e' esercitata, nei limiti di cui all'articolo 31, comma 3, contestualmente all'azione di annullamento del provvedimento di diniego o all'azione avverso il silenzio. L’art. 31 c. 3 stabilisce che “Il giudice puo' pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attivita' vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalita' e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione”.

  • azione di condanna al rilascio di un provvedimento (art.34, c.1 lett.c - ultimo periodo aggiunto dal secondo correttivo ) ovvero azione di adempimento, purchè proposta contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio ai sensi e nei limiti dell’art.31, comma 3;
Il secondo decreto correttivo segue al primo decreto correttivo (Dlgs. N. 195/2011) con il quale sono stati apportate al testo del codice le modifiche meramente formali che hanno riguardato: la giurisdizione sulle sanzioni Consob (adeguando quindi alla pronuncia della Corte Cost. 162/12), la competenza territoriale del TAR (prevedendo che la questione di competenza deve essere esaminata già in sede della domanda cautelare), obbligo di chiarezza e sinteticità degli atti (prevedendone la sanzionabilità in caso di violazione), l’azione di adempimento, il contenuto del ricorso, il rito speciale in materia elettorale

  • l'anticipazione alla fase della cognizione di quanto avveniva in quella di ottemperanza (art 34 c.1 lett e) con la previsione che il giudice in caso di accoglimento del ricorso dispone le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta , che può avvenire anche in sede di che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza;

Il secondo decreto correttivo segue al primo decreto correttivo (Dlgs. N. 195/2011) con il quale sono stati apportate al testo del codice le modifiche meramente formali che hanno riguardato: la giurisdizione sulle sanzioni Consob (adeguando quindi alla pronuncia della Corte Cost. 162/12), la competenza territoriale del TAR (prevedendo che la questione di competenza deve essere esaminata già in sede della domanda cautelare), obbligo di chiarezza e sinteticità degli atti (prevedendone la sanzionabilità in caso di violazione), l'azione di adempimento, il contenuto del ricorso, il rito speciale in materia elettorale
Consiglio di Stato Sez. IV, 13 gennaio 2015 n. 52. Il commissario ad acta è organo del Giudice dell'ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento dell'Amministrazione sostituita. Da ciò consegue che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati all'ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell'Amministrazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all'immanente controllo dello stesso Giudice. L'attività del commissario ad acta quindi, non ha natura prettamente amministrativa, perché si fonda sull'ordine del giudice, ed è la stessa che avrebbe potuto realizzare direttamente il giudice.
 L'Amministrazione non ha alcuna possibilità di modificare gli atti commissariali: essa non ha alcuna discrezionalità nel dare attuazione a quanto stabilito dal commissario ad acta conservando, semmai, la facoltà di sollecitare l'intervento del giudice qualora insorgano dubbi interpretativi circa la portata applicativa del provvedimento, così come delineato dal commissario ad acta, o di adire il giudice per il contrasto fra l'atto del commissario ad acta e la pronuncia che lo stesso è chiamato ad eseguire o,infine, per l'erroneo esercizio del potere discrezionale allo stesso attribuito.

  • l’azione risarcitoria che ha unicamente finalità di ristorazione del danno ingiusto, non occupandosi di voler ripristinare la legalità violata (art. 34, c.3 il quale stabilisce che se nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.
L’art. 30 c.3 c.p.a. stabilisce che la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.

L’art. 30 c.p.a. ha escluso la necessità di previa impugnazione dell’atto ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno patrimoniale. Il giudice amministrativo può conoscere immediatamente della domanda risarcitoria. Pertanto in caso di proposizione autonoma dell’azione risarcitoria, per valutare la sussistenza del danno deve operare un confronto tra la fattispecie lesiva scaturente dal provvedimento amministrativo e quella che si sarebbe presentata senza l’adozione dello stesso. A tal fine, si devono rimuovere gli effetti del provvedimento illegittimo, e se non è stato richiesto l’annullamento dell’atto, l’unico strumento che il giudice può utilizzare è quello della disapplicazione del provvedimento causativo del danno con riguardo alla sola causa da decidere. L’annullamento o la disapplicazione dal momento che privano di efficacia il provvedimento in quanto illegittimo rendono la sua esecuzione anche priva di cause di giustificazione e, quindi, produttiva di danni ingiusti. Ove, invece, il danno derivi dalla lesione di diritti soggettivi l’azione di risarcimento potrà essere proposta dinanzi al giudice amministrativo – a condizione che sia investito di giurisdizione esclusiva – nel rispetto del termine ordinario di prescrizione che, ove si continui a qualificare la responsabilità della P.A. come di natura aquiliana, sarà di cinque anni;

  • art.34, comma 4, che in caso di condanna pecuniaria consente in generale al giudice (e non solo per i casi di giurisdizione esclusiva ), di stabilire, in mancanza di opposizione delle parti, i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma di danaro entro un congruo termine; prevedendo in mancanza di accordo o in caso di inadempimento degli obblighi dell’accordo il ricorso perl’ottemperanza;
  • giurisdizione amministrativa in materia di inefficacia del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione (artt. 121 e 122) con cognizione del giudice riferita al concreto modo di essere del rapporto contrattuale in atto, in riferimento, fra l’altro, allo stato di esecuzione delle prestazioni.

L’azione di annullamento è una delle varie azioni proponibili dinanzi al giudice amministrativo e non più l’azione egemone del processo, in effetti lo stesso art 34 c.p.a. al c. 2 stabilisce che il giudice non possa conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento, salvo che nell’ipotesi in cui venga proposta in via autonoma l’azione di risarcimento, mentre il successivo comma prevede che, se nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non è più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto ai fini risarcitori. Si tratta di una conversione dell’azione di annullamento in azione di accertamento (l’azione costitutiva si riduce azione di accertamento).

Nel testo predisposto dall’apposita Commissione presso il Consiglio di Stato, le norme erano state redatte in coerenza con la tradizionale tripartizione delle azioni di cognizione (costitutive, di accertamento e di condanna), dando autonomo rilievo all’azione di accertamento. Nel contempo venivano fissati specifici limiti a tale azione stabilendosi che, ad eccezione dell’azione di nullità, l’accertamento non può comunque essere chiesto, salvo quanto disposto dall’articolo 39, comma 4, (concernente l’azione autonoma di risarcimento del danno per lesione di interesse legittimo nel termine di 180 giorni), quando il

ricorrente può o avrebbe potuto far valere i propri diritti o interessi mediante l’azione di annullamento o di adempimento; l’accertamento non può altresì essere chiesto con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.
Il Governo successivamente ha eliminato le norme sull'azione di accertamento precisando che la giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del c.p.a. si è chiaramente pronunciata per l’ammissibilità dell’azione di accertamento nel processo amministrativo.
Secondo tale orientamento interpretativo, l'assenza di una previsione legislativa espressa non osta all'esperibilità di un'azione di mero accertamento, allorquanto detta tecnica di tutela sia l'unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell'interesse legittimo Cons. St. Sez. V, 31 gennaio 2012 n. 472
Deve ritenersi inammissibile un’azione di accertamento nei casi non previsti dalla legge. Detto orientamento negativo è stato seguito dal TAR Puglia - Bari, 6 febbraio 2014, n. 184,- che ha dichiarato inammissibile l'azione di accertamento, non rientrando siffatta tipologia di azione tra quelle tipiche espressamente previste dal codice del processo amministrativo, precisandosi che la possibilità di configurare domande e azioni atipiche deve chiaramente ritenersi subordinata quantomeno alla necessità che tale forma di azione risulti necessaria in quanto unico rimedio a tutela di situazioni di interesse meritevole di tutela asseritamente lese.