I casi di nullità

Con la legge n. 15 del 2005 il legislatore, ha inserito (La L. 15/2015 palesa un favor nei confronti degli istituti ciclistici, che oltre dall’esame degli istituti dell’invalidità, emerge anche dall’esame dell’art. 1, comma 1 bis, della legge sul procedimento, art. 11 della medesima legge, dell’art. 20 sul silenzio assenso (che rende il silenzio modalità ordinaria dell’agere pubblico nei procedimenti ad istanza di parte di cui al comma 1), dell’art. 21 sexies sul recesso dai contratti) nel corpo della legge n. 241 del 1990 un intero capo (il IV bis) dedicato alla “efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso” ed in particolare l’art. 21 – septies della L. 241/90 che si occupa della nullità, tipizzando alcuni casi in cui ricorre, stabilendo che è nullo il provvedimento amministrativo che:

  • manca degli elementi essenziali;
  • che è viziato da difetto assoluto di attribuzione;
  • che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato;
  • nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.”

Pertanto, la nullità degli atti amministrativi ha assunto tre forme:

  • nullità strutturali, per carenza di un elemento essenziale;
  • nullità derivanti da un difetto di attribuzione. In passato considerato quale indicatore di “inesistenza” dell’atto amministrativo (e ciò a prescindere dalla condivisibilità o meno di tale categoria) è ora positivamente indicato quale causa di nullità del medesimo;
  • nullità testuali, nei casi espressamente previsti dalla legge.

Le cause di nullità del provvedimento amministrativo devono quindi oggi intendersi quale numero chiuso, hanno carattere tassativo, in contrapposizione al carattere virtuale di quella civilistica. Per cui qualunque illegalità non rientrate nell’art. 21-septies – salvo i residui casi di inesistenza da una parte di irregolarità dall’altre – comporta annullabilità dell’atto ai sensi dell’art. 21 octies c.1 della L. 241/90.

Tra le cause di nullità dell'atto amministrativo non è contemplato il contrasto con norme imperative; e ciò, come sottolineato dalla giurisprudenza, costituisce una soluzione di compromesso in considerazione del fatto che le norme riguardanti l'azione amministrativa, avendo carattere pubblicistico, sono sempre imperative (a differenza del diritto civile le cui norme sono di regola dispositive) e la comminazione della nullità per la loro violazione risulterebbe particolarmente pericolosa rispetto alle esigenze di certezza e di stabilità dell'azione amministrativa. Simili violazioni, pertanto, si convertono in cause di annullabilità del provvedimento, da farsi valere entro il breve termine di decadenza a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo e di certezza dei rapporti giuridici. ́ ́( Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2010, n. 1498 )

Resta priva di definizione normativa la categoria dell’inesistenza, che costituisce esclusivamente il frutto di quell’elaborazione dottrinale, secondo cui l’atto inesistente è un quid facti, giuridicamente irrilevante.
Mentre il provvedimento nullo è un provvedimento potenzialmente capace di produrre effetti e come tale rischia di essere erroneamente tradotto in realtà materiale, donde l'interesse ad agire per la dichiarazione di nullità; il provvedimento inesistente è invece un'entità giuridicamente irrilevante, incapace in radice di produrre alcun effetto materiale e relativamente al quale non è possibile neanche immaginare un interesse ad agire.
Va detto che in passato dottrina e giurisprudenza hanno a volte considerato le due forme di invalidità assoluta della nullità e dell’inesistenza come un fenomeno unitario, utilizzando la generale e onnicomprensiva definizione di “nullità-inesistenza” dell’atto amministrativo.
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 21-septies della legge n. 241/90 alcune delle ipotesi, che parte della dottrina aveva in passato inquadrato nella categorie dell’inesistenza sono state ricomprese dal legislatore nel concetto di nullità del provvedimento amministrativo (difetto assoluto di attribuzione, mancanza degli elementi essenziali dell’atto) e deve quindi ritenersi che la categoria dell’inesistenza sia oggi limitata a quei casi in cui la c.d. “inqualificazione giuridica” dell’atto sia evidente, quali ad esempio quello dell’usurpatore di pubbliche funzioni (art. 347 c.p.) o dell'atto ioci causa o docendi causa.


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