Dove c’è potere amministrativo c’è sempre una legge che fonda quel potere.

Qualunque potere amministrativo trova, quindi, il suo imprescindibile presupposto nella legge, che può in misura diversa vincolare l’agere amministrativo e che individua sempre i fini e i risultati cui la p.a. deve tendere, non appartenendo al potere ammini- strativo il potere libero nei fini.

Vi è convergenza di vedute nel ritenere che il principio in parola rinvenga il suo fon- damento nell’art. 97 Cost., secondo cui i pubblici uffici sono organizzati secondo dispo- sizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, e negli artt. 24 e 113 Cost. Queste ultime norme, in particolare, sottopongono l’incedere dell’attività amministrativa al sindacato giurisdizionale, che è a sua volta soggetto alla legge; ne deriva che per essere soggetta ad un sindacato giurisdizionale la p.a. deve uniformarsi alla legge.

Non può, tuttavia, tralasciarsi di considerare che anche gli artt. 23 e 42 Cost. completino il mosaico delle norme poste a fondamento del principio di legalità nel diritto amministrativo.

L’art. 23 Cost. legittima le ablazioni personali, che possono essere ammesse “solo nei casi previsti dalla legge”; da qui la conclusione che la p.a. può emanare provvedi- menti amministrativi ablativi della persona nei soli casi previsti dalla legge.

Medesima argomentazione vale per le ablazioni reali; in relazione al potere espro- priativo la Costituzione (art. 42) e il codice civile (art. 834) prevedono che la proprietà privata, pur costituendo uno dei diritti fondamentali, può essere limitata nei casi previ- sti dalla legge.

L’art. 1 I co. legge n. 241/1990, sin dalla sua prima formulazione, ha enunciato il principio che l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge; il I ter co. estende poi tale principio, ma non solo, ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative.

In diritto civile il principio di legalità risulta sfumato, nel senso che  nel diritto dei privati l’autonomia negoziale riconosce alle parti ampio spazio al punto da consentirle di predisporre contratti anche nelle ipotesi non previste espressamente dalla legge. Tale potere è riconosciuto perché nel diritto civile la condizione affinché si possano creare ipotesi che il legislatore non ha ideato è che si tratti di diritti disponibili delle parti, diritti sui quali lo Stato non ha interesse ad intervenire se non per un controllo di meritevolezza esterno.  

Nel diritto penale, che è, comunque, un diritto di matrice pubblicistica, il principio di legalità, previsto dagli artt. 1 c.p. e 25 Cost., mostra delle somiglianze con il principio di legalità nel diritto amministrativo, perché assume una chiara e indiscussa funzione di garanzia per il cittadino. Nel diritto penale, la garanzia, che fa da sfondo al principio di legalità, è duplice perché è garanzia dall'arbitrio legislativo, ma tutela anche dall'arbitrio del giudice penale. Per evitare di attribuire eccessiva discrezionalità al giudice penale, il principio di legalità viene affiancato dai principi di tassatività e determinatezza, o anche di precisione 

Nel diritto amministrativo, il principio di legalità è irrinunciabile quanto nel diritto penale, perché fornisce un presidio di garanzia nei confronti di un’attività unilaterale a carattere autoritativo, che, quindi, si impone alle parti e deve, pertanto, essere necessariamente predeterminata dal legislatore.

In tale ambito emerge l’esigenza sottesa al principio di legalità di creare un presidio contro l’incedere, talvolta inesorabile, della p.a., che esita in un provvedimento amministrativo, connotato tendenzialmente dalla caratteristica dell’autoritatività ed esecutorietà.

La legge nel diritto amministrativo è sempre a carattere imperativo, come ha recentemente chiarito il Consiglio di Stato, non esistendo in tale ambito norme a carattere dispositivo. L’ambito della discrezionalità della pubblica amministrazione è, infatti, ben definita dai limiti posti dalle norme pubblicistiche, ai quali il pubblico potere non può derogare, neppure nel perseguimento di un interesse generale, poiché il fondamento e il limite di quel potere sta tutto e solo nella previsione della legge che, nell’attribuire il potere, lascia alla pubblica amministrazione la possibilità di curare quell’interesse, in concreto, nei rigidi ed invalicabili limiti, però, da essa prefissati.

Sbiadisce e perde di senso, dunque, la distinzione tra norme imperative e norme dispositive, propria del diritto privato, quando essa venga trasposta, per un malinteso senso delle simmetrie giuridiche o per un’artificiosa reductio ad unitatem dell’intero sistema giuridico, nel diritto amministrativo, dove la violazione della legge è in linea di principio, fatte salve alcune limitate, recenti (e assai dibattute) eccezioni come quelle dei c.d. vizi non invalidanti (art. 21 octies II co. legge n. 241/1990), ragione di annullabilità dell’atto

 

La stessa Corte Costituzionale, con sentenza 7 aprile 2011, n. 115, ha evidenziato l'imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativo venga osservato il principio di legalità so- stanziale, posto a base dello Stato di diritto

 

Alla nozione di atto politico concorrono due requisiti essenziali uno soggettivo e l’altro oggettivo. Si tratta di un atto che non ha le caratteristiche dell’atto amministrativo. Infatti, è un atto o provvedimento emanato dal governo o, comunque, dall’autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica (requisito soggettivo) e dall'altro che si tratti di atto o porvvedimento emanato nell'esercizio del potere politico, anzichè nell'esercizio dell'attività meramente amministrativa (requisito oggettivo) TAR  Puglia 350/3013

L'atto politico è ampiamente libero nelle finalita ed è espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del paese

L’attività politica non è una vera e propria attività amministrativa, perché non soggetta al sindacato del giudice amministrativo, ma alla democraticità dell'azione: la sanzione per l'atto politico non condiviso è la non rielezione, la sanzione per l'atto amministrativo illegittimo è l'annullamento (o in casi residuali la nullità).

Qualora, infatti, il legislatore non determini gli scopi dell'azione amministrativa, si abbandona il campo dell’attività amministrativa stricto sensu intesa, controllabile dall’autorità giudiziaria e si confluisce nell’attività politica, che non è soggetta alla giurisdizione del g.a., come, peraltro, ricorda l’art. 7 c.p.a. 1.

L’ordinamento lo sottrae al predetto sindacato per preservare l’indipendenza e l’autonomia degli organi politico-costituzionali da eventuali indebite in- gerenze dei giudici, pertanto tale categoria di atti è sottoponibile soltanto a un controllo politico.

Per la giurisprudenza amministrativa, l’unico limite cui l’atto politico deve soggiacere è rappresentato dall’osservanza dei precetti costituzionali, la cui violazione giustifica il sindacato di legittimità da parte della Corte costituzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge o in sede di conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato  - CDS, Sez. V, 27 luglio 2011, n. 4502.

Sul versante processuale risulta del tutto evidente come il problema di tutelare il soggetto privato, in linea di massima, non si pone poiché l’atto politico ben difficilmente si presenta immediatamente lesi- vo di interessi individuali. Di fatti, il potere politi- co si esprime mediante direttive di carattere gene- rale che finiscono per non incidere direttamente sulle posizioni giuridiche dei soggetti destinatari, i quali, pertanto, non risultano titolari di un interes- se ad agire in sede giurisdizionale

In ogni caso, la provenienza di un atto dal governo non implica che esso sia, ex se un atto politico; in- fatti, la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte richiede una specifica indagine sul- l’interesse sotteso allo specifico atto

La giurisprudenza comunitaria (Corte europea dei diritti dell'uomo, 14 dicembre 2006) ha ritenuto che sussiste compatibilità tra l’art. 6, della Convenzione dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza italiana che esclude la risarcibilità dei danni scaturenti dal- l’adozione di atti politici, in quanto, lungi dal rap- presentare una qualsivoglia forma di immunità (so- stanziale e processuale), una simile esclusione co- stituisce l’effetto di una legittima e non irragione- vole interpretazione del diritto nazionale e interna- zionale

Tra gli atti politici si possono enunciare:
- la legge;
- gli atti aventi forza di legge;
- la nomina dei senatori a vita;
- la nomina dei giudici costituzionali;
- gli atti di concessione di grazia e di commutazione della pena;
- le pronunce della Corte costituzionale;
- il referendum abrogativo;
- l’elezione del Presidente della Repubblica;
- l’elezione dei giudici costituzionali,
- l’elezione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura;
- la presentazione di disegni di legge;
- lo scioglimento delle Camere;
- la promulgazione delle leggi;
- la nomina dei Ministri;
- la firma dei trattati internazionali;
- la mozione di fiducia e di sfiducia delle Camere al governo;

Il Documento di programmazione economico - finanziaria, in quanto finalizzato ad indirizzare le scelte di politica economica e finanziaria del governo, ha natura di atto politico, in quanto tale non solo inidoneo a produrre effetti immediati sulle po- sizioni giuridiche soggettive tutelabili, ma altresì insuscettibile di produrre effetti provvedimentali, non inserendosi né sotto il profilo formale, né sot- to quello sostanziale nell’ambito degli atti amministrativi - TAR Lazio, Roma, Sez. I, 16 febbraio 2010, n. 2255.

 


 

 

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