DOLO EX ART. 21 DEL DL 76/2020- Sentenza 62/A/2023 - SEZIONE GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA. Con riferimento alla responsabilità amministrativo contabile, allorché si afferma, in sede di relazione illustrativa, che si è voluto chiarire che il dolo vada riferito all’evento dannoso in chiave penalistica, occorre tenere presente le peculiarità che contraddistinguono l’illecito erariale, secondo il paradigma tradizionale previsto dall’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, quale illecito per definizione atipico, ossia a condotta libera, che, laddove ne sussistano gli elementi costituivi, esita in un’obbligazione risarcitoria del danno erariale patito dall’Amministrazione.
La definizione del dolo è contenuta, in primis, nell’art 43, comma 1, c.p. (Il delitto è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione), ma si ricava anche, in una logica di sistema, da un insieme di altre disposizioni, quali ad esempio gli artt. 5 e 59 del codice penale, che, in positivo o in negativo, attribuiscono rilevanza alla conoscenza (o alla mancata conoscenza) di determinati elementi costituitivi della fattispecie criminosa. In secondo luogo, l’illecito penale, in ossequio al basilare principio di tassatività sancito dall’art. 25 della Costituzione, deve essere necessariamente un illecito tipizzato, mentre l’illecito contabile delineato dall’art. 1 della l. n. 20/94 è per definizione atipico (esulano da tale ambito, come noto, le fattispecie legali “sanzionatorie” cui fanno riferimento gli artt. 133 e ss. cgc).
Con riferimento quindi alla responsabilità amministrativo contabile, allorché si afferma, in sede di relazione illustrativa, che si è voluto chiarire che il dolo vada riferito all’evento dannoso in chiave penalistica, occorre tenere presente le peculiarità che contraddistinguono l’illecito erariale, secondo il paradigma tradizionale previsto dall’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, quale illecito per definizione atipico, ossia a condotta libera, che, laddove ne sussistano gli elementi costituivi, esita in un’obbligazione risarcitoria del danno erariale patito dall’Amministrazione. Ne consegue che il concetto di “dolo dell’evento”, la cui sussistenza nel diritto penale è giustificata dall’esegesi della condotta tipica del reato, nel diverso contesto dell’illecito contabile deve necessariamente tener conto delle peculiarità di quest’ultimo, nonché dell’interesse erariale, che è un interesse composito, determinato dal concorso di diverse norme e disposizioni ordinamentali, che non possono per loro natura essere tutte oggetto di volizione - e sovente neppure di rappresentazione - da parte del soggetto pubblico agente. 6.4 Alla stregua di queste premesse, il danno, che è un evento in senso giuridico conseguente alla condotta illecita, difficilmente è oggetto di volizione diretta in un sistema che dovrebbe essere improntato al principio di buon andamento (art. 97 Cost.). Difatti, nella generalità dei casi, contrariamente a quanto accade nell’illecito penale sorretto da dolo intenzionale, l’agente pubblico rimane indifferente rispetto all’evento di danno. Ciò non avviene, a ben vedere, neanche negli illeciti di tipo appropriativo (posti in essere, ad esempio, dagli agenti contabili), nei quali, comunque, l’interversio possessionis nella condotta del peculato non è direttamente preordinata al depauperamento dell’ente bensì, semmai, all’illecito arricchimento personale dell’agente (che del primo costituisce il necessario antecedente logico). In questa prospettiva, si rende necessario verificare se l’art. 21, comma 1, del d.l. n. 76/2020, nel richiedere, ai fini della prova del dolo, la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso sia compatibile solo con ipotesi di dolo intenzionale (in cui l’agente ha di mira proprio la realizzazione del danno) e, al limite, di dolo diretto (che si ha quando la volontà non si dirige verso il danno e tuttavia l'agente si rappresenta come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta un risultato che però non persegue intenzionalmente), ovvero se, come sostenuto dal giudice di prime cure, tale norma sia compatibile anche con il dolo eventuale, che costituisce lo stadio più lieve d’intensità dolosa. Da un punto di vista dogmatico, il dolo eventuale designa l'area d'imputazione soggettiva in cui l'evento (ovviamente nei reati di evento e non di mera condotta) non costituisce l'esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile di questa (come nel dolo diretto): l'agente si rappresenta un possibile risultato della sua condotta e, ciononostante, si determina ad agire accettando la prospettiva che l'accadimento abbia luogo. 6.5 Per fornire risposta al quesito sulla compatibilità tra l’art. 21 del d.l. n. 76/2020 e il dolo eventuale, occorre verificare se, già sul piano astratto, anche in quest’ultima forma di dolo sia riscontrabile una volontarietà dell’evento. In ambito penalistico, a tale quesito forniscono risposta affermativa i più recenti ed autorevoli approdi ermeneutici della Corte di cassazione (Sezioni unite penali, sent. 18 settembre 2014, n. 38343), che, nell’intento di individuare il discrimen rispetto alla forma meno grave della colpa cosciente, ha messo in evidenza la componente lato sensu volontaristica del dolo eventuale. Quest’ultimo, infatti, richiede una positiva adesione all’evento, una volontà indiretta nei confronti delle conseguenze collaterali ed accessorie della condotta, che, sulla base di una chiara visione delle prospettive di quest’ultima, esprima una volontaria determinazione alla condotta antigiuridica. 38 Nel dolo eventuale, in cui, dunque, vi è un’adesione interiore alla prospettiva di verificazione dell’evento, la condotta deve necessariamente indirizzarsi nel senso dell’offesa al bene giuridico protetto, in aperta contrapposizione alla legge, e compete dunque al Pubblico Ministero - e in ultima istanza al Giudice – desumere tale atteggiamento psicologico dalla dettagliata analisi di plurimi ed eterogenei indicatori rilevanti, tesi a ricostruire il processo decisionale e l'adozione di una condotta basata sulla consapevolezza della concreta prospettiva dell'evento collaterale. 6.6 Accertato che, in ambito penalistico, vi è un’imprescindibile dimensione volontaristica che deve connotare il dolo nelle sue diverse declinazioni, inclusa quella del dolo eventuale, il Collegio ritiene che tale forma di dolo sia compatibile con la volontà dell’evento dannoso richiesta dall’art. 21 del dl n. 76/2020. Corrobora tale soluzione, innanzitutto, una lettura costituzionalmente orientata della norma alla luce degli artt. 28 (responsabilità dei pubblici dipendenti) e 97 (buon andamento ed imparzialità della PA) della Costituzione: laddove il legislatore avesse inteso limitare la volontà dell’evento dannoso alle sole ipotesi di volizione diretta del danno (nelle sue forme di dolo intenzionale o, al più, di dolo diretto), avrebbe, di fatto, limitato la responsabilità amministrativa per dolo ai soli illeciti erariali penalmente rilevanti, finendo sostanzialmente per privare di tutela gli anzidetti valori costituzionali. Una tale opzione interpretativa, oltre a porre evidenti problemi di costituzionalità della norma rispetto ai richiamati parametri normativi, si porrebbe in evidente antitesi con la stessa logica di sistema. Se, infatti, l’art. 21 del dl n. 76/2020, che ha introdotto disposizioni molto dettagliate sull’elemento soggettivo dell’illecito contabile (si pensi al discrimen tra responsabilità commissiva ed omissiva nell’ambito della colpa grave), avesse voluto escludere il dolo eventuale dal proprio ambito applicativo, lo avrebbe fatto espressamente (“ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”). In assenza di una tale previsione, la “volontà dell’evento dannoso” richiesta dall’art. 21, comma 1, deve ritenersi certamente inclusiva del dolo eventuale, anch’esso connotato da un’indefettibile componente volontaristica rispetto all’evento lesivo, come chiarito dal più recente ed autorevole insegnamento delle Sezioni Unite penali (cfr. sent. n. 38343/2014, cit.), cui si intende in questa sede dare continuità. 6.7 Nel “dolo erariale”, nella sua più frequente manifestazione sotto forma di dolo eventuale, l’adesione psichica dell’agente è dunque rivolta non solo alla condotta illecita e anti-doverosa, bensì anche alle sue conseguenze dannose, che costituiscono un evento accessorio e collaterale non oggetto di volizione diretta e immediata da parte del soggetto agente, che, ciononostante, si autodetermina ugualmente nella propria condotta (accettando la prospettiva di cagionare un danno all’erario). Considerata la dimensione squisitamente psicologica del processo decisionale del soggetto agente, simmetricamente a quanto avviene in ambito penale, occorre pertanto desumere l’adesione psichica del soggetto alla condotta anti-doverosa ed alle sue conseguenze dannose collaterali da una serie di indicatori significativi. 6.8 A tale scopo, prendendo spunto anche dall’esemplificazione contenuta nella sentenza delle Sezioni unite penali n. 38343/2014, prima citata, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, potrebbero essere astrattamente ritenuti indizianti del dolo erariale eventuale i seguenti profili:
- il grado di difformità della condotta tenuta rispetto a quella esigibile nel caso concreto: quanto più grave e divergente dalla condotta standard è quella tenuta dal soggetto agente, tanto più è possibile una considerazione della prospettiva dolosa (ad esempio, la macroscopica illegittimità ovvero illiceità comportamentale);
- le modalità che hanno caratterizzato la violazione (utilizzo distorto o strumentale di istituti, acquisizione di pareri a sostegno di ipotesi esegetiche implausibili);
- la professionalità del funzionario, la sua cultura, intelligenza e conoscenza del contesto nel quale sono maturati i fatti;
- la durata e la ripetizione della condotta illecita: una condotta lungamente protratta, ponderata, basata su una completa conoscenza e comprensione dei fatti, può realisticamente aprire alla concreta ipotesi che vi sia stata una certa consapevolezza delle conseguenze lesive e della conseguente accettazione dell'evento dannoso, quale esito collaterale possibile;
- la probabilità di verificazione dell'evento dannoso che, ove certa ed elevata qualifica il dolo diretto, ma, via via scemando “verso i sentieri incerti della probabilità”, può comunque essere sintomatica di un atteggiamento riconducibile alla sfera del volere: bisogna valutare, cioè, se e in che misura il soggetto agente, in fase decisionale, possa essersi “confrontato” con l’evento dannoso, determinandosi consapevolmente ad agire comunque ed accettandone l’eventualità della sua verificazione, fermo restando che se questo costituiva logico sviluppo prevedibile dalla condotta in concreto tenuta, è altamente probabile che sia stato comunque accettato;
- la condotta successiva al fatto, quale l’adozione di misure in autotutela per rimediare all’illecito perpetrato, ovvero la segnalazione del possibile danno erariale ai superiori gerarchici, ad organi di controllo o giurisdizionali.
6.10 Infine, con riferimento al regime probatorio applicabile nell’accertamento della responsabilità per dolo eventuale, si osserva che correttamente il Giudice di primo grado, nella decisione impugnata, ha fatto applicazione del criterio civilistico del “più probabile che non” (tipico del giudizio di responsabilità che ha funzioni risarcitorie) in luogo di quello tipico del processo penale del “oltre ogni ragionevole dubbio”. Infatti, dall’affermazione contenuta nella relazione illustrativa al citato art. 21 (secondo cui il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica), non può desumersi anche che, ai soli fini dell’accertamento del dolo erariale eventuale, il regime probatorio applicabile al processo contabile debba essere quello del giudizio penale in quanto, in tal modo, si ammetterebbe che il regime probatorio debba mutare a seconda della connotazione soggettiva dell’illecito contabile (il criterio del “più probabile che non”, in caso di responsabilità colposa e il criterio del “oltre ogni ragionevole dubbio” in caso di responsabilità dolosa) il che appare del tutto irragionevole.
errore interpretativo
Nondimeno, è stato anche riconosciuto un rilievo all’errore interpretativo; infatti, è stato affermato che l'errore dovuto ad oggettiva incertezza interpretativa e indotto da una risoluzione dell'autorità amministrativa esclude la sussistenza della colpa grave nel comportamento del pubblico dipendente; pertanto, non sussiste responsabilità amministrativa, a titolo di colpa grave, dei funzionari di enti locali ed Asl i quali, conformemente ad una risoluzione dell'Agenzia delle entrate di altra regione, avevano pagato l'imposta sulle concessioni governative relativa alle utenze telefoniche nella misura prevista per le utenze domestiche, anziché in quella prevista per le utenze commerciali cui gli enti locali e le Asl avrebbero dovuto essere equiparati - Sezione I centrale d'appello, 24 febbraio 2011, n. 77
LA COLPA GRAVE IN CONCRETO
la sussistenza della colpa grave non può essere affermata in astratto ma deve essere valutata in concreto: infatti, non ogni condotta divergente da quella doverosa implica la colpa grave, ma solo quella caratterizzata, nel caso concreto, dalla mancanza del livello minimo di diligenza, prudenza o perizia dei dipendenti, dal tipo di attività concretamente richiesto all'agente e dalla sua particolare preparazione professionale, nel settore della P.A. al quale è preposto.- Sezione giurisdizionale Regione Sicilia, 5 marzo 2010, n. 471
La situazione concreta in cui opera il dipendente pubblico è stata valorizzata in relazione ad una fattispecie di danno derivante da un procedimento espropriativo illegittimo, in cui è stato rilevato che la responsabilità amministrativa è “concreta ed effettiva” perché richiede una specifica condotta dell'agente; ne consegue che, in relazione ad una fattispecie di danno derivante da procedura espropriativa illegittima, l'accertamento della sussistenza della colpa grave degli amministratori locali deve svilupparsi anche in rapporto alle risorse organizzative, finanziarie e di personale, disponibili. Sezione giurisdizionale Regione Campania, 21 luglio 2010, n. 1352