Conseguenze della nullità

L’amministrazione non ha diritto di dare esecuzione ad un atto nullo ed i terzi non hanno dovere di conformarsi. Tutto cio’ che l’amministrazione o i terzi possono compiere in virtu’ di un atto nullo, non può considerarsi effetto dell’atto, ma si riconduce a semplici comportamenti, che dovranno essere considerati leciti o illeciti in sé stessi e non in relazione all’atto amministrativo.

Qualora un atto nullo è posto in esecuzione gli effetti debbono ritenersi come mai prodotti, e se sono stati lesi diritti soggettivi di singoli, l’attività svolta dall’amministrazione è da considerare illecita.

Il provvedimento amministrativo, ancorchè nullo, ha tuttavia una propria efficacia “interinale” (fin tanto che la nullità non venga accertata), solo riconoscendo la quale si rende possibile la stessa definizione dell’atto come provvedimento amministrativo dotato di imperatività e che, pertanto, si impone unilateralmente ai suoi destinatari ́ ́(Cons. Stato, sez. IV, n. 5799/2011 ).Questi ultimi non possono sottrarsi agli effetti dell’atto, ovvero agire come se l’atto non esistesse e/o fosse improduttivo di effetti, ritenendo ovvero opponendo la nullità dello stesso, ma, onde tutelare le proprie posizioni giuridiche, hanno il potere di agire in giudizio al fine di ottenerne la declaratoria di nullità. Ciò vale anche per la Pubblica Amministrazione, avverso provvedimenti emanati da altra autorità amministrativa ritenuti nulli, ed avverso i quali la prima amministrazione non è titolare di potere di autotutela (Si supera definitivamente l’orientamento della dottrina (Cerulli Irelli) che sosteneva “Rispetto ad un atto nullo, puo’ intervenire soltanto un atto meramente dichiarativo della nullità il quale, beninteso, non sarà mai necessario, poiché la nullità non richiede espressa dichiarazione, ma potrà talvolta essere opportuno, per certezza dei rapporti giuridici”).

L’azione volta all’accertamento della nullità è disciplinata dall’art. 31, D.Lgs. 104/2010.

E’ invece escluso che l’atto nullo possa essere oggetto d’annullamento, revoca o abrogazione. Queste ipotesi riguardano l’eliminazione di atti viziati nella legittimità o nel merito.

La Corte di cassazione ha affermato che, quand'anche non si volesse dare rilievo decisivo alla circostanza che l'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 contempla solo il potere della pubblica amministrazione di annullare d'ufficio i propri atti illegittimi e non pure quello di dichiararli nulli e si volesse viceversa sostenere che i principi di legalità e correttezza dell'agire amministrativo impongono comunque alla medesima amministrazione di vagliare anche d'ufficio l'eventuale nullità dei propri atti al fine di non dare corso ai relativi effetti, un tale potere avrebbe tuttavia un fondamento ed una portata,almeno per certi aspetti, diversi da quelli che caratterizzano l'annullamento in via di autotutela di cui al citato art. 21-nonies (Cass. SS.UU. 17 maggio 2013, n. 1210)

Infatti, la declaratoria in via di autotutela della nullità di un atto amministrativo, ove la si ammettesse, in null'altro consisterebbe se non in un'operazione di accertamento della radicale patologia di quell'atto, e pertanto dell'impossibilità che esso produca validamente effetti, con la conseguente affermazione della medesima amministrazione di non essere vincolata da tali effetti.
Ben diverso sarebbe il fenomeno dell'annullamento dell'atto in autotutela, in cui si esplica una potestà discrezionale, rimessa ad un'ampia valutazione di merito dell'amministrazione circa la sussistenza di ragioni d'interesse pubblico - concreto ed attuale - che eventualmente giustifichino la scelta di sopprimere un atto altrimenti destinato a rimanere pienamente efficace nonostante risulti affetto da vizi di legittimità. A differenza dell'accertamento della nullità, l'annullamento in via di autotutela si realizza quindi tramite una pronuncia avente efficacia necessariamente costitutiva, che modifica la realtà preesistente sotto il duplice aspetto di porre fine alla produzione degli effetti del provvedimento, fino a quel momento efficace ed esecutorio, e di eliminare quelli che l'atto abbia prodotto medio tempore dalla sua emanazione, da considerarsi come mai avvenuta.

Se invece si segue la tesi dell’efficacia interinale dell’atto amministrativo nullo, come appare orientato il Consiglio di Stato (Sez. IV n.1957/2012), l’azione di nullità condurrebbe ad una sentenza analoga a quella di annullamento e dovrebbe consentirsi il potere di autotutela della p.a. su un tale atto.

Il codice del processo ha previsto che la nullità dell’atto possa “sempre essere rilevata d’ufficio dal giudice”. La previsione normativa non può avere altro significato che l’attribuzione al giudice, analogamente a quanto previsto per le nullità civilistiche, di un potere di rilievo ufficioso a presidio di un interesse generale all’eliminazione dall’ordinamento di fattispecie pubblicistiche radicalmente in contrasto con lo stesso. Nel giudizio amministrativo di legittimità, a differenza che in quello civile, il potere di rilievo è utilmente esercitabile nell’interesse (anche del ricorrente), proprio, se non esclusivamente, nelle ipotesi di sopravvenienza del vizio, atteso che, in via generale, il carattere meramente giuridico della modificazione autoritativa della posizione giuridica del privato, il termine di decadenza, e l’identità di effetti della declaratoria di nullità rispetto alla sentenza di annullamento, finiscono per svuotare di contenuto la previsione, rendendo di fatto impraticabile il potere ufficioso di rilievo della nullità (Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2014 n. 993).

La riforma del 2005 (L. 11-2-2005, n. 15) attribuisce alla giurisdizione esclusiva del G.A. le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi che violino o eludano il giudicato. Tale previsione è contenuta nell’art. 133 del codice del processo amministrativo che, appunto, elenca le ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A.

 

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