La Corte di conti, sezione controllo della Campania, con la delibera 1/2017, relativa ad un comune in predissesto, propone una nuova interpretazione della normativa relativa al fondo crediti dubbia esigibilità (Fcde) e al Fondo anticipazione liquidità (Fal), prendendo a riferimento gli interventi della Corte costituzionale relativi all’interpretazione degli articoli 81,comma 3 e 119, comma 6 della costituzione, sentenze 181/2015 e 279/ 2016.

L’utilizzo del FAL per quello a FCDE, ai sensi dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015, è ammesso nella misura implicita (massima) della riscossione in conto residui, di anno in anno intervenuta.

l’utilizzo del FAL per quello a FCDE, ai sensi dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015, è ammesso nella misura implicita (massima) della riscossione in conto residui, di anno in anno intervenuta.

In questo caso, il FAL ha già determinato un accumulo di risorse per cassa più che proporzionale rispetto alle esigenze di neutralizzazione e restituzione, per contro, il FCDE non tiene conto (con la necessaria tempestività e nella corrispondente dimensione) del miglioramento annuale della gestione in conto residui, prendendo a riferimento il miglioramento della riscossione solo nella misura in cui essa può ritenersi costante nel quinquennio.

Applicando l’art. 2 comma 6 D.L. n. 78/2015 solo entro e non oltre la riscossione in conto residui registrata nell’anno, l’effetto è comunque di ridurre l’impatto del maggiore disavanzo da armonizzazione sugli enti che hanno fatto ricorso all’anticipazione di liquidità, in linea con l’originaria intenzione del legislatore, senza alterare le finalità costituzionali del FAL.

C. LIMITI APPLICATIVI ALL’ART. 2, COMMA 6, DEL D.L. n. 78/2015. CONDIZIONI PER L’UTILIZZO DEL FAL AI FINI DELL’ACCANTONAMENTO A FCDE

Il problema pratico ed interpretativo. Non può essere accolta l’eccezione tecnica del Comune secondo cui il “maggiore disavanzo”, in ogni caso, non si produrrebbe nei termini di cui sopra, in forza dell’applicazione prospettica dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/15. Nella prospettazione del Comune, in buona sostanza, il disavanzo da armonizzazione non si realizzerebbe perché l’ampio Fondo anticipazioni liquidità che si costituirebbe con un nuovo riaccertamento e la trasformazione de vecchio residuo passivo tecnico pluriennale in FAL, (ammontante a circa € 60 mln) sarebbe quasi integralmente utilizzato e assorbito a “finanziamento” dall’accantonamento per il FCDE (che non supera, nell’ipotesi più pessimista della Sezione, € 54 mln).

Non possono non rilevare, inoltre, le circostanze concrete in cui versa il bilancio del Comune, afflitto da una scarsissima riscossione, da un largo ricorso ad anticipazioni straordinarie, entrambi chiari indici della presenza di quote di disavanzo aggiuntivo, latente ma attuale, per insussistenza di partite attive. In proposito si deve rinviare alle prescrizioni e ai caveat di cui alla pronuncia n. 11/2016/PRSP, di approvazione del PRFP (in particolare, sulla permanente debolezza degli equilibri della gestione residui, con una speciale criticità del comparto sanzioni del codice della strada) su cui il Comune non ha evidenziato né dato conto di mutamenti di stato né dell’adozione di misure correttive che abbiano dato prova di efficacia (la capacità di riscossione è addirittura diminuita, attestandosi al di sotto del 10%).

Tanto premesso, si rammenta che ai sensi della richiamata norma, «Gli enti destinatari delle anticipazioni di liquidità a valere sul fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili di cui all'articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, utilizzano la quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell'acquisizione delle erogazioni, ai fini dell'accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità nel risultato di amministrazione».

Considerato che entrambi i fondi operano come accantonamenti sul risultato di amministrazione e quindi come strumenti di protezione da “rischi” di autorizzazione di spesa priva di effettiva copertura ai sensi e per gli effetti dell’art. 81 Cost., nel rispetto del principio di proporzionalità, la norma persegue lo scopo di evitare di «comprimere eccessivamente e irragionevolmente l’autonomia finanziaria degli enti, considerato che il Fondo anticipazione liquidità ha sì lo scopo di rappresentare il corretto risultato di amministrazione, sterilizzando gli effetti della anticipazione ricevuta, ma nel contempo è pur sempre un fondo da svincolarsi a rate costanti per un importo non richiedibile in una unica soluzione»» (cfr. SS.RR. sentenza n. 26/2016/EL). Si tratta dunque di una norma che intende evitare un sovradimensionamento della compressione della capacità di spesa rispetto agli scopi perseguiti.

A dispetto del tenore letterale della norma, peraltro, un automatico utilizzo dell’accantonamento del FAL pone gravi rischi di elusione dell’art. 119, comma 6 cost, e dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 181/2015 e ribaditi con la sentenza n. 279/2016.

È infatti di lapalissiana evidenza che un impiego, sia pure successivo alla prima contabilizzazione dell’anticipazione straordinaria ex D.L. n. 35/2013, di un accantonamento a “finanziamento” di poste che possono essere utilizzate a copertura di disavanzi manifestatesi successivamente solo perché lasciati in uno stato di latenza, può avere lo stesso risultato pratico di finanziare direttamente un disavanzo o comunque di sostituire una copertura per competenza che si è rivelata ineffettiva, espandendo indebitamente (e incostituzionalmente) la capacità di spesa dell’ente che se ne avvale.

Non si può, per contro, affermare che entrambi i Fondi siano una “contropartita” per risorse attive di fatto inesigibili e che quindi vi sia una totale fungibilità: l’accantonamento di cui al richiamato fondo per l’anticipazione straordinaria di liquidità non è una posta svalutativa di poste finanziarie in attivo (come invece correttamente si può affermare per il FCDE), ma una partita contabile che svolge funzioni diverse, in ragione della spesa per cui la liquidità è stata concessa e per cui deve essere recuperata. Detto in altri termini, la funzione del FAL è esclusivamente quella di riclassificare contabilmente il mutuo tentennale della Cassa depositi e prestiti perché esso operi alla stregua di un’anticipazione, seppur straordinaria, di cassa. Tale anticipazione non può che avere un collegamento logico e contabile esclusivamente con la spesa anticipata (che ne costituisce la misura di legge) e non con i crediti originariamente a sua copertura; se così fosse, del resto, si verificherebbe un nuova riqualificazione della causa giuridica della ridetta anticipazione straordinaria in quella di una forma di indebitamento, alla stregua di un factoring.

Sulla base di questa considerazione logica e contabile, la sentenza SS.RR. n. 26/2016/EL e la pronuncia della Sezione Autonomie n. 31/2015/INPR hanno evidenziato la necessità di tenere distinte funzioni e operatività dei due fondi, evidenziando che l’utilizzo dell’accantonamento a FAL ai fini dell’accantonamento a FCDE può comportare un incremento della capacità finanziaria per spesa nuova o pregressa (copertura di disavanzi).

 

Occorre perciò applicare l’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015, sulla base di tali premesse logiche, contabili e costituzionali, onde evitare di «depotenziare l’istituto del FCDE [con] l’insorgere di meccanismi tali da produrre quote di avanzo libero non effettivamente disponibili».

Si impone dunque la necessità di verificare la possibilità di un’interpretazione non solo costituzionalmente orientata, ma addirittura, “integrata” con i precetti costituzionali, che, nel caso dell’art. 119, comma 6, Cost., enucleano una norma a fattispecie completa e quindi direttamente rilevante per tutto il sistema normativo della finanza pubblica. Infatti, «per i principi contabili vale la regola dell’interpretazione conforme a Costituzione, secondo la quale, in presenza di ambiguità o anfibologie del relativo contenuto, occorre dar loro il significato compatibile con i parametri costituzionali. Al contrario, ove fosse possibile solo un’ipotesi ermeneutica, [...], ciò determinerebbe l’illegittimità costituzionale dello stesso principio contabile» (sentenza Corte cost. n. 279/2016, punto 4.1.2). In buona sostanza si impone una interpretazione “integrata” e conforme con l’art. 119, comma 6, Cost..

Giova evidenziare, infatti, che l’art. 119, comma 6, Cost. non è solo un “principio” costituzionale che, da un lato, ammette eccezioni (è il caso dell’anticipazione, ammessa nei limiti di legge dall’art. 3, comma 17, della L. n. 350/2003) e, dall’altro, “conforma” l’interpretazione delle amministrazioni e dei giudici, ma è anche un “regola” (c.d. aurea), un precetto completo che direttamente “integra” il sistema dei principi contabili applicati con cui deve operare in modo sistematico.

Sulla base di queste premesse, a fronte di più interpretazioni possibili, una applicazione del D.L. n. 35/2013 e del D.L. n. 78/2015 che determinasse un’espansione della capacità di spesa, espone alle conseguenze previste dall’ordinamento civile, amministrativo e contabile, per la violazione della c.d. golden rule.

Vale in proposito rammentare che l’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002 ha previsto che la violazione del divieto di indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento comporta, in primo luogo, la nullità dei relativi contratti (salvo l’obbligo di pervenire ad interpretazioni sananti del contratto, alla stregua dell’art. 1424, come sopra evidenziato, per il principio negoziale di conservazione). Inoltre, gli amministratori che hanno assunto le deliberazioni in violazione possono essere condannati dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque volte e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento della violazione stessa, sulla base di un rito processuale speciale previsto dal vigente codice della giustizia contabile (artt. 133-136).

Per contro, se il tenore letterale e il contesto sistematico imponessero di applicare le sopra richiamate norme in modo automatico e non adeguato al contesto concreto di bilancio, con un sostanziale effetto elusivo del precetto costituzionale, questa Sezione non potrebbe non sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma stessa.

In quest’ottica, occorre ripercorrere funzioni e limiti operativi dei due rispettivi fondi, per sondare i limiti impliciti del riassorbimento del FAL entro il FCDE, sulla base delle sue finalità costituzionali, nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata e integrata.

La finalità primaria del FAL.

In particolare occorre ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 181/2015, ha statuito che il finanziamento dei debiti certi, liquidi, ed esigibili ad una certa data, in conformità del D.L. n. 35/2013, non può che ritenersi, contabilmente, un’anticipazione straordinaria di liquidità, pena la violazione della c.d. golden rule, secondo cui è vietato ricorrere all’indebitamento per spesa diversa dall’investimento (art. 119 comma 6 Cost.).

A tal proposito, alla luce del vigente quadro normativo e costituzionale, appare opportuno ricordare che:

- per indebitamento, si intendono non solo le fonti di finanziamento cui al capo II del TUEL, ma anche quelle indicate dall’art. 3, comma 17, della legge n. 350/2003 (cartolarizzazioni ed up front), dall’art. 1, commi 739 e 740 della legge n. 296/2006 e dell’art. 62, comma 9, L. 133/2008.

- Il concetto di “investimento” è delineato dalla legge in modo casistico (dall’art. 3 comma 18 della Legge n. 350/2003), senza una definizione generale; cionondimeno si può affermare, in negativo ed in generale, che non è possibile coprire con indebitamento spesa corrente o disavanzi (o comunque perdite) anche latenti. Quest’ultimi (disavanzi e perdite), hanno natura “corrente” nella misura in cui essi costituiscono la manifestazione finanziaria di un mero consumo di ricchezza, e ciò anche quando sono l’output o il posterius negativo di un investimento;

- è possibile, eccezionalmente, ricorrere a contratti di finanziamento per sostenere spesa diversa da quella di investimento solo a titolo di “anticipazione” di cassa (art. 3, comma 17, della legge 24 dicembre 2003, n. 350). L’anticipazione viene ritenuta compatibile con la golden rule nella misura in cui non mira a dare provvista a nuova spesa, ma si limita a superare «entro il limite stabilito dalla norma statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio». Si tratta di un istituto che il Legislatore per primo costruisce in termini eccezionali, ragione per cui la Corte costituzionale ha evidenziato l’importanza dei limiti legali attraverso cui le diverse e asimmetriche esigenze costituzionali (divieto di indebitamento per spese diverse dall’investimento, continuità ed buon andamento dell’amministrazione) si bilanciano, in termini soggettivi (operatori autorizzati ad erogarla), quantitativi e, soprattutto temporali (cfr. C.cost. n. 188/2014, punto 3.1. in diritto).

Sulla base di queste premesse, il finanziamento percepito ai sensi del D.L. n. 35/2013 non deve contabilmente determinare l’espansione della capacità di spesa corrente, né può essere destinato alla copertura di pregressi disavanzi. Ciò vale non solo per i disavanzi che siano stati formalmente evidenziati in bilancio, ma anche per quelli latenti, per il carattere sostanziale ed effettivo che deve avere l’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.).

Nella contabilità armonizzata, la tecnica individuata per realizzare tale obiettivo contabile è quella della costituzione di un Fondo anticipazioni liquidità (FAL). L’istituto è stato prima elaborato in via interpretativa (Sezione Autonomie, pronunce n. 14/2013/QMIG; n. 19/2014/QMIG), per essere poi “codificato” a livello normativo. Il Decreto del Ministero dell’Economia del 4 agosto 2016, infatti, nel definire gli aggiornamenti degli allegati al D. Lgs. n. 118/2011, ha esplicitamente previsto, nella parte dedicata alla composizione del risultato di amministrazione al 31 dicembre, l’inserimento della voce: “Fondo anticipazioni liquidità decreto- legge n. 35 del 2013 e successive modifiche e rifinanziamenti” (cfr. art. 5 del decreto e All. 4/1, § 9.11.7 per il bilancio di previsione, art. 6 del decreto per quel che concerne il rendiconto, spec. lett. f).

Come si accennava, la finalità di una siffatta tecnica contabile è trasformare contabilmente la struttura finanziaria del finanziamento previsto dal D.L. n. 35/2013, neutralizzando, per competenza, la maggiore capacità di spesa che si determinerebbe ove queste risorse fossero contabilizzate in base alla esigibilità dell’ammortamento, alla stregua di un mutuo. La misura di tale espansione è virtualmente pari alla differenza tra l’accertato importo del finanziamento e quanto impegnato via via tra le uscite, a titolo di ammortamento. In buona sostanza, ciò che determina l’espansione della capacità di spesa è la possibilità di dare rilevanza contabile all’ampio arco temporale per la restituzione, nel caso del mutuo ex D.L. 35/2013, addirittura trentennale.

Le varie soluzioni elaborate in via pretoria e normativa mirano, per contro, a fare emergere per l’intero e immediatamente l’obbligo di restituzione dell’intera somma percepita ed accertata (al netto dell’ammortamento), per neutralizzare la capacità di spesa aggiuntiva; in questo modo l’ammortamento trentennale viene ad assumere rilevanza solo per cassa e il mutuo si declassifica, contabilmente, da “indebitamento”, a mera “anticipazione”.

Infatti, in assenza di prescrizioni legislative sulla tecnica di contabilizzazione e considerato che il finanziamento era destinato a debiti dalla natura indistinta (di investimento e non), la Corte costituzionale ha ritenuto necessario dare «[u]n’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata delle norme statali [che] porta dunque a concludere che le anticipazioni di liquidità altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie. La loro ratio, quale si ricava dalla genesi del decreto-legge e dai suoi lavori preparatori, è quella di riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente deficitari con la competenza, attraverso un’utilizzazione limitata al pagamento delle passività pregresse unita a contestuali risparmi nei bilanci futuri, proporzionati alle quote di debito inerenti alla restituzione della anticipazione stessa così da rientrare dai disavanzi gradualmente ed in modo temporalmente e finanziariamente proporzionato alla restituzione dell’anticipazione» (sent. n. 181/2015).

Questa operazione, per altro verso, sul piano civilistico, si basa sulla riqualificazione interpretativa della causa concreta del negozio (anticipazione), che, ai sensi dell’art. 1424 c.c., non potrebbe corrispondere a quello dal “tipo” legale (mutuo): il finanziamento trentennale ex D.L. n. 35/2013, infatti, come l’anticipazione ordinaria, ha una causa giuridica che combina «la funzione di finanziamento con quella di razionalizzazione dello sfasamento temporale tra flussi di spesa e di entrata».

Diversamente ragionando, si finirebbe per violare l’art. 119, comma 6, Cost., espandendo la capacità di spesa nuova o pregressa, caso quest’ultimo che si verifica quando il finanziamento si destina a copertura di eventuali disavanzi già manifestati ovvero, come si evidenzia di seguito, soltanto latenti.

La funzione per cassa del FAL e la connessione con la tutela dell’equilibrio di bilancio. A fronte di questa finalità antiespansiva, appare a questo punto evidente una seconda funzione del FAL, implicita e conseguente, che deriva dalla prima. Per realizzare l’obiettivo costituzionale di impedire la copertura di spesa indistinta e comunque diversa da quella di investimento con “indebitamento” (la c.d. funzione antiespansiva), il FAL deve operare rendendo “transitoria” la disponibilità di cassa, ferma restando la flessibilità garantita dal più lungo piano di ammortamento.

Ciò, infatti, costituisce un corollario della ri-qualificazione costituzionale di tali anticipazioni operata con la sentenza n. 181/2015 e confermata, da ultimo, dalla sentenza n. 279/2016.

Come è stato evidenziato da Giudice delle leggi «nei modelli di anticipazione di cassa consentiti dallo Stato sono incorporati i confini soggettivi (limitazione al solo tesoriere della possibilità di concederla) ed oggettivi (fissazione della misura e della durata in termini ridotti affinché non si risolva in un’anomala forma di copertura della spesa)» (sent. n. 188/2014).

Effettuata la ri-qualificazione costituzionale del mutuo trentennale con la CDP ex D.L. n. 35/2013, si può facilmente ritenere che l’anticipazione straordinaria risponda al sistema di limiti che il legislatore deve rispettare per evitare il surrettizio finanziamento di spese “non di investimento” con indebitamento.

L’anticipazione ex D.L. n. 35/2013 infatti:
- è soggettivamente erogabile da un soggetto qualificato (l’istituto finanziario Cassa depositi e prestiti), deputato tra l’altro a verificare le condizioni di legge per l’erogazione e la pronta destinazione delle risorse ai pagamenti dei fornitori, di cui deve essere fornita certificazione (art. 1, comma 14, del D.L. n. 35/2013);

- deve essere quantitativamente limitata a debiti “certi, liquidii ed esigibili” maturati ad una certa data (art. 1, comma 13 del D.L. n. 35/2013; nonché art. 2, comma 7, D.L. n. 120/2013 e art. 32, comma 1, D.L. n. 66/2014; art. 8, comma 6, del D.L. n. 78/2015);

- deve avere, contabilmente, carattere temporaneo, dovendo l’Ente predisporre meccanismi contabili che, a prescindere dalle scadenze civilistiche, consentano di agire sul bilancio in modo da porre le condizioni per una restituzione anticipata. In altri termini, se, da un lato, è civilisticamente e contabilmente ragionevole non prevedere meccanismi sanzionatori per la mancata immediata restituzione dell’anticipazione, dall’altro lato, appare necessario che la contabilità dell’ente operi affinché le risorse creditizie percepite possano, se possibile, essere restituite anticipatamente. Ciò è in linea con quanto affermato dal Giudice delle leggi secondo cui ci si trova semplicemente di fronte ad un’anticipazione di «più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie» (sent. n. 181/2015). Infatti, gli strumenti contabili individuati per equiparare contabilmente il finanziamento del D.L. n. 35/32013 ad un’anticipazione, (sia il residuo passivo tecnico pluriennale che il FAL, entrambi pari all’importo dell’intero debito acceso con la Cassa depositi e prestiti) implicano un processo di accumulo per cassa più che proporzionale rispetto all’esigenza di ammortamento tanto che, in caso di integrale riscossione delle originarie coperture dei debiti “anticipati”, gli enti sarebbero in condizione di restituire immediatamente il finanziamento al medesimo istituto finanziario.

Infatti, è bene ricordarlo, la temporaneità è un corollario contabile, naturale quanto necessario, della causa giuridica concreta dell’anticipazione che consiste «nel porre rimedio ad eccessi diacronici tra i flussi di entrata e quelli di spesa, trova appunto il proprio limite nel preciso riferimento a tali situazioni, che devono essere puntualmente individuate e circoscritte nel tempo» (sent. n. 188/2014). Del resto, «L’assenza di qualsiasi limite temporale e finanziario alla restituzione delle anticipazioni [consente all’anticipazione di assumere] anche una funzione non consentita di copertura della spesa, permettendo di disporre di risorse finanziarie di natura creditizia indipendentemente da ogni riscontro circa la correlazione delle stesse all’esistenza di entrate non ancora riscosse. È evidente come tale operazione, ampliando di fatto le possibilità di spesa consentite dalle risorse a disposizione, costituisce anche una lesione del principio dell’equilibrio del bilancio strettamente correlato alla “regola aurea” contenuta nell’art. 119, sesto comma, Cost» (sent. C. Cost. n. 188/2014).

Detto in altri termini, il requisito della temporaneità esprime la diretta connessione dell’art. 119, comma 6, con l’art. 81, comma 3, Cost.

E del resto, come è evidente, tanto il FAL che il residuo passivo tecnico pluriennale (cfr. SRC Campania n. 228/2015/PRSP), pur senza rendere civilisticamente obbligatoria la immediata restituzione, tale restituzione “promuovono” e rendono possibile in termini di accumulo di flussi positivi di cassa, per effetto della neutralizzazione della maggiore capacità di spesa, nonostante l’ammortamento trentennale del mutuo con la Cassa depositi e prestiti. Infatti i due accorgimenti contabili hanno un duplice comune effetto: per competenza (sia pure solo in termini quantitativi e di equilibri di bilancio) rendono contabilmente “attuale” il debito di restituzione (a prescindere dalla decorrenza civilistica), mentre per cassa, fermo restando l’ammortamento trentennale (la «più lunga durata temporale [di tali anticipazioni] rispetto a quelle ordinarie»), comportano l’aumento più che proporzionale dei flussi positivi di cassa rispetto a quelli negativi, determinando un processo di accumulo di liquidità che può essere impiegata per la restituzione anticipata del finanziamento.

Diversamente opinando, infatti, le maggiori entrate accertate e incassate ex D.L. n. 35/2013, che di per sé mettono al riparo da tensioni di cassa, consentirebbero di fatto di dare copertura ad insussistenze latenti, legittimando un processo di evidenziazione degli squilibri diluito in orizzonte temporale non compatibile con il principio dell’equilibrio di bilancio, sollevando gli enti a) dall’adottare le pronte e necessarie misure correttive; b) dal dare loro copertura autonoma e immediata, in violazione dell’art. 3, comma 17, della L. n. 350/2003.

In definitiva non v’è chi non veda, come il rispetto dell’art.119, comma 6, e dei suoi corollari (in termini di condizioni di derogabilità, soggettiva, quantitativa e, specialmente, temporale), costituisca paramento di adeguata, effettiva e legittima copertura della spesa; ne consegue che una sua violazione si tradurrebbe automaticamente in un difetto di copertura e per l’effetto in una violazione del principio dell’equilibrio di bilancio.

Il FAL, quindi, è un accantonamento contabile che opera per costituire, per competenza quanto per cassa, la provvista per la restituzione di una peculiare passività (il debito per l‘anticipazione), conseguente alla “ristrutturazione” del debito originario dell’ente (i residui passivi immediatamente esigibili che sono stati pagati con i fondi finanziari concessi dalla Cassa depositi e prestiti ex D.L. n. 35/2013).

La parallela funzione del FCDE.

Per converso, il FCDE è una posta non collegata alla spesa, ma alla peculiarità dell’attivo, accomunata al FAL solo dalla circostanza di operare un “accantonamento” sul risultato di amministrazione, determinandone una compressione che costringe gli enti a ridurre la spesa autorizzabile.

Gli “accantonamenti”, infatti, a differenza dei fondi vincolati, non sono risorse già disponibili (e confluite nel risultato di amministrazione) utilizzabili per finanziare spesa per cui il titolo giuridico (e l’esigibilità) non è ancora sorto, ma servono a precostituire riserve, tramite compressione di spesa, per rischi futuri.

Il FAL, del resto, è correttamente qualificato come “accantonamento” perché non può costituire una “risorsa” da destinare a nuova o a pregressa spesa, ma crea una posta che impedisce (elide il rischio di) il finanziamento surrettizio di squilibri di bilancio per insussistenze di partite attive (con violazione del combinato disposto dell’art. 119, comma 6, Cost. in combinato disposto con l’art. 81 Cost.), comprimendo il risultato di amministrazione di un importo pari all’intero debito di restituzione, a prescindere dall’ammortamento trentennale.

La funzione del FCDE, invece, è «precludere l’impiego di risorse di incerta acquisizione. In sostanza esso è un fondo rettificativo, in diminuzione di una posta di entrata, finalizzato a correggere il valore nominale dei crediti dell’ente in relazione alla parte di essi che si prevede di non incassare in corso di esercizio. Per questo motivo, in parte entrata si iscrive il credito al valore nominale (punto 3.3 dell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011), mentre tra le passività si inserisce l’importo di prevedibile svalutazione (art. 46 «Fondo crediti di dubbia esigibilità», del d.lgs. n. 118 del 2011 e punto 3.3 dell’allegato 4/2 del medesimo decreto), il quale viene accantonato proprio al fine di evitare un risultato di amministrazione negativo a seguito delle eventuali minusvalenze derivanti dalla riscossione dei crediti soltanto parziale» (Corte costituzionale, sent. n. 279/2016).

Essendo un accantonamento, «Le quote accantonate del risultato di amministrazione sono utilizzabili solo a seguito del verificarsi dei rischi per i quali sono stati accantonati. [...] L’utilizzo della quota accantonata per i crediti di dubbia esigibilità è effettuato a seguito della cancellazione dei crediti dal conto del bilancio, riducendo di pari importo il risultato di amministrazione. Tali regole rispondono al generale principio di cautela, il quale in materia finanziaria e contabile serve a prevenire lesioni all’equilibrio del bilancio» (ibidem).

In buona sostanza, il FCDE mira ad accumulare risorse sufficienti a coprire “potenziali” insussistenze di crediti, in questo modo prevenendo l’evidenziazione di squilibri di bilancio ex art. 81 Cost.. Peraltro, nel caso del FCDE, per le modalità di calcolo che lo connotano (svalutazione sulla base della capacità storica di riscossione su base quinquennale) e per la circostanza che l’ente viene parallelamente autorizzato a non stralciare immediatamente i crediti accertati che presentino il connotato della inesigibilità (i principi contabili contemplano la facoltà di standstill secondo cui «Trascorsi tre anni dalla scadenza di un credito di dubbia e difficile esazione non riscosso, il responsabile del servizio competente alla gestione dell’entrata valuta l’opportunità di operare lo stralcio di tale credito dal conto del bilancio, riducendo di pari importo il fondo crediti di dubbia esigibilità accantonato nel risultato di amministrazione», cfr. All. 4/2, § 9.1, enfasi aggiunta) si deve sottolineare che il correlato accantonamento non ha solo una funzione “prudenziale” (cioè cautelare da disavanzi potenziali), ma strutturalmente, tende a creare un improprio surrogato dell’attività di stralcio a valle del riaccertamento.

Ne consegue che il Fondo svalutazione crediti, in concreto, ben può coprire dal rischio non solo di disavanzi potenziali ed eventuali (cfr. § 2.2.), ma ragionevolmente, anche di disavanzi attuali ed effettivi, per quanto latenti. Per questa quota è assolutamente (e costituzionalmente) inimmaginabile che si utilizzino gli accantonamenti del FAL per determinare quello da FCDE ai sensi dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015, perché ciò determinerebbe un aggiramento dell’art. 119, comma 6 Cost.

 

L’interferenza operativa tra i due fondi e la soluzione tecnico-interpretativa.

In buona sostanza, nella nuova contabilità armonizzata, mentre la restituzione dell’anticipazione è garantita dal FAL, che comprime a questo scopo la spesa tramite il risultato di amministrazione, il FCDE svaluta la quota dei residui attivi “liberati” dal giogo del residuo passivo tecnico pluriennale (utilizzato nella vecchia contabilità per neutralizzare l’anticipazione straordinaria di liquidità), per evitare che si generi avanzo libero non effettivo, in violazione del principio dell’equilibrio di bilancio (art. 81). Il FCDE, quindi, direttamente, e non come corollario dell’art. 119, comma 6 Cost., in modo del tutto indipendente dalla questione dell’indebitamento, è un presidio degli equilibri di bilancio.

Entrambi, peraltro, comportano, in termini programmatori, una riduzione della spesa programmabile.

In ragione di questa interferenza operativa, e considerato che solo una parte del FCDE corrisponde ad effettive insussistenze (in quanto la svalutazione si basa su una presunzione standard, cfr. § 2.2.), l’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015, consente di ridurre l’impatto complessivo del combinato operare di FAL e FCDE.

Infatti, la vera finalità dell’art. 2, comma 6, non può essere quella di distrarre il FAL dalle sue finalità, ma quello di consentire una riduzione del sacrificio aggiuntivo, in termini di spesa, richiesto dalla nuova contabilità armonizzata, diminuendo l’impatto del “maggiore disavanzo” collegato al FCDE.

Inoltre, in termini dinamici, nella formale invarianza dell’ammontare complessivo dell’accantonamento (la sommatoria tra FAL e FCDE, proprio per la formulazione letterale della norma, non potrà essere comunque inferiore al precedente importo della posta di neutralizzazione dell’anticipazione) quello che viene ad essere modificato è l’impatto dell’obbligo di rientro dal debito, che per la parte utilizzata torna ad essere trentennale come era nella struttura originaria del mutuo con Cassa depositi e prestiti, aggirando la funzione di neutralizzazione di cui si è detto, per cassa e per competenza, in termini di capacità annuale di spesa.

Infatti cambia il sistema di ripiano e di rientro dal disavanzo: quello da FAL, essendo già incluso nel precedente risultato di amministrazione, continua ad essere ripianato con le regole ordinarie, quello aggiuntivo, determinato dal FCDE, si ripiana in 30 anni, a titolo di maggiore disavanzo.

Appare evidente, dunque, che l’utilizzo del FAL a concorrenza dell’accantonamento previsto per legge per il FCDE può determinare una riespansione della capacità di spesa, ridistribuendo in trent’anni il peso contabile della restituzione dell’anticipazione.

Per contro, l’utilizzo del FAL non realizza questi effetti distorsivi se vi è certezza, da un lato, che il FAL abbia già raggiunto i suoi obiettivi costituzionali, dall’altro, che l’utilizzo ai fini dell’accantonamento a FCDE corrisponda ad una quota parte dello stesso che risulti effettivamente sovradimensionata rispetto al rischio di insoluti e insussistenze attuali dell’attivo.

Ciò certamente si realizza nel caso in cui si sia registrato nell’anno un incasso in conto residui superiore alla quota di ammortamento (utile alla restituzione anticipata), che non è stato registrato né dal FAL (ridotto solo per il secondo), né dal FCDE, che si riduce solo per effetto della stabile crescita della riscossione in conto residui (l’esempio n. 5 del principio contabile applicato n. 4/2, infatti, richiede che la svalutazione si determini sulla base della riscossione media su 5 anni).

In buona sostanza, l’utilizzo del FAL per quello a FCDE, ai sensi dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015, è ammesso nella misura implicita (massima) della riscossione in conto residui, di anno in anno intervenuta.

In questo caso, il FAL ha già determinato un accumulo di risorse per cassa più che proporzionale rispetto alle esigenze di neutralizzazione e restituzione, per contro, il FCDE non tiene conto (con la necessaria tempestività e nella corrispondente dimensione) del miglioramento annuale della gestione in conto residui, prendendo a riferimento il miglioramento della riscossione solo nella misura in cui essa può ritenersi costante nel quinquennio.

Applicando l’art. 2 comma 6 D.L. n. 78/2015 solo entro e non oltre la riscossione in conto residui registrata nell’anno, l’effetto è comunque di ridurre l’impatto del maggiore disavanzo da armonizzazione sugli enti che hanno fatto ricorso all’anticipazione di liquidità, in linea con l’originaria intenzione del legislatore, senza alterare le finalità costituzionali del FAL.

Tale soluzione, oltre a garantire una interpretazione conforme, allo stesso tempo, all’art. 81 e all’art. 119 Cost., è doppiamente conforme al principio di ragionevolezza, da un lato, perché assicura l’obiettivo di non addivenire ad una compressione non necessaria della spesa, nel rispetto del buon andamento e della continuità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), dall’altro, perché assicura il rispetto della parità degli enti che concorrono all’equilibrio complessivo del bilancio della Repubblica (artt. 3 e 114 Cost.).

Si osserva, infatti, che se si consentisse incondizionatamente di assorbire il Fondo anticipazioni nel FCDE, da un lato, vi sarebbe il rischio di finanziare surrettiziamente lo stralcio di residui ineffettivi e/o disavanzi attuali, per quanto latenti, dall’altro, si creerebbero le condizioni per favorire gli enti meno virtuosi, aggravando per contro la condizione di bilancio degli enti che, pur avendo una buona riscossione e una buona tempistica nei pagamenti, non hanno gravato la finanza pubblica facendo ricorso al sussidio di cassa del D.L. n. 35/2013, eppure sono costretti a sopportare pienamente il maggiore disavanzo da armonizzazione.

Ciò sarebbe in evidente contrasto con la finalità dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015 che, come evidenziato dalla sentenza n. 26/2016/EL di Sezione riunite e dalla pronuncia n.33/2015/QMIG, supera i suoi connotati di specialità ed assume carattere sistematico nella misura in cui persegue l’obiettivo « di evitare disparità di trattamento tra gli enti che siano destinatari delle predette anticipazioni e quelli che non ne abbiano fruito».

In buona sostanza, ipotizzando che al 31.12.2014 un ente (Ente A, supponiamo con residui attivi e passivi di pari ammontare) abbia percepito un’anticipazione di liquidità per 90 (pari alla quasi integralità dei residui passivi in bilancio, incassando l’anticipazione e pagando contestualmente gli stessi), nel vecchio sistema contabile, utilizzando la tecnica del residuo tecnico pluriennale, avrebbe realizzato un risultato di amministrazione sostanziale pari a zero.

Nel passaggio alla contabilità armonizzata, al 1° gennaio 2015, ipotizzando una riscossione storica quinquennale del proprio comparto residui, pari al 20%, l’ente avrebbe appostato un FCDE pari a 80, con un “maggiore divanzo” dello stesso ammontare, da ripianare, in trent’anni.

Applicando, pochi mesi dopo, l’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015 in modo incondizionato, lo stesso ente vedrebbe ridurre il FAL a soli 10, con l’invarianza del risultato di amministrazione rispetto al 2014, e nessun “maggiore disavanzo” da armonizzazione (ipotesi 1).

Per contro, un ente virtuoso (Ente B), che non ha fatto ricorso ad anticipazioni di liquidità poiché ha una buona riscossione in conto residui (si immagini del 70%, con un complemento a cento di 30, che sarà dunque il correlato FCDE) dovrà sostenere un maggiore disavanzo pari a 30.

Sicché, da un lato, l’ente non virtuoso non subirebbe alcun “maggiore disavanzo” da armonizzazione, mentre quello virtuoso dovrebbe sopportarne comunque uno pari a 30.

Tab. 3. Applicazione “incondizionata”

Ente A

2014

2015

Ipotesi 1

residui attivi (a)

100

100

100

Residui passivi esigibili (b)

10

10

10

Residuo passivo tecnico pluriennale (c)

90

0

0

Cassa (d)

0

0

FAL (e)

90

10*

FCDE (f)

80

80

RA sostanziale (g)=a-b-c+d-e-f

0

-80

0

incasso in conto residui (h)

0

Maggiore disavanzo da armonizzazione (g 2014-g2015)

80

0

*l’utilizzo del FAL avviene fino a concorrenza della sua misura di legge. Ipotizzando che in teoria il FCDE deve essere pari a 80, residua un FAL di 10

Tab. 4. Applicazione “costituzionalmente integrata” (FAL utilizzabile=h)

Ente A

2014

2015

ipotesi 2

Ipotesi 3

residui attivi (a)

100

100

100

100

Residui passivi esigibili (b)

10

10

10

10

Residuo passivo tecnico pluriennale (c)

90

0

0

0

Cassa (d)

0

0

0

FAL (e)

90

40

10*

FCDE (f)

80

80

80

RA sostanziale g=a-b-c+d-e-f

0

-80

-30

0

incasso in conto residui (h)

50

90

Maggiore disavanzo da armonizzazione (g2014-g2015)

80

30

0

*l’utilizzo del FAL avviene fino a concorrenza della sua misura di legge. Ipotizzando una riscossione in conto residui pari a 90, il FAL è utilizzabile per il suo intero importo, ma comunque entro la misura di legge del FCDE che nel caso ipotizzato deve essere pari a 80; residua dunque un FAL di 10

Tab. 4.1. Enti che non hanno fatto ricorso a D.L. n. 35/2013

Ente B

2014

2015

residui attivi (a)

100

100

Residui passivi esigibili (b)

100

Residuo passivo tecnico pluriennale (c)

100

0

Cassa (d)

0

FAL (e)

FCDE (f)

30

RA sostanziale (g)=a-b-c+d-e-f

0

-30

Maggiore disavanzo da armonizzazione (g 2014-g2015)

30

L’applicazione “conforme” e costituzionalmente integrata dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 78/2015, consente di riassorbire il FAL e di abbattere il maggiore disavanzo nella misura in cui è stato effettivamente realizzato il processo di accumulo a provvista dei pagamenti anticipati, salvaguardando al tempo stesso la funzione del FCDE.

Nell’ipotesi 2, infatti, se l’ente A che ha fatto ricorso all’anticipazione ha registrato un incasso in conto residui pari a 50, la parte “utilizzabile” del FAL è solo di 40.

Solo nell’ipotesi 3, se l’incasso in conto residui è stato pari o superiore al FAL, il FAL sarà totalmente riassorbibile (fino a concorrenza dell’importo del FCDE da accantonare ai sensi dei principi contabili applicati, in questo caso, fino ad 80, residuando quindi, un FAL di 10).

Si può notare, infine, come l’applicazione “integrata” dell’art. 6, comma 2 del D.L. n. 78/2015 porta a quantificare per entrambi gli enti, A e B, comunque, un maggior disavanzo, tra l’altro nell’ipotesi estrema considerata, di impatto omologo. Nell’ipotesi 2, infatti, in cui si realizza un fisiologico e progressivo recupero della capacità di riscossione in conto residui, l’Ente, realizza comunque un maggior disavanzo pari a 30, inferiore a quello pieno che avrebbe

comunque realizzato in assenza del riassorbimento (80, colonna “2015”); tale maggiore disavanzo è in linea con quello che si genera in capo ad enti virtuosi (Ente B, Tab. 4.1) con una buona capacità di riscossione (nella simulazione, nell’ipotesi formulata, il maggior disavanzo finale è pari a 30). Ciò con l’evidente effetto di creare una «disparità di trattamento tra gli enti che siano destinatari delle predette anticipazioni e quelli che non ne abbiano fruito» (Sezione Autonomie n. 33/2015/QMIG)

 

 

 


 

 

 

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