La legge sul franchising
Nell’ordinamento giuridico italiano la tipizzazione del contratto di franchising – o affiliazione commerciale, come il legislatore preferisce denominarlo – è avvenuta con legge n. 129 del 6 maggio 2004, che ha così dato riconoscimento e disciplina ad una fattispecie già socialmente diffusa e ritenuta dalla giurisprudenza130 idonea a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico
Nella giurisprudenza di merito si segnala la sentenza del Tribunale di Milano, del 28.2.2002, Borrelli c. Soc. W.D.C., in Giurisprudenza milanese, 2002, 273, nella cui massima si legge: “Il contratto di franchising, ormai affermatosi nella prassi negoziale, risulta meritevole di tutela giacché le reciproche prestazioni di servizi permettono all'affiliante di aumentare le proprie capacità di penetrazione sul mercato e, in pari modo, permettono all'affiliato di giovarsi della posizione di affidabilità e di prestigio acquisita dall'affiliante e di inserirsi quindi nel mercato sfruttando la conoscenza da parte dei consumatori del nome dell'impresa primaria e mantenendo una facciata di imprenditorialità. Di regola, gli obblighi del "franchisor" sono individuati nell'impegno di aggiornare ed esplicare il c.d. "know how" al "franchisee" per permettergli di mettere a disposizione degli utenti i servizi realizzati secondo le istruzioni trasmesse dal "franchisor". In tale contesto contrattuale, ove ciascuna parte agisce con i propri rischi imprenditoriali, il funzionamento del servizio offerto all'affiliato rappresenta una condizione essenziale per il raggiungimento dello scopo contrattuale, affinché l'affiliato sia messo in grado di offrire ai propri utenti il medesimo servizio predisposto ed organizzato dall'affiliante”. Nella giurisprudenza di legittimità si segnala, invece, la sentenza n. 8376, del 20.6.2000, emessa dalla I sezione della Corte di Cassazione, in Giustizia civile, 2001, I, 1327, secondo la quale: “Il contratto di franchising o di affiliazione commerciale tra due società costituisce espressione del principio di libertà di iniziativa economica privata garantito dall'articolo 1322 del codice civile e ancor prima dall'articolo 41 della Costituzione, il quale consente e tutela l'aggregazione e l'affiliazione e comunque la collaborazione di imprese”.
Secondo l’articolo 1, comma 1, della legge n. 129/2004, “l’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know- how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. Per comprendere l’ambito applicativo della normativa in discorso, occorre focalizzare l’attenzione sugli avverbi “economicamente e giuridicamente”, riferiti all’aggettivo indipendenti, proprio di due soggetti giuridici. Tale locuzione implica che la disciplina sul franchising non si applica quando l’impresa è priva dell’autonomia decisionale e organizzativa, quindi essenzialmente nel caso dei gruppi di società. Quando tale autonomia decisionale è assente, infatti, la tutela non si affida alle norme che postulano l’invalidità e il potere correttivo del giudice sul singolo contratto, quanto piuttosto è la disciplina del gruppo di imprese che assurge a stregua del pregiudizio derivante dalla violazione dei principi di corretta gestione societarie e imprenditoriale. Seguendo tale ragionamento, del resto, ne deriva che tutta la disciplina dei contratti di imprese non trova applicazione nei confronti dei gruppi di società, sia derivanti da partecipazione azionaria, sia nei casi in cui il controllo sorge da un vincolo contrattuale (di cui agli articoli 2359, comma 1, n. 3 e 2497septies del codice civile). Pertanto, nell’ambito dei gruppi di società, non trova applicazione né l’istituto del divieto di abuso di dipendenza economica, né la normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, essendovi dei correttivi creati dal legislatore ad hoc per tali situazioni. Nel primo caso, infatti, la società capogruppo può legittimamente dirigere e coordinare la società controllata, con l’effetto anche di determinare uno squilibrio nei diritti e negli obblighi derivanti dai contratti conclusi tra le parti. Nel secondo caso, invece, la tutela, a fronte dello squilibrio economico del contratto, può fare appello alle norme che disciplinano, da un lato, gli interessi degli amministratori e le operazioni con parti correlate (articoli 2391 e 2391bis del codice civile) e, dall’altro, l’illecito da direzione e coordinamento (articolo 2497 del codice civile). La tutela, dunque, non si rivolge alla parte del contratto né si avvale di tecniche invalidatorie del vincolo contrattuale, quanto piuttosto si attua attraverso le azioni risarcitorie proponibili da coloro che sono stati effettivamente pregiudicati (creditori sociali e soci di minoranza).
In primo luogo, dunque, occorre rilevare che il contratto di franchising è stato concepito dal legislatore come un contratto tra due parti, il franchisor (o affiliante) e il franchisee (o affiliato), che l’articolo 1, comma 1, della legge sull’affiliazione commerciale, definisce “soggetti giuridici”
La funzione del contratto di franchising consiste nel costituire una particolare forma di aggregazione imprenditoriale dove essenziale è la dimensione di rete, la formalità delle relazioni, un certo assetto dei rapporti tra le imprese aderenti alla rete e una determinata distribuzione del potere all'interno della rete, con il conseguente inserimento di tale contratto all'interno della categoria dei contratti di distribuzione
Il legislatore ha mostrato di voler risolvere alcune criticità che la prassi del franchising ha sollevato in ordine alla posizione degli affiliati o aspiranti tali, tra cui la mancanza di informazioni necessarie per la valutazione preventiva della bontà della formula commerciale e dunque dell’utilità dell’affiliazione; il rischio di subire comportamenti opportunistici dell’affiliante e così perdere gli investimenti specifici effettuati ai fini dell’esecuzione del contratto; il timore della cessazione del rapporto in un momento anteriore al completo ammortamento di questi investimenti
In quest’ottica è facile comprendere che la legislazione sul franchising si inserisce nell’alveo del dibattito sulla giustizia contrattuale, così come tratteggiato nei paragrafi precedenti, con particolare riferimento alla tutela apprestata all’imprenditore c.d. debole
Sussistono, infatti, analogie tra la disciplina dell’abuso di dipendenza economica nei contratti di subfornitura e la legislazione in tema di affiliazione commerciale: la debolezza del franchisee (o affiliato) che ne giustifica la particolare tutela è anche qui presunta dal legislatore, e si fonda sul dato di esperienza secondo cui, poiché la rete di franchising è costituita e governata dal franchisor (o affiliante), da un lato il franchisee normalmente non dispone delle medesime informazioni del franchisor sulla formula commerciale e il sistema di affiliati, e dunque, si presume essere in una condizione di asimmetria informativa rispetto al franchisor; dall’altro, l’ingresso nella rete normalmente richiede al franchisee di affrontare investimenti specifici che lo rendono esposto al rischio di successivi abusi da parte del franchisor.
In funzione dei citati principi di trasparenza, garanzia ed eguaglianza sostanziale dei contraenti, inoltre, si rappresenta la condizione che per poter costituire una rete di affiliazione commerciale occorre che l’affiliante abbia sperimentato sul mercato la cosiddetta formula commerciale (o piano di mercato); il legislatore pone, in altre parole, a carico dell’affiliante l’obbligo di sperimentare con successo la propria formula, sebbene nulla sia stabilito a proposito della durata minima di tale periodo di sperimentazione. Sull’affiliato incombono invece essenzialmente due obbligazioni durante e dopo la cessazione del rapporto (articolo 5 della legge n. 129/2004): per un verso, in ossequio alla prassi contrattuale, l’obbligo di non trasferire la sede, se non previo consenso dell’affiliante; per altro verso, l’obbligo di riservatezza in ordine a tutta l’attività oggetto del contratto.
Quanto alla patologia del contratto di franchising, va rilevato che le soluzioni rimediali, correttive o invalidanti che siano, devono tenere in considerazione l’angolo prospettico della rilevanza e dell’incidenza dell’abuso, posto in essere da parte di uno dei contraenti, che, nel caso del franchising, si concentra non solo sul singolo contratto, ma piuttosto sulla contrattazione, intesa come produzione seriale di modelli contrattuali. Occorre, dunque, concentrare l’attenzione sulla complessiva operazione economica sottostante e sull’attività posta in essere da entrambe le parti
Con riferimento al tema della rinegoziazione del contratto, invece, si sottolinea che esso è inscindibilmente collegato all’intervento riequilibratore del giudice in tutte quelle ipotesi in cui le prestazioni, alle quali sia tenuta una delle parti, siano divenute inadeguate nel corso del rapporto per il maturare di sopravvenienze non previste o non sufficientemente regolamentate in sede di conclusione del contratto, come avviene spesso per il contratto di franchising.
La legislazione al riguardo appare lacunosa, fatta eccezione per la previsione della durata minima del contratto di franchising che deve essere, in base all’articolo 3, terzo comma, della legge n. 129/2004, sufficiente ad ammortizzare l’investimento e, comunque, non inferiore a tre anni.
Tuttavia, va sottolineata anche l’operatività di una specifica disposizione normativa dettata in tema di abuso di dipendenza economica, suscettibile di applicazione generale, ossia l’articolo 9 delle legge sulla subfornitura, con particolare riguardo all’obbligo di non interrompere arbitrariamente le relazioni commerciali. Per il franchising, infatti, giova ricordare l’articolo 3 della legge, con il quale si prevede il conseguente divieto di abuso del diritto di
Tuttavia, va sottolineata anche l’operatività di una specifica disposizione normativa dettata in tema di abuso di dipendenza economica, suscettibile di applicazione generale, ossia l’articolo 9 delle legge sulla subfornitura, con particolare riguardo all’obbligo di non interrompere arbitrariamente le relazioni commerciali. Per il franchising, infatti, giova ricordare l’articolo 3 della legge, con il quale si prevede il conseguente divieto di abuso del diritto di recesso. Orbene, secondo un’interpretazione, proprio la lettura combinata di tali disposizioni fornisce un ulteriore argomento per l’integrazione di un obbligo di rinegoziazione, se ed in quanto il medesimo si configuri come rimedio autenticamente correttivo dell’abuso di autonomia negoziale. Difatti, proprio il divieto d’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali, in uno con il divieto di abuso del diritto di recesso, costituiscono una solida piattaforma, su cui edificare un progetto di manutenzione del contratto di franchising a seguito di imprevedibili ed impreviste conseguenze
Del resto, si rileva, risulterebbe paradossale che il legislatore si occupi da un lato di garantire proprio con la disposizione citata un minimo di stabilità del rapporto, mentre d’altro lato non si preoccupi di assicurare alla parte più debole del rapporto la conservazione del contratto a condizioni eque
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