Il TAR Lazio Sez. III-ter, n. 2720 del 15 marzo 2013 in materia di concorrenza, distiungue l'interesse genelare da quello pubblico imputato alla cura dell'Agcm
L' art. 21bis della L. 287/1990, introdotto dal Decreto Monti, prevede che, "L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette , entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni."
La sentenza TAR Lazio, Sez. III-ter, n. 2720 del 15 marzo 2013, ha dichiarato manifestamente infondata la censura che faceva valere la contrarietà della norma in oggetto agli articoli 103 e 113 della Costituzione, ritenendo che l'AGCM, affidataria ex lege dell'interesse pubblico alla protezione della concorrenza, sia titolare di una situazione giuridicamente rilevante che ha ad oggetto il corretto funzionamento del mercato quale bene della vita.
la norma rappresenterebbe l'introduzione nell'ordinamento nazionale di un meccanismo analogo alla procedura di infrazione prevista dalla normativa comunitaria.
Dalla prassi emerge, inoltre, che i principali destinatari dei pareri ex articolo 21-bis sono gli enti locali e territoriali e che i pareri hanno prevalentemente come oggetto questioni relative al rispetto del principio concorrenziale nel settore dei servizi pubblici locali e alla corretta applicazione delle norme di legge introdotte dal Governo Monti in materia di liberalizzazioni.
Il giudice amministrativo evidenzia che "la disposizione, lungi dall'introdurre una ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo, in cui l'azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, che porrebbe problemi di compatibilità specie con l'art 103 Cost., delinea piuttosto un ordinario potere di azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche individuali qualificate e differenziate, benché soggettivamente riferite ad una autorità pubblica."
Dunque, l' azione oggetto di esame, lungi dal configurare un controllo generalizzato ed oggettivo sull' operato amministrativo, risulta rivolta alla tutela di uno specifico bene della vita:"il corretto funzionamento del mercato, come luogo nel quale trova esplicazione la libertà di iniziativa economica privata, intesa come pretesa di autoaffermazione economica della persona attraverso l'esercizio della impresa, bene tutelato a livello comunitario e costituzionale."
E ciò in base alla considerazione che "l'Autorità AGCM, per la sua stessa caratterizzazione normativa, è l'affidataria dell'interesse alla concorrenza, e, dunque, effettivamente portatrice di un interesse sostanziale protetto dall'ordinamento che si soggettivizza in capo ad essa pcome posizione differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato."T.A.R. Roma Lazio, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720
La massima
1. L'art. 21 bis, l. n. 287 del 1990, lungi dall'introdurre un'ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo, in cui l'azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, che porrebbe problemi di compatibilità specie con l'art. 103 cost. (secondo il quale gli organi della giustizia amministrativa hanno giurisdizione in materia di interessi legittimi e, nei soli casi previsti dalla legge, di diritti soggettivi), delinea piuttosto un ordinario potere di azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche individuali qualificate e differenziate, benché soggettivamente riferite ad una autorità pubblica. L'interesse sostanziale alla cui tutela l'azione prevista dall'art. 21 bis in capo all'Autorità Antitrust è finalizzata assume i connotati dell'interesse ad un bene della vita: il corretto funzionamento del mercato, come luogo nel quale trova esplicazione la libertà di iniziativa economica privata, intesa come pretesa di autoaffermazione economica della persona attraverso l'esercizio dell'impresa, tutelato a livello comunitario e costituzionale, costituisce il riferimento oggettivo di una pretesa, giuridicamente rilevante e meritevole di salvaguardia, ad un bene sostanziale. Un bene della vita, dunque, che non si risolve nel mero interesse generale al rispetto delle regole e alla legalità dell'azione amministrativa (rispetto ai parametri di legge che regolano il funzionamento del libero mercato), ma che assume una specifica dimensione sostanziale, che si concretizza e si specifica nelle diverse fattispecie nelle quali trovano applicazione le norme a tutela del buon funzionamento del libero mercato.
2. Il parere dell'Autorità Antitrust, che si inserisce nella fase preliminare in termini di necessarietà, venendo a costituire un presupposto indefettibile per l'azione giurisdizionale ai sensi dell'art. 21 bis, l. n. 287 del 1990, mira solo a consentire un momento di interlocuzione preventiva dell'Autorità con l'Amministrazione emanante l'atto ritenuto anticoncorrenziale, allo scopo di stimolare uno spontaneo adeguamento della fattispecie ai principi in materia di libertà di concorrenza in esito ad un confronto dialettico che costituisce espressione del principio di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni. Le determinazioni che la p.a. viene ad assumere, a seguito di detta interlocuzione, sia nel senso della conformazione al parere (con conseguente ritiro o modifica dell'atto), sia nel senso della conferma della soluzione originaria, non costituiscono estrinsecazione di un potere di autotutela "strictu sensu" inteso, non implicando alcun apprezzamento di natura tipicamente discrezionale orientato secondo i parametri tradizionali dell'autotutela. In particolare, ove l'Amministrazione ravvisi l'effettività o la fondatezza dei rilievi di cui al parere dell'Autorità, ha l'obbligo di conformare la propria azione alla salvaguardia dei principi in materia di concorrenza, non potendosi certo ipotizzare che, secondo i parametri propri dell'autotutela, rifiuti di modificare o ritirare l'atto lesivo della libertà di concorrenza solo per la mancanza dei presupposti dell'annullamento d'ufficio, L'Amministrazione non potrà, quindi, pur riconoscendo la violazione delle norme a tutela della concorrenza, decidere di non rimuovere o di non modificare l'atto originariamente adottato in ragione dell'asserito difetto dei presupposti di cui all'art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990. Ciò in ossequio alla primaria esigenza della tutela della libertà di concorrenza, espressione di valori costituzionali e comunitari e strumento di attuazione del benessere sociale. Ne consegue che anche le determinazioni adottate dall'Amministrazione in esito al parere reso dall'Autorità nella fase precontenziosa rimangono attratte al momento dell'interlocuzione di cui al comma 2 dell'art. 21 bis, senza assumere una valenza provvedimentale esterna come atti di autotutela e non può, quindi, configurarsi un onere di impugnativa specifica da parte dell'Autorità, una volta che questa decida di esercitare l'iniziativa giurisdizionale ex comma 1 avverso l'atto ritenuto anticoncorrenziale.
3. È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 21 bis, l. n. 287 del 1990, per contrasto con gli art. 24, 103, 113 e 95 cost., considerata, come valore assorbente, la necessaria correlazione dei poteri giurisdizionali riconosciuti dall'art. 103 al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa con il valore primario che l'ordinamento costituzionale e dell'Unione riconoscono alla concorrenza, cui si correla la responsabilità dello Stato per la violazione delle norme Ue. In questo quadro, infatti, si colloca la coerente attribuzione ad un organo pubblico come l'A.g.c.m. del potere di agire in sede giurisdizionale in caso di violazione delle norme che tutelano tale valore.
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