Deliberazione 33/2009/PAR . CORTE CONTI VENETO.
Non risulta precluso a priori per l’amministrazione l’utilizzo del comodato quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali. Ciò potrà avvenire, però, solo a seguito di attenta valutazione comparativa tra i vari interessi in gioco, rimessa esclusivamente alla discrezionalità e al prudente apprezzamento dell’ente, e che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento.

FATTO
La Provincia di Verona, con nota a firma del suo Presidente, ha formulato ai sensi dell’art. 7 comma 8 della L. n. 131/2003 i

seguenti quesiti:
Se l’ente, dovendo procedere alla programmazione degli

interventi di valorizzazione del patrimonio di cui all’art. 58 comma 1 del D.L. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008, possa cedere gratuitamente la proprietà di immobili ad enti come Università o enti di ricerca, per favorire lo svolgimento di attività di formazione o ricerca. In particolare, l’ente chiede se il rispetto del principio di redditività e l’interesse alla corretta gestione del patrimonio immobiliare pubblico possano essere considerati secondari rispetto a finalità di interesse generale, quali quelle di permettere ad enti, come l’Università, di disporre di un proprio patrimonio per gestire l’attività didattica e contribuire, così, alla crescita culturale della comunità. A tal proposito, l’ente ricorda che l’art. 34 comma 1 del vigente regolamento per la disciplina dei contratti stabilisce espressamente il divieto di effettuare donazioni di beni immobili.

Se, viceversa, sia da valutare più rispondente alle regole giuscontabili procedere nella fattispecie alla concessione gratuita degli immobili di proprietà Provinciale tramite un contratto di comodato gratuito a tempo determinato, che manterrebbe la proprietà degli immobili in capo alla Provincia, trasferendo semplicemente l’uso con i relativi oneri di manutenzione. In questo caso, la redditività del patrimonio sarebbe assicurata indirettamente dalle finalità perseguite e avverrebbe nel pieno rispetto dell’art. 39 del regolamento Provinciale dei contratti, che stabilisce che “Non è consentito concedere beni di proprietà Provinciale in comodato, se non in casi eccezionali o per motivi sociali o di pubblico interesse rapportato alle funzioni Provinciali, da indicare nel provvedimento a contrarre di cui all’art.3. Sono, comunque, a carico del comodatario gli esborsi che farebbero carico al comodante per tutta la durata del contratto, oltre che le spese occorrenti per servirsi del bene di cui all’art. 1808, comma 1, del codice civile. Tale somma può essere anche determinata all’atto della stipula del contratto in modo forfetario, sulla base di apposita stima che tiene conto degli oneri sostenuti al momento dalla Provincia.”

DIRITTO

In via preliminare, occorre valutare la sussistenza dei presupposti di legittimazione attiva con riguardo sia all’ente interessato a ricevere il parere che all’organo che formalmente l’ha richiesto.
A questo riguardo, il quesito, essendo stato sottoposti a questa Sezione da una Provincia, con nota a firma del suo legale rappresentante, è da considerarsi sicuramente ammissibile.

Con riferimento alla sussistenza del presupposto oggettivo, ossia all’aderenza delle tematiche al concetto di contabilità pubblica, alla luce dei criteri individuati dalla Sezione delle Autonomie con delibera 5/AUT/2006 del 10 marzo 2006, i quesiti sono da considerare parimenti ammissibili, in quanto vertenti in materia di patrimonio dell’ente locale.

Venendo al merito, la Sezione preliminarmente ricorda che mentre i beni riservati e quelli destinati all’uso pubblico consentono all’amministrazione di perseguire direttamente i suoi fini attraverso la funzione pubblica cui assolvono, i beni patrimoniali cd. “disponibili” sono beni di proprietà di enti pubblici, non strumentali all’esercizio di pubbliche funzioni, che giovano ai fini dell’amministrazione solo indirettamente, in quanto generalmente produttivi di reddito (derivante da frutti naturali o civili).

In quest’ottica, la legislazione più recente, al fine di pervenire ad una gestione efficace e redditizia del patrimonio pubblico, ha avviato processi di graduale dismissione e/o di valorizzazione degli immobili pubblici, volta ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso (cfr, ad es., art. 9 L. n. 537 del

24/12/1993, art. 12 della L. 15/05/1997 n. 127, art. 19 della L. 23/12/1998 n. 448, art. 3 bis del D.L. n. 351/2001, conv. in L. n. 224/2001, art. 7 del d.l. 15 aprile 2002 n. 63 conv. in L. n. 112/2002), non ritenendo conforme ai principi del buon andamento della gestione pubblica mantenere beni di importante valore in uno stato di quasi totale inutilizzabilità economica.

Importanti segnali in questo senso sono venuti anche con l’introduzione dell’art. 2 c. 594 e seguenti della legge n. 244/2007, che ha previsto l’obbligo di adozione, da parte delle amministrazioni pubbliche, di piani triennali finalizzati alla razionalizzazione dell’utilizzo, tra l’altro, di beni immobili ad uso abitativo o di servizio, - con esclusione dei beni infrastrutturali -, e la trasmissione di apposite relazioni all’organo di controllo interno ed alla Sezione regionale della Corte dei conti competente per territorio.

Con specifico riferimento alla realtà degli enti locali, l’art. 58 del D.L. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008, ha imposto agli enti territoriali di redigere annualmente un piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, da allegare al bilancio di previsione, in cui inserire i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non ritenuti strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, ed ha previsto una procedura semplificata al fine della classificazione di tali beni come patrimoniali disponibili – presupposto per poter essere alienati liberamente -, nonché di variante urbanistica con riferimento alla eventuale nuova destinazione d’uso da imprimere.

La Provincia di Verona, dovendo procedere alla programmazione degli

interventi di valorizzazione di cui al citato art. 58, chiede se può cedere gratuitamente la proprietà di alcuni immobili ad Università o enti di ricerca e se, in particolare, le finalità pubbliche di didattica, di ricerca e di crescita culturale della collettività amministrata possano ritenersi prevalenti rispetto ai principi di redditività e di corretta gestione del patrimonio pubblico.

La Sezione esprime forti perplessità in merito, sulla base delle seguenti considerazioni.
Innanzitutto, bisogna premettere che la cessione gratuita di un immobile non rientra tra le tipiche modalità di valorizzazione del patrimonio ipotizzate dal legislatore, generalmente riconducibili ad ipotesi di concessione onerosa – eventualmente nelle forme di cui all’art. 143 del D. Lgs. n. 163/2006 -, o di locazione infracinquantennale a privati a fini di riqualificazione o riconversione (es., art.1 comma 259 L. n. 296/2006), nonché ad ipotesi di permuta (es., art.1 comma 262 L. n. 296/2006), o di conferimento o costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare (es., art. 4 e ss. del D.L. n. 351/2001, conv. in L. n. 224/2001, art. 58 D.L. n. 112/2008).

Ciò posto, bisogna considerare che se lo scopo del patrimonio disponibile è generalmente quello di produrre reddito, risulta evidente che una cessione gratuita di un immobile non solo non reca alcuna entrata all’ente, e dunque costituisce un utilizzo non coerente con le finalità del bene, ma addirittura può risultare fonte di depauperamento – e dunque di danno - patrimoniale per l’ente, che è invece tenuto ad improntare la gestione del proprio patrimonio a criteri di economicità ed efficienza, e a scegliere la soluzione che ottimizzi al massimo i costi di gestione in relazione anche alle finalità cui il patrimonio è adibito.
Ed invero, pur volendo prescindere da ragionamenti aprioristici, non può tuttavia negarsi che un’eventuale scelta di dismissione a titolo gratuito dovrebbe avvenire a seguito di un’attenta ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici in gioco, rimessa esclusivamente alla sfera discrezionale dell’ente, in cui, però, deve tenersi nella massima considerazione l’interesse alla conservazione ed alla corretta gestione del patrimonio pubblico, in ragione della tutela costituzionale di cui questo gode (art. 119 comma 6 novellato), e della sempre crescente attenzione postavi dal legislatore in occasione di alcune recenti normative di settore (tra cui, appunto, l’art. 58 del D.L. n. 112/2008). L’interesse alla conservazione e alla corretta gestione del patrimonio pubblico è da considerare primario anche perché espressione dei principi di buon andamento e di sana gestione, ed impone all’ente di ricercare tutte le alternative possibili che consentano un equo contemperamento degli interessi in gioco, adottando la soluzione più idonea ed equilibrata, che comporti il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti.

Il rischio di depauperamento patrimoniale per l’ente potrebbe peraltro assumere connotazioni ancora più problematiche qualora l’Università dovesse, nella propria autonomia, deliberare la trasformazione in fondazione di diritto privato, avvalendosi della facoltà riservatale dall’art. 16 del D.L. n. 112/2008 conv. in L. n. 133/2008.

In ogni caso, nella fattispecie l’amministrazione ha già ritenuto a priori che l’interesse all’integrità del patrimonio provinciale sia imprescindibile, >e dunque prevalente rispetto a qualsiasi ulteriore interesse pubblico da realizzare, visto che la donazione di immobili è espressamente vietata dall’art. 34 del regolamento dei contratti dell’ente.

Con riferimento al secondo quesito, si rileva che anche il comodato (art. 1803 – 1812 c.c.), in quanto contratto gratuito, costituisce una forma di utilizzo infruttifera, e dunque non in linea con la tradizionale redditività dei beni patrimoniali disponibili.

E’ per questo motivo che lo stesso regolamento provinciale dei contratti all’art. 39 stabilisce la regola generale che “non è consentito concedere beni di proprietà Provinciale in comodato”. In questo caso, però, non vi è un definitivo depauperamento da parte dell’ente, in quanto questo concede semplicemente in uso un bene, di cui può rientrare in possesso alla scadenza del termine, o addirittura immediatamente in caso di urgente ed imprevisto bisogno (art. 1809 c. 2 c.c.).

In questo senso si giustificano le aperture da parte del regolamento provinciale, che ammette la possibilità di ricorrere a tale istituto qualora ricorrano casi eccezionali, o qualora sussistano motivi sociali o di pubblico interesse rapportati alle funzioni provinciali.

Non risulta, dunque, precluso a priori per l’amministrazione l’utilizzo del comodato quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali. Ciò potrà avvenire, però, solo a seguito di attenta valutazione comparativa tra i vari interessi in gioco, rimessa esclusivamente alla discrezionalità e al prudente apprezzamento dell’ente, e che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento.

 

PQM
La Sezione regionale di controllo per il Veneto esprime il proprio  parere nei termini sopra esposti.
Così deliberato in Venezia, nella Camera di Consiglio del 22 aprile 2009.


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