Trib Massa n. 04/07/2016 n. 681.

Risoluzione del contratto per inadempimento - - importanza dell'inadempimento .

Fatto
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato R.M. conveniva davanti al Tribunale di Massa (sezione distaccata di Carrara) il DOTT. E.V., al fine di sentir dichiarare
- la risoluzione del contratto di prestazione d'opera professionale per grave inadempimento del medico,
- nonché al fine di sentir condannare il convenuto alla restituzione delle somme versate
- ed al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali dello stesso subiti, a causa dell'errata esecuzione delle cure odontoiatriche, consistenti in ricostruzioni conservative e nella realizzazione di protesi dentarie con impianti.

In particolare, il paziente riferiva di essersi sottoposto tra il 2002 ed il 2005 ad un piano di cure odontoiatriche individuate dallo stesso medico DOTT. E.V. (doc. 1 attore), corrispondendo per l'esecuzione di tali interventi la somma di euro 12.640,00. Tuttavia, tali cure erano state eseguite in modo negligente, aggravando lo stato di salute del R.M., tanto da presentare difficoltà nella masticazione accompagnata da senso di nausea, cefalea con dolorabilità diffusa e scementazione della protesi superiore.

Nel costituirsi in giudizio, all'udienza del 15.10.2010, durante la fase istruttoria, il DOTT. E.V. chiedeva nel merito il rigetto delle domande attoree, in quando infondate e comunque non provate.
La causa veniva istruita con produzioni documentali e prove testimoniali, e poi completata con una CTU medico-legale.
All'udienza del 19.04.2016 le parti precisavano le conclusioni ed il giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando termini ridotti per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Contratto di prestazione d'opera professionale medico-paziente.
Responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica: Risoluzione e risarcimento del danno.

onere della prova

Disposizione normativa di riferimento:

art. 2697 cc (“Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento./ Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.”)

Norma ricavata (secondo un processo d'interpretazione pacifico, a partire da Cass., Sez.Un., n. 13533 del 2001):

“In base al principio consacrato nell'art. 2697 c.c., l'attore che agisca in giudizio al fine di far valere la responsabilità contrattuale del convenuto e di ottenere l'adempimento dell'obbligazione dallo stesso contrattualmente assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno arrecatogli dall'inadempimento della controparte dell'obbligazione su di essa gravante, ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato e, quindi, deve dimostrare l'esistenza del contratto da cui deriva l'obbligazione dedotta in giudizio, l'adempimento della propria obbligazione che non abbia un termine di scadenza successivo a quella della controparte e che sia alla stessa sinallagmaticamente collegata e, nel caso in cui chieda il risarcimento del danno arrecatogli dal comportamento inadempiente dell'altro contraente, il danno subito e la sua riconducibilità sul piano causale al dedotto inadempimento. Mentre l'onere della prova incombente sul creditore secondo la regola dell'art. 2697 c.c. è limitato al fatto costitutivo del diritto fatto valere, cioè all'esistenza di un obbligo che si assume inadempiuto, grava sul debitore l'onere di fornire la prova di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure di dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento.
Ne consegue che, in tema di responsabilità del medico, dal momento che il dovere di diligenza in rapporto alla professione medico-chirurgica implica la necessità di scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale, di regola il medico risponde anche per colpa lieve dei danni provocati, nell'esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica, da negligenza o imperizia: pertanto, grava sul medico l'onere di fornire la prova di avere eseguito la prestazione con diligenza e che l'evento peggiorativo lamentato dal paziente è stato provocato da un fatto imprevisto ed imprevedibile oppure dalla preesistenza di una particolare condizione fisica del paziente non accertabile con l'ordinaria diligenza professionale”.

“Soltanto nell'ipotesi in cui l'esecuzione della prestazione presuppone la soluzione di problemi tecnici particolarmente complessi la responsabilità del medico è limitata al caso in cui il paziente dimostri la configurabilità nel comportamento del medico di dolo o colpa grave”.

In linea con Cass. n. 20904 del 2013, “l'onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale [...] si sostanzia nella prova che l'esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all'evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento [...]”. In linea con Cass. n. 557 del 2008, ripresa per quanto segue da numerose altre pronunce, il Tribunale di Massa specifica che basta che l'intervento medico sia astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza o imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno.


In base al principio consacrato nell'art. 2697 c.c., l'attore che agisca in giudizio al fine di far valere la responsabilità contrattuale del convenuto e di ottenere l'adempimento dell'obbligazione dallo stesso contrattualmente assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno arrecatogli dall'inadempimento della controparte dell'obbligazione su di essa gravante, ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato e, quindi, deve dimostrare l'esistenza del contratto da cui deriva l'obbligazione dedotta in giudizio, l'adempimento della propria obbligazione che non abbia un termine di scadenza successivo a quella della controparte e che sia alla stessa sinallagmaticamente collegata e, nel caso in cui chieda il risarcimento del danno arrecatogli dal comportamento inadempiente dell'altro contraente, il danno subito e la sua riconducibilità sul piano causale al dedotto inadempimento. Mentre l'onere della prova incombente sul creditore secondo la regola dell'art. 2697 c.c. è limitato al fatto costitutivo del diritto fatto valere, cioè all'esistenza di un obbligo che si assume inadempiuto, grava sul debitore l'onere di fornire la prova di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure di dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento.
Ne consegue che, in tema di responsabilità del medico, dal momento che il dovere di diligenza in rapporto alla professione medico-chirurgica implica la necessità di scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale, di regola il medico risponde anche per colpa lieve dei danni provocati, nell'esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica, da negligenza o imperizia: pertanto, grava sul medico l'onere di fornire la prova di avere eseguito la prestazione con diligenza e che l'evento peggiorativo lamentato dal paziente è stato provocato da un fatto imprevisto ed imprevedibile oppure dalla preesistenza di una particolare condizione fisica del paziente non accertabile con l'ordinaria diligenza professionale. Soltanto nell'ipotesi in cui l'esecuzione della prestazione presuppone la soluzione di problemi tecnici particolarmente complessi la responsabilità del medico è limitata al caso in cui il paziente dimostri la configurabilità nel comportamento del medico di dolo o colpa grave (Cass., Sez. Un., n. 13533 del 2001).
In conclusione, in linea con i più recenti arresti della Suprema Corte in tema di ripartizione dell'onere probatorio in caso di responsabilità medica, deve ritenersi acclarato che l'onere probatorio è ripartito nel modo che segue.
Grava sul paziente l'onere di dimostrare il rapporto col medico o con la struttura sanitaria e il peggioramento delle sue condizioni a seguito dell'intervento, ovvero l'esistenza di un nesso causale tra l'intervento ed il danno riportato, mentre grava sulla struttura, anche in caso di operazioni di particolare difficoltà, l'onere di fornire la prova liberatoria, ovvero di provare che l'aggravamento delle condizioni del paziente, ove obiettivamente verificatosi, fosse dipeso da cause ad essa non imputabili, ovvero a cause esterne, non riconducibili alla struttura (Cass. n. 8826 del 2007, Cass. n. 24791 del 2008); e, ai fini della sussistenza del nesso causale, l'onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale - quando l'impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava - si sostanzia nella prova che l'esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all'evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall'insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente (Cass. n. 20904 del 2013).
Pertanto, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia in rapporto causale con l'intervento medico ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. n. 577 del 2008; il suddetto principio è stato ripreso da numerose altre pronunce che hanno puntualizzato che il danneggiato abbia l'onere di allegare qualificate inadempienze del medico o della struttura sanitaria, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, restando poi a carico del debitore convenuto l'onere di dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno) (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5590 del 2015).

IMPORTANZA DELL'INADEMPIMENTO

Disposizione normativa di riferimento, n.1 di 2:

art. 1218 cc (“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”)

Norma ricavata (secondo un processo d'interpretazione pacifico, più volte affermato dalla Suprema Corte):

In tema di responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica, il paziente-creditore ha il mero onere di provare il contratto e allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e la relativa gravità (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826) (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18307 del 18/09/2015 (Rv. 636741)).



In conclusione, come la Suprema Corte ha avuto più volte modo di affermare, in tema di responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica, in base alla regola di cui all'art. 1218 c.c. il paziente-creditore ha il mero onere di provare il contratto e allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, e la relativa gravità (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826) (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18307 del 18/09/2015 (Rv. 636741)).

Disposizione normativa di riferimento, n. 2 di 2, in punto di risoluzione:

art. 1455 cc (“Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”)

Norma ricavata:

Al fine di poter ottenere lo scioglimento anticipato di un contratto, è necessario dimostrare che l'inadempimento della controparte sia di non scarsa importanza e che incida sull'equilibrio sinallagmatico del rapporto.

“La valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione si fonda su un criterio oggettivo e su un criterio soggettivo. Il primo ha riguardo all'entità oggettiva dell'inadempimento; il secondo, invece, tenendo in considerazione l'interesse che la parte creditrice intende realizzare con il contratto, dà rilievo alle modalità e alle circostanze dello svolgimento concreto del rapporto al fine di verificare se l'inadempimento abbia, in concreto, generato un'alterazione notevole dell'equilibrio e della complessiva economia del contratto (Cass. civ. Sez. III, 22-10-2014, n. 22346 (rv. 633068)).
Quindi, nella valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento è necessario considerare il peso oggettivo della mancata prestazione sull'equilibrio contrattuale, dovendo altresì, dal punto di vista soggettivo, considerare l'interesse del creditore alla prestazione mancata. Si precisa, dunque, che ciò che rileva è l'importanza dell'inadempimento con riferimento all'interesse del creditore da valutarsi non solo con riferimento alla sua entità, criterio in sé astratto ed avente la funzione di impedire uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, ma anche in concreto tenuto conto di elementi soggettivi che pure incidono sull'importanza dell'inadempimento (Cass. civ. Sez. II, 16-06-2015, n. 12417)”.

RESTITUZIONE DELLE PRESTAZIONI GIA' ESEGUITE

Disposizioni normative di riferimento:

art. 1453 cc, “Risolubilità del contratto per inadempimento”
art. 1455 cc, “Importanza dell'inadempimento”

Norma ricavata:

Per quanto attiene agli obblighi restitutori scaturenti dalla risoluzione di un contratto di prestazione d'opera professionale per grave inadempimento ex artt. 1453 e 1455 c.c., “si ritiene che il medico sia tenuto alla restituzione del corrispettivo ricevuto, a nulla rilevando che la prestazione da lui resa non sia ripetibile in natura, poiché l'irripetibilità dell'onorario già pagato dal cliente contrasta con l'esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni e, diversamente opinando, il paziente sarebbe costretto a pagare una prestazione inutile, se non dannosa. Si consideri, poi, che il controvalore pecuniario di una prestazione professionale di tal fatta non puo' non essere pari a zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo”.

“Deve, pertanto, concludersi che il paziente non è tenuto a versare al medico libero professionista il corrispettivo pattuito e, se versato, ha diritto a pretenderne la restituzione, quando l'intervento sia stato eseguito in modo imperito”.


In punto di risoluzione, inoltre, si osserva che al fine di poter ottenere lo scioglimento anticipato di un contratto, è necessario dimostrare che l'inadempimento della controparte sia di non scarsa importanza, ai sensi dell'art. 1455 c.c., integrato da una condotta che altera la corrispettività tra le contrapposte prestazioni patrimoniali, incidendo così sull'equilibrio sinallagmatico del rapporto.
La valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione si fonda su un criterio oggettivo e su un criterio soggettivo. Il primo ha riguardo all'entità oggettiva dell'inadempimento; il secondo, invece, tenendo in considerazione l'interesse che la parte creditrice intende realizzare con il contratto, dà rilievo alle modalità e alle circostanze dello svolgimento concreto del rapporto al fine di verificare se l'inadempimento abbia, in concreto, generato un'alterazione notevole dell'equilibrio e della complessiva economia del contratto (Cass. civ. Sez. III, 22-10-2014, n. 22346 (rv. 633068)).
Quindi, nella valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento è necessario considerare il peso oggettivo della mancata prestazione sull'equilibrio contrattuale, dovendo altresì, dal punto di vista soggettivo, considerare l'interesse del creditore alla prestazione mancata. Si precisa, dunque, che ciò che rileva è l'importanza dell'inadempimento con riferimento all'interesse del creditore da valutarsi non solo con riferimento alla sua entità, criterio in sé astratto ed avente la funzione di impedire uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, ma anche in concreto tenuto conto di elementi soggettivi che pure incidono sull'importanza dell'inadempimento (Cass. civ. Sez. II, 16-06-2015, n. 12417).
A tal fine, in tema di onere della prova, trova applicazione il generale principio dell'inadempimento di un'obbligazione, a norma del quale il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte. Il debitore convenuto, invece, è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.
Alla luce dei principi esposti, occorre esaminare la vicenda che ha interessato l'odierno attore, valutando la configurabilità o meno della responsabilità professionale del medico dentista.
Conclusioni.
Nella fattispecie portata all'attenzione del Tribunale - qualificato il contratto della cui esecuzione si tratta come contratto d'opera professionale avente ad oggetto la sottoposizione del paziente al piano di cure odontoiatriche individuate dallo stesso medico DOTT. E.V., nel contratto redatto e sottoscritto dallo stesso medico, datato 11.04.2002 (doc. 1 attore) - non risulta essere stato assolto pienamente il contenuto dell'onere probatorio posto a carico del paziente, per avere provato sì l'esistenza del contratto e di aver riportato un obiettivo peggioramento delle proprie condizioni fisiche, nonché di avere allegato l'inadempimento del debitore nell'esecuzione della prestazione, ma non il nesso di causalità tra inadempimento e danno lamentato.
Difatti, il medico ha riconosciuto di avere effettuato sul paziente delle cure odontoiatriche propedeutiche all'applicazione delle protesi dentali e di avere applicato allo stesso esclusivamente un circolare provvisorio armato nell'arcata superiore e corone provvisorie nell'arcata inferiore (cfr. pag. 3 comparsa). Sennonché - a fronte di una precisa ammissione di avere eseguito (solo) parzialmente il piano di cure inizialmente predisposto e di un esplicito disconoscimento di quanto risultava compiuto nell'arcata superiore ed inferiore del paziente, in base alla OPT del 09.07.2005 (doc. 2 attore), con ammissione di un'unica lamentela del paziente, in merito al fatto che il circolare provvisorio si fosse per così dire "scementato" (cfr. anche interrogatorio formale del convenuto reso all'udienza del 15.03.2010) - il paziente non ha a sua volta dimostrato, nonostante l'onere spostatosi a carico dello stesso, che il dentista avesse eseguito in realtà tutte le cure indicate nel preventivo.
A conferma dell'esecuzione solamente parziale delle cure odontoiatriche, depone il riconoscimento da parte del medico del ricevimento da parte del paziente dei soli acconti per lire 700.000,00 e euro 2.500,00 (cfr. anche interrogatorio formale del convenuto reso all'udienza del 15.03.2010), unitamente alla mancata prova posta a carico dell'attore di avere versato l'intera somma di euro 12.640,00 come indicato in atto di citazione, non avendo prodotto alcuna quietanza o altro documento idoneo a dimostrare quanto asserito.
Non puo', invero, tenersi in alcun modo conto del deposito, incontestabilmente tardivo, di alcuni documenti, avvenuto in sede di svolgimento delle operazioni peritali e all'udienza di precisazione delle conclusioni.
Nemmeno l'esito delle prove orali ha fornito ulteriore supporto alla tesi attorea, poiché l'unica conferma della circostanza (relativa alla completa esecuzione delle cure) è avvenuta dalla deposizione della sorella del R.M., ma con testimonianza de relato ex parte ("sono a conoscenza di ciò in quanto riferitomi da mio fratello", "la circostanza mi è stata riferita da mio fratello", "so questo in quanto riferitomi da mio fratello" - cfr. deposizione di A.M. all'udienza del 15.03.2010), come tale, in assenza di altri elementi, avente una valenza probatoria "sostanzialmente nulla" (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 313 del 10/01/2011 (Rv. 615494), Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8358 del 03/04/2007 (Rv. 596022)). Ugualmente nessun apporto probatorio a favore della tesi dell'attore ha fornito la testimonianza della moglie del R.M., poiché, pur avendo confermato di avere accompagnato "spesso" il marito nello studio del dentista, non ha saputo riferire a quale tipologia di interventi lo stesso sia stato sottoposto (cfr. deposizione di B.L. all'udienza del 15.03.2010).
Confermata, quindi, l'esecuzione parziale delle cure odontoiatriche - limitate alle prestazioni propedeutiche all'applicazione delle protesi dentali e all'applicazione di un circolare provvisorio armato nell'arcata superiore e di corone provvisorie nell'arcata inferiore - le predette prestazioni non sono state compiute nel rispetto delle leges artis: sia perché non è stata effettuata una corretta diagnosi iniziale, sia perché il circolare provvisorio si staccava dalla sua posizione.
In particolare, le risultanze istruttorie acquisite e, segnatamente, quelle della disposta C.T.U. - che sono certamente condivisibili perché esaurientemente elaborate - dimostrano che vi sono incongruenze tra la situazione clinica descritta dal convenuto DOTT. E.V. nel certificato del 2002 e la situazione clinica del paziente valutabile dalla OPT del 09.07.2005 (doc. 2 attore) e che quindi erroneamente sono stati indicati come assenti, nel 2002, gli elementi dentari 35-15-24-25, invero riscontrabili nella richiamata OPT del 2005 (cfr. pagg. 3-4 perizia C.T.U.). Si evidenzia, a tale proposito, che opera in modo negligente il medico dentista che non verifichi la reale situazione dei denti, anche sulla base delle cure pregresse, sui quali effettua l'installazione della protesi (Cass., Sez. III 22 giugno 2015, n. 12871).
A ciò deve poi aggiungersi la non corretta esecuzione del circolare, che sebbene provvisorio, è stato dimostrato - anche per espressa ammissione del medico (cfr. interrogatorio formale soprarichiamato) - come non rimanesse nella sua corretta sede, ma si fosse presto per così dire "scementato", tanto da staccarsi frequentemente, costringendo il paziente, soprattutto durante i fine settimana, a recarsi dai medici di turno per porre rimedio alla situazione (cfr. deposizione del teste B.L. all'udienza del 15.03.2010, la cui testimonianza deve ritenersi ammissibile, in quanto il teste era stato indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, e l'imperfetta designazione del nome del testimone non è stata idonea ad arrecare un "vulnus" alla difesa e al contraddittorio - cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26058 del 20/11/2013 (Rv. 628922)).
Dunque, la prestazione non è stata eseguita in modo diligente, anzi si è rivelata inutile per il paziente e contraria al suo interesse, e l'inesatto adempimento è da ricondursi a causa imputabile esclusivamente all'operato del medico, che non ha nemmeno fornito prova alcuna della propria assenza di colpa.
Appare, pertanto, meritevole di accoglimento la domanda di risoluzione del contratto di prestazione d'opera per grave inadempimento ex artt. 1453 e 1455 c.c., con conseguente condanna del medico convenuto alla restituzione delle somme versate dal paziente per tali inadeguate cure.
Per quanto attiene agli obblighi restitutori scaturenti dalla risoluzione di un contratto di prestazione d'opera professionale, si ritiene che il medico sia tenuto alla restituzione del corrispettivo ricevuto, a nulla rilevando che la prestazione da lui resa non sia ripetibile in natura, poiché l'irripetibilità dell'onorario già pagato dal cliente contrasta con l'esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni e, diversamente opinando, il paziente sarebbe costretto a pagare una prestazione inutile, se non dannosa. Si consideri, poi, che il controvalore pecuniario di una prestazione professionale di tal fatta non puo' non essere pari a zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo.
Deve, pertanto, concludersi che il paziente non è tenuto a versare al medico libero professionista il corrispettivo pattuito e, se versato, ha diritto a pretenderne la restituzione, quando l'intervento sia stato eseguito in modo imperito.
Nella fattispecie in esame, risulta, per espressa ammissione del convenuto (come sopra già evidenziato), che parte attrice ha versato a più riprese al convenuto la somma complessiva di euro 2.861,52, dato dalla somma di euro 2.500,00 con euro 361,52, quale conversione in euro di lire 700.000,00 (cfr. interrogatorio formale del convenuto e comparsa di costituzione).
Nell'ipotesi d'azione di ripetizione d'indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c., il debito dell'accipiens, a meno che egli non sia in mala fede, produce interessi solo a seguito della proposizione di un'apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, atteso che all'indebito si applica la tutela prevista per il possessore in buona fede - in senso soggettivo - dall'art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda. Sicché l'art. 2033 c.c., applicabile anche nel caso in cui sia sopravvenuta la causa che renda indebito il pagamento, esclude che la decorrenza degli interessi possa essere anticipata rispetto al momento della proposizione della domanda giudiziale (Cass. Sez. U., 25 giugno 2009, n. 14886).
Dunque, sulla somma di euro 2.861,52 devono essere calcolati gli interessi legali dalla notifica dell'atto di citazione (14.11.2008) sino all'effettivo soddisfo.
Invero, non risulta fondata la domanda di risarcimento del danno.
Difatti, considerate come compiute le sole cure odontoiatriche propedeutiche all'applicazione delle protesi dentali e l'applicazione di un circolare provvisorio armato nell'arcata superiore e di corone provvisorie nell'arcata inferiore, nessun nesso causale tra le predette operazioni e il danno lamentato dal paziente (come difficoltà nella masticazione accompagnata da senso di nausea e cefalea con dolorabilità diffusa) è stato accertato dal C.T.U..
Invero, la prova - che grava su parte attrice - puo' essere data attraverso la produzione di documentazione medico-legale in possesso del danneggiante, attinente alla fase precedente all'intervento, all'intervento stesso e alla fase successiva. Mentre, il R.M. ha depositato - per quanto qui interessa - solo il preventivo (con il piano di cure) del 2002, una OPT del 09.07.2005 e una relazione medico-legale di parte del 2007. E nonostante il C.T.U. abbia riscontrato delle incongruenze tra la situazione clinica descritta dal convenuto nel certificato del 2002 e la situazione clinica del paziente valutabile dalla OPT del 09.07.2005 (cfr. pagg. 3-4 perizia), non ha comunque potuto accertare il nesso di causalità materiale tra le (parziali) cure compiute e il danno, in particolare per l'impossibilità di verificare la situazione del paziente prima di intraprendere le predette cure, mancando agli atti la OPT del 2002 sulla quale si era basato il DOTT. E.V. per la predisposizione del preventivo.
Ancora, dalla perizia di parte si evince che le problematiche riscontrate nel paziente, visitato nel dicembre 2006, sono ricondotte al manufatto protesico in oro resina e nel ponte in oro resina, verosimilmente quindi alle protesi definitive (cfr. relazione Dott. P. - doc. 4 attore): quali cure successive che non si è stato dimostrato essere state realizzate dal convenuto.
Di conseguenza, il C.T.U. - con una relazione dettagliata, sorretta da argomentazioni logiche convincenti, che questo Tribunale intende fare propria, non ravvisandosi motivi per discostarsene - ha affermato che il materiale clinico a disposizione non era sufficiente per poter ricostruire il percorso clinico del paziente e, quindi, poter attribuire al medico eventuali responsabilità. Dunque, non risulta provato il nesso di causalità tra difficoltà nella masticazione accompagnata da senso di nausea e cefalea con dolorabilità diffusa e l'azione ascrivibile al medico.
Alla luce di tutto quanto qui dedotto, la domanda avanzata da parte attrice puo' trovare accoglimento e deve pertanto essere accolta, nei limiti sopra descritti, per quanto di ragione.
Spese di lite.
Le spese processuali devono essere integralmente compensate tra le parti, stante la reciproca soccombenza.
Parimenti, le spese di C.T.U. devono essere poste a carico di entrambe le parti, per metà ciascuna.
PQM
P.Q.M.
il Tribunale di Massa,
Sezione Civile,
in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio civile n. 206056 dell'anno 2004, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, sulla domanda proposta da R.M., nei confronti del DOTT. E.V., così provvede:
1. RISOLVE il contratto di prestazione d'opera intercorso tra R.M. e il DOTT. E.V.;
2. CONDANNA DOTT. E.V. alla restituzione a favore di R.M. della somma di euro 2.861,52, oltre interessi legali dalla domanda (14.11.2008) fino all'effettivo soddisfo;
3. RIGETTA le ulteriori domande articolate da R.M.;
4. COMPENSA integralmente le spese di lite tra R.M. e DOTT. E.V.;
5. PONE le spese di C.T.U. definitivamente a carico di R.M. per una metà ed a carico del DOTT. E.V. per l'altra metà.
Così deciso in Massa, in data 30.06.2016
Il Giudice
dott.ssa Elisa Pinna

 

 

 

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