CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; sentenza 28 gennaio 2016, n. 323; Pres. Virgilio, Est. Russo; Autorità garante della concorrenza e del mercato (Avv. Pellegrino) c. Min. infrastrutture e trasporti (Avv. dello Stato Palmieri), Consorzio Poste motori (Avv. Clarizia, Carbone, Mirabile, Sandulli, Guccione). Annulla Tar Lazio, sez. III ter, 27 maggio 2015, n. 7546.
L'esame dell'appello incidentale, proposto dalla parte vittoriosa nel merito su questioni pregiudiziali decise in senso ad essa sfavorevole, va effettuato solo se l'appello principale è ritenuto fondato. (1)
Nel processo amministrativo la notifica di un ricorso a un'amministrazione statale è nulla se non è effettuata presso l'avvocatura dello Stato e la rinnovazione della notifica con lo strumento dei motivi aggiunti non preclude la decadenza. (2)
Ai sensi dell'art. 21 bis l. 287/90, il ricorso dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato al giudice amministrativo, contro atti che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, deve essere preceduto, a pena d'inammissibilità, da un parere motivato diretto all'amministrazione interessata. (3)
Il termine di trenta giorni per l'impugnazione del provvedimento ritenuto anticoncorrenziale da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai sensi dell'art. 21 bis l. 287/90 decorre o dalla comunicazione dell'atto definitivo di non conformazione o, in caso di inerzia dell'amministrazione interessata, dal sessantesimo giorno dalla comunicazione del parere motivato (nella specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l'inosservanza di tale disposizione non ammettesse la rimessione in termini per errore scusabile). (4)
Fatto e diritto. — 1. – L'art. 86, 1° comma, d.l. 24 gennaio 2012 n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012 n. 87) ha disposto la cessazione, con effetto dopo il 31 dicembre 2013, della convenzione tra il Mit (ministero infrastrutture e trasporti) – dip.to trasp. terrestri e navigaz. e Sis e Poste italiane s.p.a. per la gestione automatizzata dei pagamenti di corrispettivi dovuti dall'utenza per le pratiche automobilistiche ed i servizi connessi. Al contempo, s'è stabilito l'affidamento a gara del servizio ex art. 4, comma 171, l. 24 dicembre 2003 n. 350 «... nel rispetto della normativa dell'Unione europea ...».
Sicché, con bando pubblicato in G.U.U.E. il 9 luglio 2013 e nella G.U. n. 81 del successivo giorno 12, il Mit ha indetto la procedura per l'affidamento di tale servizio per ottantaquattro mesi, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, per un importo a base d'asta pari a euro 490 milioni, Iva esclusa.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato – Agcm già più volte aveva richiamato il Mit a terminare gli affidamenti diretti di tale servizio a Poste italiane s.p.a. Ma, dopo l'indizione di detta gara, essa ha riscontrato nella relativa lex specialis, solo in apparenza adeguata ai suoi richiami, un irrazionale e sproporzionato favor dell'elemento dell'offerta tecnica «capillarità, disponibilità e numerosità degli sportelli fisici» agli sportelli in proprietà (Sfp), piuttosto che a quelli in piena ed efficace disponibilità (Sfo). Invero, la lex specialis ha disposto che, in caso di Sfp, è pari a punti 9 il punteggio massimo conseguibile per un numero di comuni pari a ≥ 8.500 (capillarità), mentre, in caso di Sfo, è pari a punti 6. Il punteggio massimo spettante per il numero complessivo di sportelli (numerosità) è pari a punti 6 per gli Sfp e solo punti 2 per gli Sfo. Per quanto concerne l'elemento della disponibilità, per gli sportelli che garantiscano un'apertura settimanale ≥ h 40/settim. spettano ulteriori punti 3 agli Sfp ed agli Sfo punti 0.
Sicché l'Agcm, in data 13 agosto 2013, ha reso un parere negativo ai sensi dell'art. 21 bis, 2° comma, primo periodo, l. 10 ottobre 1990 n. 287, rendendo noto al Mit che le riscontrate criticità sono state «... idonee a ostacolare un corretto confronto concorrenziale delle offerte presentabili, e dunque risult(a)no in violazione dell'art. 2 d.leg. 163/06, che stabilisce il rispetto del principio di libera concorrenza e non discriminazione nelle procedure per ... concessioni di servizi ...», onde gli ha chiesto di comunicarle le iniziative per risolvere tale violazione. Con nota ricevuta il 4 settembre 2013, il Mit ha reso noto all'Agcm che, a suo dire, non vi sarebbero motivi per modificare il contenuto degli atti di gara.
2. – Contro gli atti di tale procedura è insorta allora l'Autorità avanti al Tar Lazio, ai sensi dell'art. 21 bis, 2° comma, secondo periodo, l. 287/90 e con il ricorso n. 9377/2013 r.g. (munito di regolare procura speciale, notificato il 4 ottobre 2013 in mani proprie al Mit e depositato il successivo giorno 14), deducendo in diritto l'unico, articolato motivo della violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 86, d.l. 1/12 e della violazione dei principî di libera concorrenza, di parità di trattamento e di non discriminazione di cui agli art. 2 e 30 d.leg. 12 aprile 2006 n. 163, nonché delle norme a tutela della concorrenza e del mercato. A tale ricorso è seguìto, una volta decorso il termine di sessanta giorni assegnato al Mit di cui al citato art. 21 bis, 2° comma, secondo periodo — quando, cioè e secondo l'Agcm stessa, se ne è realizzata la condizione di procedibilità ex lege —, l'atto per motivi aggiunti, proposto dopo l'istanza di rinvio del giorno 22 ottobre 2013, senza procura speciale, notificato il successivo 23 ottobre all'avvocatura erariale e riproduttivo in sostanza del gravame introduttivo.
L'adìto Tar, con sentenza n. 7546 del 27 maggio 2015 (u.p. del 20 dicembre 2013), ha disatteso o sorvolato sulle numerose eccezioni di rito e ha respinto nel merito la pretesa attorea, in quanto non ha ravvisato nella legge speciale di gara alcun carattere anticoncorrenziale per: 1) la possibilità di partecipare alla gara stessa mediante avvalimento o in Ati, anche sovrabbondante; 2) la scarsa incidenza dell'elemento problematico riscontrato dall'Agcm nel sistema del punteggio; 3) l'assenza d'irrazionalità nella scelta della maggior premialità a favore degli Sfp.
3. – Appella quindi detta Agcm, con il ricorso in epigrafe, deducendo l'erroneità della sentenza gravata per: A) l'evidente peso rilevante del punteggio stabilito (23/70) per la rete di sportelli e, in quell'ambito, la rilevanza della quota (18/23) spettante agli Sfp, rispetto agli Sfo (4/23); B) l'omesso sindacato sulla valutazione tecnica della pubblica amministrazione, non consequenziale all'affermazione dello stesso Tar dei principî di massima partecipazione, di par condicio e di non costituzione a priori dell'unico miglior offerente possibile, in coerenza con quanto prescrive l'art. 30, 3° comma, d.leg. 163/06 nei riguardi delle concessioni di servizi; C) l'incongruenza del richiamo del Tar, allo scopo di giustificare la coerenza delle regole sull'offerta tecnica con quelle di libera concorrenza, alle Ati sovrabbondanti e l'irragionevolezza in sé del diverso trattamento tra Sfp e Sfo; D) l'illegittimità della lex specialis di gara ove, al contempo, dà siffatto vantaggio ad un solo operatore e scoraggia gli altri competitori, senza che tutto ciò risponda ad un'apprezzabile utilità concreta per l'ente aggiudicatore.
Resistono in giudizio il ministero intimato ed il consorzio Poste motori (aggiudicatario della concessione del servizio), i quali propongono entrambi gravame incidentale al fine di far constare tutte le eccezioni di rito respinte o assorbite in primo grado e concludono, nel merito, per il rigetto del presente appello principale.
Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal collegio.
4. – Vanno esaminate tutte le domande incidentali proposte contro l'appello dell'Agcm, stante il loro carattere veramente paralizzante di esso, incentrato solo, in ragione del decisum di prime cure, sul merito della controversia a suo tempo azionata. È ben vero che l'esame dell'appello incidentale, proposto (come nel caso in esame) dalla parte vittoriosa nel merito su questioni pregiudiziali decise in senso ad essa sfavorevole, va effettuato solo se l'appello principale sia giudicato fondato. Infatti, mentre in caso contrario non sussiste l'interesse dell'appellante incidentale alla pronunzia sulla sua impugnazione (arg. ex Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283), non così accade nel caso in esame per il quale il collegio ravvisa elementi di fondatezza con riguardo ai profili, dianzi evidenziati, sub B) e C), disattesi dal Tar.
5. – Ebbene, iniziando dai motivi incidentali proposti dal ministero intimato (in parte simili a quelli del consorzio aggiudicatario), in primo grado era stata eccepita la tardività del relativo ricorso, in quanto la notificazione di esso presso l'avvocatura erariale non era stata tempestiva.
La questione, però, si mostra alquanto più complessa, come ben si può evincere dalle premesse in fatto e da quanto si dirà tra un momento — tant'è che la vicenda della tardività ne occupa solo un segmento —, ma comunque il Tar ha respinto. Ciò in quanto il Tar ha reputato che la successiva costituzione in giudizio avesse un effetto sanante della primigenia notifica, avvenuta presso la sede ministeriale. La questione, che adesso è ripresa e sviluppata, se si segue la scansione degli eventi è al contempo più lineare e, appunto, più articolata, rispetto alla soluzione, qui non condivisa, offerta dal Tar stesso.
L'Agcm s'è gravata avanti al Tar Lazio, ai sensi dell'art. 21 bis, 2° comma, secondo periodo, l. 287/90, ed una volta ricevuta la nota ministeriale di risposta al suo parere negativo sugli atti della pubblica gara in tal modo contestata. Essa ha infatti proposto il ricorso n. 9377/2013 r.g., munito della regolare procura speciale rilasciata ad un avvocato del libero foro, notificato il 4 ottobre 2013 presso la sede del Mit e depositato il successivo giorno 14. Già soltanto da questi pochi dati non è chi non veda l'inammissibilità in sé del citato ricorso, per l'evidente ragione che all'autorità, al momento in cui le è pervenuta la risposta del Mit, sono stati resi manifesti gli elementi della controversia, ossia le ragioni di dissenso dal predetto parere, entro il termine di legge (sessanta giorni). Sarebbe stato onere dell'autorità non solo d'adire questo giudice nei successivi trenta giorni, com'è accaduto poi materialmente, ma di farlo seguendo le regole ex art. 41, 3° comma, cod. proc. amm. in relazione all'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, non derogate punto dal ripetuto art. 21 bis, 2° comma, secondo periodo, in caso contrario verificandosene l'inammissibilità (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 6 marzo 2015 n. 1145).
Né si può predicare, come vorrebbe il Tar, la sanatoria della nullità di siffatta notifica grazie alla riproposizione del ricorso stavolta notificato all'avvocatura dello Stato e ciò per un duplice ordine di considerazioni. Per un verso, nella specie s'è verificata non già la vicenda della spontanea ed incondizionata costituzione in giudizio del ministero erroneamente intimato — la qual cosa avrebbe determinato il raggiungimento dello scopo —, bensì la situazione in cui esso, non costituito a causa della prima notifica erronea, lo ha fatto dopo la (irrituale) rinnovazione di quest'ultima e solo per farne constare la nullità insieme a tale irritualità. Per altro verso, detta «rinnovazione», eseguita nella forma dell'atto per motivi aggiunti, è stata effettuata direttamente a cura dell'autorità ricorrente e senza seguire la procedura ex art. 44, 4° comma, cod. proc. amm., in virtù del quale spetta a questo giudice e non alla parte ricorrente di stabilire un termine perentorio per formalizzare la rinnovazione d'una notifica nulla, sempreché se ne ravvisi la non imputabilità alla parte stessa. Da qualunque angolo di visuale si voglia apprezzare il caso in esame, il ricorso di primo grado resta pur sempre inammissibile, perché o quello introduttivo lo è a cagione dell'omessa intimazione dell'avvocatura erariale, o lo è quello «rinnovato» fuori dal citato art. 44, 4° comma (per cui non ha impedito alcuna decadenza, maxime la consolidazione in capo ad essa della nota ministeriale pervenutale il 4 settembre 2013), o lo è, quest'ultimo, per la duplice ragione dell'omessa procura speciale e della tardività rispetto al termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione.
6. – Obietta anzitutto l'autorità che una nuova procura non sarebbe occorsa per proporre siffatti motivi aggiunti, stante il chiaro tenore dell'art. 24 cod. proc. amm. Sennonché, essa esprime un dato contraddittorio: se, secondo la sua prospettazione, il gravame introduttivo è stato superfluo, il secondo atto non sarebbe potuto essere qualificato come un atto per motivi aggiunti ed avrebbe abbisognato, quale unico atto introduttivo del giudizio, di tale procura. Nel caso inverso, l'atto per «motivi aggiunti» in realtà sarebbe servito solo per aggirare la decadenza intervenuta e l'inammissibilità conseguente, secondo quanto testé accennato.
Obietta ancora l'Agcm, seguendo l'avviso del Tar sul punto, che il termine de quo decorrerebbe non tanto dalla ricezione dell'atto con cui il Mit ha respinto il parere negativo, bensì dallo spirare di quello di sessanta giorni, posto dal medesimo 2° comma, secondo periodo, per consentire alla pubblica amministrazione destinataria di tale parere di conformarvisi, ma tale assunto, a ben vedere, non trova un serio appiglio testuale.
Ora, il ripetuto art. 21 bis, 2° comma, secondo periodo, dice che, «... se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere,
l'autorità può presentare, tramite l'avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni ...».
Dalla serena lettura della norma s'evince la peculiare legitimatio ad causam che concede all'Agcm per agire in giudizio innanzi a questo giudice, contro atti generali, regolamenti e provvedimenti amministrativi ritenuti lesivi della libertà di concorrenza. L'adizione di questo giudice, da parte di tale autorità, è necessariamente preceduta, a pena d'inammissibilità, da una fase precontenziosa caratterizzata dall'emanazione, da parte sua, di un parere motivato rivolto alla pubblica amministrazione i cui atti sono sospettati di tale lesione. Nel parere sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato, donde la duplice funzione di esso. Da un lato, serve a sollecitare la pubblica amministrazione a rivedere quanto statuito, mercé la conformazione di questa agli indirizzi dell'autorità, se del caso con uno speciale esercizio della funzione d'autotutela giustificato dalla particolare rilevanza dell'interesse pubblico così coinvolto. Dall'altro, mira a tutelare quest'ultimo anzitutto all'interno della stessa pubblica amministrazione, sì da concepire il ricorso a questo giudice quale extrema ratio nella risoluzione del conflitto tra due soggetti pubblici. Sicché la fase precontenziosa costituisce un significativo strumento di deflazione del contenzioso, essendo ragionevole ritenere che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente e solo al giudice per la tutela di un interesse pubblico primario, comune ad entrambi.
Tuttavia, né il dato testuale, né la ratio testé evidenziata autorizzano a concludere che solo lo spirare del termine di sessanta giorni assurga, sempre e di per sé solo, a dies a quo affinché l'Agcm possa adire questo giudice. Infatti, tale termine inizia a decorrere, come in qualunque altro caso in cui alla pubblica amministrazione ne sia assegnato uno per statuire in modo espresso, o dall'atto definitivo di non conformazione (dunque in sé lesivo, quand'anche immotivato o pretestuoso), o dal silenzio della pubblica amministrazione stessa in caso di sua inerzia a fronte del parere negativo.
Ha ragione dunque il Mit nell'affermare l'inammissibilità dell'atto per motivi aggiunti, in quanto rivolto verso l'effettivamente inesistente «atto» di conferma del rifiuto d'adeguarsi al citato parere, paradosso semantico, prim'ancora che logico, in cui cade il Tar per non voler vedere ciò che è in sé evidente in quella sequenza di ricorso e motivi aggiunti, ossia un atto lesivo mal impugnato ed un tentativo d'aggirare l'inammissibilità così verificatasi.
Non serve invece l'argomento, che l'autorità riprende dal pedissequo passaggio della sentenza che, ai fini del ripetuto art. 21 bis, 2° comma, il termine colà indicato sia assegnato alla pubblica amministrazione non per fornire la risposta (purchessia) al parere, ma per conformarvisi. È vera la preferenza del legislatore verso la conformazione quale strumento di risoluzione del conflitto tra i soggetti pubblici coinvolti, ma pure è vero che l'autorità non gode in questi casi di poteri particolari di supremazia nei confronti del destinatario del parere. Appunto per questo la legge le fornisce tale speciale legittimazione ad agire, a fronte d'una volontà altrimenti irriducibile o di un'inerzia colpevole, con la conseguenza che, ove si verifichi (e se ne dia atto espressamente) la volontà di non conformazione della pubblica amministrazione prima dello scadere del termine assegnato a quest'ultima, la lesione s'è così verificata.
Non v'è dunque alcuna necessità d'attendere un ripensamento del destinatario nel residuo lasso di tempo fino alla scadenza stessa, poiché l'attesa in sé non serve a nulla e potendo tale ripensamento avvenire a giudizio già instaurato e fintanto che non intervenga il giudicato. Insomma, tale «attesa» in realtà non è un dato connotante della fattispecie delineata dall'art. 21 bis, sia perché il termine di sessanta giorni è posto a favore del debitore della prestazione — il quale può, in quell'arco di tempo, asserire di non dovere nulla e di non volersi conformare ad alcunché —, sia perché l'«attesa» del ripensamento è, in fondo, ciò che qualunque destinatario d'un atto lesivo spera prima d'intraprendere un contenzioso, al fine di evitarlo.
Sfugge allora al collegio perché mai, avanti ad una così chiara struttura della fattispecie legale e ad un'altrettanto lineare vicenda in fatto, si configuri un errore scusabile nella specie, non esistendo sul punto una pluralità di pronunce contraddittorie e non potendosi certo dire dubbie o di comprensione difficile la regola della tempestiva impugnazione dell'atto lesivo indipendentemente da quando esso intervenga, né tampoco quella della notifica del ricorso giurisdizionale all'avvocatura dello Stato nei casi indicati dall'art. 41, 3° comma, cod. proc. amm.
Non alla stessa conclusione deve pervenire il collegio con riguardo al residuo motivo di gravame incidentale, inerente all'eccepito difetto di ius postulandi per non aver l'autorità proposto il ricorso con il patrocinio dell'avvocatura erariale secondo la previsione ex art. 21 bis, 2° comma, secondo periodo. A tal riguardo, è evidente il conflitto di interessi tra due amministrazioni pubbliche (l'autorità ed il Mit) patrocinate in giudizio, ex lege ed in via esclusiva, dall'avvocatura stessa, ma tale conflitto è, nella specie, facilmente risolubile. Infatti, quando la fase precontenziosa di cui al precedente primo periodo sia inefficace ed occorra adire questo giudice, si deve far sempre riferimento all'ordinario metodo di risoluzione indicato nell'art. 43 r.d. 1611/33, che ne implica la soluzione a favore della pubblica amministrazione attrice o ricorrente. Tuttavia, nel caso in esame, è intervenuto un parere dell'avvocato generale dello Stato, che non ha ravvisato i presupposti per proporre ricorso con il patrocinio dell'avvocatura erariale a favore dell'Agcm. Sicché rettamente quest'ultima, esaurita la fase precontenziosa, s'è rivolta ad un avvocato del libero foro per adire il Tar, senz'uopo d'ulteriori attese o spiegazioni, stante il chiaro tenore di quest'ultimo parere.
7. – Vanno accolti, così e nei limiti fin qui esaminati, l'appello incidentale del Mit e, per le stesse ragioni, quello del consorzio intimato, con conseguente correzione della sentenza del Tar sulle questioni pregiudiziali. Resta così assorbita, essendo divenuta ormai irrilevante, ogni questione sulla ritualità della notifica a mezzo posta (in data 22 ottobre 2013) del ricorso introduttivo. Restano pure assorbite le censure sul merito della controversia, stante sia l'inammissibilità in radice del ricorso di primo grado, sia l'erroneità della sentenza sul punto.
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(1) Nonostante il recepimento, nell'art. 96 cod. proc. amm., dell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'esame dell'impugnazione incidentale tempestiva — a prescindere dalle sue finalità — non è condizionato dalle sorti dell'impugnazione principale (per una disamina degli orientamenti precedenti all'adozione del codice del processo amministrativo, si rinvia a Sigismondi, L'appello incidentale autonomo o improprio nel giudizio amministrativo: una categoria tuttora controversa, in Foro it., 2010, III, 14), una recente giurisprudenza, riprendendo quanto già affermato da Cass., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5456, id., 2009, I, 3047, con nota di richiami di Gambineri e nota di Rusciano, Il ricorso incidentale della parte vittoriosa nel merito è condizionato «de iure», ha affermato che l'ordine logico dell'esame delle domande esige che l'appello principale venga esaminato prima dell'appello incidentale, proprio in quanto l'interesse ad appellare della parte vittoriosa in primo grado sorge solo in seguito all'accertamento della fondatezza del ricorso principale (così Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1596, e, in termini, 15 settembre 2015, n. 4283, entrambe in <www.giustizia-amministrativa.it>).
In senso contrario, Cons. giust. amm. sic., ord. 22 ottobre 2015, n. 634, ibid., richiamandosi a Cons. Stato, ad. plen., 7 aprile 2011,
n. 4, Foro it., 2011, III, 306, con nota di Sigismondi, afferma invece che l'ordine logico di esame delle questioni previsto dagli art. 76, 4° comma, cod. proc. amm. e 276, 2° comma, c.p.c. non può essere sovvertito.
Alla medesima conclusione accolta dalla sentenza in epigrafe si perviene, specularmente, considerando il principio secondo il quale la parte deve essere titolare d'interesse a ricorrere durante tutta la durata del processo: così, se l'interesse a proporre appello incidentale proprio deriva dalla proposizione dell'appello principale, tale interesse verrà meno col venir meno, per qualsiasi motivo, dell'impugnazione principale (così Perongini, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Milano, 2011, 86 ss.).
Seguendo il criterio in esame, l'impugnazione incidentale sarebbe quindi sempre condizionata alle sorti dell'impugnazione principale, a) se sia stata proposta tardivamente, ai sensi degli art. 96 cod. proc. amm. e 334 c.p.c.; b) se sia stata proposta, anche tempestivamente, dalla parte vittoriosa nel merito, con riferimento a questioni pregiudiziali decise in senso ad essa sfavorevole.
(2) Non risultano precedenti sul punto.
Nel caso di specie, il ricorso introduttivo era stato notificato tempestivamente direttamente al ministero dei trasporti presso la sua sede, e non all'avvocatura generale dello Stato, nonostante quanto disposto dall'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611.
In primo grado, Tar Lazio, sez. III ter, 27 maggio 2015, n. 7546, <www.giustizia-amministrativa.it>, aveva ritenuto che la costituzione in giudizio dell'amministrazione in seguito alla rituale notifica del ricorso per motivi aggiunti (sostanzialmente riproduttivo del ricorso introduttivo) avesse comportato una sanatoria ex tunc della nullità della notifica del ricorso introduttivo, per raggiungimento dello scopo cui l'atto era diretto, rendendo irrilevante la questione della possibilità di rinnovare la notifica del ricorso introduttivo con lo strumento dei motivi aggiunti (in senso contrario e cioè nel senso che nel processo amministrativo la costituzione in giudizio abbia effetti sananti solo ex nunc, cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2015, n. 219, ibid. Per un esame critico, cfr. Squazzoni, Sulla supposta incompatibilità tra struttura del processo amministrativo e obbligo di disporre la rinnovazione della notificazione del ricorso affetta da nullità, in Dir. proc. amm., 2014, spec. 1339 ss.).
L'art. 44, 4° comma, cod. proc. amm. prevede che la rinnovazione della notifica nulla, con effetti ex tunc, possa essere disposta dal giudice solamente se il fallimento della notifica sia dovuto a cause non imputabili al ricorrente. L'introduzione, con l'art. 44, 4° comma, cit., della limitazione alla rinnovazione della notifica nulla, in contrasto con quanto previsto originariamente dall'art. 46, 24° comma, l. 69/09, che estendeva al processo amministrativo la regola dettata dall'art. 291 c.p.c., è stata ritenuta costituzionalmente non illegittima, alla luce della «peculiare struttura del processo amministrativo», caratterizzato da brevi termini perentori per la sua introduzione (Corte cost. 31 gennaio 2014, n. 18, Foro it., 2014, I, 1028, con nota critica di Travi, e Dir. proc. amm., 2014, 1301, con nota di Squazzoni, cit., e Giur. costit., 2014, 265, con nota di Chieppa, Le alternanze legislative sugli effetti della notificazione dei ricorsi all'amministrazione o all'avvocatura dello Stato e le modifiche apportate da decreto legislativo a disposizioni della stessa legge contenente la delega (c.d. mista)).
Nel caso di specie, la rinnovazione della notifica era stata effettuata: a) in assenza di uno specifico ordine del giudice, b) attraverso l'uso improprio dello strumento dei motivi aggiunti, e comunque c) l'errore sul luogo della notifica non poteva sicuramente configurarsi come errore scusabile, non essendo incerta o controversa la regola secondo la quale il ricorso all'amministrazione statale deve esserle notificato presso l'avvocatura dello Stato competente per territorio (in termini, cfr., per tutti, Tar Lazio, sede Latina, sez. I, 16 luglio 2014, n. 595, e sez. III 12 marzo 2014, n. 2795, Tar Toscana, sez. I, 13 gennaio 2014, n. 35, Tar Lazio, sez. III, 12 marzo 2014, n. 2795, Tar Marche, sez. I, 7 marzo 2013, n. 175, Tar Campania, sez. IV, 3 ottobre 2013, n. 4506, Tar Liguria, sez. II, 11 gennaio 2013, n. 60, tutte in <www.giustizia-amministrativa.it>; Cons. Stato, sez. VI, 4 novembre 2011, n. 5856, Foro it., Rep. 2012, voce Giustizia amministrativa, n. 687; sez. V 7 aprile 2011, n. 2171, id., Rep. 2011, voce cit., n. 959; sez. VI 12 gennaio 2011, n. 107, ibid., n. 939).
Nel caso in esame, una volta ammesso che la costituzione in giudizio dell'amministrazione abbia effetti sananti solo ex nunc, non sarebbe stato possibile evitare una pronuncia di inammissibilità neppure riconoscendo al ricorso per motivi aggiunti — ritualmente notificato e riproduttivo dei contenuti del primo ricorso — il valore di atto introduttivo della controversia, in applicazione dei principî generali di conservazione degli atti e di prevalenza della sostanza sulla forma. Infatti, sulla base dell'interpretazione accolta dei termini per il ricorso previsti dall'art. 21 bis, 2° comma, l. 287/90, alla data in cui veniva richiesta la notifica dei motivi aggiunti risultava già decorso il termine per l'impugnazione dell'atto (cfr. infra, sub nota 4).
(3) In termini, v. Tar Lazio, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264, Foro it., Rep. 2014, voce Concorrenza (disciplina), n. 154; sez. III 15 marzo 2013, n. 2720, id., Rep. 2013, voce cit., n. 124; sez. II 6 maggio 2013, n. 4451, ibid., n. 120; Corte cost. 14 febbraio 2013, n. 20, id., 2013, I, 1398. Per una riflessione critica in merito alle implicazioni di tale soluzione sulla possibilità di ottenere la sospensione cautelare dell'atto sospettato di violazione delle norme poste a tutela della concorrenza e del mercato, v. Libertini, I nuovi poteri dell'autorità antitrust, in <www.federalismi.it>, 2.
L'art. 21 bis, 1° comma, l. 287/90 prevede che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato possa impugnare i provvedimenti amministrativi ritenuti anticoncorrenziali seguendo la procedura stabilita dal successivo 2° comma, che a sua volta contempla tre fasi. Se ravvisa il contrasto fra un provvedimento e le norme a tutela della concorrenza e del mercato, l'autorità garante 1) comunica all'amministrazione procedente un parere motivato entro sessanta giorni, 2) a questo punto, l'amministrazione interessata dispone di sessanta giorni per conformarsi, 3) se l'amministrazione non si conforma, l'autorità può impugnare il provvedimento ritenuto anticoncorrenziale entro i successivi trenta giorni.
La fase precontenziosa di contestazione del carattere anticoncorrenziale di un provvedimento perseguirebbe due obiettivi:
1) stimolare l'amministrazione procedente a rivedere autonomamente il proprio operato (Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246, Foro it., Rep. 2014, voce Giustizia amministrativa, n. 772), in applicazione del principio di leale collaborazione (Tar Lazio, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720, cit.). Si discute, a tal proposito, della natura dell'atto di conformazione: secondo alcuna giurisprudenza, l'annullamento del provvedimento ritenuto anticoncorrenziale dall'Agcm costituirebbe esercizio dell'ordinario potere discrezionale di autotutela disciplinato dall'art. 21 nonies l. 241/90 (Tar Lazio, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264, cit.), mentre altra giurisprudenza ritiene che, qualora l'amministrazione procedente «ravvisi l'effettività o la fondatezza dei rilievi di cui al parere», tale annullamento dovrebbe considerarsi doveroso, e perciò sarebbe esercitabile anche in assenza dei presupposti di cui all'art. 21 nonies l. 241/90 (Tar Lazio, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720, id., Rep. 2013, voce Concorrenza (disciplina), n. 122);
2) evitare il contenzioso, «potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente (ed esclusivamente) al giudice per la tutela di un interesse pubblico» (Tar Lazio, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264, cit.; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246, cit.).
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che il termine di sessanta giorni per l'emanazione del parere da parte dell'Agcm decorre dalla sua conoscenza del provvedimento (o dei suoi elementi essenziali) e non dalla pubblicazione di esso, perché un'interpretazione diversa dell'art. 21 bis, 2° comma, cit. «renderebbe [...] oltremodo arduo il tempestivo esercizio dell'iniziativa da parte dell'autorità attentando così alla reale applicabilità del nuovo istituto, in sicuro conflitto con la relativa ratio legis» (così Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2015, n. 1171, <www.giustizia-amministrativa.it>; in termini, Tar Lazio, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720, Foro it., Rep. 2013, voce cit., n. 125). Tale conclusione pare tuttavia problematica alla luce della rigida scansione temporale prevista dal legislatore per l'esercizio dei poteri d'impugnativa dell'autorità garante, evidentemente perché è stato dato rilievo all'esigenza di tutelare la certezza delle situazioni giuridiche.
In proposito, secondo una giurisprudenza, il termine previsto per l'emanazione del parere è da considerarsi perentorio, ma solo se ad esso fa seguito l'impugnazione, «atteso che l'ordinamento non può tollerare che in materie destinate a coinvolgere rilevanti e importanti interessi economici si mantenga a lungo l'incertezza in ordine alla composizione dei rapporti tra amministrazioni e soggetti privati coinvolti dall'attività amministrativa» (Tar Lazio, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264, cit., punto 11, A e B). Secondo un altro orientamento, invece, il rispetto del termine per l'emanazione del parere necessario non rileverebbe ai fini della procedibilità o ammissibilità dell'eventuale e successivo ricorso dell'Agcm, in assenza di una previsione esplicita in tal senso (v. Tar Lazio, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720, ibid., n. 128).
L'introduzione, all'art. 21 bis cit., della legittimazione ad agire in capo all'Agcm ha suscitato un vivace dibattito in dottrina: in particolare, cfr. Cappai, Il problema della legittimazione a ricorrere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella prima giurisprudenza amministrativa, in Foro amm.-Tar, 2013, 1607; Cifarelli, Verso un nuovo protagonismo delle autorità indipendenti? Spunti di riflessione intorno all'art. 21 l. n. 287 del 1990, in <https://www.amministrazioneincammino.
luiss.it>; Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in <www.federalismi.it>; Giovagnoli, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere all'Agcm nell'art. 21 bis l. 287/90, in <https://jusforyou.it>; Interlandi, Brevi riflessioni sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di ampliamento della legittimazione ad agire nel processo amministrativo, in <www.giustamm.it>; Libertini, I nuovi poteri dell'autorità antitrust, in <www.federalismi.it>; Pecchioli, Teologia della concorrenza o crisi di cooperazione? Note critiche sulla legittimazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ad impugnare atti amministrativi e regolamenti, in <www.giustamm.it>; Politi, Ricadute processuali a fronte dell'esercizio dei nuovi poteri rimessi all'Agcm ex art. 21 bis l. 287/90. Legittimazione al ricorso e individuazione dell'interesse alla sollecitazione del sindacato, in <www.federalismi.it>; Quinto, L'interesse legittimo «anfibio» nell'Europa di diritto, in <www.giustizia-amministrativa.it>; Sandulli, Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell'Agcm nell'art. 21 bis l. n. 287 del 1990, in <www.federalismi.it>; Urbano, I nuovi poteri processuali delle autorità indipendenti? Spunti di riflessione intorno all'art. 21 bis l. 287/90, in Giornale dir. amm., 2013, 1022.
(4) Per una diversa interpretazione dell'art. 21 bis, 2° comma, secondo periodo, l. 287/90, cfr. Tar Sicilia, sez. Catania, 3 marzo 2014, n. 676, <www.giustizia-amministrativa.it>, il quale afferma che, non essendo espressamente previsto che il termine di trenta giorni per l'impugnazione inizi a decorrere anche dall'emanazione di un provvedimento non conforme al parere dell'autorità, tale termine vada sommato al termine di sessanta giorni previsto per la conformazione, «sicché si può ricavare che il termine perentorio complessivo per proporre ricorso è di novanta giorni dalla comunicazione del parere dell'autorità all'amministrazione interessata», che l'amministrazione sia rimasta inerte o che abbia emanato un provvedimento in contrasto con il parere dell'autorità. Pur muovendo da premesse diverse, la medesima conclusione risulta accolta da Tar Lazio, sez. III ter, 27 maggio 2015, n. 7546, cit., e sez. III 15 marzo 2013, n. 2720, Foro it., Rep. 2013, voce Concorrenza (disciplina), n. 126, e Foro amm.-Tar, 2013, 1587, con nota di Cappai, cit., secondo cui il termine di sessanta giorni previsto per la conformazione è volto a consentire l'esplicarsi di un «confronto dialettico» tra l'autorità garante e l'amministrazione procedente, in applicazione del principio di leale collaborazione, di modo che «è ben possibile che, anche a seguito dell'adozione di una determinazione negativa, nel termine di sessanta giorni possano intervenire
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