Circolare n. 2 del 2016 - Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro
- DAL 2016 LE NUOVE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE -
Con la circolare n.2/2016 la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro illustra le novità della riforma delle sanzioni tributarie amministrative contenute nel decreto legislativo n.158/2015, in vigore dal 1° gennaio 2016 a seguito di quanto previsto dalla Legge di Stabilità 2016. La disciplina è contenuta nel decreto legislativo 24 settembre 2015, n.158 col quale il Governo, in attuazione di una delle deleghe previste dalla legge 11 marzo 2014, n.23, ha modificato le sanzioni, sia penali che amministrative. Queste ultime, secondo le previsioni originarie del decreto, dovevano entrare in vigore originariamente nel 2017, ma la Legge n.208/2015 – Legge di Stabilità 2016, ha anticipato di un anno l'entrata in vigore.Si tratta di una modifica importante in quanto in materia di sanzioni tributarie si applica il principio del favor rei, conseguentemente la nuova disciplina si applica anche per le condotte precedenti ove più favorevole.
»»»»»»»»»»»» »»»»»»»»»»»» »»»»»»»»»»»»
Col decreto legislativo 24 settembre 2015, n.158 il Governo ha proceduto all’attuazione di una delle deleghe previste dalla legge 11 marzo 2014, n.23, intervenendo in materia di sanzioni sia penali che amministrative.
Sulle sanzioni amministrative, la legge n.23/2014 aveva previsto la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti; la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità.
La presente circolare analizza le novità in materia di sanzioni amministrative contenute al titolo II del decreto, dopo aver già affrontato le modifiche intervenute per le sanzioni penali con la circolare n.23/2015.
Il decreto legislativo n.158/2015 aveva inizialmente previsto l’entrata in vigore a far data dal 1° gennaio 2017, ma la legge 28 dicembre 2015, n. 208 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), all’articolo 1, comma 133, ha anticipato l’applicabilità già dal 1° gennaio 2016.
Inoltre, la medesima legge n.208 del 2015 ha previsto novità finalizzate a contrastare l’evasione fiscale in materia di locazioni immobiliari.
Ricordiamo a tal fine che, in virtù del principio del favor rei, la nuova disciplina si applica anche per le condotte precedenti ove più favorevole.
***
Nel complesso è stato realizzato un apprezzabile sforzo di ristrutturazione del sistema sanzionatorio amministrativo. Risultano condivisibili gli interventi che riequilibrano la sproporzione esistente tra la misura della pena afflittiva e la gravità della violazione. Per violazioni ritenute di bassa pericolosità, la sanzione è stata graduata al ribasso, viceversa per le violazioni ritenute particolarmente gravi è stata prevista la possibilità di applicare una maggiorazione alla sanzione.
Gli articoli 15 e 16 del decreto in commento introducono modifiche letterali con impatto sostanziale alle previsioni normative contenute nei decreti n. 471 e n. 472 del 1997.
Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione con imposte dovute, la sanzione prevista resta confermata nella misura che va dal 120% al 240% dell’imposta con un minimo di euro 250.
Nel caso in cui non vi siano imposte dovute la sanzione fissa da euro 258 a 1.032 (2.065 per l’Iva) passa da 250 a 1.000 (2.000 per l’Iva).
La novità principale è rappresentata da una riduzione sanzionatoria, volta a distinguere in un’ottica di maggiore proporzionalità, la condotta di chi omette la presentazione della dichiarazione a chi invece la presenta tardivamente oltre i 90 giorni canonici della scadenza, ma entro il termine della presentazione della dichiarazione dell’anno successivo e prima che sia intervenuta un’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria. Tale nuova fattispecie potrebbe essere definita come una “dichiarazione ultratardiva”.
Si precisa che la dichiarazione continua a considerarsi omessa, l’effetto è solo sulla distinzione delle sanzioni che vengono ridotte della metà nella misura che va dal 60% al 120%. Appare discutibile mantenere tale distinzione, mentre il legislatore avrebbe potuto prevedere un estensione a tutti gli effetti del termine di omessa dichiarazione al termine della presentazione della dichiarazione dell’anno successivo.
Nulla cambia per la dichiarazione tardiva, presentata entro i 90 giorni successivi alla scadenza del termine, la dichiarazione continua a considerarsi valida e la violazione può continuare ad essere ravveduta pagando 1/10 della sanzione fissa di euro 250.
La sanzione prevista dal regime sanzione precedentemente andava dal 100% al 200% dell’imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato. La riforma prevede quattro casistiche.
Per le violazioni caratterizzate da colpevolezza, ma senza condotte particolarmente insidiose per l’amministrazione, la sanzione scende dal 90% al 180%.
Se vi sono condotte fraudolente la sanzione può essere aumentata dal 135% al 270%.
Se l’infedeltà della dichiarazione è di scarso profilo le sanzioni sono ridotte e vanno dal 60% al 120%
Infine, se non vi è danno erariale, l’errore è sanzionato in misura fissa di 250 euro; si tratta dei casi in cui errori di competenza economica nella determinazione del reddito del contribuente non abbiano prodotto alcun vantaggio fiscale.
Per le violazioni relative ad errori di competenza fiscale sull’errata imputazione di componenti negativi e positivi di reddito, il nuovo art. 1, c. 4 del D.Lgs. 471 del1997 prevede la sanzione ordinaria nella misura dal 90% al 180% sia ridotta di un terzo dal 60% al 120%.
La norma è riservata ai casi in cui vi sia un accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria e che vi siano due condizioni:
• il quantum accertato: la maggior imposta o il minor credito accertati siano complessivamente inferiori al 3% dell’imposta o del credito dichiarati e che non superino trentamila euro; l’inserimento del tetto in misura fissa crea di fatto un presidio per evitare di favorire con la sola soglia percentuale i soggetti di maggiori dimensioni;
• per i componenti positivi, è necessario che siano già stati imputati in altri periodi d’imposta e che quindi abbiano già concorso alla determinazione del reddito di un periodo d’imposta.
La norma, in maniera non condivisibile, sembra limitare la sua applicazione alle sole annualità precedenti l’accertamento. Infine si precisa, che per quanto concerne i componenti negativi è sufficiente che gli stessi non siano stati dedotti più volte.
Il decreto interviene anche sulle sanzioni relative a violazioni sulla presentazione dei modelli per gli studi di settore.
Il regime precedente prevedeva tre fattispecie sanzionabili:
sanzione in misura fissa di euro 2.065 per chi omette di presentare il modello degli studi di settore anche a seguito di specifico invito dell’amministrazione finanziaria;
se nel caso di omessa presentazione emerga un maggior reddito superiore al 10% rispetto al dichiarato la sanzione va dal 150% al 300% della maggiore imposta dovuta;
se gli studi di settore sono presentati con dati non corretti ed emerga un maggior reddito superiore al 10% rispetto al dichiarato la sanzione variabile va dal 110% al 220%
Con le modifiche apportate dall’articolo 15 del decreto in commento si eliminano le fattispecie numero 2) e 3). La sanzione fissa prevista nel punto 1) viene ridotta ad euro 2.000.
L’intervento riformatore sulle sanzioni amministrative implicitamente, afferma il ruolo secondario degli studi di settore, ovvero strumenti ritenuti idonei a ricostruire la situazione reddituale del contribuente solo se confortati da altri elementi desunti, in contraddittorio rispetto alla realtà economica del contribuente.
Il regime del cumulo giuridico nella previdente normativa era disciplinato dall’art. 12, D. Lgs. n. 472 del 1992, e prevedeva per il contribuente che con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni, l’applicazione della sola sanzione per la violazione più grave aumentata da un quarto al doppio. Il cumulo di applica separatamente per ciascun periodo d’imposta nei soli casi di accertamento con adesione. Per la conciliazione giudiziale e l’acquiescenza anche quando vengono emessi più atti per più periodi d’imposta, è possibile applicare la sanzione unica per più periodi.
L’art. 16, c. 1, lett. e) del decreto in commento interviene sul principio del cumulo giuridico prevedendo la sua applicazione separatamente e limitatamente per ciascun tributo e ciascun periodo d’imposta, non solo nei casi di accertamento con adesione, ma anche per la mediazione tributaria e la conciliazione giudiziale.
L’art. 25 del D.Lgs. n. 158 del 2015 disciplina, con effetti dal 1° gennaio 2016 e in relazione ai periodi di imposta ancora suscettibili di accertamento alla predetta data(1Senza considerare l’eventuale raddoppio dei termini di accertamento connesso alla consumazione di reati tributari, i il primo periodo di imposta interessato è il 2011. ) , le modalità con cui gli Uffici dell’Agenzia delle entrate possono riconoscere, nell’esercizio del potere di accertamento o nel procedimento di accertamento con adesione e in abbattimento del maggior reddito imponibile accertato, eventuali “perdite di periodo” o “perdite pregresse” non utilizzate dal contribuente, apportando modifiche all’art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 60 (rubricato “Avviso di accertamento”), all’art. 7 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 241 (rubricato “Atto di accertamento con adesione”) e all’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (rubricato “Liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni”).
La relazione illustrativa evidenzia che la disciplina introdotta dall’art. 25 del D.Lgs. n. 158 del 2015 persegue sia l’obiettivo di fornire certezza agli Uffici dell’Agenzia delle entrate e ai contribuenti in merito all’utilizzabilità in sede di accertamento delle perdite fiscali mediante l’introduzione di uno specifico iter procedurale sia di garantire il rispetto del principio di capacità contributiva.
Con riguardo alle “perdite di periodo”, cioè alle perdite formatesi nel periodo di imposta oggetto di accertamento, il nuovo comma 2-bis dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che l’Agenzia delle entrate, in sede di accertamento, debba computare in diminuzione del maggior reddito imponibile accertato la perdita realizzata nel medesimo esercizio, sino a concorrenza dell’importo della medesima perdita.
Il contribuente, una volta ricevuto l’avviso di accertamento, se le “perdite di periodo” riconosciute dall’Ufficio accertatore non hanno abbattuto integralmente il maggior reddito imponibile accertato, ha facoltà di chiedere al medesimo Ufficio che siano utilizzate in diminuzione del maggior reddito accertato delle “perdite pregresse”, cioè perdite formatesi in periodi di imposta precedenti al periodo di imposta oggetto di accertamento e non ancora utilizzate. A tale fine, il contribuente, entro il termine per proporre ricorso, dovrà presentare all’Ufficio accertatore un’apposita istanza, i cui contenuti e modalità di presentazione saranno stabiliti dal Direttore dell’Agenzia delle entrate con apposito provvedimento da emanare entro 90 giorni decorrenti dalla data del 22 ottobre 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo e penale. In tale ipotesi, il termine per la proposizione del ricorso è sospeso per un periodo di 60 giorni. In questo lasso di tempo, l’Ufficio accertatore procede al ricalcolo dell’eventuale maggiore imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative pecuniarie e ne comunica l’esito al contribuente. Come specifica la più volte citata relazione illustrativa, le sanzioni amministrative pecuniarie sono irrogate al contribuente solo se residua una maggiore imposta dalla rideterminazione dei maggiori redditi imponibili operata dall’Ufficio procedente a seguito dell’istanza di scomputo delle “perdite fiscali pregresse”2.
Il contribuente, anche nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione e fermo restando l’obbligo per l’Ufficio accertatore di portare in diminuzione dal maggiore reddito accertato le “perdite di periodo”, potrà esercitare la facoltà di richiedere che dal maggior reddito imponibile accertato siano portati in diminuzione le “perdite fiscali pregresse”. (2 Il legislatore delegato, evidentemente, non ha condiviso la tesi, più volte affermata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sanzione amministrativa connessa alla violazione di dichiarazione infedele non sarebbe inibita dal fatto che il maggior reddito accertato debba essere azzerato per effetto delle perdite pregresse ancora utilizzabili (cfr.: Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 21 marzo 2014, n. 6663; Corte di Cassazione, sez. trib., ordinanza 26 settembre 2012, n. 16333 e Corte di Cassazione, sez. VI civile, ordinanza 14 giugno 2011, n. 13014). )
Il legislatore delegato, al fine di evitare che le “perdite fiscali pregresse” che il contribuente ha richiesto e ottenuto in scomputo dal maggiore reddito imponibile rimangano ancora nella sua disponibilità, dispone, introducendo il nuovo comma 3-bis nell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, che l’Agenzia delle entrate proceda a ridurre, nell’ultima dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente, l’ammontare delle “perdite pregresse” riportabili in avanti ai sensi dell’art. 8 e 84 del TUIR.
Sempre con il citato nuovo comma 3-bis dell’art. 36-bisdel D.P.R. n. 600 del 1973, il legislatore delegato prevede che l’Agenzia delle entrate, ove il contribuente abbia usufruito dello scomputo delle perdite formatesi nel periodo di imposta oggetto di accertamento o di accertamento con adesione, debba ridurre l’ammontare delle perdite fiscali riportabili nelle dichiarazioni dei redditi presentate per i periodi di imposta successivi a quello oggetto di rettifica e, ove emerga un maggior reddito imponibile, debba esercitare il potere di accertamento in relazione ai tali successivi periodi di imposta.
L’art. 21, comma 7, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 del 1972, nel testo attualmente in vigore, dispone che “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.
L’art. 31 del D.Lgs. n. 158 del 2015, in coordinamento con le modifiche apportate dall’art. 15, comma 1, lett. f), n. 6), del medesimo decreto legislativo alla disciplina sanzionatoria del “reverse charge”, modifica il citato art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, al fine di chiarire che tale ultima disposizione non riguarda le operazioni soggette al meccanismo di applicazione dell’IVA denominato “reverse charge”.Ecco la nuova formulazione del comma 7 del citato art. 21: “Se il cedente o il prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.
Il “nuovo” comma 9-bis dell’art. 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, introdotto dall’art. 15, comma 1, lett. f), n. 6), del D.Lgs. n. 158 del 2015, prevede, infatti, che, nel caso in cui il cessionario o il committente applichi il meccanismo del “reverse charge” su operazioni inesistenti, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito IVA computato nelle liquidazioni d’imposta sia la detrazione operata nelle anzidette liquidazioni e deve essere irrogata nei confronti del medesimo soggetto una sanzione amministrativa compresa tra il 5 e il 10 per cento della base imponibile IVA indicata in fattura.
In materia di sanzioni amministrative tributarie relative alle locazioni, alle modifiche contenute nel decreto legislativo n.158 del 2015 si aggiungono quelle previste dalla legge n.208 del 2015 – legge di stabilità 2016.
Partendo da quest’ultima, l ‘articolo, 1, comma 59, sostituisce l’intero articolo 13 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 ribadendo la previsione che prevede la nullità dei patti volti a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato.
Ricordiamo che, in particolare, per i contratti comma 1 dell'articolo 2 della legge n.431/1998, sono nulli gli accordi finalizzati ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito, mentre per i contratti stipulati a canone concordato di cui al comma 3 della medesima norma è espressamente prevista la nullità dei patti che prevedano un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi conclusi in sede locale per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie.
La finalità da tale norma è chiara ed è quella di evitare che venga formalizzato tra le parti un contratto con finalità elusive prevedendo un canone più basso rispetto a quello effettivo risultante, evidentemente, da un altro contratto volto a regolare gli effettivi accordi tra locatore e conduttore.
La novità prevista dalla legge di stabilità, riguarda l’introduzione dell’obbligo di registrazione a carico del locatore che dovrà procedere entro il termine perentorio di trenta giorni.
Inoltre, è previsto l’ulteriore obbligo a carico del medesimo, di comunicazione al conduttore ed all'amministratore del condominio nei successivi sessanta giorni. Tale obbligo è finalizzato anche a consentire all’amministratore di condominio l'ottemperanza degli obblighi di tenuta del registro dell'anagrafe condominiale previsto dall'articolo 1130, numero 6), del codice civile nel quale devono essere indicati, tra gli altri, anche le le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento per disincentivare ulteriormente l’evasione fiscale, un ulteriore penalizzazione per il locatore riguarda la possibilità per il conduttore di chiedere, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, la restituzione delle somme eventualmente corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato.
Il decreto conferma il raddoppio delle sanzioni in caso di omessa o infedele indicazione del canone di locazione. Nel caso di omissione del canone di locazione in dichiarazione si applica la sanzione amministrativa dal 240% al 480% dell’ammontare delle imposte dovute con un minimo di euro 500; se non risultano dovute imposte la sanzione è in misura fissa da 500 a 2.000 euro. Qualora invece, nella dichiarazione dei redditi viene indicato il canone in misura inferiore la sanzioni amministrativa va dal 180% al 360% della maggiore imposta. Una fattispecie specificatamente prevista dal decreto è il caso di omissioni della dichiarazione, ma di presentazione della stessa entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva. In tale caso le sanzioni sono ridotte e sono dal 120% al 240%.
L’art. 17,comma 1, lett. a) del decreto in commento dispone la modifica dell’articolo 17, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevedendo espressamente che entro trenta giorni deve essere presentata all’ufficio presso cui è stato registrato il contratto di locazione la comunicazione relativa alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe anche tacite dello stesso.
Inoltre, con la lett. b) viene previsto che chi non esegue, in tutto o in parte, il versamento relativo alle cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di cui al comma 1 della medesima disposizione, è sanzionato ai sensi dell’articolo 13 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Il comma 1 ,lett. c) prevede la soppressione del comma 2 dell’art. 17 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che recitava ” L'attestato di versamento relativo alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe deve essere presentato all'ufficio del registro presso cui e' stato registrato il contratto entro venti giorni dal pagamento”.
L’art. 17, c. 2, inoltre prevede in caso di mancata comunicazione entro 30 giorni della risoluzione di contratti con cedolare secca, viene applicata la sanzione in misura fissa di euro 67, che è ridotta a 35 euro se la comunicazione viene effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni.
L’art. 18 prevede una riduzione della metà delle sanzioni per l’omessa registrazione di atti rilevanti ai fini dell’applicazione ai fini dell’imposta di registro, se la registrazione viene effettuata con un ritardo non superiore a 30 giorni, che quindi passerà ad una sanzione dal 60% al 120% con un minimo di euro 200, in luogo di quella ordinaria che va dal 120% al 240%.
Inoltre nella lettera b) del comma 1 viene prevista la riduzione della sanzione per i casi in cui nell’atto da registrare viene occultato anche in parte il corrispettivo convenuto con l’eliminazione della sanzione dal 200% al 400% che viene sostituita da una sanzione che va dal 120% al 240%
ART. 19 - ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE
L’articolo 19, modifica l’art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999, recante disposizioni tributarie in materia di associazioni sportive dilettantistiche. Viene abrogata la sanzione impropria della decadenza dalle relative agevolazioni in caso di inosservanza della disciplina sulla tracciabilità dei pagamenti e dei versamenti dettata per lo svolgimento di efficaci controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Il decreto modifica la disciplina sanzionatoria in materia di certificazione unica che attualmente prevede per ogni certificazione omessa, tardiva o errata una sanzione di 100 euro, con la non applicazione della sanzione se la trasmissione della CU corretta avvenga entro i cinque giorni successivi alla scadenza di invio. L’art 21, introduce due attenuanti sulla disciplina sanzionatoria nei casi di omessa, tardiva o errata presentazione della CU. La prima introduce un tetto massimo di 50.000 euro di sanzione per ciascun sostituto d’imposta. Quindi nel caso di omissione di 700 CU, al sostituto d’imposta potrà essere irrogata una sanzione massima di euro 50.000 in luogo della precedente di euro 70.000. La seconda attenuate, prevede l’introduzione di una riduzione ad un terzo della sanzione irrogabile con un tetto massimo di 20.000 euro qualora la certificazione venga correttamente trasmessa entro 60 giorni dalla scadenza. In tale caso perciò la sanzione per ogni CU scenderà da 100 a 33,33 euro. Considerando il fatto che l’invio telematico delle CU è stato previsto per la realizzazione del progetto dell’amministrazione finanziaria del 730 precompilato, si sarebbe potuto prevedere l’eliminazione o una riduzione ulteriore delle sanzioni per le CU dei soggetti che non possono utilizzare il 730 come modello dichiarativo.
L’art. 24 del decreto modifica l’art. 39, del D.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, recante la disciplina del visto ovvero dell'asseverazione infedele. L’articolo 39 prevedeva espressamente la possibilità di applicare il ravvedimento operoso, “nella misura prevista dall’articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”, tali parole sono sostituite con “a un none del minimo” realizzando una seppur piccola riduzione della sanzione. Pur risultando un intervento apprezzabile, il decreto avrebbe potuto intervenire eliminando la sproporzionata disciplina del visto di CAF e professionisti, introdotta dall’art. 6 del D.Lgs. n. 175/2014.
Infatti, il d.lgs. n. 175/2014 in caso di inesattezze ha ribaltato totalmente la responsabilità a professionisti e CAF generando un’assurda concezione del rapporto tributario, con la nascita di un conflitto tra contribuente e professionista, diventando il primo, totalmente disinteressato da quello che finirà all’interno del modello e il secondo compresso tra responsabilitàintrasferibili e costi crescenti. Tutte le inefficienze del sistema di riscossione delle maggiori imposte e sanzioni, in caso di errori, ricadranno esclusivamente sui professionisti ai quali l’Amministrazione finanziaria richiederà le somme dovute, non dovendo così più rivolgersi all’intera platea dei contribuenti.
Tale attribuzione della responsabilità per imposta, sanzioni e interessi che il contribuente avrebbe dovuto versare si pone in contrasto con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., in quanto il presupposto imponibile è sempre riconducibile al contribuente e non al CAF o al professionista.
Un aspetto di particolare interesse della riforma delle sanzioni tributarie riguarda l’entrata in vigore della nuova disciplina.
Il decreto legislativo n.158 del 2015 è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2015 - Suppl. Ordinario n. 55, ma l’efficacia delle nuove disposizioni risulta in parte differita rispetto al 22 ottobre 2015, data di entrata in vigore del provvedimento, salvo quanto si dirà (v. infra).
Specificamente l’art.23 si occupa della decorrenza degli effetti e, di converso, delle abrogazioni.
In particolare, a seguito delle modifiche recate dall’art.1, comma 133 della legge n.208 del 2015, è previsto che le disposizioni di cui al Titolo II del decreto – sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie - si applicano a decorrere dal 1°gennaio 2016.
L’applicabilità del principio del favor rei determina le seguenti conseguenze:
IPOTESI | DISCIPLINA APPLICABILE |
La sanzione non è stata contestata | Si applica la disciplina più favorevole |
La sanzione è stata contestata ma il provvedimento non definitivo | Si applica la disciplina più favorevole |
La sanzione è stata contestata ed il provvedimento è divenuto definitivo | Si applica la sanzione irrogata |
A tal fine, va considerato che l’art.3 del decreto legislativo n.472 del 1997 che regola il principio di legalità, prevede che l’applicabilità della disciplina più favorevole per il contribuente. Si segnala, infine, che relativamente all’anticipazione dell’entrata in vigore, il comma 133 della legge n.208 del 2015 ha espressamente previsto che restano comunque ferme le sanzioni nella misura dovuta in base alle norme relative alla procedura di collaborazione volontaria di cui alla legge 15 dicembre 2014, n. 186, vigenti alla data di presentazione della relativa istanza.