VIOLENZA

 

La violenza, quale vizio del consenso, è disciplinata dagli artt. 1434-38.

 

La giurisprudenza riconosce due tipi di violenza: morale e fisica.

La giurisprudenza riconosce due tipi di violenza: la violenza morale, che consiste in una minaccia di un male ingiusto e notevole, che induce un soggetto a concludere un negozio e comporta annullabilità;  Essa, dunque, agisce sulla volontà negoziale del minacciato determinandola in un senso in cui, altrimenti, non si sarebbe oggettivata.

Dalla definizione data di violenza morale si evince la differenza rispetto alla violenza fisica: nella violenza fisica il soggetto è materialmente costretto a compiere l’atto senza averne minimamente la volontà; in caso di violenza morale invece è la sua volontà ad essere coartata in un determinato senso, per cui la volontà vi è ma è viziata.

La violenza fisica, è più grave, in quanto il soggetto viene materialmente costretto a compiere l’atto, senza volerlo, perciò è punita con la nullità.

Ciò giustifica la differenza di regime delle due figure: nullità assoluta in caso di violenza fisica, annullabilità in caso di violenza morale.

Quest’ultima per causare l’annullamento del negozio deve consistere nella minaccia di un male, che deve essere:

  • Notevole; cioè di una certa entità. Il male minacciato deve essere così grave da fare impressione su una persona sensata, avuto riguardo, all’età, al sesso e alle condizioni della persona;
  • Ingiusto; per male ingiusto si intende il male antigiuridico, cioè che un soggetto può infliggere ad un altro soggetto soltanto ponendosi contro la legge per conseguire i vantaggi che altrimenti non potrebbe ottenere;
  • Diretto alla persona o ai beni del diretto contraente.

violenza morale

Nella nostra relazione ci siamo soffermati in particolare sull’istituto della violenza morale quale vizio del consenso; a tale scopo riportiamo la sentenza della Cassazione n. 20305 del 09/10/2015 in cui si evince chiaramente quando tale fattispecie di violenza è causa di annullamento del contratto o meno.

Il fatto in breve:

P. richiede la declaratoria di invalidità del contratto con cui ha acquistato le azioni della società di cui era stato amministratore delegato, poiché indotto al consenso dall’intimidazione rivoltagli dalla società G.P.T. mediante la minaccia di esercitare nei suoi confronti l’azione di responsabilità sociale.
P., dopo aver visto rigettata la sua richiesta presso la Corte d’Appello, ricorre in Cassazione, la quale, seguendo l’orientamento della Corte d’Appello, condanna il ricorrente al pagamento dei compensi, liquidati in euro 13.200 (di cui 200 euro per spese).

Il giudice di legittimità giunge a tale conclusione per i seguenti due motivi, nella stessa sentenza esplicitati:

  • Il ricorrente ha omesso di dedurre e provare, come sarebbe stato suo onere, l’ingiustizia dei vantaggi che la società avrebbe ritratto piegando P. ad acquistare le azioni. Inoltre sarebbe stato necessario sottoporre all’accertamento del giudicante le condotte amministrative in concreto utilizzate dalla società per prospettare, ove vi avesse dato corso ed in alternativa alla compravendita di azioni, la responsabilità ex art. 2392, adempimento dal ricorrente del tutto omesso.
  • La condotta assunta dalla società, non sarebbe qualificabile come fautrice di violenza morale, contrariamente a quanto da P. invocato, la cui determinazione contrattuale sarebbe stata, invece, indotta da timori meramente interni e personali valutazioni di convenienza.

La sentenza della Corte di Cassazione ha fatto corretta applicazione del principio richiamato dalla Corte d’Appello secondo il quale la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso per la stipulazione di un contratto, ex art. 1438, soltanto se diretta a conseguire un vantaggio ingiusto.

Infatti, secondo un consolidato indirizzo, da noi analizzato anche in riferimento alle sent. Cass. 235/2007, 12484/2007, 6044/2010 in materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, si verifica l’ipotesi della violenza invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia, specificatamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente da comportamento posto in essere dalla controparte o da un terzo risultante di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo che, in assenza della minaccia, non avrebbe concluso il negozio.

Ne consegue che ai fini dell’annullabilità del contratto non si può ritenere sufficiente l’ipotesi del timore riverenziale; è questo uno stato d’animo che pur incidendo sulla formazione della volontà negoziale, si genera e si sviluppa all’interno del soggetto per servilismo o rispetto verso la controparte.



La violenza morale, per causare l’annullamento, deve consistere nella minaccia di un male che deve essere: notevole, ingiusto e diretto alla persona del contraente o ai suoi beni.

Sulla violenza morale, è intervenuta nel 2015 la Cassazione, chiarendo quando essa è causa di annullamento e quando invece non lo è.
Nel caso di specie, un soggetto aveva chiesto l’annullamento di un contratto, con cui aveva acquistato azioni di una società di cui era stato amministratore delegato, perché riteneva di essere stato indotto a ciò da una società che lo aveva minacciato di esercitare nei suoi confronti l’azione di responsabilità sociale.
La Cassazione, seguendo la Corte d’Appello, condanna il ricorrente al pagamento dei compensi.
La Cassazione giunge a questa decisione per due motivi: il primo è che il ricorrente non ha provato gli ingiusti vantaggi che la società avrebbe avuto nel costringerlo ad acquistare le azioni; il secondo è quello secondo cui
non c’è violenza morale perché non vi è stata minaccia, ma solo timori interni del ricorrente.

TIMORE INTERNO

Diversamente da questo caso, il timore interno non risulta idoneo a condizionare un libero processo determinativo di scelta.

Inoltre, anche in base ad un consolidato indirizzo, il mero timore interno integra violenza morale; essa inoltre comporta nullità del contratto solo se una parte è minacciata dalla controparte o da un terzo, e se solo a causa si tale minaccia ha concluso il contratto.

 

 

 

 

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