Consiglio di Stato, sez. IV, 4.2.2014, n. 496.
La disparità di trattamento può assumere il ruolo di figura sintomatica di eccesso di potere soltanto nel caso in cui le fattispecie poste a confronto sono assolutamente identiche

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8162 del 2011, proposto da:
Comune di Avellino, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Enzo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Enzo Maria Marenghi in Roma, p.zza di Pietra 63;
contro
Irpinia Building S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Abbamonte, con domicilio eletto presso Andrea Abbamonte in Roma, via degli Avignonesi, 5;
Provincia di Avellino, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Gennaro Galietta, Oscar Mercolino, con domicilio eletto presso Gianluigi Cassandra in Roma, via Gallia N. 86;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – SEZIONE STACCATA DI SALERNO - SEZIONE I n. 00774/2011, resa tra le parti, concernente APPROVAZIONE P.U.C. DI AVELLINO

Visti il ricorso in appello, il ricorso in appello incidentale ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Irpinia Building S.r.l. e di Provincia di Avellino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Di Giovanni, per delega dell'Avv. Marenghi, e Abbamonte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Salerno - ha preso in esame respinto il ricorso di primo grado integrato da motivi aggiunti proposto dalla odierna parte appellata, Irpinia Building S.r.l volto ad ottenere l'annullamento del decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 1 del 15.1.2008, pubblicato sul BURC n. 4 del 28.1.2008, recante l'approvazione definitiva del Piano urbanistico comunale (PUC) di Avellino della delibera del consiglio comunale n. 130 del 12.12.2007 con la quale erano stati ratificati gli esiti della conferenza di servizi ed approvato il PUC del comune di Avellino, nonché di tutti gli atti prodromici e connessi.
La società originaria ricorrente aveva esposto di essere proprietaria di un fondo sito in località Quattrograne, nel comune di Avellino (di estensione complessiva di mq 47091, riportato in catasto al foglio n. 42, part. nn. 222, 223, 358, 296, 2867, 2871, 2875, 2876, 2878, 2883, 2885, 2886, e acquistato in data 21.6.2006 con rogito, notaio D'amore, rep. n. 200015 racc. n. 27779).
Era insorta avverso relativi all'approvazione del PUC di Avellino prospettando svariate censure di violazione di legge ed eccesso di potere dolendosi della compressione dello ius aedificandi che il nuovo strumento urbanistico aveva introdotto a suo danno sui propri fondi, rispetto alla più ampia capacità edificatoria prevista dal precedente Piano regolatore generale (PRG) del comune di Avellino, approvato con D.P.G.R.C. n. 4750 del 28.5.1991.
A dimostrazione di tale assunto, aveva rammentato che il lotto di propria pertinenza era localizzato nel centro cittadino del comune di Avellino, a ridosso del centro storico della città: in particolare, l'area in questione distava circa ml 400 da Piazza Libertà, la piazza principale del comune e circa ml 300 dalla sede municipale ( in relazione all'area considerata,peraltro, erano presenti inoltre le opere di urbanizzazione primaria e secondaria).
Secondo il previgente PRG, i fondi della società appellata ricadevano nelle seguenti zone con rispettive destinazioni:
1. Ricostruzione del fabbricato (Villa Amendola) a parità di volumetria preesistente;
2. Ricostruzione fabbricati rurali esistenti a parità di volumetria (con possibilità di delocalizzazione del fabbricato rurale incluso nell'area da destinare ad uffici pubblici);
3. F2.1 "Zona per attrezzature terziarie e direzionali a scala comunale e territoriale; superfici mq 26.700, cubature realizzabili mc 89.804;
4. F2.6 "Zona per attrezzature ricettive a livello urbano"; superfici mq 3828, cubature realizzabili mc 9.570;
5. D4 "Zona produttiva per attività commerciali";Superfici mq 9982, cubature realizzabili mc 12.400.
Il totale di cubatura realizzabile sull'area in questione era pari a mc 111.774.
Nell'avversato nuovo PUC, l'intero lotto di sua proprietà era stato destinato a "zona di nuovo impianto NI05" con destinazione d'uso "residenza e terziario" ed un indice di edificabilità massimo di 0,4 mq/mq, con conseguente riduzione di oltre un terzo della volumetria massima assentibile rispetto al precedente strumento urbanistico 8° comprova di ciò allegando perizia tecnica di parte).
Il Tar ha in primo luogo esaminato -e disatteso- l'eccezione, sollevata dal comune d'improcedibilità ricorso, per sopravvenuta carenza d'interesse, a seguito di acquiescenza nei confronti dei provvedimenti oggetto d'impugnazione (motivata dalla circostanza che dopo l'approvazione del PUC, Irpinia Building aveva presentato una proposta di Piano urbanistico attuativo per un intervento edilizio sull'area in questione, approvata dall'amministrazione con provvedimento della giunta n. 596/2009 e decreto sindacale del 24.11.2009, proposta alla quale èeraseguito il rilascio, in data 14.12.2009, di due permessi di costruir ed i relativi lavori avevano avuto inizio l'8.1.2010 e sulle aree di cui trattasi era stata già realizzata una consistente parte degli interventi edilizi assentiti).
La reiezione dell'eccezione, ad avviso del Tar, si imponeva in quanto nessuna acquiescenza era ravvisabile: la richiesta, con esito positivo, della società di ottenere permessi di costruire in esecuzione del PUC, oggetto di ricorso, non era indicativa di acquiescenza, perché non era affatto in contrasto con l'interesse della originaria ricorrente alla riclassificazione dell'area con indici di volumetria superiori a quelli previsti dal PUC e già concessi al comune con i richiamati permessi ( ma, anzi, ne rappresentava una manifestazione ulteriore).
Nel merito, ha esaminato i primi due motivi di censura volti a criticare per illogicità difetto di istruttoria, eccesso di potere sotto varii profili sintomatici del Puc nella parte in cui quest'ultimo aveva classificato l'area predetta quale "zona di nuovo impianto" (NI), anziché quale "zona di riqualificazione urbanistica" (RQ).
Ciò era stato peraltro richiesto dal precedente proprietario ( al quale era subentrato la ricorrente Irpinia Building) con l'osservazione n. 195/2 al PUC, respinta illogicamente dal comune: ciò in quanto le aree in oggetto non avevano caratteristiche intrinseche, anche con riguardo alla loro ubicazione, di zone di nuovo impianto (NI), ma di riqualificazione urbanistica (RQ) come definite e normativizzate dal PUC.
Le difese del Comune sul punto, nel richiamare la lata discrezionalità pianificatoria spettante agli enti locali, erano incentrate sulla circostanza che l'area interessata era carente delle supposte urbanizzazioni primarie e sostanzialmente priva di quelle secondarie rispetto agli standard minimi stabiliti dalla normativa regionale, poiché gli interventi attuati nella zona non erano stati accompagnati dalla realizzazione dei relativi servizi e delle attrezzature d'uso pubblico.
Inoltre, sotto il profilo effettuale, la richiesta di attribuire all'area la destinazione a zone di riqualificazione (RQ) in luogo di zona di nuovo impianto (NI) avrebbe comportato come conseguenza l'automatico innalzamento dell'indice territoriale, per le RQ pari a 0,6 mq/mq in luogo dello 0,4 mq per le ZNI.
Il Tar ha scrutinato i detti argomenti di critica le correlative difese del comune, ed ha affermato il proprio convincimento secondo cui il mancato recepimento dell'osservazione n. 195/2 e la conseguente classificazione dell'area di pertinenza della originaria ricorrente Irpina Building quale ZNI appariva contraddittoria rispetto alle definizioni contenute nel Piano urbanistico comunale (definizioni queste, trasfuse dal progettista del piano nella relazione illustrativa, propedeutica alla redazione del piano medesimo).
Nella richiamata relazione illustrativa propedeutica alla redazione del piano le zone di riqualificazione erano state definite quali aree inserite all'interno del tessuto urbano centrale, aree periferiche e in alcuni casi marginali della città ("si tratta di vuoti all'interno di parti di città già urbanizzate").
Dalle tavole di zonizzazione, e da quelle di inquadramento generale del PUC, i suoli di proprietà di parte appellata costituivano l'unica area non edificata al centro di quartieri centrali ed in prossimità del centro storico della città.
Inoltre, l'art. 16 delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PUC definiva le zone di nuovo impianto (NI) quelle "parti del territorio non edificato nelle quali sono previsti interventi di ristrutturazione urbanistica", mentre le zone di riqualificazione (RQ) quelle "parti del territorio poste entro il tessuto urbano esistente, ancora in edificate o prevalentemente non edificate, pianificate o meno, nelle quali realizzare interventi di nuova edificazione".
Entrambe le zone erano classificate "di trasformazione" mediante il principio della perequazione urbanistica; per entrambe, le modalità attuative prevedevano il permesso di costruire convenzionato o altre procedure attuative previste dalle leggi vigenti, nonché la cessione di aree per servizi, in ossequio agli standards urbanistici.
Dall'allocazione logistica delle dette aree di pertinenza di parte appellata discendeva, ad avviso del Tar, che esse non avrebbero potuto essere incluse nella zona NI per la quale il PUC forniva la seguente definizione : "parti del territorio poste ai margini del tessuto consolidato della città, nelle quali obiettivo prioritario del piano è la configurazione dei limiti della città.".
Da tale ricostruzione discendeva che non costituiva indebito sindacato sulla lata discrezionalità del Comune pianificatore l'affermazione per cui il tipo di classificazione adottato per l'area in questione non fosse coerente con i principi, l'architettura e le definizioni stabilite nel PUC: la specifica destinazione impressa, ad avviso del Tar, ed i provvedimenti alla stessa sottesi, apparivano deficitari nella motivazione e contraddittori rispetto alle scelte poste nel PUC e concretavano altresì una disparità di trattamento in relazione alla classificazione da parte dello stesso PUC di aree simili a quelle di proprietà di parte originaria ricorrente.
Proseguendo nello scrutinio delle censure contenute nel mezzo di primo grado, il Tar ha ritenuto fondati il terzo e quarto motivo di ricorso nell'ambito dei quali si era censurata l'illegittimità del PUC per motivazione erronea, contraddittoria e sviata nonché per difetto d'istruttoria nella parte in cui, con riferimento ai detti fondi di pertinenza di parte appellata vi aveva attribuito la destinazione d'uso "Residenza e Terziario" anziché "Residenza con Piano Terra (P.T.) - Servizi alle persone (come in passato richiesto dal precedente proprietario con l'osservazione n. 195/1, respinta dal Comune in sede di adozione del PUC stesso).
Infatti, con la richiamata osservazione n. 195/1, formulata dal precedente proprietario al quale era subentrata l'odierna appellata, si era chiesto di modificare le previsioni del PUC, relativamente alle destinazioni d'uso, da "Residenza a terziario" a "Residenza con P.T. -Servizi alle persone": detta osservazione era stata accolta dai progettisti del PUC con il codice A7.
In particolare era stato ivi osservato che "dalle verifiche effettuate risultano corrette le osservazioni e i rilievi circa la nuova classificazione dell'edificio e dell'area normativa."
Pur a fronte di tale parere espresso dai progettisti l'osservazione era però rigettata dal consiglio comunale, con la delibera n. 18/13 del 23.1.2006, senza che venisse fornita adeguata motivazione ma col semplice rinvio "al documento della maggioranza relativamente al punto residenziale e terziario" nel quale è indicato che "l'incremento delle quote di residenziale comporterebbe una verifica di tutti gli standard urbanistici che allo stato non è possibile effettuare"
In via di principio (come segnalato dall'appellante comune) era ben vero che la reiezione delle osservazioni dei cittadini, - configurando queste ultime mero apporto collaborativo- non necessitavano di specifica ed analitica motivazione.
Senonchè, nel caso di specie, la specifica circostanza che il progettista avesse espresso favorevole parere all'accoglimento avrebbe imposto che il consiglio comunale, dovesse motivare in misura più approfondita e circostanziata le ragioni del diniego.
L'incongruità della motivazione reiettiva era palese laddove ivi si era fatta presente l'impossibilità di accogliere le osservazioni a causa dei tempi ristretti che non avrebbero consentito di condurre un'approfondita verifica tecnica sulle stesse, per il ricalcolo degli standards: da un canto infatti, tale verifica era già stata condotta dal progettista, (ma il consiglio comunale non ne aveva tenuto conto), per altro verso, una motivazione ancorata ad elementi di natura temporale e politica, del tutto estranei ai risvolti tecnici connessi all'osservazione, era da considerarsi certamente insufficiente ed incongrua.
Anche il terzo ed il quarto motivo di censura, quindi, sono stati accolti.
E' stata invece disattesa la quinta doglianza del mezzo di primo grado laddove si era sostenuta l'illegittimità del PUC per motivazione erronea, contraddittoria e sviata, nonché per difetto d'istruttoria, nella parte in cui, respingendo l'osservazione n. 195/5, avanzata dal precedente proprietario, non aveva calcolato, in aggiunta alla volumetria realizzabile sul fondo, la volumetria costituita da due edifici rurali insistenti sul fondo.
In punto di fatto era stato evidenziato che, all'interno dell'area interessata identificata dal PUC quale zona di nuovo impianto NI 05, ricadevano due edifici rurali, per entrambi i quali era stato anche espresso parere urbanistico favorevole per la ricostruzione ai fini della L. n. 219/1981 (e per uno dei quali era stata richiesta ed ottenuta sanatoria ai sensi della L. n. 47/1985 per ampliamento di volumetria).
Con la più volte citata osservazione n. 195/5, era stato chiesto che tali volumetrie derivanti dalla ricostruzione fossero convertite in Superficie lorda di pavimento (cd. S.P.L.) e fossero realizzate, insieme con le relative pertinenze, come approvate ai fini della legge 219/1981, in aggiunta alla SPL prevista per il comparto, con localizzazione a definirsi nello stesso comparto in funzione della disposizione finale da realizzarsi.
Il Tar non ha condiviso la tesi di parte appellata secondo cui, anche sotto tale specifico angolo prospettico, la reiezione dell'osservazione in parte qua era errata.
Ciò in quanto, pur dovendosi osservare che la ricostruzione dei due edifici danneggiati dal sisma non era preclusa dalle previsioni del PUC appariva corretta la tesi dall'amministrazione comunale secondo cui, nell'ambito di una zona omogenea (qual era il comparto NI05), non era possibile incrementare l'indice di utilizzazione territoriale per la ricostruzione dei due edifici. Per questa ragione appariva ragionevole che dall'indice di utilizzazione territoriale dovessero essere sottratte le superfici degli edifici esistenti o comunque da ricostruire, apparendo prevalenti le esigenze di non superare i limiti di densità edilizia fissati dal PUC nelle singole zone omogenee.
Ciò appariva giustificato e conforme alle definizioni generali contenute all'art. 1, punto 9, delle norme di attuazione del PUC, nelle quali era riportato che "Superfici territoriali e fondiarie asservite per il calcolo degli indici di edificabilità territoriale e fondiaria. In caso di frazionamento della proprietà di aree si fa riferimento, ai fini del calcolo delle capacità edificatorie, alla situazione esistente alla data di adozione del PUC, tenendo conto degli edifici già esistenti sulle medesime aree.
Nell'ambito di una zona omogenea suscettibile di trasformazione era stabilito un indice di utilizzazione territoriale (art. 1, punto 13 NTA) a mezzo del quale era stato stabilito il rapporto tra la superficie lorda edificata o edificabile e la superficie territoriale, rapporto che indica i metri quadrati di superficie lorda edificata o edificabile per ogni metro quadrato di superficie territoriale.
Il superamento di tale rapporto avrebbe vanificato le capacità edificatorie massime stabilite per ciascuna zona.
Alla stregua delle superiori considerazioni, è stata parimenti disattesa la sesta censura del mezzo di primo grado, laddove – con specifico profilo alla pretesa possibilità di ricostruzione di edifici danneggiati per effetto del sisma – era stato ipotizzato il vizio di disparità di trattamento sostenendosi che la reiezione dell'osservazione n. 195/5 non si giustificava alla luce della circostanza che altre osservazioni di analogo contenuto, avanzate da latri proprietari, erano state invece accolte.
Ciò in quanto le osservazioni riguardanti la possibilità di ricostruire gli edifici danneggiati erano solo in apparenza analoghe a quelle formulate dell'osservazione n. 195/5: il loro contenuto era invece diverso perché con le stesse si era chiesto di scorporare o stralciare dal perimetro del comparto dell'area di sedime relativa al fabbricato ricostruito o da ricostruire ( in tal modo evitando che si potesse beneficiare due volte dell'eventuale accoglimento dell'osservazione).
Conclusivamente, il primo giudice ha accolto in parte il mezzo di primo grado, respingendo invece le ultime due censure ivi prospettate.
L'amministrazione comunale odierna parte appellante, già resistente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure con l'appello presentato il 25 settembre 2011 ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell'appellata decisione.
Ha ripercorso le fasi procedimentali di approvazione del Puc ed ha (quarta censura) in primo luogo sostenuto che il mezzo di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato irricevibile in quanto tardivo, e comunque inammissibile, sostenendosi tale conseguenza (che erroneamente non era stata colta dal Tar) alla luce della circostanza che parte appellata non aveva impugnato tempestivamente la delibera comunale di adozione del PUC del 23 gennaio 2006 e la delibera (n. 18/2011) reiettiva dell'osservazione da essa presentata, resa in data 22.1.2006.
Ha ribadito anche l'eccezione di intervenuta acquiescenza (terzo motivo).
Nel merito con il primo motivo ha fatto presente che l'accoglimento del mezzo di fondava sulla omessa motivazione dell'azione amministrativa in ordine a quante e quali opere di urbanizzazione realizzare: sennonché la sentenza demolitoria produceva la conseguenza che non ne sarebbe stata realizzata alcuna.
La sentenza aveva poi (II censura) stigmatizzato il riferimento alla tempistica per calcolare gli standards: ma ciò si risolveva in una ingiusta privazione dell'amministrazione comunale del tempo necessario a calcolare gli standards.
Con la quinta doglianza ha sostenuto che l'accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso era errato, in quanto la delibera di reiezione delle osservazioni, non tempestivamente impugnata, era ormai immodificabile.
Nel merito, il terreno di pertinenza di parte appellata non poteva essere considerato zona di riqualificazione RQ in quanto tratta vasi di area carente delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (le zone di riqualificazione, invece, dovevano essere aree già urbanizzate).
Peraltro la scelta operata dall'Amministrazione non era "eccessivamente penalizzante" per parte appellata, in quanto le differenze in termini di potenzialità edificatoria tra l'una e l'altra destinazione impressavi era minima (0,2 mq/mq).
Anche il terzo e quarto motivo del mezzo di primo grado (erroneamente accolti dal Tar erano inammissibili in quanto oggetto di osservazione respinta con delibera n. 18/11 del 2006 rimasta inimpugnata): in ogni caso le affermazioni del Tar erano errate in quanto impingevano su scelte di merito insindacabili.
Parte appellata ha depositato una articolata memoria contenente appello incidentale (22 novembre 2011) chiedendo in primo luogo la reiezione dell'appello proposto dall'amministrazione comunale (in particolare negando di avere mai prestato acquiescenza all'operato di quest'ultima).
Ha in proposito sostenuto che il motivo formulato dall'Amministrazione sulla inammissibilità del mezzo di primo grado a cagione della omessa impugnazione della delibera di adozione del piano n. 18/13 del 2006 era innanzitutto nuovo e, poi, errato in diritto.
Nel merito ha chiesto la reiezione integrale del ricorso in appello: secondariamente, ha riproposto le originarie censure n. 5 e 6 del mezzo di primo grado respinte dal Tar, ed ha contestato la reiezione del petitum risarcitorio.
Era errato affermare che la statuizione demolitoria era stata pienamente satisfattiva degli interessi della parte appellata in quanto aveva trascurato di prendere in esame il ritardo discendente dalla circostanza che, in esecuzione della decisione demolitoria, il Comune avrebbe dovuto approvare una variante e che, medio tempore, la società appellata avrebbe certamente dovuto sostenere ulteriori costi.
A tale proposito ha quantificato i danni spettanti gli nella misura di € 2.857.040,00.
La Provincia di Avellino ha depositato una memoria adesiva all'appello proposto dal Comune, chiedendone l'accoglimento,
Alla camera di consiglio del 7.2.2012, fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della esecutività della gravata decisione proposta dall'appellante, la Sezione con ordinanza n. 00522/2012 ha preso atto della circostanza per cui "in sede di discussione all'odierna adunanza camerale l'appellante ha rinunciato al petitum cautelare e parte appellata ha dichiarato di rinunciare all'azione di ottemperanza proposta innanzi al Tar fino alla decisione del merito della causa da parte del Consiglio di Stato" ed ha pertanto dato atto della rinuncia all'appello cautelare
Alla odierna pubblica udienza del 9 gennaio 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio
DIRITTO
1.L'appello principale è infondato e va respinto. L'appello incidentale improprio è soltanto parzialmente fondato e deve essere parzialmente accolto, nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente parziale accoglimento del mezzo di primo grado.
1.1. Il primo profilo da esaminare, avuto riguardo all'ordine di priorità logica in relazione alle questioni dedotte nell'atto di appello principale, riguarda la esattezza – o meno- del capo della impugnata decisione che ha respinto la eccezione di inammissibilità del mezzo di primo grado a cagione di una supposta "acquiescenza" dell'appellata società (ovvero sopravvenuta carenza di interesse della stessa) alla determinazioni contenute nelle avversate delibere.
1.2 Ritiene il Collegio che la detta eccezione, riproposta in appello, non sia accoglibile.
Invero si rammenta il tradizionale orientamento della giurisprudenza secondo il quale l'interesse al ricorso, in quanto condizione dell'azione, deve sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 475/92). Si rammenta altresì che, per pacifica quanto condivisa opzione ermeneutica l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse si basa sull'accertamento da parte del giudice dell'inesistenza delle condizioni per l'adozione della decisione giurisdizionale domandata dal ricorrente a tutela di una concreta situazione giuridica di vantaggio. Essa consegue al verificarsi di una situazione tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, anche sotto il profilo strumentale e morale; tale circostanza va ovviamente accertata con il massimo rigore, al fine di impedire che la declaratoria di improcedibilità si trasformi in un sostanziale diniego di giustizia.
La persistenza dell'interesse va valutata considerando anche le possibili ulteriori iniziative attivate o attivabili dal ricorrente per soddisfare la pretesa vantata (ad esempio di natura risarcitoria) ovvero ogni possibile effetto pregiudizievole, anche indiretto, tuttora derivante dal provvedimento impugnato.
Già alla luce dei richiamati principi, e considerato che la supposta causa di inammissibilità/improcedibilità originaria del mezzo introduttivo riposerebbe (non già nell'adozione da parte dell'Amministrazione di iniziative asseritamente "contrarie" rispetto a quella gravata e da valutarsi nella loro portata oggettiva ma) ma nell'avere parte appellata presentato un piano che integrava conformazione alle delibere avversate, a circostanza che quest'ultima abbia a più riprese ribadito il proprio interesse alla decisione del ricorso (escludendo qualsiasi volontà di abbandonare il contenzioso) proponendo ricorso incidentale e avanzando anche in secondo grado il petitum risarcitorio impedirebbe di delibare favorevolmente la detta eccezione.


1.3. In ogni caso, nel merito, il Collegio esclude che nella condotta del privato che avversi un atto giudizialmente e, al contempo, nella incertezza sull'esito dell'azione giudiziaria comunque presenti una istanza conforme alla disciplina contenuta nelle deliberazioni avversate possa individuarsi acquiescenza.
Il privato, invero, posto nell'alternativa di non utilizzare del tutto un'area ovvero di utilizzarla nel modo e nei termini imposti dall'Amministrazione (seppur giurisdizionalmente contestati) ben può optare per una iniziativa che concreti il "male minore": non per questo perde interesse ad ottenere in via giudiziale un provvedimento migliorativo della propria posizione.

1.4. E' certamente infondata, poi, la eccezione/doglianza di tardività del mezzo di primo grado proposta dall'amministrazione comunale e motivata dalla circostanza che parte appellata non aveva impugnato tempestivamente la delibera comunale adozione PUC del 23 gennaio 2006 e la delibera reiettiva dell'osservazione da essa presentata, resa in data 22.1.2006.


1.4.1. Quanto al secondo profilo, si rammenta che, per costante quanto consolidata giurisprudenza – pienamente condivisa da questo Collegio che non ravvisa alcun motivo per mutare opinione sul punto"la mancata impugnazione della delibera di rigetto delle osservazioni al piano regolatore in itinere è irrilevante ai fini della corretta instaurazione del ricorsi proposto avverso la delibera di adozione del Prg, sia per la loro natura di forme di collaborazione alla formazione del piano regolatore sia per il loro assorbimento per effetto dell'intervenuta impugnazione del piano stesso."
(ex aliis T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 04 novembre 2004 , n. 5594)
Anche di recente costante quanto consolidata giurisprudenza (Cons. Giust. Amm. Sic. Sent., 19-12-2008, n. 1142) ha affermato che "ai fini della corretta instaurazione del ricorso proposto avverso la deliberazione del Consiglio comunale di adozione del p.r.g., non è necessario che il ricorrente impugni altresì l'atto di rigetto delle osservazioni da lui stesso eventualmente presentate nei confronti del piano regolatore "in itinere", dovendosi queste ultime ritenere assorbite nei motivi di impugnazione."
Ciò in quanto ( si veda ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 01-03-2010, n. 1176 )"le osservazioni del privato in un procedimento di formazione di un P.R.G., ovvero di variante allo stesso, hanno valore di mero apporto collaborativo e non costituiscono in alcun modo un onere per l'interessato, cosicché la mancata partecipazione al predetto procedimento non rappresenta acquiescenza e non determina alcuna preclusione quanto alla futura impugnazione dello strumento urbanistico stesso e/o dei suoi atti applicativi.".
In passato, si predicava addirittura la inammissibilità di una simile azione impugnatoria (Cons. Stato Sez. IV, 31-05-2003, n. 3041:"e' inammissibile, potendo le relative doglianze essere fatte valere solo nei confronti della delibera di approvazione del piano di lottizzazione, per costante orientamento giurisprudenziale, l'impugnazione della delibera di reiezione delle osservazioni ad una variante del P.R.G. incidente - tra l'altro - su aree incluse in un piano di lottizzazione.").
1.4.2. Per altro verso, e quanto al secondo profilo questa Sezione del Consiglio di Stato (Sez. IV, 15-02-2013, n. 921) ha costantemente ribadito il principio per cui "la mera adozione del piano regolatore , non ancora approvato, determina la facoltà, ma non anche l'onere di impugnazione ".
Posto che parte appellata ha tempestivamente gravato la delibera approvativa, nessuna preclusione può discendere dalla omessa impugnazione della delibera di adozione del Puc e di quella di rigetto delle osservazioni.
1.5.Le dette eccezioni/censure devono essere pertanto certamente disattese.

2.Sfrondato l'appello principale dalle dette doglianze, ben pochi argomenti restano da vagliare nel merito.
Il Comune, infatti, con riguardo al capo di sentenza accoglitivo della terza e della quarta censura, ha soltanto proposto l'argomento critico secondo il quale le valutazioni demolitorie del Tar si sarebbero fondate su un –non consentito- sindacato di merito (né l'intervento ad adiuvandum della Provincia ha consentito di apprezzare alcun argomento nuovo/integrativo rispetto alle dette censure) e/o avrebbero obliato che l'accoglimento dell'osservazione avrebbe imposto il ricalcolo degli standarsd, ed il Consiglio Comunale con un "documento di maggioranza" rimasto inoppugnato si era impegnato ed autovincolato a non accogliere osservazioni che avessero comportato il ricalcolo degli standards .
Quanto al capo di decisione che ha accolto le prime due censure, invece, se ne è sostenuta l'erroneità in quanto la classificazione di un'area sub zona di riqualificazione presupporrebbe che quest'ultima fosse provvista di opere di urbanizzazione.

2.1. Nessuna delle argomentazioni prospettate è suscettibile di favorevole delibazione.
2.2.Quanto a quelle attingenti la statuizione demolitoria e la della classificazione dell'area della ricorrente Irpina Building quale ZNI esse muovono da un sostanziale fraintendimento dei compiti affidati al pianificatore.
Questi non può ad nutum, richiamare una propria aspirazione futura e disporre la classificazione delle zone in termini distonici dalla oggettiva collocazione e vocazione delle stesse da quest'ultima discendente.
Per fare ciò, il Comune ricorre a due forzature: nega che sull'area vi fossero opere di urbanizzazione e decolora il dato della centrale collocazione dei fondi di pertinenza della ditta appellante incidentale.
Senonché: in ordine alla collocazione centrale (centralissima, per il vero) delle aree medesime, dubbi non vi sono né ve ne possono essere, come anche della conseguente circostanza che la detta area centrale non fosse del tutto priva delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (come invece apoditticamente affermato, senza peraltro punto contestare la perizia giurata della ditta depositata in atti).
Insomma: se si fa riferimento alla circostanza che "zona di nuovo impianto" (NI) secondo il PUC poteva essere: "parti del territorio poste ai margini del tessuto consolidato della città, nelle quali obiettivo prioritario del piano è la configurazione dei limiti della città." la semplice lettura delle tavole rende palese che la classificazione impressa è del tutto contraddittoria rispetto alla vocazione naturale dell'area medesima ( in effetti solitaria area non edificata al centro di quartieri centrali ed in prossimità del centro storico della città).
Non v'è stato pertanto nessuno straripamento di poteri nel rilevare l'errore: il Tar, con la sentenza gravata che si appalesa sul punto pregevole ed approfondita ha soltanto colto la distonicità tra "descritto e tipizzato" e "classificato" : e posto che non v'erano elementi straordinari od eccezionali (o almeno, non ne erano emersi né ne sono emersi nella presente sede processuale) per discostarsi dalla tipizzazione, e che ciò integrava una palmare disparità di trattamento rispetto ai proprietari delle aree prossime a quelle della ditta (ma anche di quelli in possesso di suoli effettivamente classificabili NI) il Tra ha correttamente accolto le censure.
2.3. Non miglior sorte meritano le doglianze proposte dal Comune ed avversanti i capi accoglitivi dei motivi tre e quattro del mezzo di primo grado: quanto a queste ultime, infatti, l'appello è ancor più fumoso ed inconsistente.
A fronte dell'affermazione di parte ricorrente sarebbe stato il Comune, innanzitutto a darsi carico di smentire la circostanza che di tale osservazione si prospettò da parte dei progettisti, l'accoglimento.
L'appellante amministrazione comunale aleggia dubbi su tale circostanza, non la nega direttamente, ma poi, indirettamente la conferma facendo presente che l'accoglimento dell'osservazione avrebbe imposto il ricalcolo degli standarsd, ed il Consiglio Comunale con un "documento di maggioranza" rimasto inoppugnato si era impegnato ed auto vincolato a non accogliere osservazioni che avessero comportato il ricalcolo degli standards.
2.3.1. Premesso che comunque nessun onere v'era di impugnare atti interni consiliari quale il "documento di maggioranza" mentovato dal Comune, deve evidenziarsi che la circostanza dell'avvenuto rilascio del parere favorevole all'accoglimento dell' osservazione non è dubitabile, e comunque sarebbe stato il comune, in ossequio al principio della "vicinanza alla prova" a doversi fare carico di smentirla puntualmente (il che non è affatto avvenuto).
Il Consiglio Comunale peraltro – come è logico- ben avrebbe potuto discostarsene: ciò purchè avesse fornito congrua motivazione.
Congrua, in questo caso, significa anche sintetica, ma comunque congruente con l'oggetto (id est: la esposizione di motivi contrastanti con la richiesta modifica della destinazione d'uso da "Residenza e terziario" a "Residenza con PT Servizi alle persone").
La richiesta modifica è stata disattesa, sostanzialmente per motivi di opportunità e contingentamento dei tempi di approvazione: ma ciò non può certo impingere con la legittima ( ed in questo caso addirittura corretta, ad avviso del tecnico pianificatore) aspettativa del privato che la classificazione corrisponda alle caratteristiche del bene in proprio possesso.
La censura del Comune è del tutto inaccoglibile.
3.La reiezione integrale dell'appello principale non esaurisce il compito del Collegio che deve farsi carico adesso di esaminare le censure riproposte nel proprio appello incidentale improprio da Irpinia Building avverso i capi della gravata decisone reiettivi del quinto e sesto motivo del mezzo introduttivo e del petitum risarcitorio.
4.Entrambe le – incidentalmente riproposte- censure sostanziali si legano alla reiezione della osservazione n. b.195/5.
In particolare, si reitera la tesi che vorrebbe calcolata, in aggiunta alla volumetria realizzabile sul fondo, la volumetria costituita da due edifici rurali insistenti sul fondo; si censura la disparità di trattamento rispetto ad analoghe posizioni e la contrarietà della reiezione rispetto alla stessa impostazione del PUC.
4.1. In punto di fatto risulta incontestato che all'interno dell'area interessata identificata dal PUC quale zona di nuovo impianto NI 05, ricadono due edifici rurali, per entrambi i quali era stato anche espresso parere urbanistico favorevole per la ricostruzioni ai fini della L. n. 219/198 (per uno di essi era stato altresì richiesto ed ottenuto sanatoria ai sensi della L. n. 47/1985 per ampliamento di volumetria).
L'osservazione n. 195/5, con la quale era stato chiesto che tali volumetrie derivanti dalla ricostruzione fossero convertite in Superficie lorda di pavimento (cd. S.P.L.) e realizzate, insieme con le relative pertinenze, come approvate ai fini della legge 2129/1981, in aggiunta alla SPL prevista per il comparto, con localizzazione a definirsi nello stesso comparto in funzione della disposizione finale da realizzarsi è stata disattesa sostanzialmente per un motivo fondamentale: posto che nell'ambito di una zona omogenea suscettibile di trasformazione era stabilito un indice di utilizzazione territoriale (art. 1, punto 13 NTA) col quale era fissato il rapporto tra la superficie lorda edificata o edificabile e la superficie territoriale (rapporto che indica i metri quadrati di superficie lorda edificata o edificabile per ogni metro quadrato di superficie territoriale) il superamento di tale rapporto avrebbe vanificato le capacità edificatorie massime stabilite per ciascuna zona.
Ciò è stato considerato legittimo dal Tar, che ha respinto la censura.
4.2. Il Collegio ritiene in proposito di evidenziare quanto di seguito.
4.2.1.Va rilevato innanzitutto non è stata seriamente contestata dall'appellante già sotto il profilo della prospettazione critica la reieizione da parte del Tar della censura incentrata sulla disparità di trattamento.
L'appellante ammette che le pratiche elencate si riferivano a situazioni non identiche, ma soltanto "pressoché identiche", con riferimento all'effetto finale, il che equivale ad ammettere la fondatezza della tesi reiettiva del vizio di disparità di trattamento, pur formalmente riproponendola.
Si rammenta in contrario senso, che per consolidata giurisprudenza (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 08-01-2013, n. 28) "l'esistenza di una disparità di trattamento da parte dell'amministrazione può costituire motivo di ricorso al G.A. soltanto in ipotesi di situazioni assolutamente identiche, gravando comunque sul ricorrente il relativo onere probatorio"; nel caso di specie la stessa appellante, pur riproponendo la censura, afferma che non v'era identità, ma similitudine (si trattava di osservazioni afferenti la rilocalizzazione) e, pertanto, la originaria e riproposta sesta censura va disattesa.
Il detto vizio di disparità di trattamento, pertanto, non può ritenersi sussistente.
4.2.2. Ritiene però il Collegio che sia meritevole di accoglimento la riproposta originaria quinta censura.
Quella esposta in senso reiettivo dall'amministrazione comunale (ed avallata dal Tar) non integra, neppure in senso puramente semantico una vera e propria "motivazione": in essa si descrive un effetto ( quello scaturente dalla richiesta modifica, sottesa all'osservazione, ove accolta).
Senonchè, non è possibile respingere una richiesta, facendo riferimento al preteso effetto che ne scaturirebbe dall'accoglimento.
Il punto sul quale occorre interrogarsi è – a monte- diverso e riposa nella legittimità o meno della richiesta modifica.
A tal proposito rileva quindi il Collegio che, non soltanto la reiezione della osservazione (e successiva formazione dell'are in senso difforme da quanto richiesto) si appalesa in sostanza priva di vera motivazione (il tetto massimo di volumetrie si determina nel Puc, ma non costituisce un dato immodificabile determinato a priori), ma che vi sono indici per ritenere (sia pure nel doveroso rispetto della discrezionalità dell'amministrazione che dovrà essere riesercitata) che la richiesta predetta si armonizzasse con le prescrizioni del Puc e che, quindi, fosse tutt'altro che illogica od inaccoglibile.
Ciò in quanto, come segnalato dalla stessa parte appellante, (pag. 26 dell'atto di appello) nelle premesse alla deliberazione n. 18/2006, si segnalava la necessaria funzionalità "all'opera di ricostruzione del sisma non ancora ultimata".
Se così è, appare fondata la tesi di parte appellante secondo cui il nascente Puc era funzionale al recupero degli edifici ricostruibili ex lege 14-5-1981 n. 219
(recante conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 19 marzo 1981, n. 75, recante ulteriori interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981. Provvedimenti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti), e che in vista di tale obiettivo non appare congruente una prescrizione che ingolbando i fabbricati in oggetto nell'area da destinare alla edificazione ammissibile, privava la parte titolare dei medesimi della possibilità di ricostruirli, ovvero di recuperare aliunde la volumetria agli stessi corrispondente.
E d'altro canto, il sopramenzionato art. 1, punto 9, delle norme di attuazione del PUC, "Superfici territoriali e fondiarie asservite per il calcolo degli indici di edificabilità territoriale e fondiaria. In caso di frazionamento della proprietà di aree si fa riferimento, ai fini del calcolo delle capacità edificatorie, alla situazione esistente alla data di adozione del PUC, tenendo conto degli edifici già esistenti sulle medesime aree" non differenzia gli edifici "esistenti" da quelli suscettibili di ricostruzione, di fatto privando di tale possibilità i proprietarii (il che, appunto, non appare congruente rispetto agli scopi del Puc medesimo).
4.3. Tale incidentalmente riproposta doglianza, conclusivamente, va accolta ed in parziale riforma della decisione di primo grado va anche sotto tale profilo accolto il mezzo di primo grado.
5. La domanda risarcitoria, invece, va disattesa per due motivi.
Il primo di essi riposa nella circostanza che l'amministrazione dovrà rideterminarsi quanto all'effetto demolitorio di cui al superiore capo 4 della presente decisione di guisa che, senza alcuna preclusione alla riproposizione eventuale del detto petitum la domanda non apparrebbe allo stato "procedibile" e neppure l'asserito danno sarebbe quantificabile.
Più radicalmente, però –nei termini prospettati nel gravame- la domanda risarcitoria reiterata nell'appello appare infondata in quanto confonde il "danno da ritardo" tout court dal ritardo quale voce risarcitoria che compone in senso quantitativo il danno risarcibile.
Danno da ritardo si ha allorchè, in funzione di una pretesa specifica essa viene disattesa e/o soddisfatta tardivamente mentre con un giudizio ex post si accerti che il bene della vita certamente spettava all'istante.
Nel caso di specie nulla di tutto ciò è ravvisabile: v'era una pretesa del privato che incideva sulla lata discrezionalità amministrativa esercitata nel momento pianificatorio.
La detta pianificazione, contraria all'interesse della parte odierna appellante incidentale è stato riscontrato essersi illegittimamente svolta: la pretesa di parte è stata riconosciuta fondata nei termini del difetto di motivazione, e non v'è dubbio che la stessa appellante incidentale avrà attribuito il bene della vita cui aspirava.
Ciò implica che in detta attribuzione (che avverrà con ritardo, -anche questo è indubitabile- rispetto a quando venne richiesta) il ritardo compone un quadro che, prima di esso, si struttura nella riscontrata illegittimità della pianificazione.
Quest'ultima –attività amministrativa assistita, come è noto dalla più lata discrezionalità – affinchè sia produttiva di danno dovrebbe essere riscontrata illegittima ed inoltre, ex art. 2043 cc, colposamente e/o dolosamente posta in essere.
Senonchè nessun elemento in tal senso è dato ravvisare: il comune respinse le richieste dell'appellante alla stregua di opzioni (non alterazione del Piano, rispetto della tempistica etc) non abnormi; finalizzò la tipizzazione dell'area non rispettando l'esistente e la vocazione naturale, come avrebbe dovuto, ma mirando ad un obiettivo finale in se non illegittimo né abnorme.
Non pare al Collegio possano nel caso di specie ravvisarsi gli estremi della responsabilità colposa, il che depone per la reiezione del petitum risarcitorio
6. Conclusivamente, l'appello principale è infondato e va respinto. L'appello incidentale va respinto, ad eccezione della quinta censura, che va invece accolta e conseguentemente, in parziale riforma della decisione gravata va accolto anche sotto tale profilo il mezzo di primo grado.
7. La natura e la particolare complessità della controversia consente la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge. Respinge l'appello incidentale, ad eccezione della quinta censura ivi proposta , che va invece accolta e conseguentemente, in parziale riforma della decisione gravata accoglie anche sotto tale profilo il mezzo di primo grado.

Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere

 

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