Deliberazione 716/2012/PAR . CORTE CONTI VENETO.
In ordine alle modalità di determinazione del canone dei beni demaniali e patrimoniali dell’ente locale, affidati in gestione alle associazioni di interesse collettivo nei campi della cultura, dello sport e del sociale (come ad esempio, palestre, campi sportivi, edifici).

L'eventuale scelta di disporre di un bene pubblico ad un canone di importo diverso da quello corrispondente al suo valore di mercato, ad avviso della Sezione deve avvenire a seguito di “un’attenta ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici in gioco, rimessa esclusivamente alla sfera discrezionale dell’ente, in cui però deve tenersi nella massima considerazione l’interesse alla conservazione ed alla corretta gestione del patrimonio pubblico, in ragione della tutela costituzionale di cui questo gode

Deliberazione 33/2009/PAR . CORTE CONTI VENETO. Non risulta precluso a priori per l’amministrazione l’utilizzo del comodato quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali. Ciò potrà avvenire, però, solo a seguito di attenta valutazione comparativa tra i vari interessi in gioco, rimessa esclusivamente alla discrezionalità e al prudente apprezzamento dell’ente, e che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento.

 

LA
CORTE DEI CONTI
SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL VENETO

nell’adunanza del 2 ottobre 2012 composta da

Dott.ssa Enrica DEL VICARIO - Presidente
Dott. Giampiero PIZZICONI - Referendario
Dott. Tiziano TESSARO- Referendario
Dott. Francesco MAFFEI - Referendario relatore
Dott.ssa Francesca DIMITA - Referendario
VISTO l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;
VISTO il Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;
VISTA la Legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;
VISTO il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria la Sezione regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000, modificato da ultimo con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229 del 19 giugno 2008;

VISTA la Legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”, ed in particolare, l’art. 7, comma 8°;

VISTI gli indirizzi e criteri generali per l'esercizio dell'attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie nell'adunanza del 27 aprile 2004, come modificati e integrati dalla delibera n.9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009 e, da ultimo dalla deliberazione delle Sezioni Riunite in sede di controllo n. 54 del 17 novembre 2010;

VISTA la richiesta di parere del Sindaco di Treviso dell’8 agosto 2012, acquisita al prot. CdC n. 6157 dell’14 agosto 2012;

VISTA l’ordinanza n. 62 del 2012 con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per l’odierna seduta;

UDITO il magistrato relatore, Dott. Francesco Maffei;

FATTO

Il Sindaco del Comune di Treviso, con la nota indicata in epigrafe, ha posto alla Sezione un quesito in ordine alle modalità di determinazione del canone dei beni demaniali e patrimoniali dell’ente locale, affidati in gestione alle associazioni di interesse collettivo nei campi della cultura, dello sport e del sociale (come ad esempio, palestre, campi sportivi, edifici).

A questo riguardo il Sindaco richiama il principio, affermato dall’art. 2, comma 4, del Decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 86, di massima valorizzazione funzionale dei beni attribuiti al patrimonio dell’ente locale, a vantaggio diretto o indiretto della collettività, ed anche il principio di sussidiarietà verticale, in base al quale i cittadini, idoneamente associati, possono essere destinatari dell’esercizio di attività pubbliche, se queste vengono svolte in maniera più economica, efficiente ed efficace rispetto a quanto l’ente di riferimento possa garantire.

Per questo motivo, l’ente chiede se il solo modo legittimo di procedere, in materia di valorizzazione del proprio patrimonio, sia quello di sfruttare il bene in base al valore di mercato, idoneamente periziato, o se sia possibile impostare uno sfruttamento del bene patrimoniale non sul valore di mercato, bensì su un valore più basso, in considerazione delle finalità sociali, senza scopo di lucro, delle associazioni di interesse collettivo alle quali l’ente affiderebbe la gestione dei beni pubblici.

A questo proposito, il Sindaco richiama la norma di cui all’art. 32, comma 8 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 che dispone che “a decorrere dal 1° gennaio 1995, i canoni annui per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni sono, in deroga alle disposizioni di legge in vigore, determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore comunque non inferiore a quello di mercato, fatti salvi gli scopi sociali”.

DIRITTO

La richiesta del Comune di Treviso è espressamente formulata ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 203,n. 131.
In via preliminare, va affermata la sussistenza dei requisiti

di ammissibilità, soggettivi ed oggettivi, per la formulazione dei pareri, secondo i criteri fissati dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, con atto di indirizzo del 27 aprile 2004 e con deliberazione n. 5/AUT/2006 del 10 marzo 2006.

Alla luce dei sopra richiamati criteri, la richiesta di parere in esame deve ritenersi soggettivamente ammissibile, con riguardo sia all’ente interessato a ricever il parere, cioè il Comune, sia all’organo che formalmente lo ha richiesto, il Sindaco, organo politico di vertice e rappresentante legale dell’Ente.

In ordine poi alla sussistenza dei requisiti oggettivi, occorre preliminarmente accertare se la richiesta di parere sia riconducibile alla materia della contabilità pubblica, nonché se sussistano o meno i requisiti di generalità ed astrattezza, unitamente alla considerazione che il quesito non può implicare valutazioni inerenti i comportamenti amministrativi da porre in essere, ancor più se connessi ad atti già adottati o comportamenti espletati.

Con riferimento al caso in questione, la Sezione ritiene che la materia rientri nel concetto unitario di contabilità pubblica delineato dalla delibera n. 54/2010 della Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti, riferito al “sistema di principi e norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale della Stato e degli Enti pubblici” ed inteso “in continua evoluzione in relazione alle materie che incidono direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’ente e sui pertinenti equilibri di bilancio”.

Sotto questo profilo la richiesta si considera ammissibile in quanto relativa alla gestione patrimoniale dell’ente locale, intesa come l’insieme di tutte le attività e le operazioni contabili concernenti la conservazione, l’utilizzazione e la trasformazione dei singoli beni compresi nel patrimonio dell’ente in questione, gestione patrimoniale che, insieme alla gestione finanziaria, costituisce una delle ripartizioni della contabilità pubblica.

La richiesta, inoltre, risulta formulata in termini generali ed astratti.

Passando al merito della questione, poiché nella richiesta in argomento viene fatto un indistinto riferimento ai beni demaniali e patrimoniali, la Sezione ritiene opportuno ricordare preliminarmente che tali categorie di beni, sebbene condividano l’attitudine ad essere utilizzati per fini di pubblico interesse, hanno in realtà un regime giuridico diverso. Infatti, i beni demaniali (individuabili dalla lettura combinata degli artt. 822 e 824 c.c.) hanno come loro naturale e necessaria destinazione l’adempimento di una pubblica funzione e sono, pertanto, assoggettati ad una disciplina pubblicista; quelli patrimoniali, invece, si suddividono in due ulteriori categorie: i beni patrimoniali indisponibili (individuati dall’art. 826, commi 2 e 3, c.c.) che, in quanto destinati ad un pubblico servizio, sono sottoposti anch’essi alla disciplina pubblicistica; ed i beni patrimoniali disponibili, categoria residuale, che sono soggetti al regime giuridico proprio dei beni di diritto privato, dal momento che realizzano l’interesse pubblico solo in via strumentale ed indiretta, in virtù della destinazione data ai redditi ricavati derivante (dai frutti naturali o civili), facendoli concorrere in questo modo al finanziamento della spesa pubblica.

Con riferimento in particolare agli enti locali, si fa inoltre presente che la riforma del Titolo V della Costituzione ha riconosciuto che gli enti territoriali hanno un proprio patrimonio (art. 119 Cost., comma 7) e non solo il demanio e che, a seguito del c.d “federalismo demaniale”, attuato con il D. Lgs 85/2010, è stata prevista l’attribuzione a titolo non oneroso, ad ogni livello di governo, di beni statali secondo dei criteri di territorialità, di sussidiarietà, di adeguatezza, di semplificazione e di capacità finanziaria. Con quest’ultimo requisito si intende la capacità finanziaria dell’ente territoriale al quale è trasferito il bene, di garantirne le esigenza di tutela, di gestione e di valorizzazione. Proprio con riferimento a questi beni statali così attribuiti, il legislatore ha specificato che l’ente dispone del bene nell’interesse della collettività, favorendone la “massima valorizzazione funzionale”, secondo il principio richiamato dal Sindaco di Treviso nel quesito.

La Sezione, infine, ricorda anche quanto previsto dall’art. 58 del decreto legge 25 giugno 2008, convertito dalla legge 3 agosto 2008, n. 133, che prescrive agli enti territoriali di procedere al riordino e valorizzazione del proprio patrimonio immobiliare attraverso l’adozione di appositi piani di alienazione immobiliare, che vanno allegati ai bilanci di previsione.

Da queste premesse si deduce che le varie forme di gestione del patrimonio introdotte di recente dal legislatore sono tutte finalizzate alla valorizzazione economica delle dotazioni immobiliari dei vari enti territoriali, di volta in volta coinvolti, nel senso che le diverse forme di utilizzazione o destinazione dei beni in argomento devono mirare all’incremento del valore economico delle dotazioni stesse, onde trarne una maggiore redditività finale. Si tratta, infatti, di gestire dinamicamente partite del patrimonio immobiliare per potenziare le entrate di natura non tributaria.

Queste osservazioni permettono al Collegio di indicare alcuni principi rilevanti per il quesito posto dal Sindaco di Treviso.

Infatti, l’ente, ai fini della possibilità di concedere la disponibilità di un bene appartenente al suo patrimonio, a delle condizioni diverse da quelle di mercato, in considerazione delle peculiari finalità sociali perseguite dal soggetto beneficiario (associazioni di interesse collettivo senza fini di lucro), dovrà tener conto, nell’ambito delle valutazioni da effettuare nell’esercizio della sua esclusiva discrezionalità, di una serie di principi che espongono di seguito.

Innanzitutto, indipendentemente dallo strumento giuridico che verrà utilizzato per disporre del bene (provvedimento amministrativo se si tratta di bene demaniale o appartenente al patrimonio indisponibile; negozio di diritto privato se si tratta di bene patrimoniale disponibile), l’atto di disposizione dovrà comunque tener conto dell’obbligo di assicurare una gestione economica dei beni pubblici, in modo da aumentarne la produttività in termini di entrate finanziarie. Quest’obbligo rappresenta infatti una delle forme di attuazione da parte delle pubbliche amministrazione del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.) del quale l’economicità della gestione amministrativa costituisce il più significativo corollario (art. 1, L 241/1990 e s.i.m.). Ne consegue che, da un lato, l’azione amministrativa deve garantire livelli ottimali di soddisfazione dell’interesse pubblico generale attraverso l’impiego di risorse proporzionate; dall’altro, deve conseguire il massimo valore ottenibile dall’impiego delle risorse a disposizione.

In questo senso si è espressa anche questa Sezione con la delibera n. 33/2009/PAR che ha affermato, con riferimento alla cessione gratuita di un immobile comunale, come questa non possa considerarsi una modalità tipica di valorizzazione del patrimonio proprio perché “non reca alcuna entrata all’ente e costituisce un utilizzo non coerente con le finalità del bene, ma addirittura una fonte di depauperamento e, dunque, di danno patrimoniale per l’ente”.

La Sezione fa anche presente che il principio generale di redditività del bene pubblico può essere mitigato o escluso ove venga perseguito un interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello che viene perseguito mediante lo sfruttamento economico dei beni.

A questo riguardo il Collegio richiama non solo quanto previsto dall’art. 32, comma 8, della legge, 23 dicembre 1994, n. 724 (cui si fa espresso riferimento nella richiesta di parere in questione) in ordine alla considerazione degli “scopi sociali” che possono giustificare un canone inferiore a quello di mercato per la locazione di beni del patrimonio indisponibile dei comuni, ma anche la disposizione di cui all’art. 32 della legge 7 dicembre 2000, n. 383 che consente agli enti locali di concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, alle associazioni di promozione sociale ed alle organizzazioni di volontariato per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.

In questo caso la mancata redditività del bene è comunque compensata dalla valorizzazione di un altro bene ugualmente rilevante che trova il suo riconoscimento e fondamento nell’art. 2 della Costituzione (in questo senso vedi anche delibera della Sezione di controllo della Lombardia n. 349/2011).

La Sezione tuttavia ritiene rilevante evidenziare che le predette eccezioni si giustificano alla luce delle particolari caratteristiche che rivestono i beneficiari di tali disposizioni sulle quali si ritiene opportuno fare delle chiare precisazioni.Infatti, nelle norme sopra citate si fa riferimento ad una categoria ben individuata di soggetti, quali organizzazioni di volontariato ed associazioni di promozione sociale (art. 32, L 383/2000), secondo la definizione contenuta nell’art. 2 della L 383/2000 che comprende “le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati”.

D’altra parte, anche il beneficio previsto dall'art. 32, comma 8 della L 724/1994, limitatamente ai canoni annui dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni, in considerazione degli “scopi sociali”, va letto, ad avviso di questo Collegio, in riferimento a quanto previsto dal comma 3 del medesimo articolo che esclude dall’incremento dei canoni annui dei beni patrimoniali, questa volta dello Stato, una serie di categorie di soggetti (vedove o persone già a carico di dipendenti pubblici deceduti per causa di servizio, ecc) tra le quali sono comprese anche le associazioni e fondazioni con finalità culturali, sociali, sportive, assistenziali, religiose, senza fini di lucro, nonché le associazioni di promozione sociale, con determinati requisiti.

Dalla lettura delle norme in questione, risulta pertanto evidente che la deroga alla regola della determinazione di canoni dei beni pubblici secondo logiche di mercato di cui alla citata norma, appare giustificata solo dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni.

A questo proposito, il Collegio ritiene opportuno chiarire che la sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come attitudine a conseguire un potenziale profitto d’impresa, va accertata in concreto, verificando non solo lo scopo o le finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a disposizione, alla stessa stregua del parametro che viene utilizzato, ad esempio, per valutare il carattere economico o meno dei servizi pubblici locali.

La Sezione prende atto che attualmente la tradizionale contrapposizione tra impresa e assenza di scopo di lucro ha assunto contorni via via più sfumati, dal momento che viene riconosciuta la possibilità di svolgere un’attività economica organizzata anche da parte di soggetti diversi dall’imprenditore, purché comunque destinata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi di utilità sociale e diretta a realizzare finalità di interesse generale. Ci si riferisce, in particolare, alla figura dell’impresa sociale introdotta dal D lgs 155/2006; tuttavia, anche in questo caso, il legislatore, oltre ad indicare in modo tassativo i settori in cui i beni ed i servizi prodotti o scambiati si considerano di utilità sociale, fa dell’assenza d lucro l’elemento costitutivo della figura (precisando, tra l’altro anche il divieto di distribuzione, anche in forma indiretta, di utili o di avanzi di gestione).

La Sezione precisa, inoltre, che, oltre all'accertamento in concreto dell’assenza di uno scopo di lucro dell’associazione di interesse collettivo, ai fini di un corretta gestione del bene pubblico di cui si intende disporre a suo favore, qualsiasi atto di disposizione di un bene, appartenente al patrimonio comunale, deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza e pubblicità, che governano l’azione amministrativa nonché nel rispetto delle norme regolamentari dell’ente locale.

La Sezione ritiene, ancora che, ove la disposizione del bene sia attuata con un provvedimento, la concessione ad un soggetto di un’utilità a condizioni diverse da quelle previste dal mercato, possa essere qualificata come “vantaggio economico” ai sensi dell’art. 12 della legge 7 agosto 1990, n, 241 (vedi in questo senso la citata delibera della Sezione Lombardia n. 349/2011). Tale norma, sotto la rubrica “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”, stabilisce che “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi”; poi, al secondo comma, aggiunge che “l'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.

Questa norma va letta anche con riferimento alla disciplina introdotta di recente dall’art. 18 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 183, con dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in tema di amministrazione aperta, che disciplina in maniera dettagliata il regime di pubblicità sulla rete internet delle concessione di “sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e l’attribuzione dei corrispettivi...e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ad enti pubblici e privati”;regime di pubblicità che, a partire dal 1° gennaio 2013, diventa una condizione legale di efficacia, a determinate condizioni, del titolo legittimante le concessioni stesse.

Se, invece, l’atto dispositivo è di diritto privato, si raccomanda all’ente di garantire, comunque, un’adeguata forma di pubblicità.

Il Comune dovrà, inoltre, redigere il relativo verbale di consistenza dei luoghi al fine di accertare l’effettiva consistenza dei beni, anche allo scopo della corretta determinazione del canone dovuto. L’atto costitutivo del diritto reale dovrà poi contenere il regime quanto più dettagliato possibile delle rispettive obbligazioni, alla luce dei sopra citati principi di massima valorizzazione del bene e di trasparenza, prevedendo anche un obbligo di rendicontazione periodica.

In conclusione, il Collegio ribadisce che l’indirizzo politico legislativo (che si è venuto affermando negli ultimi anni) riconosce alla gestione del patrimonio immobiliare pubblico una valorizzazione finalizzata all'utilizzo dei beni secondo criteri privatistici di redditività e di convenienza economica

Aggiunge, tuttavia, il Collegio che il Comune non deve perseguire, costantemente e necessariamente, un risultato soltanto economico in senso stretto nell'utilizzazione dei beni patrimoniali, ma, come ente a fini generali, deve anche curare gli interessi e promuovere lo sviluppo della comunità amministrata “l'ente locale rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove lo sviluppo” (art. 3, comma 2, D L'eventuale scelta di disporre di un bene pubblico ad un canone di importo diverso da quello corrispondente al suo valore di mercato, ad avviso della Sezione deve avvenire a seguito di “un’attenta ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici in gioco, rimessa esclusivamente alla sfera discrezionale dell’ente, in cui però deve tenersi nella massima considerazione l’interesse alla conservazione ed alla corretta gestione del patrimonio pubblico, in ragione della tutela costituzionale di cui questo gode (art. 119, comma 6, Cost.)”, secondo il principio già affermato nella citata delibera 33/2009/PAR di questa Sezione.

Nella stessa pronuncia viene inoltre ribadito che “l’interesse alla conservazione ed alla corretta gestione del patrimonio pubblico è da considerarsi primario anche perché espressione dei principi di buon andamento e di sana gestione ed impone all’ente di ricercare tutte le alternative possibili che consentano un equo temperamento degli interessi in gioco, adottando la soluzione più idonea ed equilibrata, che comporti il minor sacrificio possibile degli interessi compresenti”.

Naturalmente tale valutazione comparativa tra i vari interessi in gioco nonché della verifica della compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto dispositivo, è rimessa esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell’ente, che si assume la responsabilità della scelta, e che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento.

PQM

La Sezione regionale di controllo per il Veneto rende il parere nei termini sopra indicati.

Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco del Comune di Treviso.

Così deliberato in Venezia, nella Camera di Consiglio del 2 ottobre 2012.

Il Relatore
f.to Dott. Francesco Maffei

Depositato in Segreteria il 05/10/2012 IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
f.to Dott.ssa Raffaella Brandolese

Il Presidente
f.to Dott.ssa Enrica Del Vicario

 


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