Cons. di Stato sent 1224/1999
In ordine alla tutela dei beni del patrimonio indisponibile, per quanto l'art. 823 cc faccia cenno ai poteri di tutela in via amministrativa soltanto con riferimento ai beni demaniali, la giurisprudenza riconosce la possibilità dell'amministrazione di disporre di analoghi poteri anche in relazione ad essiREPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
Decisione
sul ricorso in appello n. 7155 del 1993, proposto da ISPEF ITALIA S.r.l. , Società dichiarata fallita in luogo della quale si è costituito in giudizio il Fallimento, in persona del curatore fallimentare, Dr. Giuseppe Lunghi , su autorizzazione del Giudice delegato del Fallimento, data con decreto del 14 aprile 1999, rappresentato e difeso dall'Avvocato Francesco Maurici, ed elettivamente domiciliato presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma P.zza Capo di Ferro 13;
contro
il Comune di Voghera, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Mario Sanino ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, viale Parioli 180;
e contro
L'Azienda Servizi Municipalizzati - ASM di Voghera, in persona del Direttore pro tempore, non costituitasi in giudizio.
per la riforma
della sentenza del TAR per la Lombardia, sezione III, 22 giugno 1992, n. 311.
Visto l'atto di appello con i relativi allegati
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Voghera;
Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa.
Relatore il Consigliere di Stato Maurizio Meschino all'udienza del 27 aprile 1999.
Udito l'avvocato Sanino per il Comune;
Ritenuto e considerato in fatto e per diritto quanto segue:FATTO
1. La ISPEF ITALIA S.r.l. , con ricorso n. 2742 del 1989, proposto al TAR per la Lombardia, ha impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di Voghera, 10 maggio 1989, n. 260, con la quale è affidata all'Azienda Servizi Municipalizzati della città in via sperimentale e per il periodo dal 26 maggio 1989 al 31 dicembre 1989, la gestione dell'autoporto di Voghera (struttura realizzata dal Comune su propria area per il parcheggio di autoveicoli), che in precedenza era stata affidata in concessione alla ricorrente, con deliberazione della Giunta Municipale, 3 maggio 1988, n. 1006, in via sperimentale e per la durata di un anno, sino al 26 maggio 1989. Con lo stesso ricorso la Società ha impugnato la lettera indirizzatale dal Sindaco, il 24 maggio 1989, di preavviso per il rilascio degli impianti e ha chiesto la dichiarazione dell'inadempimento del Comune di obblighi essenziali assunti con la convenzione relativa al rapporto concessorio e della legittimità del proprio, conseguente inadempimento del pagamento del corrispettivo. Con ricorso n. 3065 del 1989, proposto al medesimo TAR, la ISPEF ITALIA S.r.l. ha poi impugnato: l'ordinanza, 7 agosto 1989, n. 4405, con la quale, per il Sindaco, l'Assessore Libardi ordina alla ricorrente il rilascio dell'immobile e degli impianti; l'ordinanza, 11 agosto 1989, n. 4447, con la quale, per il Sindaco, l'Assessore Legora dispone la revoca della licenza di pubblico esercizio dell'autoporto rilasciata alla Società; la deliberazione del Consiglio Comunale di Voghera, 5 settembre 1989, n. 403, avente ad oggetto l'assunzione del servizio in gestione diretta ed il conferimento di impianti e strutture alla ASM di Voghera. 2. Il TAR, con sentenza n. 311 del 1992, riuniti i ricorsi, ha dichiarato il ricorso n. 2742 del 1989 inammissibile, per carenza di giurisdizione, nella parte in cui domanda la dichiarazione di inadempimento del Comune e di legittimità dell'inadempimento della ricorrente e lo ha respinto per la restante parte; ha respinto il ricorso n. 3065 del 1989 ed ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
3. Con l'appello all'esame la ISPEF ITALIA S.r.l. ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado e, per l'effetto, l'annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso originario, previo accertamento delle inadempienze contrattuali del Comune di Voghera.
4. All'udienza del 27 aprile 1999 la causa è stata trattenuta per la decisione.DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado, nella parte in cui dichiara la carenza di giurisdizione sulle domande di accertamento delle inadempienze del Comune agli obblighi assunti con la Società ricorrente, ai sensi del disciplinare di concessione, e di accertamento della conseguente legittimità, da parte della Società, della sospensione del pagamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 1460 del codice civile. Nella sentenza infatti tali domande sono ritenute riconducibili alla fattispecie dell'art. 5, comma 2, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. che assegna alla giurisdizione ordinaria le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi. L'accertamento incidentale richiesto è invece doveroso, si deduce nell'appello, in quanto strumentale all'esame delle ulteriori censure proposte dalla ricorrente riguardo ai provvedimenti del Comune per violazione del diritto di insistenza, per eccesso di potere e difetto di motivazione.
Il motivo è infondato. Come correttamente valutato nella sentenza di primo grado, stante la natura pubblica del servizio, e dei beni, in questione, e sulla scorta della pronuncia in tal senso, resa inter partes dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite per regolamento preventivo di giurisdizione, il rapporto di cui si tratta deve essere qualificato di concessione in senso pubblicistico e per la giurisdizione deve applicarsi, perciò, l'art. 5 citato della legge n. 1034 del 1971, con la suddetta riserva al giudice ordinario delle controversie su indennità, canoni e altri corrispettivi.
In base a tale norma, secondo la giurisprudenza prevalente, la giurisdizione è del giudice amministrativo quando si tratti dell'esercizio di poteri autoritativi discrezionali da parte dell'Amministrazione, come è per la determinazione del canone alla luce dei criteri stabiliti dalla legge, ma resta esclusa se si verta sull'an debeatur o sul quantum (C.D.S. Sez. IV, 24 gennaio 1990, n. 46). Nel caso in esame, domandando la ricorrente l'accertamento dell'inadempimento del Comune a presupposto dell'accertamento di legittimità del proprio inadempimento quanto al pagamento del canone si verte specificamente sull'an debeatur; né risulta una relazione di strumentalità della domanda rispetto ai motivi ulteriori di ricorso richiamati nell'appello, relativi al diritto di insistenza, che, come riconosciuto in giurisprudenza, ha fondamento proprio (C.D.S. Sez. IV, 1 ottobre 1993, n. 817) ovvero riguardanti questioni anch'esse autonome, in quanto attinenti alla disciplina del riscatto e del preavviso ed alla correttezza delle modalità adottate dal Comune per la gestione del servizio in questione a partire dal 26 maggio 1989.
2. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui esclude che gli atti impugnati, di affidamento alla ASM del servizio, e di intimazione alla ricorrente per il rilascio degli impianti, abbiano violato l'art. 24 del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, che prescrive il decorso di dieci anni per il riscatto da parte dei comuni dei servizi affidati a terzi, con il previo preavviso di un anno. Si tratta infatti, si deduce nell'appello, di disposizioni inderogabili e di ordine pubblico che, al contrario di quanto sostenuto dal giudice di primo grado, prevalgono sulle clausole contrattuali.
Il motivo è infondato. Il riscatto unilaterale e discrezionale, esercitabile prima della scadenza della concessione, è istituto proprio della fattispecie delle concessioni pluriennali, che non risulta imposta da alcuna norma generale essendo invece la durata delle concessioni stabilita usualmente dal titolo e perciò variabile. Ed è questo il caso all'esame; in cui la durata di un anno della concessione è precisata nel disciplinare (art. 19) allegato alla lettera di invito alla gara indirizzata alla ISPEF ITALIA S.r.l. , richiamata, in una con la sperimentalità dell'affidamento, nella deliberazione n. 1066 del 1988, con la quale le è assegnata la gestione del servizio, e fissata, infine, nell'art. 4 della convenzione 12 ottobre 1988, n. 20625, firmata dalla Società.
3.Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui esclude che la impugnata deliberazione del Comune, di affidamento temporaneo del servizio alla ASM, sia in contrasto con gli art. 10 e 11 del R.D. n. 2578 del 1925 e l, 2, e 3 del D.P.R. n. 902 del 1986, che consentono l'assunzione diretta del servizio da parte dei comuni soltanto a tempo indeterminato. Ferma in ogni caso la illegittimità dell'assunzione a tempo determinato si deduce, inoltre, la violazione del diritto di insistenza, avendo comunque diritto la ricorrente a continuare la gestione fino all'aggiudicazione ad altro concorrente che avesse offerto migliori condizioni, né valendo, a contrasto, il richiamo fatto nella sentenza alla apposizione di un termine finale alla concessione ed alla sua avvenuta scadenza, poiché così ne esce negata la stessa generale configurabilità del diritto di insistenza.
Il motivo è infondato. La deliberazione consiliare n. 260 del 1989 ha caratteri di urgenza a fronte della scadenza della precedente concessione e dell'esigenza di assicurare, per il tempo strettamente necessario, la continuità del servizio in vista dell'adozione del provvedimento definivo; essa svolge quindi una funzione specifica e transitoria e perciò non riconducibile alla normativa citata nell'appello. Sul diritto di insistenza questo Consiglio ha chiarito che "effettivamente alla concessione accede generalmente il c.d. diritto di insistenza, cioè l'interesse del concessionario, qualificato e tutelato dall'ordinamento, ad essere preferito ad altri aspiranti alla concessione. Ma si tratta non di una pretesa incondizionatamente tutelata, bensì di un limite alla discrezionalità dell'amministrazione che nello scegliere il concessionario deve appunto tenere conto della posizione di colui che già si trovava in detta posizione e che quindi potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell'attività", fermo restando, di conseguenza, che tale valutazione dell'amministrazione può portare a non rinnovare il rapporto con il concessionario qualora vi siano elementi idonei "ad inficiare comunque il rapporto fiduciario tra l'amministrazione concedente e il concessionario" (C.D.S. Sez. IV, 1 ottobre 1993, n. 817). Nel caso in esame tale rapporto fiduciario risulta oggettivamente inficiato, stante le reciproche eccezioni di inadempimento opposte dalle parti nel corso del rapporto, sino alla assunzione della controversia in sede giudiziaria con richiesta di decreto ingiuntivo proposta dal Comune di Voghera al Tribunale il 2 ottobre 1989.
4. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui nega il vizio di eccesso di potere, per sviamento di potere e carenza di motivazione, della deliberazione impugnata, fondato sui mancato esame dell'istanza di proroga, presentata dalla ricorrente il 2 maggio 1989, e delle contestazioni esposte dalla Società in ordine alle inadempienze e omissioni del Comune.
Il motivo è infondato. Il provvedimento in questione interviene alla scadenza della concessione, fissata, come si è detto, sin dalla costituzione del rapporto, nota alla ricorrente e da essa formalmente accettata. Ciò considerato, e richiamate le reciproche contestazioni che hanno segnato il rapporto concessorio, ben note alle parti, ne consegne la insussistenza di un obbligo del Comune di tener conto della istanza di proroga e la sufficienza di motivazione del provvedimento nel momento in cui richiama che "la gestione dell'impianto da parte dei privati non ha dato esito soddisfacente, sia per quanto riguarda l'organizzazione del servizio che per i rapporti finanziari".
5. Con il quinto motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui esclude che le ordinanze n. 4405 e 4447 recanti, rispettivamente, l'ordine di rilascio dell'immobile e degli impianti e la revoca della licenza di pubblico esercizio alla ricorrente, siano viziate per incompetenza ed eccesso di potere, pur essendo stata firmate, la prima, da Assessore non delegato per il settore, e la seconda da Assessore non delegato, né avente la qualifica di assessore o consigliere anziano. È irrilevante, si deduce nell'appello, che il primo, l'assessore Libardi, fosse Vicesindaco, poiché ciò non comporta la delega di cui all'art. 157 del R.D. 4 febbraio 1915, n. 48, che dispone che "In caso di assenza o impedimento del sindaco o dell'assessore delegato, ne fa le veci l'assessore anziano, ed in mancanza degli assessori, il consigliere anziano", e che il secondo, l'Assessore Legora, sia individuato per errore quale assessore anziano, nel verbale dell'11 agosto 1989 agli atti del giudizio, dovendosi osservare, inoltre, che l'esercizio di poteri vicari e la sussistenza dei presupposti dell'assenza o impedimento devono essere indicati nell'atto.
Il motivo è infondato. Il Vicesindaco sostituisce il Sindaco in caso di assenza o impedimento con una supplenza generale che si estende a tutti gli atti del Sindaco senza bisogno di delega specifica; in mancanza del Sindaco, e del Vicesindaco, fa le veci del Sindaco l'assessore anziano "senza che a tal fine occorra una speciale investitura da parte del Sindaco stesso" (C.D.S. Sez. V, 6 dicembre 1984, n. 886), e cioè, nel caso in esame, l'Assessore Legora, la cui impropria qualificazione quale assessore anziano è asserita ma non provata dalla ricorrente.
6. Con il sesto motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che i poteri di autotutela spettano anche per i beni del patrimonio indisponibile e possono essere esercitati dall'organo monocratico senza autorizzazione dell'organo deliberativo, quand'anche questo abbia già consentito, come è nel caso in esame, all'azione giudiziaria.
Il motivo è infondato, in quanto: a) riguardo al potere di autotutela questo Consiglio ha chiarito che esso "spettante alla pubblica amministrazione per i beni demaniali, disciplinato dall'art. 823 c.c., può essere esercitato anche quando un immobile ha natura di bene patrimoniale indisponibile (C.D.S. Sez. IV, 25 novembre 1991, n. 969), in quanto resta alla pubblica amministrazione "il potere di controllo e di intervento di imperio, sia per proteggere il bene da turbative, sia per eliminare ogni situazione di contrasto riguardo alle esigenze del pubblico interesse che devono ispirare l'utilizzazione dei beni destinati a pubblico servizio"(C.d.S. Sez. V, 22 novembre 1993, n. 1164); b) l'esercizio del potere da parte del Sindaco è in esecuzione della clausola di scadenza del rapporto concessorio e della deliberazione consiliare di assunzione della gestione del servizio; c) la proposizione dell'azione giudiziaria non esclude l'esercizio dell'autotutela apprestando l'art. 823 c.c. entrambi i rimedi senza alcuna imposizione di preclusione dell'uno rispetto all'altro.
7. Con il settimo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui non riconosce il vizio di falsa applicazione dell'art. 378 della legge 20 marzo 1865, All. F, richiamato nella motivazione dell'ordinanza n. 4405 del 1989, di rilascio dell'immobile e delle attrezzature, del quale non ricorrono i presupposti e la cui applicazione non può essere estesa, come affermato nella sentenza., anche "alla revoca, annullamento, modificazione, avente forza coattiva, degli atti con cui siano stati creati particolari rapporti soggetti di diritto pubblico".
Il motivo è infondato. Come chiarito da questo Consiglio "L'autotutela amministrativa dei beni demaniali o di patrimonio indisponibile non si esaurisce nei provvedimenti autoritativi di riduzione in pristino, come quello previsto dall'art. 378 L. 20 marzo 1865, all. F, ma comprende anche la facoltà di revoca e modificazione, avente forza coattiva, degli atti e delle situazioni divenute incompatibili con la destinazione pubblica del bene" (C.D.S. Sez. V: n. 1164 del 1993, cit.).
8. Con l'ottavo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado in quanto esclude che l'ordinanza n. 4405 del 1989 violi gli art. 19 e 20 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, sull'impiego della forza pubblica e l'esecuzione delle ordinanze contingibili ed urgenti. Tale violazione invece sussiste, poiché si prevede l'uso immediato della forza pubblica nel contesto dell'ordinanza di sgombero mentre la legge assegna tale competenza al Prefetto e dispone la previa diffida dopo l'accertamento della inottemperanza.
Il motivo è infondato. Nell'ordinanza in questione non si adottano contestualmente misure coercitive per l'esecuzione di ufficio con l'impiego della forza pubblica ma, come correttamente interpretato nella sentenza di primo grado, si preavvisa sul ricorso a tale impiego in caso di inottemperanza.
9. Con il nono motivo di appello si censura la sentenza di primo grado in quanto afferma che la ricorrente non ha più interesse alla censura, sollevata con il ricorso originario, sulla violazione, con l'ordinanza n. 4447 del 1989, di revoca della licenza di pubblico esercizio dell'autoporto, degli art, 10, 11 e 100 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 dovuta alla mancanza dei presupposti per tale atto, non essendo idonei a tal fine né la scadenza della concessione né l'affidamento del servizio alla ASM.
Il motivo è infondato. Come precisato nella sentenza impugnata la ricorrente ha dismesso la gestione del servizio in base ad atti il cui presupposto è stato riconosciuto legittimo, a partire dall'avvenuta, preordinata scadenza della concessione, e rispetto ai quali la revoca della licenza relativa al cessato servizio risulta consequenziale. 10. Con il decimo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado in quanto esclude la violazione degli art. 1 del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, 153 del R.D. 4 febbraio 1915, n. 148 e 7 della legge 20 marzo 1865, All. E, violazione che è invece individuabile, nell'ordinanza n. 4405 del 1989 e nei provvedimenti anteriori, per la illegittima sostituzione della ricorrente nel rapporto concessorio.
Il motivo è infondato per la ragione assorbente della intervenuta, e concordata, scadenza della concessione e per la inapplicabilità del diritto di insistenza secondo le considerazioni di cui al precedente punto 3.
11. Con l'undecimo motivo di appello, si censura la sentenza di primo grado in quanto esclude la violazione dell'art. 9 bis, comma 4, del DL. 1 luglio 1986, n. 318, convertito nella legge 9 agosto 1986, n. 488, e degli art. 2 e 4 del D.P.R. n. 902 del 1986, che richiedono, per l'assunzione diretta di servizio già in appalto o in concessione, la comparazione degli oneri derivanti dalle diverse modalità di gestione, svolta attraverso una documentata e analitica dimostrazione, che risulta carente nel caso in esame con riguardo alla impugnata delibera n. 403 del 1989, di assunzione della gestione diretta del servizio.
Il motivo è infondato. La deliberazione impugnata, n. 403 del 1989, reca infatti una dimostrazione analitica dei costi e dei ricavi attesi per un triennio allegando un progetto tecnico - finanziario sulla gestione del servizio, secondo la previsione dell'art. 2 del D.P.R. n. 902 del 1986; la sentenza impugnata correttamente non ritiene la necessità del raffronto fra gli oneri della gestione diretta e quelli inerenti alla pregressa gestione, alla luce del comma 4 dell'art. 9 bis della legge n. 488 del 1986, che stabilisce che "in ogni caso" è consentita l'assegnazione di nuovi servizi, comunque gestiti, a preesistenti aziende speciali, con una norma evidentemente volta a favorire tale evenienza; non deve applicarsi, infine, l'art. 4 del D.P.R. 902 del 1986, che è testualmente riferito ai "servizi in economia".
12. Con il dodicesimo motivo di appello si deduce che la impugnata delibera, n. 403 del 1989, è illegittima in quanto non sottoposta all'esame preventivo della Giunta provinciale amministrativa ai sensi dell'art. 11 del R.D. n. 2578 del 1925, per il quale la deliberazione di assunzione diretta dei servizi pubblici "è sottoposta d'urgenza alla giunta provinciale amministrativa, la quale esamina la proposta risultante dalle deliberazioni di cui all'art. precedente, specialmente nei riguardi finanziari ed economici." Anche questo motivo deve ritenersi, conclusivamente, infondato, essendo tale norma stata abrogata dall'art 60, comma 1, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, introduttiva del controllo di merito ai fini del riesame da parte del nuovo organo di controllo, da esercitarsi "su tutte le deliberazioni della Province e dei Comuni per cui le norme vigenti all'entrata in vigore della presente legge richiedono l'approvazione della Giunta provinciale amministrativa".
13. Sulla base delle considerazioni svolte l'appello è infondato e va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) respinge l'appello n. 7155 del 1993.
Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. I, 8 settembre 2014, n. 1537
1. Patrimonio indisponibile. Impianti sportivi comunali. Ordine di sgombero. Autotutela esecutiva. Natura della posizione giuridica sostanziale del privato occupante. Interesse legittimo.
1.1. Ha natura di "autotutela esecutiva" ex art. 823 cc. comma 2 l'azione di sgombero di terreno compreso in impianto sportivo comunale e dunque destinato all'esercizio di un pubblico servizio così da far parte del patrimonio indisponibile comunale, categoria cui sono pacificamente riferibili i poteri amministrativi di autotutela di cui all'art. 823 co. 2 cc (cfr sent. Cons. Stato, sez V, 1 ottobre 1999, n. 1224; Cons. Stato, sez IV, ord 6 aprile 2004 n. 1601).
1.2. Ha natura di "interesse legittimo" la posizione fatta valere dal privato, con la conseguente giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, avverso provvedimenti di autotutela esecutiva ex art. 823 co. 2 c.c., in quanto espressione del potere "autoritativo" dell'amministrazione, cui è riconosciuto il potere di cd. polizia demaniale.
1.3. È inammissibile l'azione possessoria esperita dal privato qualora, rimasto ineseguito il provvedimento di sgombero emanato dall'amministrazione comunale, quest'ultima abbia poi eseguito in forma coattiva il provvedimento autoritativo, come tale dotato del carattere di esecutività ex art. 21 quater L. 241/90; ciò in quanto non si tratta di un'attività "meramente" materiale posta in essere dall'amministrazione in danno del privato, ma di un'attività "direttamente" riconducibile al provvedimento autoritativo ex art. 823 c.c. co. 2.
T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. I, 8 settembre 2014, n. 1537
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 407 del 2013, proposto da:
Giovanni Acri, rappresentato e difeso dagli avv. Alfonso Romanello, Giovanni Francesci Paolo Chiarelli, con domicilio eletto presso Domenico Bennato in Catanzaro, via Turco N12;
controComune di Corigliano Calabro - Consorzio Sportivo dei Comuni Depressi della Piana di Sibari Corigliano-Rossano;
nei confronti di;
per l'azione di reintegrazione nel possesso dell'appezzamento di terreno sito in agro di corigliano calabro in catasto fl. 90 p.lle 1 e 42, oggetto di "sgombero" in esecuzione dell'ordinanza n 74 del 2012 (prot.19525).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti gli artt. 35, co. 1, e 85, co. 9, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 luglio 2014 la dott.ssa Germana Lo Sapio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1 Il ricorrente, con ricorso depositato in data 12.7.2012 dinnanzi al Tribunale di Rossano – Sezione civile - ha introdotto azione possessoria ex art. 1140 e ss. c.c., avente ad oggetto appezzamento di terreno, di pertinenza del centro sportivo "Insiti", gestito dal Consorzio Sportivo dei Comuni depressi della Piana di Sibari Corigliano-Rossano e sito in Corigliano Calabro.
1.2 Già in quella sede, il ricorrente rappresentava che l'avvenuto "spoglio" era stato "illegittimamente" attuato dal Comune di Corigliano Calabro ai suoi danni "in data 25.5.2012 in dichiarata esecuzione" dell'ordinanza n. 74 prot. 19525 del 3 maggio 2012 (notificata il successivo 4 maggio 2012) adottata dal medesimo Comune e avente ad oggetto "lo sgombero immediato dell'area con ripristino dello stato dei luoghi e demolizione delle opere entro 15 giorni dalla notifica della ordinanza stessa"; rappresentava inoltre che avverso tale provvedimento era già stato introdotto ricorso dinnanzi al TAR Catanzaro (di cui veniva allegata anche copia).
1.2 Con successivo provvedimento del 7 dicembre 2012, adottato nel procedimento possessorio recante n. RG 1121/2012, il Tribunale di Rossano adito ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, qualificando lo spoglio, non come avvenuto site titulo come prospettato dal ricorrente, ma quale fase di esecuzione materiale dell'ordinanza di "sgombero" n. 74 – prot. 19525 - del 3.5.2012 (notificata il 4/5/2012), avente natura di provvedimento amministrativo "autoritativo", adottato formalmente dal Sindaco del Comune di Corigliano Calabro (titolare del biennio 2011-2012 del potere direzionale del Consorzio intercomunale) ed incidente su di "un compendio immobiliare a destinazione sicuramente pubblica"; con la conseguente natura di "interesse legittimo" della situazione soggettiva fatta valere dal ricorrente.
1.3 Con il medesimo provvedimento giudiziale del giudice ordinario, è stato pertanto assegnato al ricorrente termine di 120 giorni per la prosecuzione del giudizio dinnanzi al giudice amministrativo, fornito di giurisdizione sulla res controversa.
2.Con ricorso notificato in data 26 marzo 2013 e depositato in data 4 aprile 2013, il ricorrente ha quindi "riassunto" il giudizio dinnanzi al questo Tribunale ai sensi dell'art. 11 co. 2 c.p.a. (va osservato che l'atto di riassunzione, oltre a contenere una analitica ricostruzione della vicenda processuale sopra sintetizzata, consiste di fatto nella riproduzione in copia del contenuto del ricorso depositato presso il Tribunale civile e delle note autorizzate nel corso della "sommaria istruttoria" svoltasi nel procedimento possessorio), concludendo per la "reintegrazione del possesso" dell'appezzamento di terreno in controversia e per la condanna del Comune resistente e del Consorzio Sportivo dei Comuni depressi della Piana di Sibari Corigliano Rossano di "astenersi da qualunque turbativa del legittimo possesso del ricorrente sul medesimo bene immobile". 3.All'udienza del 25 luglio 2014, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
4. Ritiene il collegio che l'azione possessoria debba dichiararsi inammissibile, in ragione della natura di "autotutela esecutiva" ex art. 823 cc. comma 2 cui è riconducibile l'azione di sgombero del terreno facente parte del "Centro Sportivo Insiti",.
Come già osservato nella fase del giudizio incardinata dinnanzi al giudice ordinario poi dichiaratosi privo di giurisdizione, non vi è dubbio infatti che il bene immobile oggetto, dapprima dell'ordinanza di sgombero e, rimasta questa ineseguita dal privato entro il termine assegnato, della successiva esecuzione coattiva, sia qualificabile quale bene patrimoniale indisponibile (categoria cui sono pacificamente riferibili i poteri amministrativi di autotutela di cui all'art. 823 co. 2 cc; cfr sent. Cons. Stato, sez V, 1 ottobre 1999, n. 1224; Cons. Stato, sez IV, ord 6 aprile 2004 n. 1601), trattandosi di terreni facenti parte dell'impianto sportivo denominato Insiti, gestito dal Consorzio intercomunale sopra indicato "al fine di promuovere e favorire sul territorio intercomunale la pratica sportiva"; bene dunque destinato all'esercizio di un pubblico servizio (invero la natura "pubblica" del bene non è stata oggetto di specifica contestazione in sede di ricorso).
A quanto appena osservato consegue,
da un lato, la natura di "interesse legittimo" della posizione fatta valere dal privato, con la conseguente giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, essendo i provvedimenti di autotutela esecutiva ex art. 823 co. 2 c.c. espressione del potere "autoritativo" dell'amministrazione, cui è riconosciuto il potere di cd. polizia demaniale;
dall'altro, l'inammissibilità dell'azione possessoria qualora, rimasto ineseguito il provvedimento di sgombero da parte del privato, l'amministrazione abbia eseguito in forma coattiva il provvedimento autoritativo, come tale dotato del carattere di esecutività ex art. 21 quater L. 241/90; ciò in quanto non si tratta nello specifico di un'attività "meramente" materiale posta in essere dall'amministrazione in danno del privato, ma di un'attività "direttamente" direttamente riconducibile al provvedimento autoritativo ex art. 823 c.c. co. 2.5. In ragione della peculiarità della vicenda contenziosa, per la quale vengono alla cognizione di questo Tribunale due ricorsi (oltre a quello odierno, anche il ricorso n. 727/2012, oggetto di decisione alla stessa udienza del 25 luglio 2014, con cui è stata impugnata l'ordinanza di sgombero n. 74 del 2012 con azione di annullamento ex art. 29 c.p.a.), pare opportuno osservare che, seppure si qualificasse l'odierna "azione" ex art. 32 co. 2 c.p.a. quale azione promossa avverso la medesima ordinanza n. 74/2014 – in disparte la questione di litispendenza con il giudizio n. 727/2012 sopra indicato - il ricorso sarebbe comunque da dichiararsi irricevibile, in forza del principio per cui, nel caso della translatio judicii, (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sezione IIIa, Sentenza n° 940 del 21/02/2012) restano però ferme le preclusioni e decadenze già intervenute nella fase del giudizio introdotta dinnanzi al giudice poi dichiaratosi carente di giurisdizione (nel caso specifico, l'atto introduttivo del giudizio civile "possessorio" è stato depositato in data 12 luglio 2012, mentre l'ordinanza di sgombero è stata notificata in data 4 marzo 2012, ovvero in data di molto antecedente i 60 giorni di cui all'art. 29 c.p.a.).
6. In conclusione, pertanto, il ricorso deve dichiararsi inammissibile.
7. Non essendosi costituita parte resistente, non vi è luogo a provvedere sulle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Non luogo a provvedere sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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