Sentenza 10/01/2017, n. 4 - Corte dei Conti - Sez. giurisdiz.Lazio Mancato esercizio del controllo analogo su società in house - Responsabilità

DIRITTO

Va preliminarmente affrontata la questione di giurisdizione eccepita dai convenuti sul presupposto che la B. Ambiente s.p.a. non sia società in house, in quanto non svolgente attività prevalente nei confronti dell’ente locale Comune di B. e come tale non sia soggetta a quel tipo di controllo, definito analogo dalla giurisprudenza, che comporta un nesso stringente con i poteri e le funzioni svolte dal medesimo ente nella sua veste di socio unico.

L’eccezione è palesemente infondata e come tale da respingere anche alla luce della nuova norma contenuta nell’articolo 12 del T.U. sulle società partecipate approvato con Dlgs. 175 del 2016

Deve innanzitutto precisarsi che la questione di giurisdizione portata all’attenzione del collegio non riguarda la responsabilità degli amministratori della B. Ambiente s.p.a., società partecipata dal Comune di B. in via totalitaria, soggetti che non stati neppure citati dalla Procura attrice, ma riguarda, a ben vedere, il potere esercitato dalla Procura contabile sulle attività anche di natura omissiva svolta da amministratori e funzionari di enti locali che, con colpa grave, avrebbero determinato la causazione di un ingente danno alla società partecipata, attualmente in stato di gravissima decozione, e come dichiarato in udienza di fallimento e, per essa, al Comune di B..

Compito del Collegio è, pertanto, quello di esaminare la condotta di detti amministratori, legati da un indiscutibile rapporto di servizio con l’ente locale, al fine di individuare quel nesso di causalità con il danno prodotto da considerarsi, in forza della partecipazione totalitaria dell’ente locale nella società partecipata, danno arrecato al patrimonio dello stesso ente locale e, entro tali confini, non può essere negata la giurisdizione di questo Giudice contabile. Allo stesso modo saranno esaminate le posizioni di tutti gli altri convenuti che, nelle rispettive qualità di amministratori e dirigenti di enti locali conferenti rifiuti in discarica, risultano aver prodotto con la loro condotta omissiva uno specifico danno alla partecipata e per essa al Comune di B., amministrazione diversa di quella di appartenenza e, pertanto, anche sotto questo profilo nessun difetto di giurisdizione di questa Corte può trovare fondamento (articolo 1 comma 4 legge 14 gennaio 1994 n. 20 e s.m.i.)

Tanto premesso, questo Giudice deve domandarsi, anche al fine di confutare le eccezioni difensive, se la società B. Ambiente s.p.a. possa considerarsi società in house dell’ente locale al punto da confermare l’equivalenza tra danno prodotto alla società e danno prodotto all’ente locale. Infatti, solo se questa equivalenza non fosse dimostrata, il danno subito dalla B. Ambiente rimarrebbe danno inferto ad un soggetto giuridico autonomo e distinto e l’azione della Procura contabile sarebbe allora limitata, secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, alle modalità di esercizio della partecipazione sociale da parte del socio pubblico, restando la questione del danno subito dalla società questione rimessa alla giurisdizione del Giudice ordinario.

La difesa dei convenuti ha sostenuto anche la tesi che, non potendosi configurare la B. Ambiente come società in house, essi non erano tenuti a nessun tipo di controllo, per cui nessuna omissione sarebbe loro imputabile rispetto alle determinazioni di un soggetto partecipato dall’ente pubblico sul quale essi non avrebbero avuto competenze collegate al rispettivo rapporto di servizio.

La verifica compiuta da questa Collegio porta, invece, ad affermare che la società B. Ambiente s.p.a. debba pienamente considerarsi società in house del Comune di B.. (Di recente questa Sezione ha sostenuto la medesima tesi cfr. Sezione Lazio n. 367 del 6 agosto 2015, ulteriormente confermata da Sezione Lazio n. 158/2016 cui si rinvia).

Per società in house deve, infatti, intendersi, secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia della CE, come recepita da ultimo da Cass., Sez. un., n. 26283 del 2013, una società “le cui azioni non possono per statuto appartenere neppure in parte a soci privati, il cui oggetto sociale prevede un'attività da prestare prevalentemente in favore dell'ente pubblico partecipante e che, sempre in base ad apposite previsioni statutarie, siano assoggettate ad una minuziosa forma di controllo, definito analogo, da parte del socio pubblico così da implicare una subordinazione dei suoi organi amministrativi alla volontà di quello al punto da renderle assimilabili ad una sua articolazione interna”.

Giova, quindi, illustrare le caratteristiche statutarie della società in questione.

La B. Ambiente è stata costituita espressamente quale società a totale capitale pubblico (art.7, lett. A dello Statuto del 2008; art.1, comma 2, dello Statuto del 2009), ed il capitale è stato conferito unicamente dal Comune di B., che ad oggi è socio unico; non si è mai realizzata l’entrata di altri soci, i quali, peraltro, per previsione statutaria (art. 7 dello Statuto del 2008, art.7 dello Statuto del 2009), possono comunque essere costituiti unicamente da Enti Locali (per lo Statuto del 2009 gli “Enti locali della Provincia di Roma, ovvero ulteriori organismi pubblici la cui attività ed esperienza possano offrire opportunità favorevoli al pieno raggiungimento degli scopi sociali”).

Sussiste, dunque, la prima caratteristica dell’affidamento in house, cioè la partecipazione totalitaria pubblica, senza alcuna previsione dell’ingresso di soci privati (Corte di Giustizia CE, Sez. I, sentenza 11 gennaio 2005 – Causa C-26/03, punti 49 e 50; Corte di Giustizia CE, Sez. I, sentenza 6 aprile 2006, Causa C-410/04; Corte Giustizia C, Sez. III, sentenza 10 settembre 2009, Causa C-573/07, punti 50 e 51.

 

Inoltre, per l’art. 4 dello Statuto del 2009 “La società ha come scopo primario la gestione degli impianti destinati al servizio di discarica”, nonché la serie dei servizi pubblici indicati di seguito - gestione integrata delle risorse idriche ed energetiche, gestione dei servizi ambientali, delle farmacie comunali, dei parcheggi a pagamento, dei servizi socio assistenziali rivolte a varie categorie disagiate, dei servizi di trasporto pubblico locale e di trasporto scolastico), con l’espressa previsione (art.4., punto 1, terzo cpv.) che “L'attività prevalente dovrà comunque essere quella che viene svolta per i servizi in house, ovvero svolta per il Comune e per gli altri Enti Pubblici che diventeranno soci della società”; il servizio affidato rientra tra i servizi pubblici essenziali e (art.4 Statuto del 2009) non è previsto l’espletamento di attività imprenditoriali se non “in via non prevalente”.

Come è noto, la riserva statutaria della “attività prevalente” è direttamente conseguenziale all’obbligo, gravante sull’Amministrazione, nel solco della giurisprudenza comunitaria che ha nel tempo definito tale modello di gestione come alternativo alla gestione diretta del servizio, di garantire che con tale modello organizzativo, che concreta sostanzialmente una forma di affidamento diretto, non siano lesi il principio di libera concorrenza e le norme anche comunitarie che lo tutelano.

Dall’esame documentale compiuto, si evince che, viste la molteplicità delle attività svolte dalla società partecipata in questione a favore del socio unico Comune di B., anche il requisito dell’attività prevalente può considerarsi sussistente e ciò a prescindere dal fatto oggettivo della provenienza dei maggiori ricavi, essendo rilevante la tipologia, la quantità e la qualità dei servizi offerti alla popolazione braccianese rispetto ad un unico servizio svolto a favore di una molteplicità di enti locali conferenti rifiuti nella discarica gestita dalla medesima società.

Né può essere accolta l’eccezione difensiva che fa leva sulla nuova direttiva comunitaria 2014/24/UE che ha, invece, riaffermato che per attività prevalente (art. 12 1°par. lettera b) deve proprio intendersi che l’80% delle attività della persona giuridica controllata siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidata dall’amministrazione controllante, dovendosi intendere il riferimento al fatturato totale medio come quello conseguito nei specifici settori di attività e non con riferimento al volume totale del fatturato.

La sussistenza del requisito dell’attività prevalente fa scaturire due importanti conseguenze: la prima è che i soggetti ricoprenti funzioni principali nel Comune di B. avrebbero dovuto prestare una maggiore attività di controllo sia nel momento dell’affidamento dei servizi sia nel momento della previsione delle risorse da destinare alla gestione dei medesimi.

Per quanto riguarda l’affidamento dei servizi avvenuta senza il regolare espletamento della gara in via diretta alla società partecipata, ciò avrebbe imposto la istituzione di un controllo stringente di tipo analogo, mentre per quanto concerne la destinazione di risorse alla società partecipata per la gestione dei servizi, ciò avrebbe comunque richiesto una forma di monitoraggio sui costi dei servizi e sulle modalità delle prestazioni tali da evitare continui e costanti fenomeni di sforamento delle risorse e necessità di ricorso alle delibere di riconoscimento di debiti fuori bilancio, per quanto concerne l’ente locale, e a continue ed onerose cessioni di crediti ad istituti bancari da parte della società partecipata per recuperare quella liquidità necessaria al funzionamento della stessa.

In entrambi i casi, sarebbe stato necessario istituire uno specifico organo di controllo all’interno dell’ente locale deputato al monitoraggio delle attività della società partecipata, come peraltro segnalato fin dalla relazione sul rendiconto 2006 dal Collegio dei revisori dei conti che già in quella sede richiedevano proprio l’istituzione di una struttura di controllo analogo di cui all’articolo 113 del T.U.E.L. n 267/2000.

Anche la questione della mancata previsione statutaria di un controllo di tipo analogo per la B. Ambiente è mal posta dalla difesa, la quale pretende di derivarne, applicando lo stesso principio che la Corte di cassazione utilizza per scriminare la giurisdizione sull’azione sociale di danno, che la B. Ambiente non sarebbe stata, nel periodo considerato, una società in house perché nessun procedimento o ufficio competente per l’esercizio del “controllo analogo” era istituito, né tale forma di controllo era espressamente prevista dallo Statuto dal 2009 fino al 2013, essendo essa statutariamente prevista solo antecedentemente e successivamente, cioè nello statuto del 2008 fino alle modifiche del 2009, e, successivamente, in quello del 2013, e, conseguenzialmente, i convenuti sarebbero stati esenti da ogni dovere di controllo su di essa.

Tale impostazione non può essere condivisa.

Appare indubitabile la realtà di fatto (e di diritto) che la B. Ambiente è stata costituita come (ed era, al tempo dei fatti) una società interamente partecipata da capitale pubblico, creata ai fini dell’affidamento diretto del servizio pubblico di gestione della discarica, con obbligo statutario di mantenere tale attività quale “attività prevalente” da prestarsi a favore del socio pubblico, senza possibilità di ingresso di soci privati, e dunque nella perfetta realtà del modello organizzativo dell’in house providing.

Dacchè ne consegue l’obbligo giuridico di istituire tale organo di controllo all’interno dell’ente lcoale.

Tale forma di controllo è, cioè, “una condizione delle pubbliche autorità che la costituiscono per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione>>, come espressamente la qualifica la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE, Sez. III, sent.. 29 novembre 2012, cause C-182/11 e C-183/11, punto 33). Il che vale a dire che, in mancanza di uno dei requisiti in presenza dei quali la società partecipata dall’ente pubblico può operare in regime di in house providing, l’affidamento diretto del servizio operato a favore della società medesima non è legittimato, e, qualora la società perda tali requisiti, la conseguenza è che essa non potrà più risultare affidataria diretta di servizi pubblici locali da parte degli enti soci, perché gli stessi affidamenti in essere risultano privi delle condizioni essenziali per il loro mantenimento, e che nasce il dovere dell’amministrazione di riportare la situazione di fatto a quella di diritto, o istituendo una tale forma di controllo - ponendo in essere la condizione per la operatività di un tale affidamento -, ovvero rilasciando il servizio nell’ambito del pubblico mercato, e, dunque, affidando il servizio nel rispetto della normativa sugli appalti, come la giurisprudenza amministrativa ha sempre affermato.

Tale dovere di adeguamento grava sulla pubblica amministrazione incondizionatamente, in ogni fattispecie in cui essa realizza affidamenti in house, in quanto non può certo affermarsi che la pubblica amministrazione in tali fattispecie (cioè quando l’ente conceda direttamente la gestione di un servizio ad una propria società costituita ad hoc, in deroga alle norme sugli appalti) possa conservare la scelta discrezionale sul se sottoporre la suddetta società al “controllo analogo” o meno, perché ciò significherebbe consentire alla pubblica amministrazione una piana elusione dei principi medesimi (e delle norme sugli affidamenti diretti), realizzabile semplicemente con la “scelta” di non istituire un controllo analogo, scelta che, molto più propriamente, si qualifica come violazione delle norme comunitarie sugli appalti e sugli affidamenti diretti.

Pertanto, una volta realizzato l’affidamento diretto alla B. Ambiente, e nella sussistenza di tutti i presupposti oggettivi perché la società sia inquadrabile nel modello organizzativo della società in house, rimane certo che tale controllo deve necessariamente essere previsto e istituito dal Comune.

Viceversa, il Comune di B. nel periodo in cui non aveva previsto nello statuto la creazione di un organismo siffatto è rimasto (seppure illegalmente) nella situazione come da lui determinata, e cioè ha realizzato un affidamento diretto dei servizi alla B. Ambiente, e ne ha mantenuto le caratteristiche dell’in house providing, tutte tranne quella di aver provveduto a controllare adeguatamente la società

Correttamente, pertanto, la Procura pone a fondamento dell’addebito il dovere da parte del Comune di esercitare una forma di controllo sulla società, anche indipendentemente dalle previsioni statutarie (cioè anche nei periodi in cui esse non lo disciplinavano espressamente), ed anche in forma atipica (svincolata dalle modalità tipiche di un controllo analogo), e basa gli addebiti di cui alla seconda e terza fattispecie dannosa proprio sul fatto che esso non sia stato esercitato e sulle conseguenze dannose di tale omissione.

Risolta la questione di giurisdizione, devono affrontarsi le altre questioni preliminari prospettate dalle difese di alcuni convenuti

Innanzitutto alcuni hanno prospettato la nullità e/o inammissibilità dell’atto di citazione in giudizio, ai sensi dell’articolo 5, 1 comma D.L. n. 453/93 e successive modifiche ed integrazioni, perché depositato dopo lo spirare del termine dei centoventi giorni decorrenti dalla scadenza del termine assegnato per la presentazione di controdeduzioni>all’invito a dedurre. E’stato precisato, pure, che l’invito a dedurre, pur essendo unico, racchiude una pluralità di fattispecie dannose per cui non può assumersi che l’ultima notifica pervenuta segni il termine del dies a quo per l’emissione della citazione.

A tal proposito occorre precisare che la Procura attrice, a fronte di una così articolata ed estesa istruttoria che ha avuto come oggetto unico la decozione della società B. Ambiente e con essa l’enorme perdita di risorse pubbliche del Comune di B., socio unico della predetta società in house, ha formulato le ipotesi di danno erariale contestandole a una platea alquanto cospicua di soggetti con un unico invito a dedurre proprio allo scopo di avere, al termine dell’istruttoria, un quadro il più possibile esaustivo delle vicende e soprattutto delle connesse responsabilità.

In tali casi, le Sezioni Riunite di questa Corte (sentenza n. 1/QM/2005) hanno affermato il principio, conseguenziale alle finalità dell’adozione di un unico e contestuale invito a dedurre, che il termine previsto dall’articolo 5, primo comma, del D.L. n. 453/93 e successive modifiche ed integrazioni, decorra dalla scadenza del termine per produrre deduzioni dell’invitato che per ultimo è stato raggiunto dalla notifica dell’invito.

Nel nostro caso, l’invitato M.P.A ha ricevuto l’invito dell’11 marzo 2014 in data 10 luglio 2014, per cui il termine di trenta giorni assegnato dalla Procura per produrre deduzione, considerata l’applicabilità della sospensione feriale dei termini anche al termine di cui si discute (SS.RR. n. 7/QM/2003 ma anche pacifica giurisprudenza delle tre sezioni centrali di appello), aveva scadenza in data 24 settembre 2014. L’esame istruttorio conseguente al ricevimento di tutte le deduzioni e di tutte le audizioni correttamente svolte ha reso necessario, in data 22 gennaio 2015, la formulazione da parte della Procura di un istanza di proroga di questo primo termine di centoventi giorni in scadenza, proroga di ulteriori centoventi giorni accordata con ordinanza di questa Sezione n. 1/2015 per cui l’atto di citazione, depositato in Sezione in data 20 maggio 2015, deve ritenersi tempestivo con reiezione di tutte le eccezioni di inammissibilità prodotte con questa motivazione. Importante ai nostri fini è, infatti, la data di deposito della citazione in Sezione, non avendo alcuna rilevanza, ai fini della tempestività dell’azione, la successiva attività di notifica rimessa ad altri soggetti e i cui tempi di realizzazione non incidono sull’attività demandata all’attore.

Ulteriore eccezione di inammissibilità dell’atto introduttivo mossa da alcuni convenuti ha per oggetto il rapporto tra contenuto della citazione ed invito a dedurre sotto il profilo denunciato sulla base del quale la Procura non avrebbe tenuto in considerazione le deduzioni difensive, privando così di reale contenuto e significato l’atto preprocessuale inviato.

In merito, il Collegio non può che richiamare l’univoca posizione giurisprudenziale secondo la quale l’invito a dedurre ha una duplice funzione, la prima di assicurare la massima completezza istruttoria per evidenti ragioni di economia processuale, la seconda di consentire al presunto responsabile di svolgere le proprie argomentazioni a difesa al fine di pervenire all’archiviazione della vertenza. All’invito, quindi, non può essere riconosciuta alcuna funzione volta ad instaurare una contrapposizione dialettica tra Pubblico Ministero e persone invitate a fornire deduzioni, funzione questa propria del giudizio che si instaura dinanzi ad un Giudice terzo, per cui nessuna lesione del diritto di difesa può realizzarsi in questa fase (vedi Sezione Lazio n. 989/2010, Sezione 3^appello n. 746/2010 ecc.).

Corollari di questo principio giurisprudenziale, sono da un lato, quello della non necessaria piena corrispondenza tra invito a dedurre e citazione, essendo anzi fisiologico che sussista una difformità di fatti e valutazioni, se non altro in relazione a quanto dedotto dagli interessati, purchè rimanga immutato il nucleo essenziale del petitum e della causa petendi; dall’altro lato la giurisprudenza ha escluso l’obbligo di motivazione del procuratore citante in ordine alle deduzioni ed eventuali documenti prodotti dall’invitato, potendo la non condivisione delle ragioni opposte risultare dal contenuto della citazione o persino per facta concludentia (sul punto cfr. SS.RR. di questa Corte n. 7/98, Sezione Lombardia n. 3242009, Sezione Terza di appello n. 52/2013 ecc.).

Per tale ragione va disattesa l’eccezione proposta e correlativamente anche l’altra formulata con la quale viene contestata la genericità ed indeterminatezza dell’atto di citazione, essendo le difese che l’hanno formulata spiegato in maniera più che congrua la propria difesa, mostrando così di essere pienamente consapevoli dell’addebito di responsabilità formulato. Ovviamente l’addebito contestato ha riguardo ai contenuti dell’atto di citazione, per cui vanno accolte le eccezioni di inammissibilità di contestazioni nuove avvenute con la recente memoria di replica da parte della Procura regionale: in particolare per i soggetti convenuti del Comune di B. è da considerarsi inammissibile la contestazione per mancato pagamento di interessi moratori (1^ipotesi dannosa dell’atto di citazione).

Ulteriore eccezione mossa da alcuni convenuti è quella di prescrizione basata sul fatto che le fatture di addebito degli interessi moratori si riferirebbero a periodi pregressi sui quali si sarebbe maturata la prescrizione e comunque, in assenza di richiesta esplicita, quantomeno tutte le fatture emesse fino all’anno 2009 compreso sarebbero prescritte.

Anche tale eccezione è infondata, in quanto la dazione degli interessi moratori, come si dirà nella parte di merito, è strettamente collegata alla sorte capitale e il semplice ritardo oltre tutti i termini indicati da usi e consuetudini con il quale sono stati effettuati i pagamenti o per quelli che ancora devono effettuarsi, genera, in assenza di pattuizione scritta, l’obbligazione accessoria degli interessi. La Procura, d’altra parte ha considerato prescritte le richieste di interessi moratori contenuti in fatture emesse oltre il quinquennio dagli atti di costituzione in mora dei convenuti risalenti al periodo dicembre 2013- marzo 2014 per cui sono state calcolate negli addebiti mossi ai singoli convenuti soltanto le fatture emesse a decorrere dall’anno 2009 con rideterminazione della quota di danno attribuita in citazione rispetto a quanto contestato in sede di invito a dedurre.

Questione preliminare è anche quella fatta presente dai convenuti C. e M. per il comune di M.R. che hanno evidenziato l’errore materiale sui totali esposti nella tabella di pagina 63 della citazione che però non inficia la richiesta di addebito nei loro confronti esattamente riportata sia in tabella nella parte relativo all’addebito erariale che nella richiesta finale.

Ugualmente da respingere anche l’eccezione di mancata concretezza ed attualità del danno in quanto lo stesso sarebbe stato azionato in sede civile con la richiesta di decreto ingiuntivo da parte della società B. Ambiente alla quale hanno fatto opposizione una serie di enti locali i cui responsabili pro tempore sono stati convenuti dalla Procura.

Il Collegio, in merito, afferma che allo stato attuale il danno è concreto ed effettivo perché collegato a precise fatture della B. Ambiente che risultano ancora non onorate, come dichiarato alla Guardia di Finanza dagli attuali funzionari degli enti locali che hanno confermato l’evidenza contabile. Il dato oggettivo della incardinazione di un giudizio civile risarcitorio da parte della società Bracciano Ambiente non è preclusivo dell’esercizio dell’azione di responsabilità erariale in quanto, come la giurisprudenza ha sempre affermato fin da Corte costituzionale n. 773/88, non esiste una giurisdizione esclusiva in materia di danno arrecato ad una pubblica Amministrazione, ben potendo coesistere due diverse azioni risarcitorie, entrambe sino a quando attraverso una sola delle due azioni sia stato integralmente conseguito il bene della vita oggetto delle domande. La problematica in esame è, quindi, stata sempre risolta in termini di procedibilità della domanda, nell’unico senso che l’avvenuta liquidazione del danno in sede civile comporta il non luogo a provvedere di questa Corte per sopravvenuta carenza di interesse (vedi Sezione 2^appello n. 26/2013, Sezione Lazio n. 738/2010). Nella specie nessuna preclusione risulta intervenuta in quanto il danno contestato non è stato minimamente recuperato e quindi è quanto mai concreto ed attuale. Né può avere alcuna rilevanza la deduzione di coloro che sostengono che neppure dinanzi al Giudice ordinario la somma dovuta alla partecipata sia ancora esattamente determinata: infatti l’azione erariale, come si è detto, muove dalle fatture che ancora risultano non onorate e l’addebito riguarda i soggetti che a vario titolo hanno ricevuto le fatture e non hanno provveduto al pagamento delle stesse, pur avendole contestate e su queste ragioni il Collegio avrà successivamente modo di soffermarsi per dichiararle infondate.

Né alcun fondamento può avere l’asserzione difensiva in ordine ad una competenza esclusiva del Giudice del fallimento, in quanto, a prescindere da quello che la società B. Ambiente riuscirà a recuperare in quella sede, e per essa ciò che riuscirà a recuperare il comune di B., il danno, come sopra precisato, è attuale ed eventualmente di ciò che verrà pagato in esecuzione del presente provvedimento se ne terrà conto in sede esecutiva fallimentare.

Respinte in tal modo le questioni preliminari principali e le obiezioni di carattere generale mosse da parte di tutti i convenuti, devono esaminarsi separatamente le posizioni degli stessi, in relazione agli addebiti rispettivamente contestati.

Per quanto riguarda la prima posta dannosa, quella ricollegabile al mancato versamento di interessi moratori per complessivi €. 529.738,91 ed attribuita pro quota a ventisei soggetti facenti parte dei comuni di ....e Unione dei comuni ... , ciascuno responsabile nella misura indicata in citazione, l’istruttoria compiuta ha portato ad affermare la responsabilità di tutti i convenuti, tranne due, che, in relazione all’incarico ricoperto nell’ente locale di appartenenza in un determinato periodo storico non coperto dall’eccepita prescrizione quinquennale per le tempestive costituzioni in mora eseguite, sono risultati essere a conoscenza della problematica e, pur potendo intervenire, non lo hanno fatto per inescusabile e superficiale inerzia e negligenza. Né possono accogliersi le deduzioni difensive in ordine a carenza di risorse o situazioni croniche finanziarie deficitarie in quanto, vista la necessità del servizio pubblico da assicurare, la stipulazione di contratto di servizio da un lato e la previsione in bilancio delle necessarie risorse da stanziare avrebbero consentito un ordinato svolgimento del servizio con adeguata remunerazione della società B. Ambiente.

In merito è sufficiente richiamare le numerose missive, tra cui la n. 672 del 20 giugno 2008 nella quale si evidenziava la chiara ed univoca posizione di tutti gli enti autorizzati a conferire i rifiuti in discarica a non concludere contratti di servizio proprio per eludere l’assunzione di precise responsabilità sia in termini di spesa che di fissazione di precisi termini di pagamento. Stessa situazione viene evidenziata nelle missive prefettizie del luglio 2008 e 2009 dove i comuni morosi vengono diffidati a concludere contratti ma senza esito ed ancora nelle missive del 2010 del Presidente della B. Ambiente che lamenta l’accumularsi di una pesantissima esposizione debitoria dei comuni conferenti. Come già detto, l’inerzia nella conclusione dei contratti configura un danno per il Comune di B., Amministrazione diversa da quella di appartenenza dei soggetti citati.

Il Collegio ha l’onere di precisare che in tutti i rapporti contrattuali che devono obbligatoriamente concludersi con l’adozione di un contratto devono essere osservate le ordinarie procedure di spesa previste dagli articoli 182 e ss. del Testo unico degli enti locali approvato con decreto legislativo n. 267/2000: tale procedura prevede l’assunzione dell’impegno di spesa da parte del dirigente responsabile del servizio che deve essere acquisito dall’esterno, il quale valuterà le necessità locali e curerà la fase del perfezionamento dell’obbligazione, tenuto conto delle risorse a disposizione nel relativo capitolo di bilancio che gli è stato affidato. Successivamente alla fase dell’impegno e della liquidazione della spesa, c’è la fase di ordinazione con la predisposizione del mandato di pagamento che deve essere controllato con specifica responsabilità contabile da parte del Responsabile dell’area economico finanziaria che, con il suo visto, ordina al tesoriere dell’ente il pagamento della somma di denaro.

L’istruttoria compiuta ha dimostrato che questo normale procedimento di effettuazione della spesa per conferimento rifiuti in discarica è stato completamente disatteso: innanzi tutto è mancata la stipula di un regolare contratto e con essa il perfezionamento dell’obbligazione in capo ad entrambe le parti contraenti; successivamente la prestazione richiesta non ha avuto come riferimento il capitolo di bilancio e quindi lo stanziamento necessario di fondi destinato a dare adeguata copertura finanziaria al servizio richiesto. Tutto ciò ha determinato inevitabilmente la mancata remunerazione del servizio comunque fruito dall’ente locale richiedente il quale, basandosi sull’erroneo presupposto della mancanza di contratto, ha ritenuto possibile prorogare sine die la dazione delle somme di denaro che venivano comunque richieste dietro emissione di fattura dalla

società B. Ambiente e dietro precisi impegni assunti da tutti gli enti in sede di conferenza di servizi.

Pretestuosa, quindi, è l’eccezione difensiva secondo la quale non vi sarebbe stata alcun assunzione di precisi impegni da parte dei comuni conferenti rifiuti in discarica.

Appare, pertanto, corretto a questa Corte la chiamata in giudizio da parte della Procura regionale di tutti i soggetti che, in relazione all’arco temporale di preposizione agli Uffici dell’ente locale, sono risultati responsabili delle omissioni degli atti di formazione della spesa che avrebbero dovuto essere obbligatoriamente assunti (art. 191 TUEL richiamato) e quindi il responsabile dell’area tecnica a cui era demandata la conclusione dell’obbligazione giuridicamente perfezionata, il responsabile dell’area economico finanziaria che avrebbe dovuto verificare la capienza dello stanziamento nel pertinente capitolo di spesa e non da ultimo ma in primis del Sindaco che, come capo dell’Amministrazione comunale, sovrintende al regolare svolgimento dei servizi pubblici anche al fine della verifica degli obiettivi assegnati ai dirigenti dei singoli uffici. Tutti i soggetti suindicati sono stati chiamati a rispondere del danno prodotto e determinato dalla irregolare procedura di spesa così come previsto dal quarto comma dell’articolo 191 TUEL che prevede, per l’appunto, a fronte di un’acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi derivanti dalla corretta procedura di spesa, una specifica responsabilità amministrativa in capo ai funzionari e agli amministratori che hanno posto in essere una tale condotta.

Appare pertanto chiaro la irrilevanza dell’eccezione difensiva che tende a precisare la essenzialità di un contratto di servizio per la legittimità della richiesta degli interessi moratori: nessuno vuole disconoscere la necessità del contratto ma nella fattispecie in esame viene contestato ai convenuti proprio la specifica volontà di non concludere un accordo al fine di poter evitare la giusta remunerazione di un servizio comunque fruito.

Il Collegio condivide pienamente le argomentazioni dell’attore in tema di debenza delle somme per interessi moratori anche nei casi in cui, come è accaduto per la gran parte degli enti locali oggi convenuti, non risulta essere stato sottoscritto alcun contratto di servizio, pur essendo comprovato che una prestazione di fatto è stata resa e la medesima andava adempiuta nei termini di uso commerciale in assenza di specifica convenzione tra le parti. In particolare nella Conferenza di servizi del 22 luglio 2008 tenutasi presso la Prefettura di Roma era stato previsto per il pagamento dei corrispettivi il termine di 45 giorni dall’emissione delle fatture.

Sul punto, il Collegio afferma che, nei rapporti commerciali di fatto, come ritenuti ammissibili dallo stesso legislatore nella norma surrichiamata, alla controprestazione del debitore da corrispondere in denaro, possa applicarsi il principio generale della debenza degli interessi moratori di cui agli articoli 1206 e 1219 c.c.. Costituisce, infatti, principio giuridico di portata generale che trova regolamentazione in tutti i rapporti obbligatori quello che, laddove la prestazione da rendere consista nella dazione di una somma di denaro e non sia stato fissato un termine per l’adempimento, lo stesso è determinato con rinvio agli usi e comunque la prestazione deve essere resa al domicilio del creditore senza bisogno di alcuna intimazione per iscritto. Il debitore incorre nella specifica responsabilità se non prova che il ritardo sia dovuto a causa a lui non imputabile.

Identici principi troviamo codificati nella norma contenuta nell’articolo 4 comma 2^ del decreto legislativo n. 231/2002 per i rapporti contrattuali stipulati per iscritto, laddove anche in mancanza di specifica pattuizione contrattuale, gli interessi moratori decorrono automaticamente senza necessità di costituzione in mora alla scadenza del termine legale di 30 giorni decorrenti dalla ricezione della fattura o della prestazione del servizio.

Le giustificazioni fornite dagli interessati non appaiono a questo Collegio sufficienti ad integrare il requisito richiesto della non imputabilità in quanto, in presenza di particolari situazioni finanziarie da far valere, i medesimi avrebbero dovuto procedere ad una regolamentazione convenzionale del servizio che, invece, è stato fruito in totale disinteresse per la spesa che esso comportava e, quindi, per il pesante accumulo della passività che nel tempo si sarebbe formata. Compito precipuo dei responsabili dei servizi e anche del responsabile finanziario che controfirma i mandati è proprio quello di verificare che l’eventuale impegno assunto sia riferito ad un capitolo di bilancio pertinente e capiente e altrettanto quello di rifiutare di autorizzare la spesa in presenza di indisponibilità e/o insufficienza dello stanziamento. Tutto ciò è rimasto inadempiuto, determinando una fortissima esposizione creditoria della società B. Ambiente sia per quanto riguarda le fatture di sorte capitale che anche di interessi moratori.

Dall’acquisizione dei documenti effettuata dalla polizia giudiziaria sono risultate esattamente le somme dovute per interessi moratori alla B. Ambiente anche se la verifica effettuata da questo Collegio è giunta a risultati in parte differenti per il comune di .....e per l’Unione dei comuni......

Risulta agli atti depositati sia dalla Procura regionale che dalle memorie difensive dei convenuti del Comune di .. che l’ente ebbe a sottoscrivere il contratto per il conferimento rifiuti in discarica nell’agosto del 2010; in tale contratto era stata concordata una generale clausola sanzionatoria da applicarsi in ordine ad eventuali ritardi nei pagamenti. In sostanza le parti si accordavano che, in caso di ritardo nei pagamenti delle fatture, in luogo della liquidazione degli interessi moratori, la società concessionaria avrebbe dovuto negoziare il credito nella forma pro- solvendo con istituti bancari. Non sembra quindi equo, in difetto di una richiesta della concessionaria, attribuire interessi moratori maturati su fatture per servizi successivi alla stipula del contratto nei confronti dell’ente sottoscrittore, per cui è da considerarsi esente da responsabilità il convenuto B. B., mentre va rideterminata la quota da attribuire agli altri convenuti, depennando le richieste di interessi moratori relativi agli anni 2011 e 2012, essendo quelle del 2010 pervenute prima della stipula del relativo contratto.

Ne consegue la responsabilità di D. L. per €. 20.617,41, B. P. per €. 7.625,49, P. I. per €. 20.617,41 e A. W. per €. 20.617,41 relativi a fatture di interessi moratori per servizi fruiti in assenza di contratto e non coperti da prescrizione.

Dai fascicoli acquisiti agli atti per il Comune di ... è risultato che la fattura n. 103 del 18 marzo 2009 di €. 46.816,44 attribuita pro quota ai convenuti P. e R. è stata pagata con mandato del 12 luglio 2010 e quindi va stornata la somma di €. 15.605,38 dalla richiesta risarcitoria rivolta nei confronti dei due convenuti. Al convenuto P. va stornata la quota di €. 15.307,37 dell’anno 2011 perché la fattura risulta pervenuta al Comune dopo la cessazione del mandato, come ammesso dalla stessa Procura.

Per il Comune di ... la quota di €. 1.178,41 attribuita al M. per l’anno 2009 va stornata perché prescritta in relazione alla ricezione dell’atto di costituzione in mora.

Per quanto concerne l’Unione dei comuni, dagli atti è risultato che la fattura n. 123 del 18 marzo 2009 di €. 5.250,03 risulta pagata con mandato n. 123 del 12 ottobre 2011, come pure la fattura n. di €. 26.049,84 risulta pagata con mandato n. 214 del 21 ottobre 2012. Residuerebbe quindi a carico dei convenuti D., B. e P. il solo addebito riferito alla fattura del 2012 per €. 5.217,65 cadauno, mentre nessun addebito potrebbe essere mosso al convenuto S. con relativo pieno proscioglimento.

Per tutti gli altri convenuti, la verifica ha esattamente confermato le risultanze alle quali è pervenuta la Procura regionale in quanto nei relativi fascicoli inviati dagli stessi Comuni alla polizia giudiziaria risultano esattamente le somme contestate ai medesimi in relazione ai periodi di preposizione agli uffici. Così per M. la fattura n. 142/2012 non è stata pro quota correttamente attribuita, mentre la n. 218/2013 non fa parte del periodo oggetto di giudizio.

Per i convenuti P., P. e P., sindaci pro-tempore del Comune di A. e R. svolgente le funzioni di dirigente dell’area economico-finanziaria del medesimo ente, è risultato che, pur consapevoli di utilizzare la discarica di C. nella totale assenza del contratto di servizio, non hanno intrapreso alcuna iniziativa volta a regolamentare la prestazione che richiedevano alla società partecipata, nè hanno effettuato il pagamento del costo del servizio ottenuto in tempi ragionevoli, per cui ne è scaturito un debito consistente per interessi moratori da attribuire ai singoli convenuti nella misura ripartita come indicata nell’atto di citazione e corretta da questo Collegio.

Altrettanto inescusabile negligenza può rinvenirsi nella condotta dei convenuti M., M., M. e M. del Comune di C., ognuno nelle rispettive qualifiche pro tempore possedute, come pure nei convenuti M. e C. operanti del comune di M., C., D. e G. svolgenti i propri compiti per il comune di S. e, infine, D., B. e P. funzionari pubblici in servizio nell’Unione dei comuni ... Anche per questi convenuti il danno contestato specificamente ha riferimento al notevole ritardo oltre tutti i termini di uso commerciale nell’effettuazione dei pagamenti a favore del creditore con immediato sorgere della prestazione accessoria degli interessi moratori. La Procura ha correttamente contestato l’inspiegabile inerzia dimostrata nell’attività doverosa nei confronti del creditore che avrebbe potuto giungere anche all’interruzione del pubblico servizio di accettazione del conferimento rifiuti in discarica con inevitabile ricaduta di effetti negativi sulla popolazione di ogni singolo ente e tutto cio' a fronte di specifiche richieste di pagamento del servizio da parte della B. Ambiente s.p.a. che sono risultate del tutto ignorate.

Infine, si dà esito positivo nei sensi suindicati alla richiesta di condanna al risarcimento delle somme per i convenuti D., B., P., e A. funzionari del comune di M. la cui posizione si differenzia da quella degli altri convenuti prima citati in quanto dagli atti è risultato che, nell’anno 2010, avevano proceduto a regolamentare con apposito contratto il loro rapporto di servizio con la B. Ambiente s.p.a. senza, però, che dalla definizione convenzionale del rapporto, fosse derivata una maggiore disponibilità all’adempimento delle fatture di pagamento e relativi oneri accessori che risultano contestate limitatamente al fatto che nel contratto si prevedeva, per il caso di inadempimento, il ricorso alla cessione del credito e non il pagamento di interessi moratori. Sul punto la verifica fatta dal Collegio ha portato ad escludere che tali fatture facessero parte di quelle cedute alle imprese di factoring, come del resto confermate dai responsabili comunali alla Polizia giudiziaria che ha raccolto i dati inviati.

Resta, quindi, per tutti i convenuti la grave inadempienza di non far fronte tempestivamente agli obblighi convenzionalmente assunti e la totale noncuranza nell’utilizzare una prestazione senza preoccuparsi minimamente di come remunerarla e soprattutto di quando provvedere all’adempimento. La condanna segue quindi alla valutazione gravemente colposa di una condotta, quella di amministratore pubblico, svolta senza coscienza e attenzione anche a costo dell’inevitabile blocco del servizio con ripercussioni gravissime sulla comunità amministrata.

Peraltro, anche con riguardo alla contestata debenza degli interessi moratori in luogo della cessione dei crediti agli Istituti bancari, nessuna concreta iniziativa risulta intrapresa per definire legalmente la controversia, per cui, anche sotto questo profilo, resta la condotta gravemente colposa e inerte per aver contribuito ad aumentare la passività del proprio ente locale e con conseguente aggravio della situazione economica della società creditrice.

Nessuna rilevanza può assumere l’eccezione difensiva volta a ridimensionare il danno contestato consistente nella richiesta di valutare l’utilitas comunque conseguita dalla comunità per la quale i funzionari convenuti hanno prestato servizio in quanto il mancato pagamento delle prestazioni connesse allo svolgimento del servizio pubblico di conferimento rifiuti in discarica costituisce sempre una posizione debitoria che non può assolutamente compensare un’altra posta negativa consistente nei danni arrecati alla società B. Ambiente.

Ultima eccezione mossa dai convenuti Sindaci è quella di mancanza di legittimazione passiva stante la non imputabilità del danno a soggetti che sono amministratori politici e non hanno responsabilità gestoria. La stessa è da confutare per le ragioni che saranno più avanti analizzate e descritte, fermo restando l’assoluta inefficacia della nuova legge delega citata dalle difese sia in relazione al principio del tempus regit actum ma anche in considerazione di quanto dichiarato dai funzionari convenuti in ordine all’impossibilità di poter bloccare un servizio, quello della raccolta rifiuti, che a livello di vertice politico era stato in tal modo configurato con inevitabile sforamento delle competenze gestorie da parte dei sindaci.

In relazione alla seconda posta dannosa contestata che ha riguardato la pesante esposizione debitoria del comune di B. che ha commissionato con affidamenti diretto alla sua società partecipata una serie di servizi pubblici di rilevante interesse pubblico, i convenuti citati nella persona del Sindaco, segretario, e dirigenti dei relativi settori di competenza S. e D., sono pienamente responsabili delle attività contestate dall’attore con relativa attribuzione della quota di danno a ciascuno contestata.

Dall’esame delle risultanze istruttorie è emerso, infatti, che i servizi pubblici commissionati alla Bracciano Ambiente s.p.a. sono stati tutti deliberati senza minimamente tener conto dell’effettivo costo degli stessi o, meglio, conoscendo probabilmente l’effettiva spesa ma indicando sul contratto in via unilaterale un corrispettivo di gran lunga inferiore al costo medesimo e, quindi, assolutamente non congruo il che ha determinato il sistematico sforamento dello stanziamento di bilancio previsto per la copertura di quel servizio.

E’ stato possibile acquisire la documentazione copiosa della B. Ambiente nella quale gli amministratori hanno tentato in ogni modo di superare le problematiche economiche sottese allo svolgimento dei molteplici servizi affidati ed, in primis, le missive nelle quali hanno sempre contestato la determinazione unilaterale dei costi come imposti dai funzionari e dirigenti dell’ente locale braccianese senza tener conto della necessaria spesa da sostenere e senza tener conto della mancata accettazione di tutti i contratti stipulati da parte della società partecipata (vedi note prot. Nn. 106 del 30 maggio 2011, 129 del 19 luglio 2011 e 156 del 25 ottobre 2011).

Sorprendono, quindi, le argomentazioni difensive dei convenuti che pretendono di essere mandati assolti da responsabilità quando con la loro condotta non hanno minimamente tenuto in considerazione i notevoli costi dei servizi che venivano a commissionare alla società partecipata, non hanno mai tentato di esortare gli organi preposti a rivedere le soluzioni adottate, favorendo quella emorragia di denaro pubblico che avrebbe poi condotto al dissesto l’ente locale e alla decozione la società partecipata: i ruoli ricoperti di capo ufficio tecnico e di responsabile dell’area finanziaria avrebbe imposto una condotta improntata al rispetto della normativa di spesa e non una lievitazione smisurata della stessa al di là di ogni vincolo di bilancio che avrebbe poi inevitabilmente determinato la necessità di ricorrere ad una delibera di riconoscimento di debiti fuori bilancio, delibera alla quale i medesimi hanno dato parere favorevole di regolarità tecnica ed economica.

Le difese hanno cercato di giustificare l’assunzione di servizi oltre i limiti di bilancio con l’utilità conseguita dalla popolazione ma tale ragionamento non può condividersi quando il risultato perseguito si è raggiunto tramite sistematiche e reiterate violazioni di legge e sforamento dei vincoli di bilancio.

Allo stesso modo aver consentito ad una società partecipata in house, da intendersi come articolazione interna dello stesso ente locale, di non concludere contratti di servizio per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, di dover comunque assicurare diversi servizi senza ottenere i dovuti pagamenti, di consentire la formazione di un debito spropositato di sorte capitale maggiorato da interessi moratori non pagati o di spese di cessioni di crediti ad istituti di factor rimasti a carico della stessa, configurano condotte gravemente colpose di coloro che avevano la responsabilità di tali servizi come dirigenti degli uffici dell’ente locale e che non hanno provveduto ad evitare tali eventi dannosi.

La condotta tenuta dai convenuti non ha avuto mai alcun momento di ripensamento e così, a fronte di risorse inesistenti e di regole contabili rigorose poste a difesa del patto di stabilità, negli anni in contestazione si è assistiti ad una sistematica violazione dei tetti massimi della spesa da parte della società partecipata: in sostanza ciò che non si poteva fare direttamente da parte degli organi dell’ente locale, si è pensato fosse possibile a svolgersi da parte di un soggetto privato a totale partecipazione pubblica. La spesa dei servizi pubblici in quegli anni risulta fortemente lievitata e superiore ad ogni vincolo derivante dal patto di stabilità interno e tutto ciò a fronte della mancata istituzione dell’organo deputato al controllo analogo ha significato gestione indiscriminata di risorse al di fuori di ogni preventiva definizione di obiettivi gestionali e di programmazione della spesa.

L’assenza di ogni controllo anche in fase concomitante allo svolgimento del servizio affidato ha comportato l’assenza di quel necessario monitoraggio sulle attività svolte dalla partecipata da parte dell’ente locale che ha consentito l’accumulo di pesanti passività sul bilancio della partecipata: a fronte di tutto ciò i convenuti hanno pensato di dare una boccata di ossigeno alla società soffocata dai debiti procedendo alla formulazione di una delibera di riconoscimento di debiti fuori bilancio.

L’adozione di una simile delibera è stata riconosciuta come legittima dai convenuti sul presupposto di quanto dispone l’articolo 194 lettera e) del T.U.E.L.

Come è noto l’articolo 194 ora citato indica i casi in cui gli enti locali possono riconoscere la legittimità dei cosiddetti debiti fuori bilancio, elencando una serie di fattispecie tra loro eterogenee, accomunate soltanto dalla circostanza di rappresentare obbligazioni dell’ente sorte senza il rispetto delle regole giuridiche contabili e prima tra tutte senza il rispetto del principio costituzionale di cui all’articolo 81, 4^ comma dell’obbligo di copertura finanziaria nei procedimenti di spesa.

Con specifico riferimento alla tipologia cui si riferiscono le delibere contestate, deve precisarsi che il ricorso a tale forma di finanziamento nasconde, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte anche in sede di controllo, una difficoltà dell’ente al rispetto delle procedure di spesa. Nella fattispecie in esame, considerato la più volte segnalata necessità di coprire i costi del servizio con previsione di remunerazione convenzionale superiore a quella di volta in volta indicata nei contratti di affidamento, la richiesta di acquisizione del servizio da parte dell’ente locale a costi sempre di gran lunga

inferiori a quelli più volte richiesti, con disperato appello, dalla società partecipata, può avere soltanto un significato e cioè quello di voler a tutti i costi superare i vincoli di spesa derivanti dal rispetto del patto di stabilità, consentire una spesa per servizi praticamente senza limiti di stanziamento di risorse, il tutto accumulando passività spaventose su un soggetto privato quasi a non voler riconoscere che il medesimo ha un patrimonio praticamente formato da quelle stesse risorse pubbliche intestate all’ente locale, senza contare che l’ente locale per sopperire alle risorse necessarie alla copertura delle delibere è dovuto ricorrere all’alienazione di beni immobili patrimoniali.(vedi paragrafo 6 della deliberazione n. 2/2015 della Sezione regionale di controllo di questa Corte nella quale si riporta proprio la dichiarazione dell’ente di aver sempre volutamente sottostimato il costo dei servizi). Ad ulteriore riprova del totale disinteresse dei responsabili del comune di B. chiamati oggi in giudizio ad evitare il formarsi di questi rilevanti debiti fuori bilancio ci sono le missive della B. Ambiente s.p.a nn. 11 missive elencate nell’informativa della G.di F. di C. del 21 ottobre 2013, pag. 10-11, i verbali dei revisori dei conti dell’ente braccianese dal 2007 al 2012 anch’essi elencati a pag.12 e 13 della medesima informativa.

Ne consegue che in una situazione siffatta l’assunto della legittimità del ricorso alla delibera di riconoscimento dei debiti fuori bilancio è totalmente infondato in quanto l’ordinario procedimento di spesa è stato intenzionalmente distorto proprio nell’ottica di trovare successivamente una copertura che è ed era sempre inesistente, con inevitabile responsabilità di chi ha consentito questa rilevante emorragia di denaro pubblico senza minimamente preoccuparsi di salvaguardare gli equilibri del bilancio apprestando successivamente al predetto riconoscimento misure cautelative idonee a ripianare e a neutralizzare al massimo gli effetti prodotti sul bilancio dell’ente. Né assume rilievo il fatto che il Collegio dei revisori al termine ha dovuto esprimere parere favorevole alla proposta di deliberazione invitando, però, lo stesso consiglio comunale a verificare eventuali responsabilità personali di tutti i dirigenti capi area che hanno violato le norme di contabilità.

Nessuna condotta di rigore o comunque di volontà di serio risanamento risulta adottata dai convenuti, come peraltro rilevato nelle delibere di grave irregolarità redatte dalla locale Sezione regionale di questa Corte, i quali restano, pertanto, responsabili pro quota ed in parti uguali dell’ingente danno alle finanze dell’ente locale derivanti dalle due delibere con le quali è stato finanziato il debito di €. 2.772.073,68. Né alcuna valenza può avere l’assunto difensivo che i servizi siano stato ottenuti con utilità per l’ente in quanto, come si è più volte precisato, la presunta utilità per il Comune si è manifestata come grave perdita di risorse per la società e subito dopo per lo stesso comune. Peraltro la asserita utilità si sarebbe tradotta anche in un aumento della tariffa per i cittadini di circa il 40% con notevole aggravio di spesa. Ugualmente nessuna responsabilità può essere ascritta a coloro che hanno votato una delibera di riconoscimento preparata, predisposta e confezionata dai soggetti che sono stati correttamente convenuti, per cui cade ogni richiesta di possibile integrazione del contraddittorio.

Ultima posta dannosa contestata sempre ai medesimi amministratori e dirigenti del Comune di B. ha riguardo alle notevoli spese sostenute dalla società partecipata per reperire quella liquidità necessaria al suo primario funzionamento. In considerazione della gravissima insolvenza dei fruitori dei servizi, la società B. Ambiente per svolgere i suoi servizi e pagare le spese di personale ed altro è dovuta ricorrere alla cessione dei crediti presso Istituti di credito con spese sostenute pari a €. 467.540,00.

Anche in questo caso, come per il precedente, la Procura ha correttamente opposto ai quattro convenuti del comune di B. l’inescusabile negligenza di non aver cercato in ogni modo di addivenire alla regolamentazione convenzionale del servizio di conferimento dei rifiuti con i numerosi enti conferenti che avrebbe imposto singole scadenze di pagamento, permettendo il corretto funzionamento della società partecipata. Per i casi in cui risulterebbe stipulato il contratto di servizio, la condotta gravemente colposa è consistita nel fatto di essere rimasti completamente inerti a fronte di mancato pagamento dei servizi comunque assicurati dalla società partecipata o anche a fronte di notevolissimi ritardi, oltre tutti i termini convenzionali e di uso commerciale, per il saldo delle relative fatture. In tali casi il contratto stipulato, in luogo degli interessi moratori da richiedere, prevedeva una cessione pro solvendo dei crediti agli Istituti bancari con onere delle relative spese da addossare a carico dei debitori insolventi.

Orbene a fronte di queste chiarissime previsioni convenzionali, si è ritenuto di inviare lettere di richiesta di interessi moratori, note che ovviamente sono state impugnate dai destinatari perché richiedenti una prestazione accessoria non dovuta.
Laddove invece si è fatto ricorso all’istituto della cessione del credito, le spese sono rimaste a carico della B. Ambiente e non sono state poste a carico degli enti debitori con aggravio della situazione economica della partecipata.

 

In tutti i casi la condotta degli amministratori convenuti è da censurare perché emerge chiaramente che i medesimi non hanno operato per la corretta tutela del patrimonio della società partecipata, distraendo risorse oltre tutti i limiti consentiti e senza preoccuparsi delle gravissime conseguenze che si sarebbero verificate.

Alcune difese hanno sostenuto che la richiesta di rifusione delle spese per cessione di crediti si duplica con quella della richiesta di interessi moratori: come si è fatto già presente la polizia giudiziaria ha tenuto in considerazione le fatture per interessi moratori non saldate rispetto a quelle relative a fatture indicanti crediti ceduti al factor per cui nessuna duplicazione si realizza.

In sostanza le spese del factor avrebbero dovuto essere sostenute dai debitori del costo dei servizi offerti e non pagati mentre invece sono rimaste a carico della B. Ambiente.

Nessun rilievo, infine, può riconoscersi alla argomentazione difensiva secondo la quale le decisioni della società partecipata non possono imputarsi agli amministratori dell’ente locale, in considerazione di quanto si è già affermato in ordine alla tipologia di società in house della B. Ambiente che comporta praticamente un annullamento dei poteri autonomi gestori della società a favore dell’ente partecipante. Il che significa che la società opera

come un’articolazione interna dell’ente e quindi le sue scelte come pure l’utilizzo di risorse collegate a quelle scelte sono conosciute sia dal segretario generale sia dal responsabile dell’area tecnica sia dal responsabile finanziario dell’ente, senza che possa assumere rilievo la non partecipazione di questi ultimi alle sedute del Consiglio di amministrazione della società riservate al solo sindaco S.. Quest’ultimo, poi, non risulta aver fornito linee guida alla partecipata, nonostante svolgesse il ruolo di Rappresentante nell’ambito del Consiglio di Amministrazione della medesima e nonostante l’organo collegiale avesse rappresentato più volte la gravissima morosità dei comuni fruitori della discarica di C..

Sotto il profilo di valutazione della posizione dei Sindaci, quale capi dell’amministrazione, occorre considerare che il Sindaco è il “responsabile dell'amministrazione del comune” ex art.50, comma 1, del D.lgs. n. 267/2000, e che in tale responsabilità ricade anche la gestione dei servizi pubblici locali (art. 112 del citato decreto, per il quale, inoltre, ai servizi pubblici locali si applica il capo III del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, relativo alla qualità dei servizi pubblici locali e carte dei servizi”. Va pure precisato, anche con riguardo alla eccezione mossa dagli altri convenuti che hanno ricoperto l’incarico di sindaco che hanno sostenuto di essere esenti da responsabilità perché organi di indirizzo politico e non organi con competenze gestorie, che la legge (art. 50, 107 e 109 T.U.E.L.) ha previsto sì la distinzione di funzioni ma al tempo stesso ha riservato agli organi politici la fissazione delle linee di indirizzo e degli obiettivi gestionali indicati nel programma da raggiungere.

Al fine di consentire l’attuazione del programma e la concreta realizzazione degli obiettivi prefissati, l’organo politico conferisce gli incarichi dirigenziali come pure procede alla loro revoca laddove ci siano state inosservanze alle direttive impartite. Tutto ciò significa che, fermo restando la distinzione delle sfere di competenza, all’organo politico è demandato, comunque, un costante monitoraggio sul funzionamento degli uffici, sulle attività amministrative svolte e sul raggiungimento dei risultati assegnati.

Nella specie, le condotte poste in essere configurano tutte gravissime violazioni dei doveri di servizio che hanno minato alla radice la capacità finanziaria degli enti e della stessa società partecipata, con dispendio di risorse pubbliche incontrollate che hanno avuto un’inevitabile ripercussione sui programmi e sugli obiettivi prefissati, ma di questa completo fallimento delle attività gestorie gli organi politici non hanno minimamente mostrato di preoccuparsi ed, in particolare, per il Sindaco del Comune di B., l’inadempienza è ancora più grave in quanto alla gestione fallimentare della propria società partecipata, si è aggiunta quella connessa alla gestione degli altri servizi che sono totalmente sfuggiti al suo controllo e soprattutto alle previsioni di bilancio che rappresenta il segno tangibile di un funzionamento degli uffici comunali completamente alla deriva.

Ancora, per la gestione della società partecipata, occorre precisare che, anche in mancanza di un ufficio o delle procedure specifiche atte a concretare un controllo di tipo “analogo” sulla B. Ambiente, ed anzi, come detto, proprio in virtù di tale mancanza, egli avrebbe dovuto controllare quantomeno le problematiche emergenti della gestione stessa, così bene a lui evidenziate, e che, contrariamente a quanto sostiene la difesa in questa sede, la mancata istituzione di un controllo analogo tipico non lo può esimere dalle responsabilità

correlate all’omissione di un dovere di supervisione che gli è imposto dalle responsabilità connesse alla gestione dei servizi pubblici. Peraltro, della necessità di istituire ed attuare un controllo di tale portata sulla gestione della B. Ambiente anche per il periodo in questione (nel quale esso non era statutariamente previsto) il Sindaco era del tutto consapevole.

Depone in tal senso la nota del 27.01.2012, a sua firma, diretta alla Sezione di controllo della Corte dei conti, contenente chiarimenti al questionario sul rendiconto del 2010; sia la nota, che il questionario, si collocano nel periodo al quale i fatti si riferiscono, cioè nella vigenza dello Statuto del 2009 che tale controllo non prevedeva, e si inseriscono nella vicenda originata dall’esame, da parte della competente Sezione di controllo della Corte dei conti, del conto consuntivo 2010 del Comune di B., in occasione del quale la Corte, con la delibera n. 37/2012, aveva rilevato l’assenza del controllo di tipo analogo sulla società in questione (mancanza rilevata anche dal Collegio dei revisori dei conti della società), sottolineandone la necessità “in termini di preventiva definizione degli obiettivi gestionali a cui deve tendere la partecipata, secondo standards qualitativi e quantitativi”, e l’estensione “non limitata agli aspetti formali relativi alla nomina degli organi societari ed al possesso del capitale azionario, tale che l’ingerenza dell’ente controllante si realizzi non solo sotto un profilo formale , bensì sostanziale, di direzione strategica e gestionale”. Nella suddetta nota di risposta il Sindaco, ben lungi dal negare la necessità di un controllo analogo o la natura in house della società B. Ambiente, rassicura l’organo di controllo che il Comune “ha provveduto alla istituzione formale dell’organismo al quale è dato tale compito con la delibera G.C. n.682 del 19/12/2008 (struttura alla quale, si noti, era preposto lo stesso Sindaco “quale socio unico della società e per tal verso titolare del capitale sociale, legittimato come amministratore pubblico all’esercizio del potere di controllo di cui al TUEL n.267/2000”), e che la mancata attuazione è “correlata a difficoltà organizzative generali, e comunque questo controllo potrà essere avviato a breve scadenza, sussistendo un preciso impegno in tal senso”. In particolare, egli rassicura l’organo di controllo che “una forma di controllo viene comunque ad essere esercitata anche se non nella forma del controllo analogo tipico, perché a tutte le riunioni del Consiglio di Amministrazione della B. Ambiente in cui si assumono decisioni gestionali partecipa anche il Sindaco, che da un lato rappresenta l’assemblea sociale e nel contempo rappresenta anche l’Amministrazione comunale, alla quale è demandato il controllo analogo”, in virtù del quale controllo, rassicura, il Comune svolge “un monitoraggio permanente in merito alla gestione dei servizi pubblici affidati alla società nel rispetto dei parametri fissati nel contratto di servizio”.

A fronte di tali affermazioni, il Sindaco, invece, non solo non si è adoperato per attuare un tale tipo di controllo (le modifiche statutarie sono approvate solo nel 2013), ma si è disinteressato totalmente persino di attuare, sulla gestione della società, un controllo anche minimale che, almeno, si svolgesse nei parametri del controllo sui servizi pubblici, dei quali, come evidenziato, egli è responsabile, onde garantirne accettabili standards di efficienza a tutela degli interessi del Comune. Ferma rimanendo l’assoluta autonomia dei due accertamenti, in questa sede ed in sede di controllo, rileva il Collegio che anche in quella sede la Sezione di controllo, a conclusione dell’istruttoria sul rendiconto del 2010,

ha infine formulato rilievo di grave irregolarità poiché, anche a prescindere dalla rilevanza dell’assenza di atti normativi istitutivi del controllo sulla partecipata, ha accertato l’assenza di alcuna “documentazione attestante lo svolgimento, anche di fatto, delle attività di monitoraggio (atti, verbali, reports) attestante l’effettività di un controllo analogo sula società”.

In questa sede rimane determinante che, a fronte delle rassicurazioni fatte ai competenti organi di controllo e dei doveri inderogabili connessi alla sua funzione, il comportamento omissivo del Sindaco non trova alcuna giustificazione meritevole di tutela, ed anzi assume il connotato di una grave deviazione dai doveri di ufficio.

Il comportamento degli altri convenuti S., D. e S. segue a ruota quello del sindaco: il S. nella sua veste di direttore generale dell’ente, massimo organo consulenziale dell’ente locale ai sensi dell’articolo 97 del t.u.e.l., e i due dirigenti preposti alle specifiche aree tecniche e di bilancio non hanno minimamente ostacolato l’azione del Sindaco e quindi non hanno provato ad andare controcorrente evidenziando le gravi illegittimità che si andavano perpetrando, i reiterati sforamenti dei capitoli di bilancio con il costituirsi di posizioni debitorie che avrebbero poi determinato la necessità di delibere di riconoscimento debiti senza provare ad adeguare i costi dei servizi richiesti e come tale sono responsabili al pari del primo delle gravissime irregolarità commesse che avrebbero potuto con la loro condotta attiva essere evitate.

Nessuna ripartizione di addebito in forma diversa può essere operata dal Collegio che, dagli atti acquisiti al fascicolo, ha rinvenuto una identica conoscenza e partecipazione colposa alla formazione delle delibere di riconoscimento dei debiti accumulati, come peraltro attestato dalla sottoscrizione apposta ad ognuna di esse.

Non può essere accolta la deduzione difensiva in ordine al fatto che la scelta di operare la cessione dei crediti è stata opera degli amministratori della B. Ambiente in quanto, come più volte in questa sentenza è stato sottolineato, l’esistenza di una società in house comporta un’immedesimazione organica della stessa con l’ente socio unico, per cui ogni scelta operata deve essere attribuita alla responsabilità di coloro che nell’ente locale avrebbero avuto il preciso compito di impedire questa emorragia di denaro pubblico. Gli attuali convenuti, ognuno per l’attribuzione delle funzioni ricoperte, avrebbero dovuto verificare l’illegittimità che si stava perpetrando, opponendosi alle scelte fallimentari dannose che essi stessi con la loro condotta hanno invece contribuito a determinare. Né può assumere rilievo il fatto che soltanto il S. partecipava alle assemblee della partecipata mentre gli altri nulla avrebbero saputo in quanto, a parte l’inconsistenza di tale tesi difensiva a fronte del carattere di società in house della partecipata, resta il fatto che la consistente posizione debitoria della stessa era problematica nota all’interno degli uffici comunali e non si registrano tentativi da parte dei convenuti di procedere ad un necessario risanamento gestionale mediante ad esempio la proposizione di un piano di riassetto finanziario finalizzato ad una revisione dei contratti come pure era stato indicato dal Collegio dei revisori.

Agli importi oggetto di condanna deve essere aggiunta la rivalutazione monetaria dalla data dell’evento in relazione alla tipologia dell’addebito.
E così per la fattispecie dannosa degli interessi moratori la rivalutazione va computata dall’ultimo pagamento effettuato fino al deposito della presente sentenza;
per la seconda fattispecie dannosa la rivalutazione monetaria va computata dalla data del mandato di pagamento conseguente alla ultima delibera di riconoscimento debiti fuori bilancio al deposito della presente sentenza
ed, infine, per la terza fattispecie dannosa la rivalutazione monetaria va calcolata dalla data dell’ultima cessione al factor fino al deposito della presente sentenza.

A tali importi vanno aggiunti gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza e fino all’effettivo soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Sezione giurisdizionale per la regione Lazio definitivamente pronunciando:

PROSCIOGLIE

...... dall’addebito contestato per assenza di danno e rifonde le spese legali quantificate in €. 1000,00 cadauno.

CONDANNA .....................

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 24 novembre 2016. Depositata in Segreteria il 10 gennaio 2017.

 

 

 

 

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