Esso consiste nell’inganno, cioè in raggiri che inducono la parte a concludere il contratto.
Il Dolo influenza la conoscenza della realtà, materiale o giuridica, e dunque la libertà di scelta viziando la libertà negoziale. La particolarità è che il dolo induce in errore tramite l’inganno, cioè con l'impiego di raggiri o artifici che una parte (il deceptor) perpetua a danno dell’altra (deceptus) per indurla a concludere il contratto.
Per l’art.1439“il Dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri sono stati tali che, senza di essi, il contraente non avrebbe contrattato.”
Per l’art.1439 il dolo causa l’annullamento del contratto se senza quei raggiri il contratto non sarebbe stato concluso dalla controparte.
Si tratta del dolo determinante, che è il dolo vero e proprio e determina il consenso. E’ questo il dolo vero e proprio, detto “Determinante” (doluscausamdans). Il Dolo deve cioè essere determinante del consenso, nel senso di svolgere un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte, secondo un nesso di causalità psicologica desumibile dalle circostanze di conclusione del contratto.
Si parla in tal caso di dolo vizio (c.d. causam dans). Il dolo vizio si distingue dal dolo incidente (c.d. incidens) quale raggiro che non è determinante del consenso ma incide sul contenuto del contratto.
Il dolo costituisce un illecito in quanto lesivo della libertà negoziale. Ai fini dell'annullamento del contratto ciò che conta è che il dolo abbia concretamente indotto il soggetto a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato. L'azione dolosa può riguardare i presupposti, gli elementi o gli effetti del contratto. L'azione dolo può riguardare ancora i motivi della vittima. Il dolo infine può concernere l'esecuzione del contratto. Il raggiro può essere consumato con tutti i mezzi utili. Anche il silenzio e la reticenza possono integrare il dolo (c.d. dolo omissivo). La nozione di raggiro implica in generale l'intenzionalità dell'agire e precisamente il proposito di influire sul consenso della vittima mediante un comportamento ingannevole. La disciplina del dolo quale causa d'invalidità trova appunto fondamento nella particolare riprovazione sociale del raggiro. Non merita tutela giuridica l'interesse dell'autore del raggiro a trarne profitto a danno della vittima. Eguale giudizio colpisce chi consapevolmente rende possibile l'attuazione dell'altrui raggiro e ne trae vantaggio. Nell'ipotesi in cui il dolo consista nell'indurre la vittima a credere che la dichiarazione sottoposta alla sua firma abbia un contenuto diverso, la giurisprudenza giunge a qualificare il contratto come nullo per mancanza assoluta di volontà.
altro requisito del dolo è l'inidoneità dei mezzi usati a trarre in inganno la vittima, questa idoneità è da valutare non in astratto ma in concreto, in relazione alle circostanze, alla personalità e alle condizioni fisiopsichiche del soggetto. Chi è stato vittima dell'azione dolosa può invocare il vizio del consenso anche se una persona normalmente accorta avrebbe evitato l'inganno. Il requisito della inidoneità del dolo indica il nesso di causalità che deve sussistere tra l'azione dolosa e la stipulazione del contratto o l'alterazione del suo contenuto. Se il mezzo è inidoneo in relazione alle circostanze a trarre in inganno il contraente rimane indimostrato che la sua volontà contrattuale sia stata viziata. Tradizionalmente è esclusa la rilevanza del dolo lecito (dolus bonus) ossia della millantata esaltazione di un bene o di un servizio. La irrilevanza del dolus bonus può giustificarsi in ciò, che la normale inidoneità di tale pratica a trarre in inganno il cliente vale a far presumere che questi in concreto non sia stato tratto in inganno. In quanto normalmente inidonea all'inganno, l'esaltazione millantata dei beni e servizi dell'impresa non costituisce socialmente una pratica riprovata. L'esaltazione millantata dei beni e servizi dell'impresa è tollerata anche nella pubblicità commerciale. Il limite è tuttavia superato quando si attribuiscono alla prestazione specifiche qualità non rispondenti al vero. La pubblicità deve allora considerarsi menzognera e fonte di responsabilità extracontrattuale.
Diverso è il dolo incidente, che non determina la conclusione del contratto, che sarebbe comunque avvenuta, ma incide sul contenuto, che sarebbe stato pattuito in maniera (economicamente) più favorevole per la controparte. Esso comporta che la parte che abbia subito il raggiro, richieda il risarcimento dei danno, facendo salvo il contratto che le parti avrebbero comunque concluso, ma a diverse condizioni.
Nel caso di dolo incidente il danno risarcibile deve rapportarsi al pregiudizio costituito dalla minore convenienza dell'affare. Tale danno è dato dal minore vantaggio o dal maggiore aggravio economico conseguente alla diversa determinazione del contratto per effetto dell'intervento doloso. Il contratto rimane validamente concluso e la vittima non lamenta il pregiudizio per l'invalidità del contratto ma la mancanza di quel risultato economico positivo che essa avrebbe raggiunto se la controparte avesse agito lealmente.
nei casi in cui il dolo determina un errore avente gli estremi della essenzialità è certo che la vittima può giovarsi alternativamente dell'azione di annullamento per errore. Il ricorso a questo rimedio consente di ottenere l'annullamento del contratto anche se non risulta provato il dolo della controparte essendo sufficiente che l'errore sia riconoscibile. Contro l'inadempimento questa figura deve escludersi quando il contratto sia nullo per impossibilità giuridica o materiale. Viceversa se l'autore del dolo ha assunto un impegno contrattuale giuridicamente e materialmente possibile il contratto è produttivo dei suoi effetti. In tal caso la vittima del dolo anziché chiederne l'annullamento può agire per fare valere l'inadempimento del contratto. Alla vittima del dolo deve riconoscersi la possibilità di ricorrere all'azione di annullamento o ai rimedi contro l'inadempimento quando di fatto coesistono i presupposti sia dell'una che dell'altra ipotesi.
autore del dolo può essere un terzo e cioè chi non è né parte sostanziale né parte formale del contratto pur se destinatario di effetti giuridici favorevoli. Il dolo del terzo è causa di annullabilità del contratto quando esso era noto al contraente che ne ha tratto vantaggio. Occorre quindi che la controparte abbia conosciuto al momento della conclusione del contratto la manovra fraudolenta del terzo e ne sia rimasta avvantaggiata pur senza esservi un rapporto di complicità. Se la controparte non è a conoscenza del dolo il contratto è quindi validamente concluso. Il dolo del terzo costituisce comunque un illecito quale lesione dell'altrui libertà negoziale.
Nel 27 settembre 2012 il Tribunale di Cremona si pronuncia proprio in materia di dolo incidente.
Nel caso di specie, due coniugi avevano acquistato un immobile da altri due soggetti, tramite contratto di compravendita.
Essi chiedono la condanna dei venditori e il risarcimento del danno per il comportamento da essi tenuto nelle trattative il quale, secondo i coniugi, configurerebbe una fattispecie di dolo incidente.
In pratica, i venditori non avevano informato i coniugi della presenza di un laboratorio sottostante l’abitazione, da cui provenivano schiamazzi.
Il giudice, così, condanna i venditori in solido, anche per le spese del processo.
La condanna è stata inflitta: per violazione dell’obbligo di buona fede e protezione nelle trattative; per violazione degli obblighi informativi circa importanti caratteristiche dell’immobile; per precedenti giurisprudenziali sul tema, secondo i quali una volta provata l’esistenza del raggiro, la parte che lo ha subito (deceptus) non deve provare più nulla, perché c’è una presunzione iuris tantum secondo cui, senza quel raggiro, il contratto sarebbe stato concluso a diverse condizioni per lui.
Il tribunale in questione ha statuito su una controversia che ha visto protagonisti due coniugi, T.F e R.M.C, i quali, dopo aver stipulato un contratto di compravendita per l’acquisto di un immobile, hanno agito onde ottenere la condanna dei convenuti venditori G.E e O.C al risarcimento del danno patito a seguito del comportamento da questi ultimi tenuto nel corso delle trattative, comportamento che, a detta degli attori , avrebbe integrato gli estremi del dolo incidente ex art. 1440 c.c per aver questi omesso alcune delle condizioni di vivibilità dell’immobile.
Nello specifico, i coniugi lamentavano rumori notturni provenienti da un laboratorio di panificazione sottostante l’abitazione acquistata, attività della quale non erano stati informati dal venditore dante causa.
Tale controversia si è risolta con la condanna da parte del Tribunale dei venditori dell'immobile, G.E e O.C, in solido al pagamento in favore della controparte attorea di 17.000 euro oltre la rivalutazione monetaria, gli interessi legali dalla data del saldo effettivo e la refusione delle spese di lite (nello specifico 2120 euro).
Tale condanna è stata motivata dal tribunale facendo riferimento essenzialmente a tre macroambiti:
1)Violazione dell'obbligo di buona fede e protezione nelle trattative
[...] “dal momento che” scrive il tribunale “i raggiri possono consistere in comportamenti omissivi e reticenti, specie laddove inseriti in un più ampio comportamento malizioso e diretto ad ingannare la vittima, laddove la parte silente abbia taciuto circostanze che il generale obbligo di buona fede nelle trattative e quello di protezione imponevano di esternare, sussisteva l’obbligo di comunicare le condizioni effettive di vivibilità dell’immobile”.
2)Omissione informativa di caratteristiche importanti nell'ambito della formazione della volontà contrattuale dei contraenti
[...]“si può affermare”, a detta del Tribunale, “che l'omissione informativa di cui sopra sia stata idonea ad inficiare la piena consapevolezza circa le migliori condizioni da applicare all'acquisto, pur senza scadere nel vero e proprio dolo vizio, anche considerando che gli attori non erano consapevoli ne avrebbero potuto esserlo usando l'ordinaria diligenza delle condizioni notturne del rumore provocato dal laboratorio di panificazione” [...].
3)Precedenti Giurisprudenziali sul tema
Rilevato come, a detta della dottrina e giurisprudenza dominanti e condivisibili, “una volta dimostrata l’esistenza di un raggiro rilevante su un elemento non trascurabile del contratto, il deceptus non è tenuto a provare altro ai fini dell’andebeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che senza la condotta illecita le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi, per i coniugi, più favorevoli.”
Ci sono due precedenti della Cassazione conformi a questa sentenza, uno del 1990 e uno del 2011.
La giurisprudenza, in questi casi, si è chiesta se sia possibile considerare il silenzio, soprattutto malizioso, e la falsa informazione, come raggiri che costituiscano dolo; ed ha affermato che non tutti i raggiri integrano una fattispecie di dolo, ma solo quello in grado di ingannare una persona normalmente attenta.
E solo il dolo determinante, che incide sul consenso, comporta annullamento del contratto (quello incidente, il mero risarcimento, come nel caso del Tribunale di Cremona).
E’ innanzitutto indispensabile soffermarci sulla natura della responsabilità ex art 1440 c.c anche perché, alle differenti impostazioni dogmatiche sul punto, fanno seguito diversi criteri risarcitori applicabili in favore del deceptus.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, invero alquanto isolato, la responsabilita’ per dolo incidente avrebbe natura contrattuale.
Tale impostazione non sembra tenere nella dovuta considerazione il fatto che il dolo incidente si esplica in una fase in cui il consenso non ancora si e’ perfezionato, con conseguente impossibilita’ di configurare tale responsabilita’ come contrattuale. Tuttavia la detta posizione giurisprudenziale potrebbe risultare non del tutto destituita di fondamento, facendo riferimento non gia’ alla fonte dell’attivita’ dolosa, che nel caso di dolo incidente sicuramente precede il contratto, bensi’ agli effetti di tale attivita’, che risulta comunque posta in essere in funzione della stipulazione del contratto stesso, con conseguente rilevanza di una responsabilita’ di natura contrattuale in tale evenienza.
Piu’ consolidato appare, invece, l’orientamento giurisprudenziale incline ad attribuire alla responsabilita’ per dolo incidente natura extracontrattuale, con conseguente prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. del diritto al risarcimento dei danni derivanti dal fatto illecito, in luogo di quella, piu’ lunga o piu’ breve, prevista per i diritti derivanti dal contratto.
Gli orientamenti piu’ recenti della Suprema Corte si mostrano in particolar modo favorevoli ad attribuire a tale responsabilita’ natura precontrattuale, sul presupposto che la norma di cui all’art. 1440 c.c. costituisca applicazione del principio generale di buona fede contenuto nell’art. 1337 c.c., il quale impone alla parte un dovere di correttezza nel corso della formazione del contratto.
A sua volta, tale ultima forma di responsabilita’, che tutela l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in inutili trattative, o a non subire coartazioni nella fase di formazione della volonta’ contrattuale, e’ oggetto di non uniforme inquadramento dogmatico e giurisprudenziale.
Secondo parte della dottrina, la responsabilita’ precontrattuale rientrerebbe nell’ambito di quella contrattuale, dal momento che le parti, dopo l’inizio delle trattative, sono obbligate a mantenere un comportamento conforme ai principi di buona fede, con riferimento al rapporto giuridico in corso, sicche’ la violazione di tale vincolo obbligatorio non puo’ che dar luogo ad una responsabilita’ di tipo contrattuale. Tale tesi e’ ampiamente seguita dalla dottrina tedesca, sulla scia degli insegnamenti dello Jhering.
La dottrina maggioritaria e la giurisprudenza quasi costante sostengono che tale responsabilita’ debba essere sussunta nell’ambito di quella aquiliana, poiche’ si risolve comunque in una responsabilita’ per lesione della liberta’ contrattuale, che preesiste alle singole trattative in corso, e che va tutelata erga omnes.
Rispetto a questa decisione del Tribunale di Cremona, abbiamo trovato alcuni precedenti conformi, tra i quali:
La giurisprudenza che si è pronunciata in merito a queste due sentenze analizza il seguente problema: ovvero se il dolo, quale vizio del consenso invalidante il contratto, possa ritenersi sussistente anche nella forma omissiva o in caso di falsa informazione;
se sia configurabile quando uno dei contraenti si limiti a tacere la verità, o a dichiarare il falso, circa le circostanze fattuali o giuridiche pur quando avesse saputo o avrebbe potuto sapere, se avesse conformato il proprio comportamento a canoni di correttezza, che l’altra parte del contratto si stava accingendo a prestare il consenso sulla base di una falsa rappresentazione della realtà.
Il quesito si dirama in due direzioni che possono essere riassunte nel modo seguente:
E' proprio su quest'ultimo punto su cui abbiamo focalizzato la nostra attenzione, confermata a chiusura dalla decisione di partenza.
E cioè che non ogni raggiro rileva quale elemento costitutivo del dolo contrattuale ma solo quello che è in grado di ingannare una persona mediamente avveduta. L’inganno in grado di giustificare l’annullamento del contratto è inoltre solo quello che determina il consenso alla sua conclusione; è cioè necessario che la parte sia stata indotta a stipulare il contratto solamente a causa dell’errata rappresentazione della realtà artificiosamente costruita ( dolo causamdans ), mentre allorchè avrebbe comunque stipulato il contratto, pur avendo contezza della situazione reale, il contratto non è annullabile ma – come ha avuto modo di chiarire anche la giurisprudenza – la parte ingannata è legittimata a domandare il risarcimento dei danni dipendenti dal comportamento scorretto che il suo interlocutore ha tenuto in fase precontrattuale ( artt.1440, 1337 e 2043 codice civile.).
Ecco che a termine di questo excursus tra giurisprudenza e dottrina, ritorniamo alla condanna del Tribunale di Cremona, secondo cui il comportamento dei convenuti venditori, macchiati di aver omesso informazioni importanti per la determinazione della volontà contrattuale degli attori, non integra l'annullamento del contratto (in quanto non si tratta di un dolo determinante) ma di un mero risarcimento del danno, in quanto gli attori avrebbero comunque concluso il contratto ma a condizioni economicamente più vantaggiose (dunque integrando la fattispecie un semplice dolo incidente).
Infatti, pur trattandosi di responsabilità precontrattuale, il risarcimento del danno patito dagli attori non può essere limitato al solo interesse negativo ma deve estendersi a tutto il complesso delle utilità mancate o al maggiore aggravio economico subito in ragione del comportamento fraudolento del deceptor che, nel caso concreto, coincide con la differenza tra quanto pattuito tra le parti quali corrispettivo della compravendita, e il valore di mercato del bene gravato dalle cattive condizioni ambientali circostanti.
»»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»»