Con sentenza n. 976 del 2011 la sezione giurisdizionale della Campania ha ritenuto illiceito il comportamento tenuto da amministratori e funzionari che hanno deliberato reiteratamente di procedere a condonare delle entrate patrimoniali e non delle entrate aventi natura di tributo .
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n° 62148 del registro di Segreteria, instaurato a istanza della Procura Regionale della Corte dei Conti per la Regione Campania nei confronti dei sigg.:
1- Sandro Nicola D’ALESSANDRO, nato a Benevento il 14.02.1956 ed ivi residente alla Piazza Risorgimento n. 13, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
2- Raffaele BARRICELLA, nato a Sant’Angelo a Cupolo (BN) il 31.01.1941 ed ivi residente alla Via Giovanni XXIII n. 24, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
3- Massimo BASILE, nato a Benevento il 07.08.1958 ed ivi residente al Corso Garibaldi n. 181, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
4- Antonio CAMPESE, nato a Benevento il 01.07.1962 ed ivi residente alla Piazza Castello n. 2, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
5- Antonio CAPUANO, nato a Benevento il 29.09.1957 ed ivi residente alla Via Avellino n. 58, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
6- Cesare CARDONE, nato a Benevento il 20.01.1972 ed ivi residente alla Via Croce Rossa n. 33, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
7- Enrico CASTIELLO, nato a Benevento il 11.10.1956 ed ivi residente alla Via S. Colomba n. 119, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. Marialuisa Cavuoto, con la quale elettivamente domicilia presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;
8- Alessandro CONSALES, nato a Benevento il 25.06.1940 ed ivi residente alla Via M. Foschini n. 20, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione in giudizio, dall'avv. Vincenzo del Paola e conq eusti elettivamente domiciliato in Napoli alla via C. Rosaroll n. 70 presso lo studio dell'avv. Angelo Pica;
9- Walter CORONA, nato a Benevento il 04.08.1967 ed ivi residente in contrada Cretarossa s.n.c., rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
10- Corrado DE LORENZO, nato a Candida (AV) il 07.07.1946 e residente in Benevento alla Via G. Di Tocco n.4, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
11- Nicola Danilo DE LUCA, nato a Napoli il 23.09.1959 e residente in Benevento alla Via Fontanelle s.n.c., rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. Marialuisa Cavuoto, con la quale elettivamente domicilia presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;;
12- Vincenzo DE PAOLA, nato a Telese (BN) il 28.08.1963, e residente in Benevento al Viale Atlantici n. 65/A, rappresentato e difeso da sé medesimo ed elettivamente domiciliato, ai fini della memoria di costituzione in giudizio, presso lo studio dell'avv. Angelo Pica in Napoli alla via C. Rosaroll n. 70;
13- Umberto DEL BASSO DE CARO, nato a Benevento il 29.09.1953 ed ivi residente alla Piazza Guerrazzi n.4, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. Marialuisa Cavuoto, con la quale elettivamente domicilia presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;
14- Raffaele DEL VECCHIO, nato a Benevento il 02.12.1970 ed ivi residente alla Via L. Pirandello n. 10, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. Marialuisa Cavuoto, con la quale elettivamente domicilia presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;
15- Roberto IEVOLI, nato a Benevento il 12.03.1955 ed ivi residente alla Via Pacevecchia s.n.c., rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. Luigi Diego Perifano, e con questi elettivamente domiciliato presso lo studio Legale Soprano in Napoli alla via Toledo n. 156;
16- Luigi IONICO, nato a Benevento il 21.01.1949 ed ivi residente alla Via G. D’Annunzio n.1, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. Marialuisa Cavuoto, con la quale elettivamente domicilia presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;
17- Renato LISI, nato a Benevento il 05.09.1952 ed ivi residente alla Via R. Delcogliano n. 10, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
18- Eugenio MEDICI, nato a Montesarchio (BN) il 16.09.1953 e residente in Benevento alla Via E. De Filippo n.2, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
19- Alberto MIGNONE, nato a San Leucio del Sannio (BN) il 30.07.1961 e residente in Benevento alla Via A. Lepore - Parco Edilville n. 2/C, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione in giudizio, dall’avv. Silvia Tozzi, unitamente alla quale elettivamente domicilia in Napoli al Corso Umberto I n.58 presso lo studio legale dell’Avv. Francesca Torre;
20- Giovanni MONTEFUSCO, nato a Benevento il 08.05.1957 ed ivi residente al Viale M. Rotili n.36;
21- Federico PAOLUCCI, nato a Colle Sannita (BN) il 28.03.1967 e residente in Benevento al Viale Atlantici n. 14, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
22- Enrico PASCUCCI, nato a Benevento il 24.05.1950 ed ivi residente in Lungocalore Manfredi di Svevia n. 10, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
23- Antonio REALE, nato a Benevento il 27.04.1971 ed ivi residente alla Contrada Serretelle s.n.c., rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
24- Nicola SALEMME, nato a Benevento il 19.06.1950 ed ivi residente alla Via A. Mazzoni n. 7, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
25- Grazia SPARANDEO, nata a Benevento il 08.02.1975 ed ivi residente alla Via Diomede n.2;
26- Gerardo TINESSA, nato a Benevento il 24.12.1937 ed ivi residente alla Via G. Castellano n. 34, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
27- Rosario GUERRA, nato a Benevento il 30.09.1966 ed ivi residente alla Via M. Serao n.2, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
28- Daniele NICASTRO, nato a Benevento il 13.06.1961 ed ivi residente alla 1° Traversa - Via Napoli I° n. 11, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione in giudizio, dall'avv. Giovanna Abbate, con la quale elettivamente domicilia in Napoli alla via Cervantes n. 64 presso lo studio dell'avv. Enrico Angelone;
29- Luca RICCIARDI, nato a Benevento il 22.03.1977 ed ivi residente alla contrada Pezzapiana s.n.c., rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
30- Umberto ZANONE, nato a Benevento il 08.06.1948 ed residente in S.Angelo a Cupolo – Frazione Perrillo (BN) alla Via Verdi n. 5, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
31- Pasquale GRIMALDI, nato a Mercato San Severino (SA) il 24.01.1949 e residente in Benevento alla Via G. Calandriello detto Calan n. 1;
32- Marcello MATARAZZO, nato a Benevento il 24.10.1964 ed ivi residente alla Via Croce Rossa n. 37, rappresentato e difeso da sé medesimo ed elettivamente domiciliato, ai fini della memoria di costituzione in giudizio, presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;
33- Pellegrino PERROTTA, nato a Benevento il 14.12.1965 ed ivi residente alla Contrada San Cosimo n. 4;
34- Costanzo DI PIETRO, nato a Benevento il 15.11.1966 ed ivi residente alla Via B. Camerario n. 21, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione in giudizio, dall'avv. Mario Verrusio e con questi elettivamente domiciliato in Napoli alla via Gen. Orsini n. 30 presso lo studio dell'avv. Antonio Palma;
35- Nicola BOCCALONE, nato ad Airola (BN) il 29.12.1960 e residente in Sant’Angelo a Cupolo (BN) alla Via S. Croce n.2, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
36- Sergio DE CECIO, nato a Frasso Telesino (BN) il 18.07.1957 e residente in Benevento alla Contrada Ponte delle Tavole s.n.c., rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Giuseppe Iannelli ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabrizio Ferrigno in Napoli alla via Toledo n. 156;
37- Antonietta MASTROCOLA, nata a Benevento il 01.01.1971 e residente in S. Lorenzello (BN) alla Via Serre S. Donato n. 28, rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla memoria di costituzione in giudizio, dall'avv. Mario Verrusio e con questi elettivamente domiciliata in Napoli alla via Gen. Orsini n. 30 presso lo studio dell'avv. Antonio Palma;
38- Margherita PIGNATIELLO, nata ad Arpaise (BN) il 12.02.1953 ed ivi residente alla Via Colle dei Monaci n. 2, rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla memoria di costituzione in giudizio, dall'avv. Mario Verrusio e con questi elettivamente domiciliata in Napoli alla via Gen. Orsini n. 30 presso lo studio dell'avv. Antonio Palma;
39- Antonio ORLACCHIO, nato a Cautano (BN) il 11.09.1946 ed ivi residente alla Via Prov.le Cautano Frasso n. 14, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione in giudizio, dall'avv. Camillo Cancellario e con questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;
40- Gesesa S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. Amministratore delegato Ing. Paolo Patrizi, con sede legale in Benevento alla Zona Industriale Pezzapiana, rappresentata e difesa, giusta procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. Marialuisa Cavuoto, con la quale elettivamente domicilia presso lo studio dell'avv. Gaetano Coduti in Napoli alla via C. Poerio n. 53;
VISTO l’atto di citazione della Procura Regionale depositato presso questa Sezione Giurisdizionale il 14.04.2010;
VISTE le memorie di costituzione depositate presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale dalle difese dei convenuti;
VISTI gli atti di giudizio;
CHIAMATA la causa nella pubblica udienza del giorno 27 gennaio 2011, con l’assistenza del segretario dr. Francesca Cerino, sentiti il relatore primo referendario Rossella Cassaneti, gli avvocati Giuseppe Iannelli, Marialuisa Cavuoto, Vincenzo De Paola (presente anche per delega dell'avv. Silvia Tozzi), Mario Verrusio, Giovanna Abbate e Camillo Cancellario, nonché il rappresentante del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Pierpaolo Grasso;
Ritenuto in
FATTO
Con citazione depositata presso questa Sezione Giurisdizionale il 14 aprile 2010 la Procura Regionale ha evocato in giudizio i seguenti soggetti: Sandro Nicola D'ALESSANDRO, Raffaele BARRICELLA, Massimo BASILE, Antonio CAMPESE, Antonio CAPUANO, Cesare CARDONE, Enrico CASTIELLO, Alessandro CONSALES, Walter CORONA, Corrado DE LORENZO, Nicola Danilo DE LUCA, Vincenzo DE PAOLA, Umberto DEL BASSO DE CARO, Raffaele DEL VECCHIO, Roberto IEVOLI, Luigi IONICO, Renato LISI, Eugenio MEDICI, Alberto MIGNONE, Giovanni MONTEFUSCO, Federico PAOLUCCI, Enrico PASCUCCI, Antonio REALE, Nicola SALEMME, Grazia SPERANDEO, Gerardo TINESSA, Rosario GUERRA, Daniele NICASTRO, Luca RICCIARDI, Umberto ZANONE, Pasquale GRIMALDI, Marcello MATARAZZO e Pellegrino PERROTTA (tutti nella qualità di consiglieri comunali del Comune di Benevento), oltre a Costanzo DI PIETRO (Assessore alle Finanze del Comune di Benevento), Nicola BOCCALONE (Direttore Generale del Comune di Benevento), Sergio DE CECIO (Coordinatore U.O.S. Tributi del Comune di Benevento), Antonietta MASTROCOLA e Margherita PIGNATIELLO (Dirigenti del Settore Finanze del Comune di Benevento, rispettivamente fino al 2003 e dal 2004 in poi), Antonio ORLACCHIO (Segretario Comunale del Comune di Benevento) e Ge.Se.Sa. S.p.a. (società concessionaria del servizio riscossione tributi comunali), per sentirli condannare al risarcimento del danno, in favore del Comune di Benevento e dell’Erario dello Stato, di importo pari a: a) in via principale € 2.643.563,79 per danno patrimoniale da mancate entrate ed € 500.000,00 per danno da disservizio in favore del Comune di Benevento, nonché € 240.323,88 in favore dell’Erario dello Stato, in solido fra loro, oltre interessi dalla data del mancato incasso e rivalutazione monetaria; b) in via alternativa € 78.589,09 ciascuno, di cui € 72.580,99 a favore del comune di Benevento ed € 6.008,09 a favore dell’Erario dello Stato, sempre oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Il danno di che trattasi è derivato, secondo la prospettazione attorea, dall'approvazione di una serie di delibere consiliari con le quali è stato stabilito il condono tributario, in violazione dell'art. 13 legge 289/2002 che l'ha consentito soltanto per i tributi locali, dei canoni per le acque reflue e la depurazione, che hanno natura di corrispettivo e non di tributo, relativamente al periodo ottobre 2000-dicembre 2005.
Premesso che l'indagine del requirente contabile è scaturita da una nota con la quale la Procura della Repubblica di Benevento ha trasmesso gli atti di un procedimento penale perché venisse valutata la sussistenza di eventuali danni all’erario derivanti dall’operato degli organi comunali del Comune di Benevento, l'atto introduttivo del giudizio evidenzia l'illiceità, sotto il profilo amministrativo-contabile, degli atti deliberativi del Comune di Benevento mediante i quali si è prima approvata una previsione regolamentare e poi se ne è di volta in volta estesa l'applicazione a varie annualità con successive delibere consiliari comunali, concernente il condono – di per sé misura eccezionale – del canone per le acque reflue e depurazione, a dispetto del fatto che tali fonti di entrata comunale non hanno natura di tributo. Il requirente ha citato, sul punto, una serie di pronunce della Corte di Cassazione, che hanno pacificamente, uniformemente e sin dal 2003 (epoca della prima delle contestate deliberazioni) statuito che il canone per il servizio di scarico e depurazione delle acque reflue ha natura di componente del corrispettivo del servizio idrico a partire dal 3 ottobre 2000, per effetto dell'innovazione introdotta dall'art. 31, 28° comma, L. 448/1998 e del differimento della sua iniziale decorrenza (1 gennaio 1999) disposto dall'art. 62 del d.lgs. 152/1999, modificato dall'art. 24 del d.lgs. 258/2000 (entrato in vigore alla predetta data del 3 ottobre 2000), rappresentando un tributo comunale soltanto per il periodo anteriore.
La Procura attrice, dopo aver ricordato che gli illeciti contestati sono stati anche rilevati dal Servizio Ispettivo del Ministero dell’Economia e Finanze a seguito di un'ispezione effettuata presso il Comune di Benevento, ha sottolineato che la sentenza n. 335/2008 della Corte Costituzionale, con la quale è stata sancita l’illegittimità delle disposizioni con le quali si è disponeva la debenza della quota di tariffa anche nel caso in cui il Comune fosse sprovvisto di impianto di depurazione, nulla toglie all'illiceità del comportamento tenuto dagli odierni convenuti che hanno deliberato reiteratamente di procedere a condonare delle entrate patrimoniali e non delle entrate aventi natura di tributo né determina la pretesa insussistenza del danno erariale. Invero – evidenzia il requirente nell'atto introduttivo del giudizio – la pronuncia della Consulta si fonda sul presupposto secondo cui la tariffa di cui si controverte ha natura di corrispettivo e non di tributo, tant'è vero che a seguito di essa è intervenuto il D.L. 208/2008, convertito nella L. 13/2009 che, all’art. 8-sexies ha chiarito che dai rimborsi da corrispondere agli utenti a seguito della pronuncia di incostituzionalità, devono essere dedotti gli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate, relative agli impianti di depurazione che, rappresentando una componente vincolata della tariffa del servizio idrico integrato, sono comunque dovuti ai gestori. Il Decreto del Ministro dell’Ambiente del 30.09.2009, emanato in attuazione della predetta norma, ha previsto specifiche incombenze finalizzate ad individuare le quote della tariffa da rimborsare agli utenti ed ha stabilito il termine quinquennale di prescrizione per la presentazione delle istanze degli utenti intese ad ottenere la restituzione dei canoni versati.
Essendo, dunque, oltremodo discutibile l'effettiva attribuibilità di eventuali rimborsi della tariffa versata nel periodo assunto in considerazione (ottobre 2000-dicembre 2005) alla luce delle disposizioni citate, il requirente ha ribadito che nella vicenda all'esame “l’unico dato certo è il mancato introito del canone acque reflue e depurazione da parte del Comune di Benevento, in virtù della normativa vigente al momento della causazione degli illeciti”. Tale danno viene quantificato nell'importo di € 2.643.563,79, mancata entrata pari alla differenza tra quanto si sarebbe dovuto riscuotere (€ 5.058.129,45) e quanto è stato in effetti riscosso (€ 1.510.607,88), dedotto l'ulteriore importo di un quarto di tale somma (cioè della somma di € 3.547.521,57) che indica equitativamente le annualità relative al periodo 1998-ottobre 2000.
Il danno suindicato viene ritenuto attribuibile a titolo di dolo contrattuale ai consiglieri comunali, titolari della potestà regolamentare di individuare i tributi e le modalità per la sottoposizione a definizione agevolata, a tutte le componenti amministrative, che con il loro parere favorevole hanno avallato le scelte regolamentari del consiglio comunale, all’Assessore al Ramo, che ha formulato le proposte a monte delle medesime delibere, e alla Ge.Se.Sa. S.p.a., che ha proceduto all'attuazione pratica del condono con macroscopica superficialità visto che svariati importi risultano non introitati.
Sempre a titolo di danno patrimoniale diretto, viene addebitata ai convenuti l'ulteriore somma di € 240.323,88, cioè la quota dell’I.V.A. dovuta all’Amministrazione finanziaria dello Stato sulle somme non introitate per effetto del condono accordato.
Un'ulteriore voce di danno posta solidalmente a carico degli odierni convenuti dal requirente è quella costituita dal danno da disservizio, derivante dal fatto che il condono generalizzato del corrispettivo dovuto dagli utenti ha determinato il detrimento del pieno soddisfacimento che l’utenza finale deve ottenere dal servizio reso secondo gli obiettivi prefissati dal legislatore; il danno di che trattasi è stato quantificato dall'Ufficio di Procura nella misura di € 500.000,00 e ritenuto addebitabile ai convenuti ancora a titolo di dolo contrattuale e dunque con il vincolo della solidarietà.
In via alternativa, è stata contestata agli evocati in giudizio la condotta quantomeno gravemente colposa, derivante dalla pervicace indifferenza nella violazione di norme di legge e, conseguentemente, dei propri obblighi di servizio ovvero connessi al mandato elettivo espletato.
Trentasei dei quaranta convenuti si sono costituiti in giudizio, con memorie depositate tra il 14.12.2010 ed il 07.01.2011.
Alberto MIGNONE (patrocinato dall'avv. Silvia Tozzi con memoria depositata il 14.12.2010) ha chiesto di essere prosciolto da ogni addebito, deducendo l'insussistenza sia del pubblico nocumento e sia dell'elemento soggettivo dell'illecito, in quanto: 1- la mancata erogazione del servizio di depurazione da parte del Comune di Benevento (sprovvisto di depuratore) avrebbe reso illegittima l'esazione del canone dovuto dagli utenti a tale titolo, tant'è vero che l'irragionevole disposizione normativa in proposito è stata annullata ex tunc con sentenza C. Cost. 335/2008; 2- all'epoca dei fatti, così come successivamente, il “servizio idrico integrato” previsto dall'art. 4, comma 1°, lett. f), legge 36/1994, non era stato attuato, sicché doveva ritenersi l'inapplicabilità della corrispondente tariffa; 3- la definizione agevolata delle violazioni ha dunque evitato l'insorgenza di contenziosi, ha fornito al Comune un'entrata superiore a quella dovuta (30% del canone) e certamente non ha determinato disservizio per gli utenti; 4- la quantificazione del danno operata dalla Procura è senz'altro abnorme; 5- ad Alberto MIGNONE, consigliere comunale all'epoca dei fatti, deve ritenersi applicabile la scriminante di cui all'art. 3, punto a) comma 1°-ter, legge 639/1996.
Marcello MATARAZZO (difeso da sé medesimo con memoria depositata il 30.12.2010) ha eccepito la nullità dell'atto di citazione per mutatio libelli rispetto alla prospettazione descritta nell'invito a dedurre nonché per genericità di descrizione ed assoluto difetto di prova degli elementi dell'illecito contestato, oltre alla prescrizione dell'azione relativamente al periodo antecedente il 16.10.2004 in ragione della data di notifica dell'invito a dedurre. Quindi, nel merito, ha chiesto il proprio proscioglimento da ogni addebito, in quanto ha rilevato – richiamando la sentenza n. 1641/2008 di questa Sezione Giurisdizionale - l'ascrivibilità esclusiva agli organi ed uffici amministrativi comunali delle delibere di cui il requirente afferma l'illegittimità, essendo state tali delibere approvate dai consiglieri comunali in perfetta buona fede; inoltre, ha evidenziato doversi tutt'al più addebitare a ciascuno quanto non introitato dal Comune di Benevento per effetto delle delibere cui ha partecipato. Ha sottolineato, altresì, l'insussistenza del danno patrimoniale da mancate entrate, in quanto il canone oggetto di condono non avrebbe dovuto essere pagato affatto dai cittadini, prima della sentenza 335/2008 della C. Cost. perché il servizio non veniva erogato e dopo perché la disposizione che lo prevedeva era ormai retroattivamente illegittima, nonché l'assoluta carenza di prova della sussistenza del danno da disservizio.
Alessandro CONSALES e Vincenzo DE PAOLA (di cui il secondo è difensore sia di sé medesimo e sia del CONSALES, con memorie presentate il 30.12.2010), hanno sollevato deduzioni e formulato conclusioni del tutto analoghe a quelle esposte da Marcello MATARAZZO e dianzi sintetizzate, con l'aggiunta del rilievo secondo cui Vincenzo DE PAOLA non ha partecipato ad alcun atto deliberativo in data antecedente al 16.10.2004 (periodo ad avviso dei convenuti coperto da prescrizione dell'azione di responsabilità intrapresa nei loro confronti).
Antonietta MASTROCOLA, Costanzo DI PIETRO e Margherita PIGNATIELLO (patrocinati dall'avv. Mario Verrusio con memoria difensiva presentata il 07.01.2011) hanno pregiudizialmente eccepito l'inammissibilità dell'atto di citazione nei loro confronti perché depositato oltre il prescritto termine di 120 giorni dalla scadenza del termine assegnato per le controdeduzioni, nonché l'inammissibilità delle fonti di prova perché non indicate nell'atto introduttivo del giudizio, mentre in via preliminare di merito hanno contestato la prescrizione dell'azione di responsabilità con riferimento al periodo che ha preceduto il quinquennio antecedente la data di notifica dell'atto di citazione. Nel merito, hanno chiesto il rigetto della domanda attrice, in quanto: 1- il canone per le acque reflue e la depurazione doveva – o poteva, senza che ciò fosse imputabile a colpa o dolo - essere considerato, prima della sentenza n. 335/2008 della C. Cost. che ha sancito l'irragionevolezza di tale qualificazione, alla stregua di tributo, in quanto tale legittimamente assoggettabile alla definizione agevolata; 2- in alternativa, il medesimo canone doveva essere considerato alla stregua di corrispettivo dal 03.10.2000 in poi, senza peraltro essere dovuto per la mancata erogazione del servizio da parte del Comune di Benevento; 3- la prospettazione è la quantificazione, sia del danno patrimoniale diretto e sia di quello da disservizio, sono del tutto generiche, errate e sfornite di riscontri probatori; 4- per DI PIETRO, l'assenza di responsabilità deriverebbe dall'essere stato mero proponente (e non deliberante) degli atti comunali (e neppure di tutti) di cui la Procura lamenta l'illiceità, mentre per la PIGNATIELLO l'incontestabilità dell'illecito troverebbe ragione, in particolare, nella mancanza dell'elemento soggettivo (dolo o colpa grave); 5- gli apporti causativi del preteso danno andrebbero comunque diversamente valutati, mentre il vantaggio conseguito dall'amministrazione per effetto dell'annullamento degli incipienti contenziosi con gli utenti dovrebbe rappresentare valido motivo di esercizio del potere riduttivo.
Daniele NICASTRO (difeso dall'avv. Giovanna Abbate con memoria depositata in data 07.01.2011) ha pregiudizialmente eccepito il difetto di giurisdizione contabile in ragione dell'insindacabilità nel merito delle scelte amministrative discrezionali e la nullità dell'atto di citazione per genericità – e conseguente lesione del diritto alla difesa dei convenuti – dovuta alla mancata differenziazione delle singole voci di danno derivanti da ciascun atto deliberativo, per poi rilevare, in via preliminare di merito, la prescrizione dell'azione amministrativo-contabile sino a tutto il 2004. Nel merito, ha rilevato l'insussistenza del danno, sia patrimoniale diretta da mancati introiti (“...a dispetto del nomen iuris, sostanzialmente non può parlarsi di canone inteso come corrispettivo di una prestazione inesistente, ma trattasi comunque di prelievo tributario, come tale condonabile”, ai sensi degli artt. 119 Cost. e 3 T.U.E.L.) e sia del danno da disservizio (inconfigurabile in concreto, in presenza di totale mancanza di erogazione del servizio). Inoltre, va applicato il principio della compensatio lucri com damno, tenendo presente che l'Amministrazione comunale ha introitato € 1.510.607,88, laddove a rigor di logica non avrebbe dovuto incassare alcunché. Ha negato, infine, la sussistenza per quanto lo riguarda specificamente, del nesso di causalità, avendo egli partecipato soltanto alle sedute consiliari comunali n. 12/2004 e n. 37/2004 in cui si è proceduto alla semplice proroga dei termini di adesione al condono, e dell'elemento soggettivo dell'illecito. Ha concluso di conseguenza, chiedendo poi, in via subordinata e gradata, l'ampia applicazione del potere riduttivo dell'addebito e l'individuazione precisa dei singoli apporti causativi del danno.
Antonio ORLACCHIO (patrocinato dall'avv. Camillo Cancellario), nonché Enrico CASTIELLO, Raffaele DEL VECCHIO, Umberto DEL BASSO DE CARO, Nicola Danilo DE LUCA, Luigi IONICO (difesi dall'avv. Marialuisa Cavuoto), si sono costituiti con memorie difensive depositate in data 07.01.2011, contenenti deduzioni del tutto analoghe. Specificamente, in via pregiudiziale hanno rilevato l'insindacabilità della scelta compiuta ai sensi dell'art. 1, comma 1°, legge 20/1994, dopo di che in via preliminare di merito è stata sollevata eccezione di prescrizione con riferimento agli atti ed alle attività eseguiti fino al 2004, essendo stato l'invito a dedurre notificato nell'anno 2009. Nel merito, i convenuti hanno evidenziato l'insussistenza del danno erariale, sia patrimoniale diretto, perché l'entrata in controversia rappresentava comunque un tributo ed in ogni caso un'”entrata propria” per il Comune di Benevento in quanto tale gestibile autonomamente ai sensi degli artt. 119 Cost. e 3 T.U.E.L., e sia da disservizio, perché non può discorrersi di “diminuzione di rendimento di un servizio apprestato, laddove il servizio sia del tutto assente (impianto di depurazione); sempre in punto di elemento oggettivo dell'illecito, i deducenti hanno rilevato che dall'applicazione del principio della compensatio lucri cum damno di cui all'art. 1, comma 1° bis, legge 20/1994, la considerazione dell'utilitas concretamente conseguita dalla P.A. per effetto della vicenda qui esaminata determinerebbe l'annullamento di qualsiasi ipotizzabile depauperamento patrimoniale per il Comune di Benevento. Per quanto riguarda Antonio ORLACCHIO, si è negata la sussistenza nella sua condotta, non solo dell'elemento soggettivo (dolo o colpa grave) ritenuto inconfigurabile per i consiglieri comunali (CASTIELLO, DEL VECCHIO, DEL BASSO DE CARO, DE LUCA e IONICO), ma anche del nesso di causalità, avendo egli espresso con riferimento alle delibere di cui la Procura assume l'illiceità un mero parere non vincolante ai sensi dell'art. 97 T.U.E.L. In subordine, hanno chiesto l'ampia applicazione del potere riduttivo.
Ge.Se.Sa. S.p.a., anch'essa patrocinata dall'avv. Marialuisa Cavuoto, si è costituita in giudizio con memoria depositata in Segreteria il 07.01.2011, in cui ha pregiudizialmente eccepito l'inammissibilità dell'atto di citazione perché depositato oltre 120 giorni dalla scadenza del termine assegnato per controdedurre, nonché per genericità ed indeterminatezza; in via preliminare di merito, ha eccepito la prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile con riferimento agli atti ed alle attività eseguiti fino al 2004. Nel merito, Ge.Se.Sa S.p.a. ha proposto, in punto di insussistenza dell'elemento oggettivo del danno pubblico, deduzioni del tutto analoghe a quelle sollevate da ORLACCHIO, CASTIELLO, DEL VECCHIO, DEL BASSO DE CARO, DE LUCA e IONICO, dianzi sintetizzate; sotto il profilo del nesso causale, ha sottolineato che, stanti le norme convenzionali che affidano alla Società la gestione del servizio idrico e delle attività connesse per il Comune di Benevento, la Ge.Se.Sa. non poteva far altro che procedere alla verifica delle utenze sulla base dei dati forniti dall'Ente e poi comunicare a quest'ultimo le ipotesi d'inadempimento e di estinzione parziale delle obbligazioni per i provvedimenti conseguenti, non avendo poteri di recupero coattivo diretto. La Società ha, altresì, provveduto correttamente allo svolgimento dei suoi compiti con riferimento alla questione qui esaminata, con conseguente inconfigurabilità anche dell'elemento soggettivo dell'illecito. Ha chiesto, comunque ed in mero subordine, l'applicazione del potere riduttivo dell'addebito.
Roberto IEVOLI, difeso dall'avv. Luigi Diego Perifano, ha presentato a sua volta memoria difensiva, anch'egli in data 07.01.2011, in cui ha rilevato la prescrizione dell'azione di responsabilità con riferimento agli anni 1998-2002, l'insussistenza del danno patrimoniale diretto – perché la tariffa per la depurazione e le acque reflue non era dovuta nella fattispecie a cagione della mancanza presso il Comune di benevento di un impianto di depurazione, secondo quanto statuito dalla C. Cost. con la sentenza n. 335/2008 – e sia del danno da disservizio - non essendovi stato nel caso di specie svolgimento di servizi ulteriori rispetto a quelli istituzionalmente previsti e non essendovi alcun riscontro probatorio di tale nocumento – il difetto di legittimazione passiva del convenuto IEVOLI per aver partecipato all'adozione della sola delibera consiliare del 27.03.2003 riguardante la tariffa relativa al 1998, nonché la mancanza dell'elemento soggettivo dell'illecito – stante l'ascrivibilità esclusiva agli organi ed uffici amministrativi comunali delle delibere di cui il requirente afferma l'illegittimità, poiché approvate dai consiglieri comunali in perfetta buona fede. Ha concluso di conseguenza, chiedendo altresì la corretta individuazione degli apporti causativi del nocumento eventualmente rilevato nonché, in ulteriore subordine, l'applicazione del potere riduttivo dell'addebito.
Con unica memoria, depositata in Segreteria il 07.01.2011 per il tramite del difensore incaricato avv. Giuseppe Iannelli, si sono costituiti in giudizio Sandro Nicola D'ALESSANDRO, Raffaele BARRICELLA, Massimo BASILE, Antonio CAMPESE, Antonio CAPUANO, Cesare CARDONE, Walter CORONA, Corrado DE LORENZO, Renato LISI, Eugenio MEDICI, Federico PAOLUCCI, Enrico PASCUCCI, Antonio REALE, Nicola SALEMME, Gerardo TINESSA, Rosario GUERRA, Luca RICCIARDI, Umberto ZANONE, Nicola BOCCALONE e Sergio DE CECIO. I convenuti hanno pregiudizialmente chiesto la chiamata in causa del Sindaco, dell'Assessore alle Finanze e del Dirigente del Settore Finanze dal 2006 all'attualità, per non aver promosso l'attivazione delle procedure di riscossione coattiva nei confronti degli utenti ammessi ad agevolazione, rilevando poi, in via preliminare di merito, la prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile. Nel merito, hanno evidenziato, mediante un dettagliato excursus di varie disposizioni normative, le difficoltà interpretative inerenti l'attribuzione al canone per le acque reflue e la depurazione della natura di tributo locale o di corrispettivo per il relativo servizio, con ciò rilevando l'insussistenza dell'elemento soggettivo (senz'altro del dolo, ma anche della colpa grave) dell'illecito; mancante peraltro, secondo la prospettazione difensiva, anche dell'elemento oggettivo del pubblico nocumento, in ragione della sostanziale non dovutezza della tariffa da parte dei cittadini in mancanza dell'espletamento del sevizio di fognatura e di depurazione da parte del Comune di Benevento, rilevata da varie associazioni di consumatori e poi statuita dalla Corte Costituzionale nel 2008 con effetto retroattivo: invero, non potrebbe rilevarsi la sussistenza di alcun danno pubblico, in presenza del mancato incameramento di somme non dovute, per le istanze di rimborso delle quali non può ritenersi maturato alcun termine prescrizionale, decorrente dal 2003 e comunque decennale e non quinquennale. Inoltre – hanno altresì evidenziato i convenuti – per il pagamento del canone di fognatura si è disposto che esso dovesse avvenire per l'intero, e in ogni caso “le somme non riscosse sono sicuramente inferiori a quanto effettivamente percepito dal Comune in forza delle definizioni agevolate operate per i canoni di depurazione e di fognatura nel loro complesso considerati”, mentre per quel che concerne il danno da disservizio risulterebbe evidente che di nessun disservizio può discorrersi a fronte di servizio di per sé sostanzialmente inesistente. Hanno, quindi, concluso per l'accoglimento delle eccezioni pregiudiziali e preliminari, per il rigetto della domanda attorea e, comunque, per la ripartizione dell'”obbligo di pagamento tra tutti i condannati in proporzione al contributo da ciascuno di essi dato alla causazione del danno”.
Nella pubblica udienza odierna il PM ha, in primo luogo, evidenziato l'infondatezza delle eccezioni ed istanze pregiudiziali e preliminari sollevate ed avanzate dalle difese dei convenuti, ricordando che l'atto di citazione è senz'altro tempestivo e non viziato da mutatio libelli rispetto all'invito a dedurre e che la prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile non può che decorrere – in un caso quale quello all'esame, in cui si controverte di mancati introiti – dalla scadenza del termine quinquennale entro cui è consentito all'Ente di attivarsi per incamerare gli introiti medesimi. Nel merito, ha provveduto a meglio specificare gli elementi a sostegno della sussistenza del danno, a suo avviso efficacemente testimoniata anche dalla documentazione prodotta dalla difesa della convenuta MASTROCOLA in allegato alla memoria di costituzione in giudizio, confermando anche la quantificazione del danno medesimo, così come operata nell'atto introduttivo del giudizio, la cui validità sarebbe confermata da una nota di Ge.Se.Sa. presente in atti, da cui risulta l'irrisorietà del numero delle istanze di rimborso ricevute. Il PM ha ulteriormente insistito circa la sussistenza del danno da disservizio, così come descritto nell'atto di citazione, richiamando sul punto talune pronunce, in particolare della Sezione Giurisdizionale Calabria (ad esempio, la sentenza n. 761/2009). Con riferimento all'elemento soggettivo, ha evidenziato che nella delibera consiliare comunale del 2005 si discorre chiaramente di condono di entrate tributarie ed “extra-tributarie”, con ciò facendo emergere la consapevolezza dei partecipanti alla deliberazione di compiere atti di disposizione di diritti di credito della P.A., notoriamente indisponibili; per quanto specificamente concerne la società Ge.Se.Sa, ha ricordato che essa aveva senz'altro poteri di riscossione coattiva. Ha concluso confermando in toto l'atto scritto, provvedendo altresì a depositare copia del certificato di decesso di Mario DE FALCO, ex consigliere comunale che partecipò – con il proprio voto favorevole – all'adozione di una delle delibere del Comune di Benevento con cui si ampliava il periodo di riferimento dei canoni sottoposti a condono, non invitato a dedurre né – ovviamente – citato in giudizio proprio in ragione dell'avvenuto decesso.
Gli avvocati Giuseppe Iannelli, Marialuisa Cavuoto, Vincenzo De Paola, Mario Verrusio, Giovanna Abbate e Camillo Cancellario, hanno insistito in tutte le eccezioni, istanze e deduzioni scritte, che hanno provveduto a richiamare, soffermandovisi ampiamente. L'avv. Marialuisa Cavuoto ha precisato, altresì, che la mancanza in capo a Ge.Se.Sa s.p.a. di qualsiasi potere, non solo deliberativo, ma anche recuperatorio in ordine agli introiti in controversia, si evince dall'art. 4 della convenzione stipulata con il Comune di Benevento.
Considerato in
DIRITTO
1. Il Collegio deve anzitutto pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla domanda d'integrazione del contraddittorio avanzata dai venti convenuti assistiti dall'avv. Giuseppe Iannelli con riferimento al Sindaco, all'Assessore alle Finanze ed al Dirigente del Settore Finanze del Comune di Benevento dal 2006 all'attualità, per non aver promosso l'attivazione delle procedure di riscossione coattiva nei confronti degli utenti ammessi ad agevolazione, atteso che trattasi di questione che investe il regolare instaurarsi del rapporto processuale.
Sul punto, deve evidenziarsi che a seguito delle innovazioni legislative all'istituto della responsabilità amministrativa recate dalla legge 14 gennaio 1994 n. 20, come poi modificata dalla l. 20 dicembre 1996, n. 639, con l'introduzione del principio della personalità e parziarietà in luogo di quello previgente della solidarietà (fatta eccezione soltanto per il caso del dolo con illecito arricchimento), al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c. - che presuppone l'unicità e l'inscindibilità del rapporto giuridico sostanziale - l'integrazione cosiddetta “facoltativa” del contraddittorio (artt. 107 c.p.c. e 47 R.D. n. 1038 del 1933) è rimessa alla valutazione di opportunità del Collegio ove si versi in una fattispecie di comunanza di cause, cioè quando dall'impianto accusatorio (ed entro i limiti dallo stesso imposti, ai sensi dell'art. 112 c.p.c.) emergano condotte autonome di terzi che abbiano potuto incidere sul processo di causazione del danno, sovrapponendosi o unendosi alla condotta degli evocati in giudizio, in tal modo rendendosi opportuna la loro chiamata per ragioni di economia processuale, anche al fine di evitare conflitto di giudicati (cfr. solo alcune fra le più recenti pronunce sul punto: Sezione Giurisdizionale Campania, sentenza n. 1135/2007; Sezione III Centrale, sentenza n. 419/2007; Sezione II Centrale, sentenza n. 234/2007; Sezione Giurisdizionale Umbria, sentenza n. 223/2007).
In ogni caso, la Sezione può attribuire ai soggetti convenuti esclusivamente la quota di danno agli stessi imputabile, secondo quanto previsto dall'art. 1 quater della legge n. 20 del 1994, che impone al giudice contabile, nell'ipotesi di danno determinato da più persone, di valutare le singole responsabilità e condannare “ciascuno per la parte che vi ha preso”.
Orbene, nel caso in esame la domanda risarcitoria risulta promossa con l'intera intestazione del debito erariale ai soli convenuti.
Spetta al Collegio, pertanto, stabilire, non più se vi siano i presupposti per la chiamata in giudizio anche dei soggetti indicati dall'avv. Giuseppe Iannelli, bensì pronunciarsi nel merito della riferibilità a costoro (ed agli altri convenuti) dell'integrale somma riportata nell'atto introduttivo del giudizio, ovvero di altra somma che costituisca (eventualmente) danno erariale in rapporto alle condotte tenute come fonti della “singola responsabilità” nel senso indicato dalla legge.
Per quanto dianzi esposto, la richiesta d'integrazione del contraddittorio deve essere respinta.
2. Venendo ora all'esame dell'eccezione di difetto di giurisdizione contabile in ragione dell'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione ai sensi dell’art. 1, comma 1 della l.n. 20/94 sollevata dagli avvocati Giovanna Abbate, Camillo Cancellario e Marialuisa Cavuoto, si osserva quanto segue.
La disposizione contenuta nell’art. 1, comma 1, l.n. 20/94 che ha introdotto nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile la “insindacabilità nel merito di scelte discrezionali” è stata più volte oggetto di intervento da parte della Corte regolatrice. Secondo un primo orientamento l’area della discrezionalità – insindacabile in sede di giudizio di responsabilità – era segnata dal rispetto dei fini istituzionali dell’ente. La competenza del giudice contabile non si estendeva, pertanto, al controllo delle concrete articolazioni dell’agire amministrativo, ma poteva essere esercitata soltanto se l’organo non avesse agito per la cura degli specifici interessi pubblici ad esso affidati in via primaria.
Nella sentenza n. 14488/03, le SS.UU. C.Cass. hanno, però, abbandonato tale indirizzo osservando che “la nozione di discrezionalità è unitaria, e non può subire allargamenti nel caso specifico del giudizio di responsabilità, nel quale il controllo della conformità a legge dell’azione amministrativa deve riguardare anche l’aspetto funzionale di quest’ultima, vale a dire in relazione alla congruenza dei singoli atti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore. L’art. 1 della l. n. 20/94 deve, infatti essere posto in correlazione con l’art. 1 della l. n. 241/90, il quale stabilisce che l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia, criteri che assumono rilevanza sul piano della legittimità, e non della mera opportunità. Pertanto, la violazione di tali criteri può assumere rilievo anche nel giudizio di responsabilità amministrativa, essendo l’illegittimità dell’atto amministrativo presupposto necessario, anche se non sufficiente, della colpevolezza dell’autore”.
Tale orientamento è stato successivamente confermato dalle SS.UU. C.Cass. Nella decisione n. 7024/06, con la quale vengono ribaditi alcuni fondamentali principi: a) “Non è imposto da alcuna ragione di ordine sistematico che il controllo di legalità nel giudizio di responsabilità amministrativa dinanzi al giudice contabile debba avere un contenuto meno ampio e debba essere meno penetrante di quanto avviene nel giudizio di legittimità sugli atti amministrativi, affidato al giudice amministrativo e, in via incidentale, al giudice ordinario”; b) ”Dalla necessità di ricondurre l’esercizio del potere discrezionale al principio di legalità discende, altresì, che lo stesso non può consistere in mero arbitrio e che devono essere assicurate le varie forme possibili di sindacato indiretto (quale quello classico dell’eccesso di potere nelle sue varie forme), in qualunque sede giurisdizionale”; c) “Sulla configurazione di spazi discrezionali – e quindi di aree di insindacabilità – svolgono un essenziale effetto conformatore i principi di economicità e di efficacia contenuti nella l.n. 241/90, art. 1, i quali, anche per l’attività regolata dal diritto pubblico, costituiscono un ulteriore limite alla libertà di valutazione conferita alla P.A.”
Tali criteri non esprimono un mero ed enfatico richiamo ai principi di legalità e di buona amministrazione contenuti nell’art. 97 Cost.: si tratta, infatti, non di un vincolo ad un generale dovere (quale quello del perseguimento del pubblico interesse affidato al singolo organo amministrativo), la cui concreta applicazione dà luogo ad esercizio di discrezionalità amministrativa, ma di vere e proprie regole giuridiche, la cui inosservanza può dar luogo alla misura – correttiva o repressiva – che il giudice deve applicare ad esito della sua verifica. Tali principi, quindi, costituiscono una regola di legittimità dell’azione amministrativa, la cui osservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale, nel senso che lo stesso comporta il controllo della loro concreta applicazione, essendo lo stesso estraneo alla sfera propriamente discrezionale. Trattandosi di clausole generali o di concetti giuridici indeterminati, secondo un principio generale dell’ordinamento, la verifica della loro osservanza da parte dell’amministrazione non può, peraltro, comportare un controllo che vada al di là della ragionevolezza.
Entro i limiti delineati dalla Corte di Cassazione si è consolidata la giurisprudenza della Corte dei conti (cfr., fra le ultime, Sez. I Appello n. 289/10 e n. 405/10, Sez. Lazio n. 1213/10, Sez. Lombardia n. 428/09).
Poiché nel caso di specie si controverte addirittura della corretta applicazione di disposizioni di legge, appare di tutta evidenza l'infondatezza dell’eccezione di difetto di giurisdizione, che va quindi senz'altro disattesa.
3. Va ora esaminata l'eccezione – sollevata dagli avvocati Mario Verrusio (difensore di Antonietta MASTROCOLA, Costanzo DI PIETRO e Margherita PIGNATIELLO) e Marialuisa Cavuoto (in difesa di Ge.Se.Sa. S.p.A.) - d'inammissibilità dell'atto di citazione perché depositato oltre la scadenza del termine previsto dall'art. 5, comma 1, del d.l. 15 novembre 1993 n.453, convertito in legge 14 gennaio 1994 n. 19, come sostituito dall'art. 1, comma 3 bis, del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 639 (120 giorni a loro volta decorrenti dalla scadenza del termine, nella specie trenta giorni, assegnato nell'invito a dedurre e decorrente dalla data della notifica di esso per la presentazione delle controdeduzioni).
Sul punto, occorre premettere che le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con orientamento che il Collegio condivide appieno, hanno affermato che il momento giuridicamente rilevante ai fini dell'esercizio dell'azione, entro la sequenza temporale imposta dal legislatore, va individuato con riferimento alla data in cui l'atto di citazione viene depositato presso la segreteria della Sezione adita, essendo questo il momento che giuridicamente ne segna l'”emissione” (sentenza n. 18/QM/1998 del 27 maggio-4 agosto 1998).
Con riferimento al dies a quo del predetto termine nel caso di pluralità d'invitati, le SS.RR. di questa Corte hanno affermato, nella sentenza n. 1/2005/QM ormai uniformemente applicata e condivisa anche dalle Corti di merito, che gli aspetti strutturali e di garanzia del soggetto indagato e quelli incidenti sulla completezza della fase istruttoria, potessero essere entrambi soddisfatti attraverso l'applicazione della disposizione contenuta nell'art. 7, comma 3, del r.d. n. 1038 del 1933, a tenore della quale “quando nello stesso procedimento siano più i convenuti, vale per tutti il termine maggiore”, in quanto norma funzionale all'esigenza di garantire, nel solo caso di pluralità di presunti corresponsabili del medesimo danno pubblico, esattamente individuati nell'invito a dedurre loro contestualmente comunicato, la valutazione unitaria e comparata delle relative posizioni. Per le altre ipotesi, invece, ivi compresa quella in cui eventuali corresponsabili vengano individuati solo successivamente, le Sezioni Riunite hanno ritenuto di confermare il precedente orientamento espresso nella sentenza n. 13/2003/QM, ovvero quello di ancorare il dies a quo del termine di centoventi giorni dalla data di notifica di ciascun invito a dedurre.
Orbene, nella fattispecie in esame la data di notifica dell'ultimo invito è il 16.12.2009 (Umberto ZANONE). Pertanto, l'eccezione va senz'altro respinta, essendo l'atto introduttivo del giudizio stato depositato presso la Segreteria della Sezione in data 14.04.2010, cioè ben prima della scadenza del termine utile (15.05.2010).
4. Riguardo il rilievo d'inammissibilità dell'atto di citazione per genericità delle contestazioni mosse dalla Procura, contenuto nelle difese di Daniele NICASTRO e di Ge.Se.Sa. S.p.A., il Collegio ritiene che anche l'eccezione in parola sia priva di fondamento giuridico.
Si deve osservare, in proposito, che l’art. 1 del R.D. n. 1038/33 richiede, quali elementi oggettivi dell’atto introduttivo “la esposizione dei fatti e la qualità nella quale furono compiuti, l'oggetto della domanda e l'indicazione dei titoli su cui è fondata” mentre l’art. 163 c.p.c., - evocabile a fini di integrazione ex art. 26 del medesimo R.D. n. 1038/33 - con norma sostanzialmente sovrapponibile richiede, a pena di nullità, “3) la determinazione della cosa oggetto della domanda; 4) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni”.
Se ne deduce che l’editio actionis è vulnerata, nella sua esigenza di assicurare un compiuto diritto di difesa, da un’insufficiente determinazione dell’oggetto della domanda, ossia di petitum e di causa petendi, di modo che vi sia assoluta incertezza sugli elementi identificatori del diritto fatto valere.
Tale verifica, però, deve effettuarsi, da parte del Giudice, attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo e dei documenti allegati (cfr. Cass. Sez. I Civ., sentenza n. 17023/03) con la conseguenza che una valutazione in termini di nullità/inammissibilità della pretesa può essere fatta solo allorché l’oggetto sia “assolutamente” incerto, tale da ledere il diritto costituzionale all’approntamento di un’adeguata ed informata difesa.
Nel caso di specie l’opera di verifica non consente di poter formulare una pronuncia nel senso richiesto dalle difese suindicate.
L'atto introduttivo del giudizio, infatti, delinea con chiarezza espositiva, indicazione esaustiva dei fatti contestati, articolata deduzione dei motivi di diritto, la domanda risarcitoria, sicché la stessa si presenta come prospettazione lucida, coerente ed appagante sia dell’oggetto di contestazione del P.M., sia delle ragioni che sono alla base delle censure mosse ai soggetti evocati in giudizio.
Poiché, inoltre, la congrua ed esaustiva esposizione degli elementi probatori offerti alla valutazione del Collegio al fine di verificare la sussistenza nella concreta fattispecie di tutti gli elementi dell'illecito amministrativo contabile contestato attengono notoriamente al merito della medesima questione, le osservazioni sin qui svolte depongono per un’infondatezza della doglianza formulata, che va perciò disattesa.
Riguardo la censura di nullità dell'atto di citazione per genericità sollevata dalla difesa di Daniele NICASTRO, essa si sostanzia nella deduzione secondo cui l'azione sarebbe inammissibile (e/o sarebbe nullo l'atto di citazione) per la (presunta) assoluta indeterminatezza della domanda a causa della mancata differenziazione delle singole voci di danno derivanti da ciascun atto deliberativo; l'avv. Mario Verrusio (difensore di Antonietta MASTROCOLA, Costanzo DI PIETRO e Margherita PIGNATIELLO), più in particolare, ha dedotto l'inammissibilità delle fonti di prova perché non indicate nell'atto introduttivo del giudizio.
Il Collegio osserva trattarsi, anche sotto tali ultimi aspetti, di censura priva di fondamento, per quanto sopra osservato, perché dalla lettura dell'atto emerge in maniera chiara l'addebito contestato a ciascun convenuto ed in quanto l'analitica indicazione dei documenti addotti a sostegno della pretesa risarcitoria non è per pacifica giurisprudenza condizione di validità o ammissibilità della domanda. Inoltre, all'atto di citazione sono stati allegati tutti i documenti costituenti riscontro probatorio della domanda attrice, con la conseguenza che la completezza della prospettazione accusatoria e della documentazione allegata a riprova avrebbe consentito il completo dispiego delle argomentazioni difensive.
5. Ciò posto, occorre esaminare l'ulteriore eccezione difensiva pregiudiziale di rito, sollevata dai convenuti Marcello MATARAZZO, Alessandro CONSALES e Vincenzo DE PAOLA, di inammissibilità dell'atto di citazione perché contenente elementi di consistente novità rispetto all'invito a dedurre, restando in tal modo irrimediabilmente viziato per violazione dell'art. 5 della legge 19 gennaio 1994, n. 14. Con siffatta eccezione, il precitato convenuto ha voluto denunciare il vulnus del divieto della cd. mutatio libelli a carico dell'odierno procedimento.
Tale vizio, tuttavia, ricorre quando l'attore o il debitore introducono nel procedimento elementi di valutazione nuovi e diversi, sì da configurare una differente causa petendi e un nuovo petitum rispetto a quelli che hanno costituito rispettivamente oggetto della domanda principale o della domanda riconvenzionale; di contro, la mutatio libelli è da escludere quando, come in questo caso, risulti solo una apparente diversità nell'oggetto della domanda, giacché non v'è dubbio che con l'odierno atto di citazione siano rimaste immutate, rispetto a quanto evidenziato nell'invito a dedurre, le ragioni della pretesa risarcitoria.
“Deve aggiungersi che, proprio perché l'invito è atto pre-processuale, volto anche a fini di ulteriore istruttoria, la sua emissione non presuppone il completamento delle indagini, cosicché non può pretendersene la completezza espositiva” (Sez. I Appello, sentenza n. 152/2004).
Nel caso di specie, pertanto, deve ritenersi che gli inviti a dedurre, nella loro formulazione, non siano viziati in quanto consentono l'individuazione delle fattispecie ritenute generative di responsabilità, la conoscenza dei fatti e la formulazione delle difese pertinenti alla fase pre-processuale in cui si inseriscono gli atti de quibus.
Di conseguenza, l'eccezione relativa all'inammissibilità dell'atto di citazione conseguente alla pretesa mutatio libelli – oltretutto motivata dai predetti convenuti in modo tutt'altro che chiaro e convincente sul piano giuridico - dev'essere disattesa.
6. Riguardo l'eccezione di prescrizione sollevata da tutti i convenuti costituiti, si osserva quanto segue.
Con riferimento al termine iniziale di decorrenza della prescrizione dell'azione di responsabilità, va preliminarmente rilevato che non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale, il semplice compimento di una condotta trasgressiva degli obblighi di servizio. Tale assunto discende in maniera evidente dalla lettura sistematica dell'art. 1 della legge n. 20/1994 come modificato dal d.l. n. 543/1996, convertito in legge n. 639/1996 (che discorre di “fatto” dannoso), coordinata con il fondamentale principio dell'art. 2935 c.c., secondo cui "la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere".
Nell'ipotesi che qui ricorre – mancato introito per l'intero importo da parte del Comune di Benevento dei canoni per le acque reflue e la depurazione relativi al periodo ottobre 2000-dicembre 2005 – è di tutta evidenza che il termine di prescrizione decorre dal momento in cui la perdita del diritto dell’Amministrazione diviene certa, di modo che l'exordium preascriptionis deve farsi coincidere – come giustamente posto in rilievo dal P.M. di udienza - con la data di definitiva scadenza del termine quinquennale entro cui è consentito all'Ente di attivarsi per incamerare gli introiti medesimi.
In ipotesi di mancata acquisizione di entrate, invero, l’orientamento costante ed assolutamente maggioritario del giudice contabile è nel senso di ritenere che il danno erariale conseguente diviene certo e attuale nel momento in cui si verifica la prescrizione del relativo diritto (Sez. Giur. Sardegna, sentenza n. 4/2011; Sez. Giur. Umbria, sentenza n. 88/2008).
Che l'azione per il risarcimento del danno derivato dalla perdita di un credito per prescrizione sia proponibile solo dopo che quest'ultima è maturata, e a decorrere da quel momento, trova implicita conferma – come in precedenza anticipato - nella disposizione di cui all'art. 1, comma 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, secondo la quale “qualora la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia. In tali casi, l'azione è proponibile entro cinque anni dalla data in cui la prescrizione è maturata”.
In definitiva, se la domanda attrice, come pacificamente desumibile dall'atto di citazione, è volta a ottenere il risarcimento del danno derivante dal venir meno di un'entrata dell’Ente conseguente alla intervenuta prescrizione o comunque alla definitiva impossibilità di acquisire il relativo diritto di credito, non è consentito ritenere attuale il danno prima che tale perdita si sia verificata e a prescindere da essa, perché per non essere ancora concreto ed attuale il danno, non sarebbe azionabile alcuna pretesa risarcitoria e la domanda del Procuratore regionale dovrebbe essere respinta per insussistenza dell'elemento oggettivo della responsabilità (cfr., tra le più recenti, Sez. Giur. Lazio, sentenze n. 645/2009 e n. 1405/2010).
Orbene, poiché gli inviti a dedurre – corredati da apposita formula per la costituzione in mora degli intimati - sono stati tutti notificati tra il 11 settembre ed il 12 dicembre 2009, mentre la prescrizione quinquennale dell'azione di riscossione coattiva del canone in controversia ha iniziato a decorrere dall'ottobre 2005, appare di tutta evidenza la loro tempestività. E che la prescrizione dell'azione di recupero dei canoni attivabile dall'amministrazione sia soggetta al termine quinquennale e non a quello decennale, è dato desumere dalla previsione di cui all'art. 2948 c.c. (cfr. Sez. Giur. Sardegna, sentenza n. 4/2011; Sez. Giur. Calabria, sentenza n. 1094/2007).
Per quanto considerato, anche l'eccezione di prescrizione deve essere respinta.
7. Sgombrato il campo dalle questioni pregiudiziali e preliminari proposte dalle difese dei convenuti, il Collegio può esaminare in punto di merito la vicenda descritta nella premessa in fatto. Deve quindi procedersi alla verifica della sussistenza, nel caso concreto, degli elementi tipici della responsabilità amministrativa che, com’è noto, si sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente valutabile, arrecato alla pubblica amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e l'evento dannoso, nonché nella sussistenza di un rapporto di servizio fra coloro che lo hanno determinato e l'ente che lo ha subito.
8. Con riferimento, in primo luogo, all’elemento oggettivo del danno pubblico, la valutazione della relativa sussistenza nel caso di specie concerne due distinte voci di nocumento, rilevate dalla Procura attrice, ovvero il danno patrimoniale da mancate entrate ed il danno da disservizio.
8.a. Riguardo la prima delle suindicate voci di danno, derivato ad avviso del requirente dall'approvazione di una serie di delibere consiliari del Comune di Benevento con le quali è stato stabilito il condono tributario dei canoni per le acque reflue e la depurazione relativi al periodo ottobre 2000/dicembre 2005 - in violazione dell'art. 13 legge 289/2002 che l'ha consentito soltanto per i tributi locali – va premesso che l’art. 13 legge n. 289/2002 ha previsto la possibilità, per le Regioni, le Province ed i Comuni di procedere a “condono” fiscale, relativamente ai tributi locali, nella ricorrenza di due essenziali presupposti: 1. la previa regolamentazione delle procedure da seguire mediante l’emanazione di propri atti normativi volti a regolamentare la fattispecie; 2. la circostanza che oggetto di tali disposizioni siano esclusivamente le tipologie rientranti nella nozione di tributi propri, cioè quelli la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente dovuti agli enti indicati nella legge (Regioni, Province e Comuni, appunto). Più specificamente, la norma in questione prevede che:
“1. Con riferimento ai tributi propri, le Regioni, le Province e i Comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l'adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonché l'esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell'atto, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti.
2. Le medesime agevolazioni di cui al comma 1 possono essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale...
3. Ai fini delle disposizioni del presente articolo, si intendono tributi propri delle Regioni, delle Province e dei Comuni i tributi la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai predetti enti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonché delle mere attribuzioni ad enti territoriali del gettito, totale o parziale, di tributi erariali”.
Per quanto specificamente concerne il canone acque reflue e depurazione, va evidenziato, come condivisibilmente fatto nell'atto introduttivo del giudizio, che di tali fonti di entrata comunale l’art. 14 della legge n. 36/1994 e s.m.i. ha modificato la natura da tributo a corrispettivo, poiché il rapporto che si instaura tra ente erogante il servizio e cittadino avente diritto ad esso e nel contempo obbligato al pagamento del canone (corrispettivo), è fondato su di un vero e proprio sinallagma contrattuale. Tale sostanziale modifica è intervenuta con decorrenza 3 ottobre 2000, per effetto della previsione contenuta nell’art. 31, comma 28°, della legge 448/1998, così come ripetutamente evidenziato in varie pronunce della Corte di Cassazione, la quale ha affermato, in generale, che il servizio di depurazione delle acque reflue costituisce, in base alla legge 5 gennaio 1994, n. 36, un servizio pubblico irrinunciabile che gli enti gestori sono tenuti ad istituire per legge; gli utenti di esso, ancorché potenziali, sono chiamati, in forza dell'art. 14 L. n. 36 del 1994, a contribuire, con il versamento di un apposito canone, sia alle relative spese di gestione ordinaria che a quelle di installazione e di completamento, comprese le spese per il collegamento fognario delle singole utenze. Pertanto, il canone per i servizi di depurazione delle acque reflue, alla stregua della legge n. 36 del 1994, è dovuto indipendentemente non solo dall'effettiva utilizzazione del servizio, ma anche dall'istituzione di esso, o dall'esistenza dell'allacciamento fognario ad esso della singola utenza, laddove, secondo la precedente disciplina - di cui agli artt. 16 e segg. della legge 10 maggio 1976, n. 319, modificata dall'art. 3 del D.L. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito in legge 23 aprile 1981, n. 153 -, l'obbligo di corrispondere il canone era sì indipendente dall'effettiva utilizzazione del servizio, ma nasceva soltanto per effetto della istituzione di quest'ultimo e dell'allaccio alla rete fognaria pubblica, sicché era condizionato all'esistenza dell'impianto centralizzato ed all'allacciamento fognario ad esso della singola utenza (C. Cass., Sez. V, sentenza n. 96 del 04.01.2005, che si cita a mero titolo esemplificativo). Con specifico riferimento alla natura del canone di che trattasi, sin dal 2003 la Suprema Corte ha chiarito che solo fino al 3 ottobre 2000 il canone di depurazione dovesse considerarsi un tributo; invero, con la sentenza n. 16426 del 20.08.2004, le SS.UU. della C. Cass. (che si cita a mero titolo esemplificativo) hanno osservato che il canone per il servizio di scarico e depurazione delle acque reflue ha natura di componente del corrispettivo del servizio idrico solo a partire dal 3 ottobre 2000, per effetto dell'innovazione introdotta dall'art. 31, ventottesimo comma, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 e del differimento della sua iniziale decorrenza (primo gennaio 1999) disposto dall'art. 62 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, modificato dall'art. 24 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258 (entrato in vigore alla predetta data del 3 ottobre 2000), mentre, per il periodo anteriore, integra un tributo comunale, sulla scorta delle previsioni, prima, dell'art. 17-ter della legge 10 maggio 1976, n. 319 (aggiunto dall'art. 3 del decreto-legge 28 febbraio 1981, n. 38, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 1981, n.153), e successivamente, dopo l'abrogazione di detta norma ad opera dell'art. 32 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, dell'ultimo comma dello stesso art. 17, inserito dall'art. 2, comma terzo-bis, del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79 (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 1995, n. 172).
Dagli atti di causa emerge che con deliberazione n. 8 del 27.03.2003 il consiglio comunale di Benevento approvò il Regolamento per la definizione agevolata dei rapporti tributari, in esecuzione dell'art. 13 legge 289/2002 (sopra citato), indicando, quali tributi ricadenti nell’ambito di applicazione del disposto regolamentare, l’imposta comunale sugli immobili, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la tassa per l’occupazione degli spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e le pubbliche affissioni, il canone per le acque reflue e depurazione relativo all’anno 1998, nonché l’imposta I.C.I.A.P, ed indicando altresì i periodi di riferimento dei tributi da definire in maniera agevolata.
Con deliberazione giuntale immediatamente successiva (n. 61 del 28.03.2003) si determinarono le tariffe per l'allontanamento e scarico delle acque reflue e per la depurazione delle acque, chiarendo che “il volume dell'acqua scaricata nella fogna pubblica viene determinato in misura pari al 100% del volume d'acqua fornita, prelevata o comunque accumulata”, il che fa apparire evidente – anche per la giunta deliberante - la natura di corrispettivo attribuibile alle tariffe di che trattasi.
Del resto, che tale fosse la natura del canone in parola, emerge con assoluta chiarezza dalle note n. 17665 del 26.02.2001 e 24429 del 09.04.2001 del Dirigente del Settore Finanze del Comune di Benevento (Antonietta MASTROCOLA), entrambe dirette al Movimento di Difesa del Cittadino Onlus a riscontro di varie istanze di rimborso di somme pagate da cittadini a titolo di canone per la depurazione (cfr. all.ti n. 3 e n. 4 al fascicolo di parte privata). Di tali note appare opportuno riportare qui di seguito il testo:
“...si fa presente che l'art. 14 della legge n. 36 del 1994 stabilisce espressamente che la quota di tariffa relativa al servizio di depurazione e' dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
I relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione.
La circolare del Ministero delle Finanze n. 177/E del 05/10/2000 chiarisce ulteriormente il disposto dell'art. 14 della legge 36/94, precisando che 'risultano in tal modo del tutto superati i dubbi sulla corresponsione della quota di tariffa relativa alla depurazione, in quanto attualmente è la legge stessa che, a differenza di quanto avveniva nel passato, ne impone il pagamento da parte di coloro che sono allaciati alla pubblica fognatura, ma non usufruiscono del servizio di depurazione, perché manca o è inattivo l'impianto di depurazione.
Pertanto in base alla normativa suesposta, allo stato, non è possibile provvedere alla restituzione dei canoni di depurazione riscossi per l'anno 1999 e primo semestre 2000”.
“Nessuna deliberazione di trasformazione del cannone in tariffa è stata adottata da Questo Ente, essendo tale trasformazione stabilita da una legge dello Stato (L. 448/1998 art. 31 comma 28) ed essendo la tariffa in vigore in questo Comune già adeguata ai parametri, ai criteri e ai limiti stabiliti dal CIPE:
Gli introiti del canone (o tariffa) di depurazione per gli anni 1996-2000 ammontano complessivamente a £ 6.479.612.837 e sono confluiti nell'apposito fondo, per la gestione e realizzazione del depuratore”.
Nonostante, dunque, fosse ben chiara – contrariamente a quanto dedotto dalle difese dei convenuti – la natura di corrispettivo attribuibile alla tariffa in parola, con deliberazione consiliare del Comune di Benevento n. 92 del 04.12.2003 (avente ad oggetto “Modifica Regolamento Comunale per la definizione agevolata dei rapporti tributari”) sono stati inseriti nell’ambito di applicazione del regolamento le sanzioni relative alle violazioni del Codice della Strada ed i canoni per le acque reflue e depurazione degli anni 1998-1999-2000-2001-2002. Al riguardo, l’art.3 del Regolamento è stato modificato nel senso che per effetto del condono, gli obblighi relativi ai suddetti canoni sarebbero stati adempiuti con il pagamento del solo tributo ridotto al 30%, oltre le spese di spedizione e gli interessi legali del 3%. Successivamente, con deliberazione consiliare n. 12 del 20.04.2004, è stata introdotta la definizione agevolata per i tributi previsti nell’ambito regolamentare anche per l’anno 2003, con estensione anche al canone acque reflue e depurazione. Con deliberazione consiliare n. 25 del 09.06.2005 l'estensione in parola è stata disposta anche per l’annualità 2004, e poi ancora per l'anno 2005 con l'adozione della deliberazione n. 28 del 26.04.2006 (cfr. all.ti numeri 11, 12, 13 e 19 al fascicolo di Procura).
Eppure – come del resto precedentemente evidenziato - con riferimento all'obbligatorietà del pagamento dell'intero importo del canone in controversia, non vi erano i dubbi interpretativi descritti dai convenuti, in quanto era lo stesso art. 14, comma 1°, legge n. 26/1994 - e poi l'art. 155 d.lgs. n. 152/2006 – che prevedeva che la quota di tariffa del canone di depurazione fosse dovuta anche qualora il Comune fosse sprovvisto di impianto di depurazione oppure questo fosse inattivo. Il che equivale a dire che non vi erano dubbi interpretativi tali da far ritenere tale introito comunale quale tributo.
In virtù del regolamento e delle successive modifiche, tuttavia, il Comune di Benevento ha consentito che gli inadempienti dell'obbligo in parola abbiano potuto beneficiare di una sorta di regolarizzazione della loro posizione, semplicemente mediante il versamento di una somma pari al 30% del corrispettivo dovuto con completa esenzione degli interessi.
Come giustamente evidenziato dal requirente nell'atto introduttivo del giudizio, l'”anomala applicazione delle disposizioni agevolative previste dalla normativa in materia di condono per la definizione di tributi erariali, con particolare riferimento... all'ampliamento a fattispecie non previste dalla norma, causa di mancati introiti per l'Ente” è stata rilevata anche dal Servizio Ispettivo del Ministero dell’Economia e Finanze a cura del quale, a seguito di ispezione effettuata presso il Comune di Benevento dal 30 marzo al 24 aprile 2009, è stata redatta apposita relazione (cfr. stralcio, all. n. 1 al fascicolo di Procura). Ivi si afferma, condivisibilmente, quanto segue: “l'ambito oggettivo della procedura di definizione agevolata approvata dall'Ente” eccede “i limiti indicati dall'art. 13 della Legge n. 289/02”; dopo aver citato alcune pronunce della S.C. sull'argomento, nella medesima relazione si prosegue rilevando che “In sostanza la Corte (di Cassazione) afferma che la natura tributaria dei canoni in questione era venuta meno solamente in base alle disposizioni dell’art. 24 del D.Lgs. n. 258/00 ed a far data dal 03.10.00. Pertanto per il periodo successivo a tale data, non avendo il canone natura tributaria, non poteva essere oggetto di definizione ai sensi della Legge 27.12.02, n. 289... presso il Comune di Benevento la definizione agevolata è stata applicata a tali entrate sino all'anno 2005, in violazione delle disposizioni in precedenza richiamate”.
Tutte le difese dei convenuti si sono soffermate sull'insussistenza di danno erariale, in ragione della sentenza n. 335 del 08.10.2008 della Corte Costituzionale, che ha sancito l’illegittimità delle disposizioni, dianzi indicate, che stabilivano l'obbligatorietà del pagamento della tariffa anche nel caso in cui il Comune fosse sprovvisto di impianto di depurazione, come sarebbe avvenuto per il Comune di Benevento. Con la pronuncia in parola, infatti, la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 14, comma 1°, della legge n. 36/1994, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”, nonché l’art. 155, comma 1°, primo periodo, del d.lgs. n. 152/2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.
La Corte Costituzionale ha rilevato, in particolare, quanto segue: “Dall'accertata volontà del legislatore di costruire la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione come corrispettivo deriva la fondatezza della censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, nella parte in cui prevede che la suddetta quota di tariffa è dovuta dagli utenti anche quando manchi il servizio di depurazione.
La norma censurata, imponendo l'obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, prescinde dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si pone ingiustificatamente in contrasto con la sopra delineata ratio del sistema della legge n. 36 del 1994, che, come si è visto, è invece fondata sull'esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione”.
Quindi, non solo la Corte Costituzionale ha ulteriormente rilevato che trattasi di corrispettivo e non di tributo, ma anche ha ritenuto incostituzionale non l'intera tariffa, bensì soltanto la quota relativa al servizio di depurazione.
Infatti, a seguito della pronuncia di incostituzionalità è intervenuto il D.L. 30.12.2008 n. 208, convertito nella legge 27.02.2009 n.13, che all’art. 8-sexies ha chiarito che dall’importo da restituire a seguito della pronuncia di incostituzionalità, devono essere dedotti gli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate relative agli impianti di depurazione i quali, unitamente agli oneri relativi ai connessi investimenti, costituiscono una componente vincolata della tariffa del servizio idrico integrato e, conseguentemente, sono pur sempre dovuti ai gestori, a decorrere dall’avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle opere necessarie alla attivazione del servizio di depurazione, purché alle stesse si proceda nel rispetto dei tempi programmati.
Inoltre, la stessa norma ha demandato la disciplina delle modalità applicative per procedere al rimborso ad un decreto da emanarsi a cura del Ministro dell’Ambiente, che è stato poi effettivamente adottato il 30 settembre 2009 ed ha previsto specifiche incombenze intese all'individuazione delle quote della tariffa da rimborsare agli utenti, stabilendo altresì, ai sensi dell'art. 2948 c.c., il termine quinquennale di prescrizione per la presentazione dell'istanza di rimborso dei canoni versati.
A tali condivisibili conclusioni il requirente contabile è pervenuto anche con il rilevante ausilio delle osservazioni contenute nel parere n. 25 del 10.02.2009 della Sezione Controllo della Corte dei conti Lombardia, la quale si è espressa sul quesito, posto dal Sindaco del Comune di Lodi, relativo ai limiti entro i quali si propagano gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, contenuta nella sentenza n. 335/2008 della C. Cost. sopra citata e riportata, dell’art. 155 del D.lgs. 152/2006 e della pregressa normativa che, a partire dalla legge n. 35/1994, regola il servizio idrico integrato nella componente relativa al servizio di depurazione, nella parte in cui prevede che la quota riferita al servizio stesso è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. In tale parere, la Sezione di Controllo contabile per la Lombardia ha posto taluni principi:
(A) alla pronuncia di incostituzionalità deve riconoscersi natura costitutiva (e non dichiarativa), correlata alla configurazione della legge invalida per contrasto con la Costituzione come legge annullabile (e non nulla), con la conseguenza che la norma o l’atto annullato vengono espunti dall’ordinamento divenendo insuscettibili di regolamentazione delle situazioni o dei rapporti giuridici che in essi trovavano fondamento, senza, però, che la pronuncia di incostituzionalità coinvolga i rapporti cd. esauriti, i quali si definiscono come tali per aver prodotto tutti i loro effetti giuridici anteriormente alla pronuncia di costituzionalità;
(B) per i pagamenti effettuati dagli utenti nei comuni privi di servizio di depurazione anteriormente alla sentenza della Corte Costituzionale, i termini di prescrizione vanno individuati nel limite quinquennale di cui all’art. 2948 c.c. - mentre per i pagamenti effettuati successivamente alla stessa sentenza vale il termine ordinario decennale di cui all’art. 2946 c.c. - in quanto “i profili di incostituzionalità della norma costituiscono impedimenti di fatto e non di diritto rispetto all’operare della prescrizione e... pertanto, è onere dell’interessato che voglia impedire la prescrizione mettere in campo gli idonei rimedi giuridici eventualmente promuovendo innanzi al giudice adito il giudizio incidentale di incostituzionalità”.
Pertanto, all'attualità, deve ritenersi sussistente per il comune di Benevento il danno erariale descritto nell'atto introduttivo del giudizio, in quanto:
1. la pronuncia d'illegittimità della C. Cost, n. 335/2008, non ha riguardato la tariffa relativa alle acque reflue, anch'essa oggetto, peraltro, della procedura di definizione agevolata per effetto delle delibere consiliari precedentemente descritte;
2. la tariffa per la depurazione per gli anni che vanno da ottobre 2000 fino a dicembre 2005 (periodo cui si fa riferimento nell'atto di citazione) non potrebbe essere oggetto di alcuna istanza di rimborso, in quanto già coperta da prescrizione, di modo che, se non se ne fosse previsto il “condono tributario”, le somme ad essa relative sarebbero state introitate dal Comune di Benevento;
3. la quota da sottoporre a rimborso non si rivela ad oggi del tutto definita, in ragione delle disposizioni introdotte dall’art. 8-sexies D.L. 30.12.2008 n. 208 e del successivo decreto del Ministro dell’Ambiente, secondo cui – come già in precedenza ricordato – gli enti locali percettori avrebbero dovuto provvedere alla restituzione della quota di tariffa agli utenti che non usufruiscono del servizio, decurtata degli oneri relativi alle attività di progettazione, di realizzazione o completamento degli impianti e computata sulla base del diritto a rimborso con termine di prescrizione quinquennale (in tal senso, invero, ha disposto la delibera giuntale del Comune di Benevento n. 23/2010: cfr. all. n. 3 al fascicolo di Procura);
4. parte dell'utenza fruisce comunque degli impianti di depurazione, di modo che non avrebbe potuto in ogni caso ottenere la restituzione della quota di tariffa versata neanche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale (cfr. relazione istruttoria alla delibera giuntale comunale n. 23/2010, all. n. 4 al fascicolo di Procura).
Pertanto, deve riconoscersi sussistente il danno patrimoniale, consistente nel mancato introito del canone acque reflue e depurazione da parte del Comune di Benevento nel periodo dall'ottobre 2000 al dicembre 2005.
In merito alla quantificazione del danno così descritto e ritenuto sussistente nella fattispecie, il Collegio ritiene anche sotto tale profilo condivisibile la prospettazione attorea.
Invero, dai prospetti inviati (su cd rom: cfr. all. n. 8 al fascicolo di Procura) dal Comune di Benevento risulta che, a fronte di un importo originario dei canoni pari ad € 5.058.129,45, gli importi, per effetto del condono, sono stati ridotti ad € 1.558.457,74, di cui €.1.510.607,88 introitati, secondo quanto attestato dal medesimo Comune. Pertanto le previsioni regolamentari in controversia hanno prodotto un danno da mancata entrata, pari alla differenza tra quanto si sarebbe dovuto riscuotere e quanto allo stato è stato riscosso, cioè ad € 3.547.521,57. Tale somma, tuttavia, tiene conto anche delle annualità relative al periodo 1998-ottobre 2000, in cui il canone per le acque reflue e la depurazione aveva ancora natura tributaria, potendo pertanto legittimamente essere assoggettato alla definizione agevolata. Poiché l’Ente non ha potuto fornire né al requirente né all’Ispettore ministeriale i dati relativi al periodo di riferimento dei versamenti effettuati, si ritiene di poter condividere il criterio utilizzato dall’ispettore ministeriale, il quale ha ridotto di un quarto la somma sopraindicata, sulla base di una valutazione effettuata in via equitativa, tenendo conto del fatto che per 21 mesi su 84 coperti dalle disposizioni consiliari, il canone aveva natura tributaria; la somma che risulta da tale decurtazione è pari ad €.2.643.563,79, che costituisce il nocumento patrimoniale arrecato al Comune di Benevento.
Sempre a titolo di danno patrimoniale diretto, va addebitata ai convenuti – come giustamente richiesto della Procura attrice - l'ulteriore somma di € 240.323,88, cioè la quota dell’I.V.A. dovuta all’Amministrazione finanziaria dello Stato sulle somme non introitate per effetto del condono accordato.
9. Un'ulteriore voce di danno posta solidalmente a carico degli odierni convenuti dal requirente è quella costituita dal danno da disservizio, derivante dal fatto che “il corrispettivo dovuto dagli utenti per il servizio reso, in una concezione pubblicistica, è necessariamente destinato a migliorare e rendere più efficiente il servizio stesso”, con la conseguenza che il condono generalizzato di esso ha determinato nel caso di specie il significativo detrimento del pieno soddisfacimento che l’utenza finale deve ottenere dal servizio reso secondo gli obiettivi prefissati dal legislatore; il danno di che trattasi è stato quantificato dall'Ufficio di Procura nella misura di € 500.000,00.
Al riguardo giova evidenziare che il cd. danno da disservizio si caratterizza, in generale, per l’inosservanza dei doveri del pubblico dipendente, con conseguente diminuzione di efficienza dell’apparato pubblico. “Nei casi di disservizio, infatti, l’azione pubblica non raggiunge sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall’impiego di determinate risorse così da determinare uno spreco delle stesse.
Occorre evidenziare, tuttavia, che il danno da disservizio non si sottrae, al pari del danno economico in senso stretto, da un principio di prova certa e non presuntiva e, solo quando il danno sia provato nel suo concreto verificarsi è possibile per il Giudice, nei casi in cui sia estremamente difficile provare l'esatto ammontare, procedere ad una sua valutazione equitativa” (Sez. Giur. Lazio, sentenza n. 195/2010).
Nella fattispecie all'esame, invece, il prospettato disservizio che sarebbe conseguito al Comune di Benevento, seppure teoricamente ipotizzabile, non risulta in realtà adeguatamente provato dalla Procura attrice, ma solo affermato nell'atto di citazione, né, peraltro, idonei elementi sul suo verificarsi emergono dagli atti del fascicolo processuale.
In particolare, non emerge con la dovuta evidenza la circostanza che, a seguito delle condotte dei convenuti, l'Amministrazione abbia dovuto sostenere dei costi aggiuntivi per svolgere un servizio rientrante nelle ordinarie attribuzioni dell'Ente: invero, il servizio di smaltimento delle acque reflue e di depurazione, già sostanzialmente insussistente prima dell'adozione delle delibere consiliari che hanno disposto il condono delle relative tariffe, non risulta aver subito ulteriori variazioni peggiorative né aver richiesto spese aggiuntive per essere mantenuto costante ovvero (auspicabilmente) migliorato. In assenza di specifica prova circa l'effettivo incremento della spesa sostenuta ed in assenza di documentazione da cui desumere l'effettivo detrimento arrecato all'ordinato svolgimento del servizio dal comportamento illecito dei convenuti, non risulta, allo stato degli atti, raggiunta la prova del prospettato danno da disservizio che, conseguentemente, non può formare oggetto di valutazione equitativa.
La pretesa relativa al ristoro della descritta voce di danno, pertanto, non può trovare accoglimento nei termini in cui è stata sottoposta alla valutazione di questa Sezione.
10. Va ritenuta ovviamente in re ipsa, nel caso all'esame della Sezione, la sussistenza del rapporto di servizio rispetto all'Amministrazione comunale danneggiata degli odierni convenuti, tutti inquadrati nell'apparato amministrativo-burocratico del Comune di Benevento perché aventi rispetto ad esso un rapporto d'impiego o un incarico politico.
11. Incontestabile è, altresì, la rilevabilità nel caso concreto del nesso di causalità tra i comportamenti tenuti dagli evocati in giudizio ed il depauperamento patrimoniale dianzi indicato. Alla totalità di essi, invero, sono da ascrivere le condotte, pur se dotate di differenziata efficacia lesiva, che hanno cagionato il danno erariale che ha originato il presente giudizio, nel senso che esso non si sarebbe verificato ove siffatte condotte non fossero state poste in essere ovvero si fossero diversamente realizzate.
In buona sostanza, il danno erariale in controversia è stato complessivamente determinato da coloro che hanno concorso in modo significativo alla predisposizione ed all'adozione delle delibere n. 92/2003, 12/2004, 25/2005 e 28/2006 del Consiglio Comunale del Comune di Benevento, nonché dalla Società GE.SE.SA. S.p.a., incaricata dalla stessa Amministrazione Comunale di procedere a quantificare gli importi dovuti per il condono.
Pertanto, si rivela priva di pregio la prospettazione dell’avv. Giuseppe Iannelli con riferimento al contributo causativo del danno da ascrivere al Sindaco, all'Assessore alle Finanze ed al Dirigente del Settore Finanze del Comune di Benevento dal 2006 all'attualità, per non aver promosso l'attivazione delle procedure di riscossione coattiva nei confronti degli utenti ammessi ad agevolazione, poiché tali condotte non presentano alcuna incidenza sulla produzione del nocumento sopra descritto, da attribuire invece interamente agli odierni convenuti, per le ragioni che di seguito verranno specificate.
Inoltre, va evidenziata l'inconferenza delle argomentazioni difensive dei consiglieri comunali beneventani che hanno sostenuto che la responsabilità dovesse ricadere unicamente sui funzionari amministrativi che hanno proceduto ad esprimere i pareri di regolarità di competenza, poiché la norma contenente la disciplina che qui rileva, nel prevedere una esplicita potestà regolamentare in capo agli enti locali, ha attribuito all’organo politico la responsabilità di individuare i tributi da sottoporre a definizione agevolata e le modalità di tale sottoposizione. Risulta, pertanto, evidente che i consiglieri comunali avrebbero dovuto esercitare tale potestà entro i limiti stabiliti dalla legge,senza travalicarli illecitamente.
Sul punto, va altresì osservato che non possono – in generale - essere ritenute fondate le deduzioni difensive che, nell'intento di escludere la sussistenza nella specie il nesso di causalità – prima ancora che l'elemento soggettivo della colpa grave – con riferimento al comportamento tenuto dai consiglieri comunali, invocano la cd. “scriminante politica” prevista dall'art. 1 comma 1 ter L. 14 gennaio 1994 n. 20, come sostituito dall'art. 3 L. n. 639 del 1996.
Invero, già dopo la riforma recata dalla L. n. 142 del 1990, il Consiglio Comunale non costituisce più l'organo a competenza generale che ora è invece individuato nella Giunta municipale. Il Consiglio è, invece, attributario di specifiche competenze, tra le quali vi sono quelle di indirizzo e di controllo politico ma anche amministrativo. Le funzioni di quest'ultimo tipo sono orientate specificamente nei confronti dei dirigenti preposti agli uffici ed ai servizi e sono finalizzate a verificare la coerenza programmatica tra gli indirizzi del Consiglio e le scelte gestionali compiute dai dirigenti.
Spetta altresì al Consiglio (art. 32 L. 142/1990) adottare provvedimenti che, per la rilevanza del loro oggetto, assumono il carattere di atti fondamentali dell'Ente, tra i quali rientrano quelli attinenti l'attività finanziaria ed il bilancio (appunto quale atto di indirizzo programmatico e politico) dell'Ente stesso ovvero la materia degli acquisti e delle alienazioni immobiliari, nonché assumere provvedimenti che si presentano come adempimenti improrogabili.
Quindi, considerate tali funzioni, la rammentata esimente da responsabilità amministrativa prevista per gli organi politici che abbiano approvato o fatto eseguire in buona fede atti ricompresi nelle competenze di uffici tecnici o amministrativi, non può trovare applicazione nei casi in cui l'Organo politico abbia esercitato (come nel caso in esame) una propria attribuzione di amministrazione attiva, in una materia che la legge riserva all'Organo stesso e nella quale gli uffici tecnici o amministrativi abbiano espletato funzioni istruttorie ovvero consultive e comunque di mero supporto strumentale.
Si soggiunge che la buona fede dell'Organo politico è ravvisabile allorché esso abbia espresso la sua volontà ignorando di arrecare un pregiudizio patrimoniale all'Erario, quando siano assenti elementi di segno opposto, ma non anche allorché abbia violato suoi doveri specifici, com'è invece avvenuto nel caso di specie.
Va, al contrario, configurata, nella vicenda esaminata, una responsabilità del Consiglio comunale come Organo collegiale per aver svolto in modo pesantemente negligente un adempimento che rientrava nelle sue specifiche incombenze e vanno nel contempo individuati (come in realtà è stato fatto) all'interno del medesimo Organo, i singoli soggetti che, col loro voto espresso, hanno contribuito a dar vita ad una deliberazione censurabile sotto il profilo dell'illiceità.
Va evidenziato, altresì, che devono ritenersi pienamente concorrenti negli illeciti sopra evidenziati anche tutte le componenti amministrative che, con il loro parere favorevole, hanno avallato le scelte regolamentari del consiglio comunale, unitamente all’Assessore al Ramo che ha proceduto a proporre tali delibere.
In particolare, emerge l'attribuibilità di efficacia causativa del danno patrimoniale dianzi descritto alle condotte poste in essere dal responsabile del Settore Finanze, dal Direttore Generale, dal Segretario Generale, e dal Coordinatore del U.O.S. Tributi che, per la rispettiva competenza hanno proceduto ad esprimere parere favorevole alle proposte in questione, stante la specifica competenza loro attribuita dall’ordinamento.
Infine, per quanto specificamente concerne l'apporto causativo del danno attribuibile alla Ge.Se.Sa. s.p.a., va osservato che l’attività di quantificazione degli importi dovuti a titolo di condono, la verifica delle istanze di condono presentate dai contribuenti ed altre attività ad esse correlate sono state ad essa affidate a titolo oneroso dal 2003 fino al 2008 (cfr. all.ti numeri 4, 6 e 8 al al fascicolo di parte della Ge.Se.Sa. s.p.a.).
Inoltre, il capitolato speciale di oneri relativo alla concessione per la gestione dei servizi di acquedotto e di fognatura per il Comune di Benevento prevede, all'art. 9, che l'attività di riscossione degli importi relativi ai canoni per i servizi di fognatura e di depurazione è a carico della società concessionaria (cfr. all. n. 2 al fascicolo di parte della Ge.Se.Sa. s.p.a.). Di ciò, del resto, costituisce conferma quanto si legge nel preambolo alla delibera di G.C. del Comune di Benevento n. 146 del 25.06.2004, avente ad oggetto la “Gestione definizione agevolata della depurazione e canone acque reflue 2003: incarico esterno – indirizzi”: “Premesso che la Ge.Se.Sa. s.p.a., titolare del servizio acquedotto, a cui quindi compete anche la riscossione (comprese le morosità) dei canoni per servizio di fognatura e depurazione, nonché l'attività di recupero crediti che si rende necessaria per l'introito dei canoni per servizio di fognatura e depurazione insoluti;...” (cfr. all. n. 5 al fascicolo di parte della Ge.Se.Sa. s.p.a.).
Quindi – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della Società - la Ge.Se.Sa. non aveva soltanto il compito di procedere alla verifica delle utenze sulla base dei dati forniti dall'Ente e poi comunicare a quest'ultimo le ipotesi d'inadempimento e di estinzione parziale delle obbligazioni per i provvedimenti conseguenti, bensì aveva poteri di recupero coattivo diretto con specifico riferimento anche ai canoni oggetto dell'odierna controversia.
12. Riguardo, infine, all'elemento soggettivo dell'illecito amministrativo-contabile in controversia, che la Procura ha indicato come dolo contrattuale o – in subordine – come colpa grave, questo deve, del pari, essere ritenuto sussistente nella forma – appunto – della colpa grave, per le considerazioni che di seguito si espongono.
In primo luogo, appare opportuno riportare la condivisibile osservazione riportata dall'Ispettore I.G.F. nella relazione precedentemente richiamata: “L'aver proceduto alla ripetuta reiterazione del condono appare contrario al principio di buona amministrazione, in quanto può comportare rilevanti effetti negativi sull'adempimento spontaneo degli obblighi tributari”.
Oltre a ciò, va opportunamente evidenziato che non risulta in atti – contrariamente, quindi, a quanto prospettato dalle difese dei convenuti - che siano stati aperti procedimenti contenziosi ad opera di utenti o di associazioni di consumatori, finalizzati ad ottenere la restituzione degli importi versati a titolo di canone per le acque reflue e per la depurazione. Semplicemente, risulta dall'esame degli allegati al fascicolo di parte privata MASTROCOLA – DI PIETRO – PIGNATIELLO, che il Codacons, lo Studio Legale Verrilli di Benevento ed il Movimento di Difesa del Cittadino Onlus fecero pervenire nell'anno 2001 al Comune di Benevento varie istanze di restituzione degli importi versati dai cittadini a titolo di canone per la depurazione delle acque in assenza di controprestazione da parte dell'Ente – ovvero per la mancanza del servizio stesso di depurazione – poiché in mancanza si sarebbero esperite azioni giurisdizionali a tutela.
Alle istanze in parola veniva fornito riscontro (negativo) con le note del Dirigente del Settore Finanze del Comune di Benevento già citate al punto 8. che precede, in cui veniva evidenziata l'obbligatorietà del pagamento a termini di legge. Non risulta – giova ribadirlo – che a ciò siano effettivamente seguite le adombrate azioni innanzi all'A.G.O.
Nonostante tutto quanto sopra rilevato, nella relazione che ha preceduto l'adozione della delibera consiliare n. 92/2003 si legge testualmente: “... ai fini della definizione agevolata del canone per la depurazione e acque reflue, è opportuno venire incontro alle esigenze dei cittadini e delle associazioni di categoria, prevedendo l'estensione del condono alle annualità successive al 1998, con l'applicazione di una riduzione anche dell'imposta dovuta, in funzione della difficoltà interpretativa della normativa e soprattutto del contenzioso che potrebbe derivare dall'attività di accertamento”.
Nelle premesse alle altre delibere consiliari, che hanno di volta in volta esteso l'ambito delle annualità di applicazione della procedura di definizione agevolata di che trattasi (numeri 12/2004, 25/2005 e 28/2006), manca invece qualsiasi tipo di motivazione sul punto.
Risulta, pertanto, di tutta evidenza che gli odierni convenuti hanno violato disposizioni di legge pienamente vigenti all'epoca dell'adozione delle predette delibere, privando l'Ente di entrate previste e disciplinate dalla legge stessa, adducendo a sostegno nulla oppure l'esigenza di “venire incontro alle esigenze dei cittadini e delle associazioni di categoria”, motivazione di cui non può sfuggire l'assoluta arbitrarietà, connotata da gravissima negligenza, tenuto conto della macroscopica esorbitanza dai limiti oggettivi che la legge poneva agli organi dell'apparato amministrativo-burocratico comunale.
Per quanto specificamente concerne Ge.Se.Sa. s.p.a., dai prospetti (allegati in CD Rom dalla Procura, cui su tale supporto sono stati inviati dal comune di Benevento) si evince – come giustamente rilevato dal requirente - che: in vari casi la somma effettivamente pagata corrisponde a cifre inferiori al 30% dell'importo originario, che gli utenti avrebbero dovuto pagare per effetto dell'accesso alla procedura di definizione agevolata; tale pagamento ulteriormente ridotto è stato consentito anche per il canone acque reflue, che avrebbe dovuto invece essere pagato per l’intero, con interessi pari al 3%; la Ge.Se.Sa. s.p.a. non è stata altresì in grado di definire e specificare gli importi delle somme dovute per ogni singola annualità dai cittadini morosi (cfr. nota del 11.05.2009 del Responsabile del Ciclo Attivo di Ge.Se.Sa. s.p.a., all. n. 6 al fascicolo di Procura).
13. Conclusivamente, questo Collegio ritiene che la somma di € 2.643.563,79, che rappresenta il nocumento patrimoniale arrecato al Comune di Benevento per i mancati introiti discesi dall'adozione degli atti deliberativi consiliari più volte dianzi indicati, nonché l'ulteriore somma di € 240.323,88, cioè la quota dell’I.V.A. dovuta all’Amministrazione finanziaria dello Stato sulle somme non introitate per effetto del condono accordato, costituiscano danno ingiusto per gli Enti suindicati, da addebitare ai soggetti convenuti nel presente giudizio secondo la ripartizione che segue.
Di entrambe le predette somme, dovranno rispondere: Ge.Se.Sa. s.p.a. nella misura del 5% dell'intero danno patrimoniale (€ 132.178,19 a favore del Comune di Benevento ed € 12.016,19 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale); Costanzo DI PIETRO, l'Assessore alle Finanze del Comune di Benevento che ha proposto l'adozione di tutte e quattro le suindicate delibere consiliari, nella misura del 10% dell'intero danno patrimoniale (€ 264.356,38 a favore del Comune di Benevento ed € 24.032,38 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale); Nicola BOCCALONE (Direttore Generale), Sergio DE CECIO (Coordinatore U.O.S. Tributi), Antonietta MASTROCOLA e Margherita PIGNATIELLO (Dirigenti del Settore Finanze rispettivamente fino al 2003 e dal 2004 in poi), Antonio ORLACCHIO (Segretario Comunale), che hanno espresso parere favorevole all'adozione di tutte e quattro le suindicate delibere consiliari, nella misura del 35% dell'intero danno patrimoniale (€ 925.247,33 a favore del Comune di Benevento ed € 84.113,36 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale), da ripartirsi ulteriormente fra loro come si indicherà al prossimo paragrafo; i Consiglieri comunali (che verranno indicati nominativamente al paragrafo che segue, in sede di ulteriore ripartizione) nella misura del 50% dell'intero danno patrimoniale (€ 1.321.781,90 a favore del Comune di Benevento ed € 120.161,94 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale).
La percentuale del 35% dell’intero danno patrimoniale (€ 925.247,33 a favore del Comune di Benevento ed € 84.113,36 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale) attribuita agli organi burocratici dell’Ente, va ulteriormente ripartita come segue: il 30% (€ 277.574,20 a favore del Comune di Benevento ed € 25.234,01 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale) ciascuno a carico di Sergio DE CECIO, Antonietta MASTROCOLA congiuntamente con Margherita PIGNATIELLO (che di tale 30% dovranno rispondere nella misura del 50% ciascuna, pari ad € 138.787,10 + € 12.617,00), nonché di Antonio ORLACCHIO, mentre il 10% (€ 92.524,73 a favore del Comune di Benevento ed € 8.411,33 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale) a carico di Nicola BOCCALONE. Ciò, in quanto il Coordinatore U.O.S. Tributi ed i Dirigenti del Settore Finanze avevano competenza e responsabilità specifiche sulla materia di cui si controverte, così come il Segretario Generale ha la fondamentale funzione di “collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli Organi del Comune ai sensi dell’art. 97 comma 2° T.U.E.L.”, così come evidenziato nello stesso parere apposto dal dr. Antonio ORLACCHIO in calce alle delibere consiliari dianzi indicate, laddove il Direttore Generale (Nicola BOCCALONE) ha compiti di attuazione degli indirizzi e degli obiettivi stabiliti dagli organi di governo comunali, dunque riveste, rispetto alla vicenda che specificamente occupa la Sezione, un ruolo - per così dire - più marginale. Per quanto poi concerne i Dirigenti del Settore Finanze che si sono succeduti nel periodo in considerazione, ovvero Antonietta MASTROCOLA e Margherita PIGNATIELLO, se è vero che la MASTROCOLA ha espresso parere favorevole solo con riferimento alla prima delle quattro delibere che vengono in rilievo nell’esaminata vicenda, è altrettanto vero che la medesima MASTROCOLA seguì personalmente, nell’anno 2001, le istanze di rimborso delle associazioni di consumatori concernenti la tariffa di che trattasi, avendone pertanto diretta ed ampia conoscenza, oltre ad aver espresso parere favorevole alla prima e fondamentale delibera di estensione del condono al canone per le acque reflue e la depurazione.
Per quanto invece concerne i Consiglieri comunali, va evidenziato che le delibere consiliari del Comune di Benevento che qui vengono in rilievo sono state adottate con complessivi 98 voti favorevoli (27 per la n. 92/2003, 25 per la n. 12/2004, 23 per la n. 25/2005 e 23 per la n. 28/2006), quindi il 50% del danno (€ 1.321.781,90 a favore del Comune di Benevento ed € 120.161,94 in favore dell'Amministrazione finanziaria statale) va diviso per 98 (€ 13.487,57 + € 1.226,14) e poi moltiplicato per i voti favorevoli espressi da ciascuno. Pertanto, la parte di danno così individuata va suddivisa fra i Consiglieri comunali del Comune di Benevento evocati nel presente giudizio secondo gli importi che di seguito si indicano. Sandro Nicola D'ALESSANDRO, Raffaele BARRICELLA, Massimo BASILE, Antonio CAPUANO, Alessandro CONSALES, Walter CORONA, Corrado DE LORENZO, Alberto MIGNONE, Giovanni MONTEFUSCO, Federico PAOLUCCI, Enrico PASCUCCI, Antonio REALE, Nicola SALEMME e Grazia SPERANDEO: € 53.950,28 + € 4.904,56 (4 voti favorevoli); Antonio CAMPESE, Cesare CARDONE, Nicola Danilo DE LUCA, Renato LISI, Gerardo TINESSA, Rosario GUERRA, Luca RICCIARDI e Umberto ZANONE: € 40.462,71 + € 3.678,42 (3 voti favorevoli); Enrico CASTIELLO, Umberto DEL BASSO DE CARO, Roberto IEVOLI, Luigi IONICO e Marcello MATARAZZO: € 26.975,14 + € 2.452,28 (2 voti favorevoli); Vincenzo DE PAOLA, Raffaele DEL VECCHIO, Eugenio MEDICI, Daniele NICASTRO, Pasquale GRIMALDI e Pellegrino PERROTTA: € 13.487,57 + € 1.226,14 (1 voto favorevole).
I predetti importi, oltre rivalutazione monetaria, saranno gravati di interessi legali a far data dalla pubblicazione della presente decisione.
Resta, naturalmente, a carico dell’Amministrazione la parte di nocumento (pari ad € 26.975,14 + € 2.452,28, derivante dall’espressione di due voti favorevoli nell’adozione delle delibere consiliari indicate quali causative del danno subito dal Comune di Benevento nella vicenda qui esaminata) addebitabile al consigliere comunale Mario DE FALCO, deceduto anteriormente all’inizio della fase istruttoria, come da certificazione depositata dalla Procura nel corso dell’udienza di discussione del giudizio.
Per quanto riguarda, infine, le spese di giudizio, queste ai sensi dell'art. 97 c.p.c., seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte de Conti
Sezione Giurisdizionale per la Campania
1. RESPINGE l'istanza d'integrazione del contraddittorio;
2. RESPINGE l'eccezione di difetto di giurisdizione;
3. RESPINGE tutte le eccezioni d'inammissibilità/nullità dell'atto di citazione;
4. RESPINGE l'eccezione di prescrizione;
5. RIGETTA la domanda attrice sotto il profilo del danno da disservizio;
6. CONDANNA i convenuti al risarcimento del complessivo danno di € 2.643.563,79 in favore del Comune di Benevento e di € 240.323,88 in favore dell’Amministrazione finanziaria dello Stato, da ripartire, per quanto esposto in motivazione, come segue: Ge.Se.Sa. s.p.a., € 132.178,19 + € 12.016,19; Costanzo DI PIETRO, € 264.356,38 + € 24.032,38; Sergio DE CECIO e Antonio ORLACCHIO, € 277.574,20 + € 25.234,01 ciascuno; Antonietta MASTROCOLA e Margherita PIGNATIELLO, € 138.787,10 + € 12.617,00 ciascuna; Nicola BOCCALONE, € 92.524,73 + € 8.411,33; Sandro Nicola D’ALESSANDRO, Raffaele BARRICELLA, Massimo BASILE, Antonio CAPUANO, Alessandro CONSALES, Walter CORONA, Corrado DE LORENZO, Alberto MIGNONE, Giovanni MONTEFUSCO, Federico PAOLUCCI, Enrico PASCUCCI, Antonio REALE, Nicola SALEMME e Grazia SPERANDEO: € 53.950,28 + € 4.904,56; Antonio CAMPESE, Cesare CARDONE, Nicola Danilo DE LUCA, Renato LISI, Gerardo TINESSA, Rosario GUERRA, Luca RICCIARDI e Umberto ZANONE: € 40.462,71 + € 3.678,42; Enrico CASTIELLO, Umberto DEL BASSO DE CARO, Roberto IEVOLI, Luigi IONICO e Marcello MATARAZZO: € 26.975,14 + € 2.452,28; Vincenzo DE PAOLA, Raffaele DEL VECCHIO, Eugenio MEDICI, Daniele NICASTRO, Pasquale GRIMALDI e Pellegrino PERROTTA: € 13.487,57 + € 1.226,14.
Dette somme, oltre rivalutazione monetaria, saranno gravate di interessi dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo.
I predetti soggetti sono, poi, tenuti al pagamento, nei confronti dell'erario, delle spese di giustizia che si liquidano in euro......................................................................
Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio dei giorni 27 gennaio e 24 marzo 2011.