ACCORDI TRA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI - ART 15 L 241/90 -

Nell’ambito delle nuove forme consensuali di esercizio della potestà amministrativa rientrano, oltre gli accordi procedimentali e sostitutivi tra P.a. e privati, anche gli accordi tra pubbliche amministrazioni, con cui queste ultime concordano le modalità di programmazione e di esecuzione di interventi pubblici, coordinando le rispettive azioni.
Il referente normativo degli accordi tra le PP.AA. è costituito dagli artt. 27 della legge n. 142 del 1990 e succ. mod. (ora confluito nell’art.34 del d.lgs. n 267 del 2000) e l’art. 15 della legge n. 241 del 1990. Entrambe queste norme sono espressione di una generalizzazione del principio dell’esercizio consensuale della potestà amministrativa, la cui applicazione risulta più radicata in formule che riguardano le sole amministrazioni, piuttosto che quelle riferibili ad amministrazione e privati.

Si veda, in particolare, la L 662/96 recante la disciplina delle attività di programmazione negoziata che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati, essa individua, quali specifici strumenti, le intese istituzionali di programma, gli accordi di programma quadro, i patti territoriali, i contratti di programma e i contratti d'area.



Gli accordi tra amministrazioni sono impiegati come strumenti per concordare lo svolgimenti di attività in comune.

Inserito nel capo relativo alla semplificazione dell'azione amministrativa

Interesse generale, interessi particolari e principio di proporzionalità

DIFFERENZA: ACCORDI TRA PA E CONFERENZA DI SERVIZI

ACCORDI TRA PA: le amministrazioni concordano lo svolgimento e gli accordi possono essere sostitutivi della decisione

CONFERENZA DI SERVIZI: strumento di semplificazione procedimentale ed è uno strumento per addivenire velocemente ad una decizione (es. accordo di programma)

MANCATO RICHIAMO DEL COMMA 4 DELL'ART. 11 inerente il recesso (previo indennizzo)

Ci si chiede nel silenzio della norma se la p.a. abbia la potestà di recedere discrezionalmente da un accordo di programma. In particolare, la vicenda scaturisce dal mancato richiamo, nell'accordo di programma de quo, dell’art. 15 l. 241/90, norma generale sugli accordi fra pubbliche amministrazioni, della disposizione dell’art. 11, comma 4, della medesima legge, che, disciplinando l’accordo tra amministrazione e privato, prevede la possibilità per l’amministrazione di recedere dall’accordo salva corresponsione di un indennizzo.

1^ TESI: indiscusso esistenza del potere di autotutela

2^ TESI: intangibilità dell'accordo

Il mancato richiamo dell’art. 15 a tale disposizione
I) ha fatto ritenere ad alcuni che nell’accordo tra le amministrazioni pubbliche non sia possibile il recesso (T.A.R. Lazio, sez. I, 3 ottobre 1997, n. 1434: “l'accordo di programma acquisisce definitiva efficacia al momento del valido incontro delle volontà delle parti. Ne consegue che non può configurarsi, in apice, un potere di recesso unilaterale di una delle parti che revochi tale ratifica”),

II) mentre ha indotto altri a sostenere che il recesso sarebbe sempre possibile per l’inesauribilità della funzione pubblica (T.A.R. Marche 19 settembre 2003, n. 1015: “l'assenza nell'art. 15, l. 7 agosto 1990 n. 241 di un richiamo al comma 4 del precedente art. 11, che espressamente consente il recesso - previo indennizzo - dall'accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, non esclude la possibilità per l'Amministrazione di recedere dall'accordo, considerato che è proprio della funzione d'amministrazione attiva il generale potere di revoca del provvedimento amministrativo, del quale l'accordo ha il contenuto ed al quale è sottesa la cura di un pubblico interesse, per cui è affievolita la forza vincolante di una convenzione sottoscritta da soggetti pubblici ed è reso inapplicabile il principio civilistico per il quale il contratto ha forza di legge tra le parti, e che la previsione dell'art. 11 comma 4, è confermativa e non derogatoria di detta regola generale”). Secondo questa opinione il mancato richiamo all’art. 11, comma. 4, starebbe solo a significare che – a differenza di quanto accade negli accordi tra privati - il recesso non deve essere bilanciato dalla corresponsione di un indennizzo (C. Conti reg. Puglia, sez. giurisd., 21 marzo 2003, n. 244).

III) Non mancano, inoltre, posizioni intermedie che hanno ritenuto possibile il recesso solo se specificamente previsto in convenzione (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8 novembre 2004, n. 5620: “lo scioglimento unilaterale del vincolo è ammissibile solo se sia stato previsto il diritto di recesso ai sensi dell'art. 1373 c.c.”).

Il Tribunale Amministrativo bresciano ha affrontato la problematica muovendo dalla constatazione che in vicende quale quella in esame vengono in considerazione (da un lato) la inesauribilità della funzione amministrativa, che non tollera l’imposizione di un vincolo a non riesaminare l’assetto di interessi concordato alla luce delle sopravvenienze nell’interesse pubblico, e (dall’altro) la necessità di attribuire un senso agli accordi di programma che, se fossero liberamente recedibili, sarebbero sostanzialmente privi di rilevanza giuridica, in quanto la stessa possibilità di giuridicizzare l’inadempimento degli stessi con la sola domanda di danni finirebbe per rendere tali accordi di programma, più che strumenti di semplificazione dell’azione amministrativa affidata a più amministrazioni, meri strumenti di moltiplicazione del contenzioso tra amministrazioni pubbliche.
D’altronde, il tipo di interessi sotteso ad un procedimento amministrativo regolato da un accordo di programma è, per definizione, non disponibile da una sola amministrazione proprio perché il legislatore ne ha attribuito la competenza in modo ripartito ad una pluralità di esse.

La non disponibilità da parte di una singola amministrazione degli interessi pubblici sottesi all’azione amministrativa esercitata in forma consensuale, è, per definizione, pertanto caratteristica degli accordi di programma.

Con la sentenza in commento, il T.A.R. di Brescia va nel solco della ricordata pronuncia del T.A.R. di Milano n. 5620/04, ritenendo che “salva l’ipotesi di specifica previsione in convenzione, il mancato richiamo dell’art. 15 l. 241/90,(norma generale sugli accordi di programma, alla disposizione dell’art. 11, co. 4, stessa legge, che regola invece l’accordo tra amministrazione e privato e prevede la possibilità per l’amministrazione di recedere dall’accordo salva corresponsione di un indennizzo), induce a ritenere che, salvo il caso in cui siano state le stesse parti a prevedere il diritto di recesso nel momento in cui hanno concordato tra loro il regolamento pattizio, il contenuto dell’accordo sia modificabile solo mediante una nuova determinazione espressa da tutte le amministrazioni contraenti che giungono ad una nuova sistemazione concordata dell'assetto degli interessi sottostanti all'azione amministrativa (T.a.r Lombardia, Brescia, Sez. I - 30 aprile 2010, n. 1635)

La Corte Costituzionale (Corte Cost. 26 marzo 2010, n. 121) ha, infatti, anche di recente evidenziato che nel caso in cui il legislatore abbia previsto lo strumento dell’accordo di programma è “incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell’atto” attribuire ad una di esse un ruolo preminente, in quanto “il superamento delle eventuali situazioni di stallo deve essere realizzato attraverso la previsione di idonee procedure perché possano aver luogo reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo” . Ciò non significa che l’amministrazione pubblica che intenda sciogliersi dall’accordo ex art. 15 l. 241/90 sia priva di strumenti di tutela di fronte al rifiuto delle altre amministrazioni di modificare l’assetto degli interessi a seguito delle intervenute sopravvenienze negli interessi pubblici sottesi all’azione amministrativa.

La volontà delle altre amministrazioni non è, infatti, come si diceva prima, una volontà negoziale fondata sull’autonomia privata, ma una volontà discrezionale funzionalizzata alla tutela degli interessi pubblici.

Ne consegue che l’amministrazione che intende recedere dall’accordo potrà censurare in sede giurisdizionale il rifiuto delle altre parti di modificare l’assetto degli interessi originariamente concordato, qualora tale rifiuto non sia conforme al principio di leale cooperazione tra gli enti pubblici che deve informare i rapporti tra le amministrazioni pubbliche per effetto della sentenza 303/2003 della Corte Costituzionale.

In definitiva, l’accordo tra amministrazioni pubbliche non modifica l’ordine delle attribuzioni della funzione amministrativa, perché non è altro che un modulo organizzativo dell’azione amministrativa che sostituisce la sequenza procedimentale destinata a sfociare nell'accordo alla pluralità di procedimenti condotti in modo autonomo dalle diverse amministrazioni e destinati a sfociare in provvedimenti diversi ma tra loro strettamente collegati. L'inscindibilità degli interessi pubblici sottesi all'azione consensuale delle pubbliche amministrazioni, se non muta l'ordine delle competenze delle stesse, preclude, però, che una singola amministrazione possa decidere unilateralmente di tornare al modello della amministrazione per singoli provvedimenti, e finisce per imporre pertanto alle stesse un vincolo a continuare a regolare gli interessi pubblici disciplinati dall'accordo mediante l'utilizzo del modulo organizzativo consensuale.

GLI ACCORDI DI PROGRAMMA

Per quanto concerne l’accordo di programma, (classico esempio di accordo tra le PP.AA.) si tratta di uno strumento duttile di azione amministrativa preordinato, senza rigidi caratteri di specificità, alla rapida conclusione di molteplici procedimenti tutte le volte in cui il loro ordinario svolgimento richiederebbe l’espletamento di più subprocedimenti, indispensabili per la ponderazione di interessi pubblici concorrenti.

Tale istituto espressamente disciplinato dall’art. 34 del d.lgs .n. 267 del 2000 riguarda specifiche tipologie di interventi mentre l’art. 15 costituisce una norma di carattere generale aperta ad un qualsiasi contenuto. Il rapporto fra le due norme e i due istituti, di conseguenza, è evidentemente un rapporto di genere a specie, dove gli accordi organizzativi sono la figura generale e gli accordi di programma ne costituiscono una sottocategoria, caratterizzata dai soggetti, per lo più Enti locali, e soprattutto dagli oggetti, che sono opere pubbliche di una certa complessità e rilievo politico sociale.

L'art34 del TUEL è applicabile a tutti gli accordi di programma contemplati dalle leggi vigenti, relativi ad opere, interventi, o programmi di intervento di competenza delle regioni, delle province o dei comuni. Tale norma recita "per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'adozione integrata e coordinata di comuni, province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o piu' tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o piu' dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinare i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento".
L'art 34 del TUEL prevede la fase obbligatoria della conferenza di servizi, convocata per verificare la possibilità di raggiungere l'accordo e si occupa dell'approvazione dell'accordo stesso, della possibilità che l'accordo preveda procedimenti arbitrali e interventi surrogatori in caso di inadempienze, degli effetti dell'accordo, nonchè della vigilanza sulla sua esecuzione.

NATURA GIURIDICA

Anche per questo tipo di accordo si è posto il problema della loro natura giuridica.

Tre sono le tesi che si contendono il campo: la tesi privatistica, la tesi pubblicistica e la tesi del tertium genus.

I) Da un lato vi è una tesi che attribuisce ai suddetti accordi natura negoziale, assimilandoli ai contratti di diritto privato, sulla scorta del dato legislativo di cui all’art, 15, comma 2, della l n.241/1990, che con un rinvio all’art. 11 della stessa legge li sottopone alle norme del codice civile in materia di obbligazioni. A sostegno della loro natura negoziale può essere utilizzata l’infelice espressione “concordare l’accordo” usata dal legislatore nel comma 3, dell’art. 34 del, d.lgs n.267/2000 per indicare la genesi degli accordi di programma. Ma soprattutto, mediante gli accordi, le amministrazioni concordanti dispongono di interessi pubblici come le parti fanno per i loro interessi privati.

II) Dall’altro lato la dottrina maggioritaria nega la natura contrattuale degli accordi, rivendicandone il carattere pubblicistico.
L’accordo, di conseguenza, sarebbe uno strumento tipico e specifico per il contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, quando questi si presentino diversi e potenzialmente configgenti.
La diversità fondamentale con i contratti di diritto privato sarebbe in ciò, che nei negozi privati possono formare oggetto della contrattazione gli stessi interessi perseguiti dalle parti; nell’accordo di programma, invece, il perseguimento degli interessi pubblici è doveroso, per cui soltanto le sue modalità possono essere concordate liberamente dagli stipulanti. Infatti, mentre l’autonomia negoziale privata può disporre totalmente dei propri interessi, la discrezionalità amministrativa è limitata dalla legge che ne individua le finalità, lasciando alle pubbliche amministrazioni soltanto la scelta sul modus operandi.

III) Una terza tesi attribuisce a tale istituto la qualifica di istituto autonomo, che non si piega ad essere ricondotto in nessuna delle due figure, dovendosi di volta in volta ricorrere alle norme del codice civile ovvero a quelli che regolano l’agire della p.a.

Soggetti negli accordi di programma

Venendo ai soggetti, mentre l’art. 15 della legge n. 241, non contiene alcuna specificazione circa i soggetti legittimati ed il relativo ruolo procedurale, l’art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000 contiene prescrizioni dettagliate e limitative.

Gli accordi di programma vengono promossi dai Presidenti delle Regioni, delle Province o dai Sindaci che abbiano competenza primaria sull’opera da eseguire (soggetti necessari), i quali hanno il potere di iniziativa e possono invitare i rappresentanti di altri enti locali ovvero di altre amministrazioni interessate (soggetti eventuali).

Per quanto concerne la partecipazione dei privati, emerge la tesi secondo cui l’organo promotore può invitare anche altri soggetti pubblici e privati, il cui contributo informale apporti chiarificazioni, o comunque strumenti collaborativi, senza rilevare per il consenso finale.

Destinatari degli accordi sono le amministrazioni che prendono parte all’accordo e devono provvedere alla sua attuazione. Anche i privati possono essere toccati dall’accordo sia pure incidentalmente. Di conseguenza i privati, in quanto non portatori di diritti soggettivi nascenti dall’accordo ma di meri interessi legittimi al corretto esercizio del potere amministrativo, possono impugnare gli accordi, o meglio, gli atti di approvazione degli stessi, innanzi al g.a. secondo le regole ordinarie in tema di giurisdizione di legittimità.

Quanto all’oggetto, l’art. 34 concerne la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intereventi, che richiedano, ai fini della completa realizzazione, le attività coordinate di alcuni dei soggetti necessari. Caratteristica degli accordi di programma è che il legislatore prevede sia uno strumento privilegiato per la realizzazione di opere pubbliche che interessano una pluralità di enti locali. Tali interventi incidono in modo significativo sul territorio, tanto che per realizzarli spesso è necessario modificare i piani regolatori in vigore.

Al fine di accelerare le procedure, il comma 4, dell'art. 34 prevede allora che l'accordo, qualora sia adottato con decreto del Presidente della Regione, produca gli effetti dell'intesa di cui all'art. 81 del d.p.r. n. 616 del 1977 determina le eventuali conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, sempre che vi sia l'assenso del comune interessato. Il quinto comma, chiarisce che le variazioni degli strumenti urbanistici, anche se la manifestazione di volontà è di fatto operata dal Sindaco, rimangono di competenza dei Consigli comunali, chiamati alla ratifica. In merito alla possibilità di praticare accordi di programma per realizzare opere private di interesse pubblico, alcuni la escludono, mentre altri ritengono sufficiente, in assenza di un divieto espresso, che l'opera abbia una pubblica finalità.

Il procedimento

Anche per il procedimento il legislatore degli enti locali prevede una disciplina molto dettagliata nell’art. 34, mentre l’art. 15 è del tutto generico.

L’iniziativa, come detto spetta all’organo apicale dell’ente portatore dell’interesse prevalente, l’istruttoria si fonda sulla conferenza di servizi, ed il consenso deve essere manifestato ancora dall’organo apicale.

Tale soluzione, però, pone un problema di coordinamento tra il potere gestionale amministrativo che spetta al dirigente ed il potere di indirizzo che spetta all’organo politico.

In particolare, per gli accordi di programma si avverte un’esigenza opposta rispetto alla regola che conferisce ai dirigenti il potere di esternare la volontà dell’ente ( a seguito dell’accordo sarà compito dei dirigenti emanare in ogni caso gli atti esecutivi dell’accordo di programma).

Si può comunque ritenere, per conciliare dette indicazioni legislative, che il Sindaco o il Presidente della Provincia, nel siglare l’accordo, debbano comunque godere dell’assenso espresso dal dirigente, ove l’accordo di programma sia già sostitutivo di determinazioni puntuali di competenza dirigenziale.

Sono poi applicabili agli accordi di programma, in quanto rientranti nell’ampio genus degli accordi organizzativi di cui all’art. 15 della l. n.241 del 1990, i commi 2, 3, 5 dell’art. 11 della stessa legge, appare subito chiaro che non sono applicabili agli accordi né la norma sulla forma, né quella sui controlli per gli accordi sostitutivi. Sono, invece, applicabili la norma sulla giurisdizione esclusiva del g.a. (comma 5) e la disposizione che fa rinvio ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.

Gli effetti

L’accordo di programma ha un sostanziale effetto giuridico, che è quello di obbligare le parti stipulanti, l’una verso l’altra, ad ottemperare agli impegni assunti con l’accordo medesimo. L’obbligatorietà dell’accordo trova conferma nell’art. 34 nella parte in cui prevede la possibilità per le amministrazioni stipulanti di istituire forme di arbitrato, commissioni di vigilanza ed interventi surrogatori. E’ evidente, quindi, che l’inosservanza degli impegni assunto costituisce inadempimento di obblighi vincolanti.

I rimedi all’inadempienza di un soggetto sono i seguenti: silenzio rifiuto, se l’autorità competente non emana l’atto formale di approvazione dell’accordo; l’impugnazione degli atti difformi alle prescrizioni dell’accordo (viziati da eccesso di potere); l’arbitrato (se previsto), l’intervento sostitutivo ( in seguito a verifiche del collegio di vigilanza, se previsto); l’eccezione di inadempimento e la responsabilità contrattuale, per quella parte della dottrina che le ammette ritenendo il carattere privatistico degli accordi.

Ci si chiede nel silenzio della norma se la p.a. abbia la potestà di recedere discrezionalmente da un accordo di programma. In particolare, la vicenda scaturisce dal mancato richiamo, nell'accordo di programma de quo, dell’art. 15 l. 241/90,

I privati, in quanto esterni all’accordo, non possono far valere diritti soggettivi derivanti dallo stesso, ma solo impugnare l’atto di adozione innanzi al giudice amministrativo in caso di lesione di interesse legittimo.

ALTRE FORME DI ACCORDI

Art. 2 c. 203 L 662/96  (accordi di porgrammazione negoziata - Intese istituzionali di programma - Accordo di porgramma quadro - Patto territoriale)

Art. 30 Dlgs. 267/2000 (gli accordi di programma possono assumere la forma di convenzioni)

Art. 31-33 Dlgs. 267/2000 (attraverso gli accordi possono stabilire modalità di gestione associata di uno o piu' servizi e di esercizio associato di funzioni mediante consorzi o unioni di comuni o altre forme condivise

Art. 20 ter L 59/97 (accordi tra Governo, regioni e province autonome)

COMPATIBILITA' CON IL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA DI DETERMINATE FORME DI ACCORDI TRA PA

 

15/07/2013 SENTENZA N. 3849, CONSIGLIO DI STATO
AFFIDAMENTO ALL’UNIVERSITÀ DELL’ATTIVITÀ DI STUDIO E VALUTAZIONE DELLA VULNERABILITÀ SISMICA DELLE STRUTTURE OSPEDALIERE DELLA PROVINCIA DI LECCE - APPLICAZIONE DEI PRINCIPI FISSATI DALLA SENTENZA 19 DICEMBRE 2012 DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE – ILLEGITTIMITÀ DELL’AFFIDAMENTO SENZA GARA DELLE ATTIVITÀ DI PROGETTAZIONE ALLE UNIVERSITÀ

Riguardato dal punto di vista dell’art. 15 l. n. 241/1990, il contratto non contiene una “disciplina” di attività comuni agli enti, ma compone un contrasto di interessi tra l’ente pubblico che, da un lato, grazie all’attività scientifica da essa istituzionalmente svolta, offre prestazioni di ricerca e consulenza deducibili in contratti di appalto pubblico di servizi e l’ente che, conformandosi a precetti normativi, domanda tali prestazioni, in quanto strumentali allo svolgimento dei propri compiti di interesse pubblico.

Il tutto secondo la logica dello scambio economico suggellata dalla previsione di un corrispettivo, calcolato secondo il criterio del costo necessario alla produzione del servizio e dunque in perfetta aderenza allo schema tipico dei contratti di diritto comune ex art. 1321 cod. civ. Ne consegue che lo strumento impiegato è estraneo alla logica del coordinamento di convergenti attività di interesse pubblico di più enti pubblici, ma vede uno di questi fare ricorso a prestazioni astrattamente reperibili presso privati.

Quest’ultima notazione è fondamentale per escludere, dal punto di vista europeo, che il contratto in contestazione dia luogo ad “una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi” (§ 34 della sentenza della Corte di Giustizia), giacché l’Università del Salento si pone rispetto ad essa nella veste di operatore economico privato, in grado di offrire al mercato servizi rientranti in quelli previsti nell’allegato II-A alla direttiva 2004/18.

 

 

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