CONSULTA ONLINE
SENTENZA N. 250
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
-- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14 della legge della Regione Abruzzo 10 gennaio 2013, n. 3 (Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2013 bilancio pluriennale 2013-2015), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 18-20 marzo 2013, depositato in cancelleria il 21 marzo 2013 ed iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2013.
Udito nell'udienza pubblica del 24 settembre 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi;
udito l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 18-20 marzo 2013 e depositato il 21 marzo 2013, iscritto al reg. ric. n. 50 del 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14 della legge Regione Abruzzo 10 gennaio 2013, n. 3 (Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2013 – Bilancio pluriennale 2013-2015), in riferimento agli articoli 81, quarto comma, e 117, terzo comma, della Costituzione.
2.– Rileva il ricorrente che, con gli artt. 13 e 14 della legge regionale n. 3 del 2013, la Regione Abruzzo ha disposto l’utilizzo di quota parte del saldo finanziario presunto alla chiusura dell’esercizio 2012 a copertura di stanziamenti di spese non vincolate. Osserva altresì che tra le spese la cui copertura è disposta dall’art. 11 della citata legge tramite l’utilizzo dell’avanzo presunto vi sono quelle relative alla riassegnazione dei residui passivi perenti in conto capitale e di parte corrente, iscritte rispettivamente ai capitoli 323500 (U.P.B. 15.02.003) e 321920 (U.P.B. 15.01.002). Il Presidente del Consiglio dei ministri assume che tale utilizzo, in quanto effettuato malgrado non sia stata ancora certificata l’effettiva disponibilità dell’avanzo di amministrazione presunto con l’approvazione del rendiconto per l’esercizio finanziario 2012, violi il principio di equilibrio del bilancio, di cui all’art. 81, quarto comma, Cost. ed i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica fissati ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. In altri termini, la copertura finanziaria di spese non vincolate attraverso l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, che è ancora in pendenza di accertamento per mancata approvazione del rendiconto 2012, realizzerebbe un pareggio di bilancio in sede preventiva non conforme ai precetti dell’art. 81, quarto comma, Cost. A tale riguardo il ricorrente afferma che, in base alla costante giurisprudenza della Corte costituzionale (si citano le sentenze n. 70 del 2012, n. 106 del 2011, n. 68 del 2011, n. 141 del 2010, n. 100 del 2010, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991), l’obbligo di copertura avrebbe dovuto essere osservato dalla Regione Abruzzo attraverso la previa verifica della disponibilità effettiva delle risorse impiegate per assicurare il tendenziale equilibrio tra entrate e uscite. Inoltre il Presidente del Consiglio ricorda che la medesima Corte, in relazione al parametro di cui all’art. 81, quarto comma, Cost., ha ritenuto che la copertura deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale ed ha altresì chiarito che il saldo finanziario presunto consiste in una stima provvisoria, priva di valore giuridico ai fini delle corrispondenti autorizzazioni di spesa e che «nessuna spesa può essere accesa in poste di bilancio correlate ad un avanzo presunto, se non quella finanziata da fondi vincolati e regolarmente stanziati nell’esercizio precedente» (sentenza n. 70 del 2012). Il ricorrente ricorda, ancora, come la Corte abbia declinato i canoni contabili fondamentali con specifico riferimento all’avanzo di amministrazione, affermando che quest’ultimo può esistere, giuridicamente e contabilmente, soltanto sul necessario presupposto del suo già avvenuto accertamento, da effettuarsi solo mediante il perfezionamento dell’approvazione del rendiconto relativo all’esercizio nel quale l’avanzo si è formato. Prima di tale momento l’avanzo non può che essere «presunto ed – in quanto tale – giuridicamente inesistente» (sentenza n. 70 del 2012).
3.– In termini generali, il ricorrente osserva che nella legge regionale in esame sembrerebbe non congrua la gestione dei residui perenti, il cui ammontare, al 31 dicembre 2011, per il solo Titolo I della spesa, sarebbe pari a circa 21 milioni di euro, diversamente da quanto riportato nel bilancio di previsione per il 2013, ove in base agli artt. 13 e 14 impugnati sono complessivamente stanziate nei fondi per la reiscrizione dei residui passivi perenti risorse per 9 milioni di euro. A tale riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che l’entità di tale stanziamento «non appare improntata a criteri di prudenzialità, in quanto, così come sostenuto dalla Corte dei conti, sezione delle autonomie (delibera n. 14/AUT/2006), per apprestare una sufficiente garanzia di assolvimento delle obbligazioni assunte, la dotazione del fondo residui perenti dovrebbe avere una consistenza tale da assicurare un margine di copertura pari al 70% degli stessi».
4.– Le norme impugnate, oltre a violare la regola sostanziale del pareggio di bilancio e di effettività delle coperture, contrasterebbero anche con l’art. 117, terzo comma, Cost., che attribuisce alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni la materia del coordinamento della finanza pubblica. A parere del Presidente del Consiglio dei ministri, la regola secondo cui non è consentito coprire spese mediante l’avanzo presunto non ancora accertato tramite approvazione del rendiconto costituirebbe un principio fondamentale di coordinamento finanziario, inteso ad evitare che l’incertezza della copertura possa generare la necessità di manovre correttive in corso di esercizio ed alterare l’equilibrio complessivo della finanza pubblica allargata. Non competerebbe quindi alla Regione dettare norme di bilancio che contravvengono a tale principio.
5.– La Regione Abruzzo non si è costituita.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 13 e 14 della legge della Regione Abruzzo 10 gennaio 2013, n. 3 (Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2013 – Bilancio pluriennale 2013-2015), in riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 117, terzo comma, della Costituzione.
Il ricorrente lamenta che dette disposizioni prevedono l’utilizzo di quota parte del “saldo finanziario presunto” (termine impiegato dalla legge di contabilità regionale per indicare l’avanzo di amministrazione presunto, espressione che sarà utilizzata in prosieguo) alla chiusura dell’esercizio 2012 a copertura di stanziamenti di spese non vincolate, in particolare quelle relative alla riassegnazione dei residui passivi perenti in conto capitale e di parte corrente, iscritte rispettivamente ai capitoli 323500 (U.P.B. 15.02.003) e 321920 (U.P.B. 15.01.002).
Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che la legge regionale, malgrado non sia stata ancora accertata l’effettiva disponibilità dell’avanzo di amministrazione presunto con l’approvazione del rendiconto per l’esercizio finanziario 2012, dispone l’utilizzo di quota parte dello stesso a copertura di stanziamenti di spesa. In tal modo essa violerebbe il principio di equilibrio del bilancio, di cui all’art. 81, quarto comma, Cost., ed i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica fissati ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Mediante il censurato meccanismo la Regione Abruzzo realizzerebbe «il pareggio di bilancio in sede preventiva attraverso la contabilizzazione di un avanzo di amministrazione non accertato e verificato a seguito della procedura di approvazione del consuntivo dell’esercizio precedente» e non assicurerebbe la copertura delle spese «attraverso la previa verifica della disponibilità effettiva delle risorse impiegate, per assicurare il tendenziale equilibrio tra entrate e uscite».
Il ricorrente ricorda come questa Corte abbia declinato i canoni contabili fondamentali con specifico riferimento all’avanzo di amministrazione, affermando che quest’ultimo può esistere, giuridicamente e contabilmente, soltanto sul necessario presupposto del suo già avvenuto accertamento in sede di approvazione del rendiconto relativo all’esercizio nel quale l’avanzo si è formato. Prima di tale momento l’avanzo non può che essere «presunto ed – in quanto tale – giuridicamente inesistente» (sentenza n. 70 del 2012).
Inoltre, secondo il ricorrente, la misura delle risorse complessivamente stanziate dalla legge in esame nei fondi destinati alla reiscrizione dei residui passivi perenti sarebbe incongrua rispetto al loro ammontare complessivo.
In sostanza, le censure formulate dal ricorrente in relazione agli evocati parametri possono essere così sintetizzate: a) realizzazione del formale pareggio di bilancio attraverso l’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto relativo all’esercizio 2012 ed il suo collegamento finalistico alla copertura dei debiti pregressi scaduti o in scadenza nell’esercizio in corso; b) produzione di un sostanziale squilibrio attraverso questa operazione diretta ad ampliare complessivamente la spesa dell’esercizio 2013; c) insufficienza dello stanziamento del fondo per la riassegnazione dei residui perenti in relazione all’ammontare della massa complessiva degli stessi alla data del 31 dicembre 2011, che sarebbe «pari a circa 21 milioni di euro, diversamente da quanto riportato nel bilancio di previsione per il 2013 ove sono complessivamente stanziate nei fondi per la reiscrizione dei residui passivi perenti, risorse per euro 9.000.000,00».
2.– Le censure formulate in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. sono inammissibili.
Il ricorrente non svolge alcun percorso argomentativo idoneo a collegare le norme impugnate al parametro costituzionale invocato, né deduce alcuna disposizione interposta in grado di illustrare la pretesa illegittimità delle disposizioni stesse.
3.– Quanto alle censure formulate in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., è utile preventivamente delimitare la relazione tra i profili di illegittimità prospettati ed il contenuto dei singoli commi delle disposizioni impugnate.
L’art. 13 dispone che: «1. È autorizzata l’iscrizione, nello stato di previsione della spesa, del cap. 323500 (U.P.B. 15.02.003) denominato “Fondo speciale per la riassegnazione dei residui passivi delle spese in conto capitale, perenti, agli effetti amministrativi, reclamate dai creditori”, ai sensi dell’art. 34, comma 7, lett. a) della L.R. 25 marzo 2002, n. 3, con lo stanziamento per competenza di euro 6.000.000,00. 2. Il Dirigente del Servizio Bilancio è autorizzato a prelevare, dal predetto fondo, con propria determina, le somme occorrenti per la corresponsione a favore dei creditori degli importi di cui al comma precedente, previa iscrizione degli stanziamenti necessari nei pertinenti capitoli o in nuovi capitoli dello stato di previsione della spesa. 3. I prelevamenti e le conseguenti reiscrizioni di cui al secondo comma sono disposti previo accertamento e certificazione da parte della Direzione competente: - della non sopravvenuta prescrizione delle somme relative; - dell’avvenuto perfezionamento dell’obbligazione nell’esercizio originario di competenza; - dell’impegno che diede luogo al residuo passivo successivamente caduto in perenzione amministrativa».
L’art. 14 prevede che: «1. È autorizzata l’iscrizione, nello stato di previsione della spesa, del cap. 321920 (U.P.B. 15.01.002) denominato “Fondo di riserva per la riassegnazione dei residui passivi di parte corrente, perenti agli effetti amministrativi, reclamate dai creditori”, ai sensi dell’art. 18, comma 2, della L.R. 25 marzo 2002, n. 3, con lo stanziamento per competenza di euro 3.000.000,00. 2. Il Dirigente del Servizio Bilancio è autorizzato a prelevare, dal predetto fondo, con propria determina, le somme occorrenti per la corresponsione a favore dei creditori degli importi di cui al comma precedente, previa iscrizione degli stanziamenti necessari nei pertinenti capitoli o in nuovi capitoli dello stato di previsione della spesa. 3. I prelevamenti e le conseguenti reiscrizioni di cui al secondo comma sono disposti previo accertamento e certificazione da parte della Direzione competente: – della non sopravvenuta prescrizione delle somme relative; – dell’avvenuto perfezionamento dell’obbligazione nell’esercizio originario di competenza; – dell’impegno che diede luogo al residuo passivo successivamente caduto in perenzione amministrativa».
Nella loro speculare simmetria le due disposizioni istituiscono un fondo finalizzato al pagamento di spese caratterizzate dall’avvenuto perfezionamento dell’obbligazione nell’esercizio originario di competenza, dal rispetto delle procedure contabili che diedero luogo all’impegno di spesa prima dell’intervenuta perenzione amministrativa e dalla non sopravvenuta prescrizione dei crediti afferenti a detta categoria di spese.
Tenuto conto che «la perenzione amministrativa […] consiste nell’eliminazione dalla contabilità finanziaria dei residui passivi non smaltiti, decorso un breve arco temporale dall’esercizio in cui è stato assunto il relativo impegno [ma che…] fino alla decorrenza dei termini per la prescrizione, non produce però alcun effetto sul diritto del creditore, la cui posizione è assolutamente intangibile da parte dei procedimenti contabili» (sentenza n. 70 del 2012), è evidente che le norme in esame attengono all’esercizio del potere-dovere dell’amministrazione di onorare le obbligazioni perfezionate negli esercizi precedenti (e così cancellate in via amministrativa dalle scritture contabili) già scadute o in scadenza in quello di competenza.
Ciò premesso è opportuno sottolineare come il comma 1 di entrambi gli articoli impugnati individui sia la tipologia della spesa sia le modalità della relativa copertura, prevedendone l’imputazione ai capitoli 323500 e 321920, poste inserite rispettivamente nelle UU.PP.BB. 15.02.003 e 15.01.002, le quali – a loro volta – sono collegate alla posta di entrata ove è allocato l’avanzo di amministrazione presunto dell’esercizio 2012. I successivi commi 2 e 3 degli artt. 13 e 14 della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2013 si limitano a disciplinare il procedimento per la liquidazione della spesa.
Le censure poste in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., secondo i profili precedentemente sintetizzati, si riferiscono esclusivamente alla parte del comma 1 dei due articoli che determina le modalità di copertura, mentre non vengono formulate censure nei confronti della tipologia di spesa interessata – a sua volta individuata dal comma 1 – e del procedimento inerente alla liquidazione dei debiti pregressi, disciplinato dai due commi successivi di entrambe le disposizioni impugnate.
3.1. – Alla luce di quanto premesso, la questione sollevata nei confronti degli artt. 13, comma 1, e 14, comma 1, in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., sotto il profilo della lesione dell’equilibrio del bilancio, è fondata limitatamente alla parte del comma 1 che determina le modalità di copertura della spesa.
Il parametro costituzionale evocato opera sia in relazione ai criteri di imputazione della spesa, sia attraverso il principio “attuativo” dell’unità di bilancio, desumibile dall’art. 24, comma 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), come già affermato da questa Corte (sentenza n. 241 del 2013).
Entrambe le norme impugnate sono incompatibili con i precetti desumibili dall’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto comportano: a) l’indebita utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto per fronteggiare le obbligazioni perfezionate negli esercizi precedenti e scadute o in scadenza nell’esercizio 2013; b) la creazione di uno squilibrio nel bilancio dovuto all’allargamento delle autorizzazioni di spesa della Regione a seguito di tale operazione.
Quanto alla prima censura, è evidente, da un lato, che la copertura della spesa è viziata per effetto della non consentita imputazione all’avanzo di amministrazione presunto, entità giuridicamente ed economicamente inesistente (sentenza n. 70 del 2012), e, dall’altro, che il principio di unità, prescrivendo «che il bilancio non può essere articolato in maniera tale da destinare alcune fonti di entrata a copertura di determinate e specifiche spese, salvi i casi di espresso vincolo disposti dalla legge per alcune tipologie di entrate (tributi di scopo, mutui destinati all’investimento, fondi strutturali di provenienza comunitaria, etc.)» (sentenza n. 241 del 2013), non consente la correlazione vincolata tra la posta di entrata e la spesa, dal momento che nella fattispecie in esame non esiste alcuna specifica disposizione legittimante tale deroga.
Quanto alla seconda censura, le descritte violazioni dei principi della copertura e dell’unità concorrono a rendere il bilancio dell’esercizio 2013 privo di equilibrio nel suo complesso, poiché determinano il sovradimensionamento della spesa rispetto alle risorse effettivamente disponibili.
Il descritto schema elusivo del parametro costituzionale consente di dedicare risorse effettivamente disponibili a spese discrezionali ancora da assumere e comunque non pervenute alla fase del perfezionamento, anziché impiegarle in via prioritaria per l’adempimento delle obbligazioni scadute o in scadenza. Ciò comporta la lesione del principio dell’equilibrio del bilancio.
Inoltre, nella fattispecie in esame viene a mancare la necessaria «contestualità […] dei presupposti che giustificano le previsioni di spesa» con «quelli posti a fondamento delle previsioni di entrata necessarie per la copertura finanziaria delle prime» (sentenza n. 213 del 2008). Infatti, mentre il pagamento dei debiti pregressi è legittimo e doveroso e non può essere condizionato a determinati eventi, la correlata risorsa dell’avanzo presunto di amministrazione risulta inconsistente ed inutilizzabile per la copertura di detta spesa.
3.2.– Proprio in relazione al parametro invocato dal Presidente del Consiglio dei ministri è opportuno ricordare che il principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio, già individuato da questa Corte come precetto dinamico della gestione finanziaria (ex plurimis, sentenze n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966), consiste nella continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche.
Detto principio impone all’amministrazione un impegno non circoscritto al solo momento dell’approvazione del bilancio, ma esteso a tutte le situazioni in cui tale equilibrio venga a mancare per eventi sopravvenuti o per difetto genetico conseguente all’impostazione della stessa legge di bilancio. In quest’ultima condizione viene a trovarsi la Regione Abruzzo, la quale, da un lato, vede pregiudicato il pareggio dall’impropria utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto e, dall’altro, non può omettere il doveroso adempimento delle obbligazioni relative agli esercizi precedenti.
Lo strumento di risoluzione di tale patente conflitto è quello dell’adozione di appropriate variazioni del bilancio di previsione, in ordine alla cui concreta configurazione permane la discrezionalità dell’amministrazione nel rispetto del principio di priorità dell’impiego delle risorse disponibili per le spese obbligatorie e, comunque, per le obbligazioni perfezionate, in scadenza o scadute.
Il principio dell’equilibrio del bilancio, infatti, ha contenuti di natura sostanziale: esso non può essere limitato al pareggio formale della spesa e dell’entrata (sentenza n. 1 del 1966), ma deve estendersi – attraverso un’ordinata programmazione delle transazioni finanziarie – alla prevenzione dei rischi di squilibrio, che derivano inevitabilmente dal progressivo sviluppo di situazioni debitorie generate dall’inerzia o dai ritardi dell’amministrazione.
Peraltro, i limiti fissati dal ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri – il quale non ha impugnato l’utilizzazione di un’ulteriore parte dell’avanzo di amministrazione presunto (quantificato in euro 1.053.840.000,00) prevista dall’art. 11 della legge in esame – non esonerano la Regione dal concreto perseguimento dell’equilibrio tendenziale del bilancio. Questa Corte ha già affermato (sentenza n. 70 del 2012) che «Nell’ordinamento finanziario delle amministrazioni pubbliche i principi del pareggio e dell’equilibrio tendenziale fissati nell’art. 81, quarto comma, Cost. si realizzano attraverso due regole, una statica e l’altra dinamica: la prima consiste nella parificazione delle previsioni di entrata e spesa»; la seconda nel continuo perseguimento di una situazione di equilibrio tra partite attive e passive che compongono il bilancio, attraverso un’interazione delle loro dinamiche in modo tale che il saldo sia tendenzialmente nullo. Ciò determina nell’amministrazione pubblica l’esigenza di un costante controllo di coerenza tra la struttura delle singole partite attive e passive che compongono il bilancio stesso.
Nel caso in esame, la limitazione della declaratoria d’incostituzionalità dell’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto alle sole partite di spesa oggetto del ricorso non esonera la Regione dal rispetto dei canoni derivanti dal precetto costituzionale dell’equilibrio complessivo del bilancio, anche in relazione alla dimensione di assoluto rilievo dell’avanzo di amministrazione presunto residuale.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’avanzo di amministrazione presunto costituisce entità giuridicamente e contabilmente inesistente in forza del principio per cui «nessuna spesa può essere accesa in poste di bilancio correlate ad un avanzo presunto, se non quella finanziata da fondi vincolati e regolarmente stanziati nell’esercizio precedente» (sentenze n. 309 e n. 70 del 2012).
4.– La declaratoria di parziale illegittimità degli artt. 13, comma 1, e 14, comma 1, della legge regionale n. 3 del 2013 non ha alcun riflesso invalidante nei confronti della residua parte dei commi 1 degli artt. 13 e 14 e delle modalità di liquidazione delle spese necessarie per l’adempimento delle obbligazioni inerenti agli esercizi pregressi, previste dai commi 2 e 3 dei medesimi articoli.
Le richiamate disposizioni alimentano i fondi per la riassegnazione dei residui perenti in conto capitale e di spesa corrente destinati all’adempimento delle obbligazioni passive perfezionate negli esercizi precedenti, per le quali non sia sopravvenuta prescrizione.
Ancorché non vincolate da specifica disposizione normativa ad alcuna particolare risorsa allocata in parte entrata del bilancio, le spese di cui si prevede la reiscrizione appartengono alla categoria di quelle obbligatorie, per di più correlate all’esistenza di debiti regolarmente contratti e ad obbligazioni scadute o in scadenza nell’esercizio di competenza. Come è stato già osservato da questa Corte (sentenza n. 70 del 2012), il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione è obiettivo prioritario – tra i molti riferimenti normativi in ambito comunitario e nazionale è opportuno richiamare la direttiva 16 febbraio 2011, n. 2011/7/UE, recante «Direttiva del parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nella transazioni commerciali (rifusione) (Testo rilevante ai fini del SEE)» – non solo per la critica situazione economica che il ritardo ingenera nei soggetti creditori, ma anche per la stretta connessione con l’equilibrio finanziario dei bilanci pubblici, il quale viene intrinsecamente minato dalla presenza di situazioni debitorie non onorate tempestivamente.
Dunque, l’adempimento delle obbligazioni sorte a seguito di corretti e compiuti procedimenti deliberativi costituisce vincolo indefettibile per la Regione Abruzzo, ma deve avvenire secondo i canoni della sana gestione finanziaria, nel rispetto dei precetti discendenti dall’art. 81, quarto comma, Cost., attraverso le forme di copertura consentite dall’ordinamento.
5.– Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), va invece dichiarata l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, degli artt. 1 e 4 della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2013 nella parte in cui contabilizzano, rispettivamente sul versante dell’entrata e della spesa del bilancio di competenza e di cassa dell’esercizio 2013, l’avanzo di amministrazione presunto nella misura di euro 9.000.000,00, pari alla sommatoria degli importi destinati dagli articoli 13 e 14 alla riassegnazione dei residui passivi in conto capitale e di parte corrente.
6.– Analoga statuizione deve essere adottata nei confronti dell’art. 11 della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2013, nella parte in cui applica al bilancio di previsione 2013 l’avanzo di amministrazione presunto dell’esercizio 2012 nella misura di euro 9.000.000,00, pari alla sommatoria degli importi destinati dagli artt. 13 e 14 alla riassegnazione dei residui passivi in conto capitale e di parte corrente. L’evidente correlazione con le suddette disposizioni comporta, infatti, un rapporto di chiara consequenzialità con la decisione assunta in ordine alle stesse.
7.– Per effetto della dichiarazione d’illegittimità costituzionale parziale degli artt. 13, comma 1, e 14, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2013, rimane assorbita la questione inerente alla pretesa insufficiente copertura dei fondi destinati alla riassegnazione delle spese relative ai residui perenti in conto capitale e di parte corrente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 13, comma 1, e 14, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 gennaio 2013, n. 3 (Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2013 – Bilancio pluriennale 2013-2015) nella parte inerente all’imputazione della spesa ai capitoli 323500 (U.P.B. 15.02.003) e 321920 (U.P.B. 15.01.002) del bilancio di previsione 2013;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2013 nella parte in cui contabilizza, nell’entrata del bilancio di competenza e di cassa dell’esercizio 2013, il saldo finanziario positivo presunto dell’esercizio 2012 nella misura di euro 9.000.000,00;
3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2013 nella parte in cui contabilizza, nella spesa del bilancio di competenza e di cassa dell’esercizio 2013, il saldo finanziario positivo presunto dell’esercizio 2012 nella misura di euro 9.000.000,00;
4) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Abruzzo n. 3 del 2013 nella parte in cui applica al bilancio di previsione 2013 il saldo finanziario positivo presunto dell’esercizio 2012 nella misura di euro 9.000.000,00.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2013.