Centralizzazione degli acquisti
Obblighi in relazione ai servizi di accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali

Pubblicato il Comunicato del Presidente del 22 dicembre in merito all’applicazione dell’art. 33, comma 3-bis del Codice dei Contratti Pubblici, ai servizi di accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali.

 

Oggetto: Applicazione dell’art. 33, comma 3-bis, del Codice dei Contratti Pubblici ai servizi di accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali.

Con nota acquisita al protocollo di questa Autorità n. 155617 del 18.11.2015, l’Associazione Nazionale Aziende Concessionarie Servizi Entrate Enti Locali (ANACAP) ha trasmesso la risoluzione con la quale ha ritenuto non sussistente per gli enti locali l’obbligo di centralizzazione degli acquisti di cui all’art. 33, comma 3-bis, del Codice dei Contratti Pubblici in relazione agli affidamenti dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi, in considerazione della qualificabilità degli stessi come concessioni di servizi pubblici. Al riguardo, l’Autorità ritiene di dover rappresentare quanto segue.

Nella prassi è possibile rinvenire affidamenti a soggetti terzi della gestione delle entrate tributarie e patrimoniali di un ente locale sia mediante contratti di concessione che mediante contratti di appalto. Sul tema sono, peraltro, rinvenibili orientamenti dottrinali e giurisprudenziali oscillanti.
Sul punto, l’Autorità evidenzia che la nuova direttiva 23/2014/UE, affermando la natura contrattuale della concessione, specifica con chiarezza che la differenza con l’appalto si concreta nella circostanza che il corrispettivo del servizio è costituito unicamente dal “diritto di gestire” lo stesso oppure da tale diritto accompagnato da un prezzo, quindi dal diritto allo sfruttamento economico del servizio offerto. Per tale ragione, il contenuto necessario del contratto di concessione è il trasferimento in capo all’operatore economico del cd. “rischio operativo”, inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni del mercato, che possono derivare da un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o contestualmente da entrambi. Come chiarito dal Considerando 20 della predetta direttiva, il rischio operativo dovrebbe derivare da fattori al di fuori dal controllo delle parti. Pertanto, rischi collegati ad una cattiva gestione, inadempimenti contrattuali dell’operatore economico o causati da forza maggiore non sono decisivi per classificare un contratto come concessione, poiché rischi del genere sono insiti in ogni contratto, a prescindere che sia un appalto pubblico o una concessione.
Ciò premesso, si ritiene che nel caso dei servizi di accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali non sembra rinvenibile il trasferimento del cd. “rischio di domanda” (ossia, il rischio che la domanda dei servizi sia superiore o inferiore al previsto1) dal momento che la domanda di tali servizi proviene dagli enti locali e non dai privati, soggetti all’imposta. Inoltre, non sussiste in capo ai privati la facoltà di scegliere se avvalersi o meno di quel servizio, dal momento che gli stessi “soggiacciono” a tale servizio, trattandosi appunto di imposte e/o tasse che devono essere versate in presenza dei presupposti di legge. Non sembra, quindi, sussistere neppure il rischio sul lato dell’offerta (ossia, il rischio che la fornitura di servizi non corrisponda alla domanda).
Pertanto, gli affidamenti in questione non sembrano pienamente riconducibili nel tipico modulo concessorio.
Tuttavia, deve altresì rilevarsi che nella prestazione dei servizi in esame, a seconda di come sia concretamente definito il rapporto contrattuale, possono gravare sull’operatore economico specifici rischi economici, che potrebbero condurre a ritenere sussistente la natura di concessione per tali servizi. È, ad esempio, il caso della riscossione coattiva, per la quale la natura e l’entità del rischio trasferito potrebbero comportare la possibilità che l’affidatario non riesca a recuperare, neppure nel caso di gestione virtuosa del servizio, gli oneri necessari per l’approntamento e l’affinamento di strumenti e procedure impegnativi, che obbligano l’operatore economico ad investimenti significativi in strumenti informatici e reperimento o formazione di figure professionali di alto profilo. In tale situazione, assume particolare valenza la modalità di calcolo dell’aggio riconosciuto all’operatore economico (se in percentuale sulle somme accertate oppure su quelle riscosse; se è previsto o meno un minimo garantito all’amministrazione) e la relativa quantificazione in relazione ai costi presunti da sostenere per l’esecuzione dei servizi. Si ricorda, al riguardo, che il legislatore europeo ha chiarito che «Ai fini della valutazione del rischio operativo, dovrebbe essere preso in considerazione in maniera coerente ed uniforme il valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario» (Considerando 20 della direttiva 2014/23/UE) e che «i contratti che non implicano pagamenti al contraente e ai sensi dei quali il contraente è remunerato in base a tariffe regolamentate, calcolate in modo da coprire la totalità dei costi e degli investimenti sostenuti dal contraente per la fornitura del servizio, non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva» (Considerando 17 della direttiva 2014/23/UE) e, quindi, non costituire una concessione.

Alla luce di quanto sopra, l’Autorità ritiene che, in generale, l’assenza di un prezzo al mercato, l’inelasticità della domanda all’aggio praticato, il carattere prevalentemente strumentale dell’attività prestata dall’agente della riscossione e l’entità ridotta di rischio sopportato dallo stesso fanno propendere per la natura di appalto degli affidamenti in parola, con conseguente applicazione dell’obbligo di centralizzazione degli acquisti di cui al comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei contratti pubblici.
Tuttavia, laddove, per lo specifico contenuto del rapporto contrattuale, lo stesso risulti inquadrabile nel modulo concessorio, in osservanza dei principi stabiliti dall’ordinamento nazionale ed europeo e dei criteri elaborati dalla giurisprudenza, potrà ritenersi non applicabile il disposto di cui al comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei contratti pubblici. Al riguardo, si ritiene opportuno evidenziare che, peraltro, proprio nel caso dei servizi che teoricamente potrebbero rientrare nel modello concessorio, l’aggregazione degli acquisti potrebbe dare i maggiori vantaggi per i comuni medio-piccoli. Infatti, al rischio trasferito e agli investimenti richiesti all’affidatario potrebbero essere associate rilevanti economie di scala, di cui i singoli comuni potrebbero beneficiare ottenendo un aggio inferiore e una migliore qualità del servizio.
D’altra parte, si ricorda come lo stesso art. 52, comma 5, lett. a), del D.Lgs. n. 446/97 preveda espressamente la possibilità che i comuni procedano a forme aggregative (convenzioni, consorzi, unioni di comuni e comunità montane) per l’attività di accertamento delle imposte locali.

Raffaele Cantone