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 Vicende anomale del processo: sospensione, interruzione ed estinzione.

1. Sospensione del processo tributario

La sospensione del processo tributario può verificarsi nei seguenti casi:

-         ricorrano alternativamente o cumulativamente le due ipotesi tassative[1], previste dall’art. 39 del D.Lgs. 546/1992, che riguarda i rapporti esterni tra processo tributario e processi non tributari:

a)sia proposta una querela di falso, che consiste in una domanda giudiziale rivolta, ai sensi dell’art. 221 c.p.c., al tribunale, al fine di accertare la falsità di un documento che la controparte vuole utilizzare in un determinato processo e che sia altresì rilevante ai fini della decisione;

b)      si presenti una questione pregiudiziale che attenga allo stato o alla capacità delle persone fisiche (esclusa la capacità di stare in giudizio sulla quale deciderà il collegio stesso ed il cui accertamento negativo provoca un’interruzione del processo), che assume rilevanza pregiudiziale rispetto alla vertenza tributaria: deve cioè riguardare l'idoneità di un soggetto d'essere titolare di posizioni giuridiche; non rilevano, quindi, ai fini della sospensione, le questioni relative alla attribuzione, in concreto, a un soggetto di una determinata posizione giuridica;

-         si debba risolvere, in pendenza di un giudizio tributario, una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa tributaria[2] (c.d. pregiudizialità interna), ciò al fine di prevenire giudicati contrastanti e/o l’antieconomicità derivante da attività processuali finalizzati all’adozione di una unica decisione[3] (art. 295 c.p.c.);

-         rimessione alla Corte Costituzionale di una questione di legittimità costituzionale di una norma che abbia rilevanza nel giudizio tributario (art. 136 Cost., art. 23 c.2 L. 11 marzo 1953 n.87);

-         proposizione di ricorso per ricusazione del giudice ai sensi dell’art.52 c.p.c. (art. 6, D.Lgs. 546/1992);

-         regolamento preventivo di giurisdizione (art. 3, D.Lgs. 546/1992, e art. 41 c.p.c.);

-         rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, “facoltativo” per le Commissioni tributarie (provinciali o regionali) ed “obbligatorio” per la corte di Cassazione, di una questione in merito all'interpretazione di una norma contenuta in un atto comunitario (art. 177 trattato CEE e artt. 3 e 51 della L. 204/1958);

-         pendenza della domanda di condono (ad es. art. 16 L. 289/2002).

La sospensione del processo tributario – a differenza del processo civile (art. 296 c.p.c.) – non può essere richiesta dalle parti al di fuori delle ipotesi in cui vi è l’obbligo di sospensione d’ufficio.

1.1 Cause di sospensione ex art. 39 D.Lgs. 546/1992

L’art. 39 del D.lgs. 546/1992 prevede ipotesi tassative di sospensione del processo tributario derogando così alla possibilità di risolvere le questioni pregiudiziali incidenter tantum, imponendo  la  collocazione  del  processo  tributario  in fase di quiescenza fino  a  quando  le  indicate questioni pregiudiziali non si traducano in giudizio  pregiudiziale  di pertinenza del giudice ordinario e comunque fino a  quando  tale  giudizio  non  sia  definito. Ciò costituisce, in realtà, una deroga al  criterio  secondo cui le questioni pregiudiziali sono  risolte,  "incidenter  tantum", dal giudice munito di giurisdizione sulla  domanda,  ed attiene, pertanto, ai rapporti tra giurisdizione tributaria  ed  altra  giurisdizione, senza ostare, per l'effetto, all'operatività, anche  nel  rito  tributario, dell'art. 295 cod. proc. civ., giusta rinvio alle  norme  del  codice  di rito di cui all'art. 1, c.2, del citato D.Lgs.  546/9[4].

Per cui sia la querela di falso che le questioni di stato e capacità delle persone fisiche sono di competenza esclusiva del giudice ordinario e la causa di sospensione viene meno quando sia passata in giudicato la sentenza del giudice civile che decida sulle sopra citate questioni.

Le questioni di stato delle persone, relative all’idoneità di un soggetto ad esser titolare di posizioni giuridiche - attribuite in via esclusiva  al  giudice ordinario - sono soltanto  quelle  relative alla  posizione  soggettiva dell'individuo nella sua veste  di  cittadino  e  di  soggetto  di  diritti personali  nell'ambito  della  comunità  civile  e  di  quella   familiare, dovendosi,  pertanto,  escludere   le   controversie   sulle   posizioni giuridiche.

La sospensione è disposta dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con ordinanza.

Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo a sensi dell'art. 28.

A seguito del reclamo, la Commissione tributaria può dichiarare quest’ultimo inammissibile, può accoglierlo o rigettarlo.

In caso di acquiescenza della parte e quindi mancato reclamo al decreto, il processo continua se entro 6 mesi da quando è  cessata la causa che ha determinato la sospensione una delle parti presenti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione. In mancanza il processo si estingue.

Durante la sospensione non possono essere compiuti atti del processo; inoltre i termini in corso sono interrotti e ricominciano a decorrere dalla presentazione dell'istanza di riassunzione del processo stesso al Presidente della Sezione (art. 42 D.Lgs. 546/1992).

In relazione all'art. 39 citato è stata sollevata questione di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nel presupposto di una disparità di trattamento tra coloro che, in ipotesi di pregiudizialità, possono chiedere ed ottenere la riunione dei giudizi pendenti dinanzi allo stesso giudice tributario e coloro ai quali tale possibilità è preclusa in quanto i giudizi pendono dinanzi a giudici appartenenti a distinti uffici giudiziari. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 31 del 26 febbraio 1998, ha dichiarato infondata tale questione asserendo che il legislatore possiede un'ampia discrezionalità nel conformare gli istituti processuali, "fermo il limite della non irrazionalità delle sue scelte".  La Corte non ha ravvisato alcuna "irrazionalità" nella limitazione della sospensione per pregiudizialità nel processo tributario, in quanto in tal modo è stata soddisfatta sia l'esigenza di giudizi più rapidi che quella di una contestuale riduzione dell'arretrato delle commissioni tributarie. L'orientamento manifestato con la citata sentenza è stato successivamente ribadito in altre pronunce. 

In ordine alla problematica in esame la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14281 del 30 ottobre 2000[5], ha affermato il principio secondo cui nel processo tributario la sospensione, in ipotesi di pregiudizialità del giudizio civile o penale o amministrativo rispetto al giudizio tributario (c.d. pregiudizialità esterna) è obbligatoria solo nei casi contemplati nell'articolo 39 D.Lgs. 546/1992.

Per converso, in ogni altra ipotesi di pregiudizialità esterna, la sospensione non può essere disposta. 

L’art. 39 si completa con quanto disposta dal c. 3 dell'art. 2 in base al quale  "il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipenda la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio" di cui al citato articolo 39.  La nuova disposizione sembra superare l'orientamento della Corte di Cassazione, in quanto attribuisce al giudice tributario la possibilità di decidere in via incidentale ogni questione pregiudiziale, senza che assuma rilevanza l'autorità giudiziaria presso cui pende tale questione.

Sono fatte salve, comunque, le due ipotesi di sospensione obbligatoria previste dall'art. 39 e confermate dalla nuova formulazione dell'art. 2 in esame. 

In ogni caso, anche per la Suprema Corte resta fermo il principio secondo cui il giudice, ove ne ricorrano i presupposti, debba procedere alla riunione dei giudizi e, per converso, ricorrere alla sospensione del processo solo nei casi in cui non sia possibile la riunione. 

Ciò posto, gli uffici, dopo aver sollecitato la riunione delle cause tutte le volte in cui ciò sia possibile e fino a quando la stessa non venga disposta, devono curare la difesa ed assolvere l'onere probatorio in ciascun giudizio in modo completo, fornendo quindi al giudice anche gli elementi per decidere le eventuali questioni incidentali, evitando il rinvio ad atti e documenti contenuti in altri fascicoli processuali. 

L’ordinanza con cui viene disposta la sospensione è “disposta” con decreto de presidente, prima di fissare l’udienza, o con l’ordinanza del Collegio. Contro il decreto del Presidente di sezione è ammesso il reclamo, mentre l’ordinanza non è invece impugnabile.

1.2 Cause di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c.

L'art. 39, D.Lgs. 31 dicembre  1992,  n.  546, regola unicamente i rapporti esterni tra processo tributario e processi  non tributari, mentre, per quanto attiene ai rapporti  tra  processi  tributari, trova applicazione, in virtù del disposto dell'art. 1 del citato  D.Lgs.  n. 546/1992, la disciplina dettata dall'art. 295 c.p.c.[6]. Di contro, nelle ipotesi di pregiudizialità interna, cioè nei casi in cui il rapporto di pregiudizialità intercorre fra controversie tributarie, la Cassazione ha individuato talune limitate ed eccezionali fattispecie nelle quali, per evitare il rischio di giudicati contrastanti e di inutili reiterazioni di iniziative processuali, ha ritenuto applicabile al processo tributario l'articolo 295 c.p.c., che prevede la sospensione, non considerando un ostacolo la formulazione limitativa dell'art. 39 citato. In particolare, la menzionata sentenza chiarisce che "il fenomeno della pregiudizialità, intesa come progressione logica delle questioni da affrontare per giungere alla soluzione di una controversia, può riguardare i punti pregiudiziali (cioè, un antecedente logico non controverso), questioni pregiudiziali (cioè, una controversia incidentale che si presenta sulla strada della decisione e che il giudice, appunto, può decidere incidenter tantum) o cause   pregiudiziali (cioè, controversie che devono essere risolte con sentenza che possa, poi, acquistare efficacia di giudicato)". È solo in quest'ultimo caso, di "causa" e non di "questione" pregiudiziale, che la Cassazione ha reputato obbligatoria la sospensione del processo.   L'applicabilità al  giudizio  tributario  dell'art.  295  c.p.c. non autorizza  alcun  ampliamento  dei  limiti  e dei presupposti cui la norma del codice  di  rito  subordina  la  sospensione  del  procedimento,  nè,  in particolare, consente    di    trascurare    l'esplicita    condizione   della "dipendenza", in  tutto  o in parte, della soluzione della causa da sospendere dalla decisione  dell'altra  causa,  tale dipendenza esigendo, in concreto, la coincidenza dei  soggetti  partecipanti  ai  due  procedimenti quale requisito indispensabile perchè   la   definizione   dell'uno    possa  assumere  valore vincolante per   la   definizione  dell'altro,  secondo  i  principi  generali dettati in  tema  di  efficacia  del giudicato sostanziale[7].  Anche nel processo tributario, in tanto  si  può  parlare  di "questione   incidentale   pregiudiziale",   in   quanto    la    questione "pregiudiziale" pendente dinanzi  ad  altro  giudice  tributario  abbia  il carattere  della  "incidentalità"  necessaria  nell'ambito   del   giudizio principale.  Se  invece  la  "questione"  è  oggetto  diretto  del  petitum nell'ambito di entrambi i due diversi procedimenti, allora  la  fattispecie si risolve, a seconda dei casi,  in  un'ipotesi  di  "litispendenza"  o  di "continenza", e come tale deve essere  disciplinata.  La parte che richiede la sospensione ex art. 295 c.p.c. ha l’onere di dimostrare la pendenza di un’altra controversia e la sussistenza di un rapporto di dipendenza tra i due giudizi[8]. Nel contempo le Commissioni tributarie hanno l'obbligo di pronunciarsi sulla richiesta di sospensione, ex art. 295 c.p.c., dei processi[9]. La sospensione non è possibile qualora la sentenza pronunciata nel giudizio pregiudiziale sia passata in giudicato. Avverso i provvedimenti di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. deve ritenersi non esclusa la proposizione del regolamento di competenza, al fine di tutelare i diritti fondamentali garantiti dall’24, c. 1, art. 111, c. 2, della Costituzione e dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo  e delle libertà fondamentali, ancorchè il disposto dell’art. 5 c. 4 prescrive che non si applicano le disposizioni del c.p.c. sui regolamenti di competenza[10].

2. Interruzione del processo 

L'istituto  dell'interruzione  del  processo  (ex art.40 D.Lgs. 546/1992) ha  la   funzione   di consentire  una  corretta ed effettiva attuazione del principio del contraddittorio tra le parti. 

Costituiscono cause di interruzione del processo  i seguenti eventi riguardanti rispettivamente le parti o i loro difensori: 

-   la  morte o la perdita,  per qualunque causa,  della capacità di stare in giudizio (interdizione, inabilitazione, dichiarazione di fallimento) della parte o del suo legale rappresentante  o  la cessazione di tale rappresentanza.   L’interruzione avviene automaticamente, per il solo fatto dell’evento, in tutti i casi in cui la parte  sta in giudizio personalmente, conformemente alla previsione generale di cui all’art. 300 c. 3  c.p.c.. Qualora, invece, la presenza in giudizio sia mediata dalla presenza del difensore abilitato, la causa interruttiva, per avere effetto ai fini processuali, deve essere da questi dichiarata direttamente in udienza o con apposita memoria depositata presso la Segreteria;

-   la morte,  la radiazione o sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati ai sensi dell'art. 12 D.Lgs. 546/1992.  Qualora l’evento colpisca la persona del difensore, l’interruzione ha luogo automaticamente senza necessità di espressa comunicazione in udienza ovvero in forma scritta mediante deposito presso la Segreteria della Commissione. Non ha luogo l’interruzione laddove tali cause riguardano un solo difensore della parte a fronte della procura conferita a più difensori disgiuntamente[11].

Gli eventi interruttivi  assumono rilevanza solo se essi si verificano:

-         dopo la proposizione del  ricorso;

-         prima della conclusione della fase del contraddittorio.

Gli  eventi  di  cui  sopra sono irrilevanti nel caso si verifichino durante il giudizio dinanzi alla Corte di cassazione. 

L'effetto interruttivo non si verifica nelle seguenti ipotesi in cui il contraddittorio sia esaurito, ovverosia:

-         dopo  l'ultimo  giorno  utile  per  la produzione di memorie nel caso di decisione in camera di consiglio;

-         dopo la chiusura della discussione nell'ipotesi di pubblica udienza,  salvo che la commissione,  anzichè pronunciare la sentenza,  faccia proseguire  il  processo,   con   la   conseguente   necessità   di ripristinare il contraddittorio.

Perchè  si  abbia  interruzione   del   processo,   l'evento   deve verificarsi  dopo la proposizione del ricorso (cioè successivamente alla notifica di tale provvedimento ai  sensi  dell'art. 16,  o alla  data  di spedizione dello stesso risultante dal timbro postale apposto sulla raccomandata) e prima della conclusione  del  processo (ovvero l'ultimo giorno per il deposito delle memorie). 

Qualora gli eventi interruttivi di cui alla lettera a) del c. 1 del citato art. 40,  si verifichino prima  della  presentazione  del ricorso, ma durante la pendenza dei termini per la presentazione del medesimo,  tali  termini  sono  prorogati  di  6 mesi  a decorrere dalla data dell'evento. 

Qualora gli eventi (sopravviene la morte oppure la perdita della capacità di stare in giudizio di  una delle  parti o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza),  si verificano prima dell’impugnazione:

-         durante  la  decorrenza  del  termine (c.d. breve)  di  60  giorni   per   la proposizione  della  impugnazione avverso la sentenza,  regolarmente notificata, della commissione tributaria provinciale. Il termine per impugnare è interrotto e comincia a decorrere  nuovamente dal giorno in cui,  ai sensi dell'art. 328 c.p.c.,  la  notifica  della  sentenza  venga rinnovata.  Tale  rinnovazione  può  essere fatta,  ai sensi dell'art. 328, c. 2, c.p.c.,    agli   eredi collettivamente e impersonalmente nell'ultimo domicilio del defunto;

-         durante la decorrenza del termine lungo. Se  dopo  sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art. 328, c. 3 c.p.c.) si verifica  alcuno  degli eventi  sopra descritti,  il termine di cui all'art. 327,  c. 1, c.p.c,  è prorogato per tutte le parti di 6 mesi dal giorno dell'evento. 

Qualora la parte privata sia deceduta, successivamente alla pubblicazione della sentenza, si ritiene che la notificazione dell’atto di impugnazione con la quale l’ufficio instaura un altro grado di giudizio, notificato al difensore della parte privata deceduta, determini una causa di interruzione del processo[12]. Pertanto gli interessati dovranno procedere alla riassunzione del giudizi  mediante istanza di trattazione come previsto dall’art. 43, c. 2.

I fatti che riguardano la persona del legale rappresentate (nei casi di  interdetto,  di  inabilitato  o  di minore) non rivestono alcuna rilevanza  nel  caso  colpiscano   il   rappresentante   volontario. Parimenti,   non   assume  rilievo  alcuno  la  cessazione  di  tale rappresentanza. 

Si ha inoltre interruzione del processo,  oltrechè per morte  della persona  fisica,  anche  per estinzione di quella giuridica;  non si può  parlare  di  interruzione  invece,   in  caso  di   messa   in liquidazione  di  una società,  in quanto in questo caso la persona giuridica viene meno solo con la definizione  di  tutti  i  rapporti giuridici  che  ad  essa  facevano  capo  comprese  le  pendenze  in giudizio. 

L'effetto interruttivo può verificarsi al momento  dell'evento  che ne  è  presupposto  o al momento della dichiarazione di tale evento che avviene o nella pubblica udienza o  con  apposita  comunicazione scritta  del difensore della parte cui l'evento si riferisce.  Nella prima  ipotesi  in  cui  l'evento  interruttivo  è   di   immediata efficacia,  l'interruzione  del processo si verifica quando la parte sta  in  giudizio  personalmente  o  quando  la  causa  interruttiva riguarda invece il difensore. 

L'interruzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con ordinanza. Proprio per la natura dichiarativa, la sua omissione non impedisce che l’interruzione produca i suoi effetti.

Avverso il decreto del presidente di sezione  è ammesso reclamo a sensi dell'art. 28. L’ordinanza collegiale, non è invece impugnabile.

La Commissione tributaria può dichiarare inammissibile il reclamo, accoglierlo o rigettarlo.

In caso di acquiescenza della parte e quindi mancato reclamo al decreto, il processo continua se entro 6 mesi da quando è stata dichiarata l'interruzione del processo la parte colpita dall'evento o i suoi successori o qualsiasi altra parte presentano istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione. In mancanza il processo si estingue.

Durante l’interruzione non possono essere compiuti atti del processo; inoltre i termini in corso sono interrotti e ricominciano a decorrere dalla presentazione dell'istanza di riassunzione del processo stesso al Presidente della Sezione (art. 42 D.lgs. 546/1992).

3. Ripresa del processo sospeso o interrotto

La parte interessata può chiedere la ripresa del processo sospeso o interrotto, con istanza di trattazione al Presidente di sezione dove pende la causa, che indichi:

-         gli estremi del processo sospeso o interrotto;

-         la causa e gli estremi del provvedimento di sospensione o interruzione;

-         il motivo che giustifica la ripresa del processo.

L’istanza va presentata entro 6 mesi dalla cessazione della causa che ha determinato la sospensione, cioè il passaggio in giudicato del provvedimento che definisce la questione pregiudiziale, o dalla dichiarazione di interruzione, pena l’estinzione del processo per inattività delle parti.

La riassunzione è consentita, oltre il sopra citato termine, qualora venga provata l’illegittimità del provvedimento di sospensione o interruzione.

4. Estinzione del processo

Gli artt. 44, 45 e 46 D.Lgs. 546/1992 disciplinano l’istituto dell’estinzione del processo, che si verifica in tre casi:

a)      per rinuncia al ricorso;

b)      per inattività delle parti;

c)      per cessazione della materia del contendere[13], tra cui rientra la conciliazione giudiziale.

La pronuncia è dichiarata:

-         con decreto del Presidente della Sezione, se non è stata ancora fissata l’udienza di trattazione, soggetto a reclamo;

-         con sentenza della Commissione, se l’udienza è stata già fissata, soggetta ad impugnazione;

-         con ordinanza per cessazione della materia del contendere derivante da condono, soggetta a revoca.

4.1 Estinzione del processo  per rinuncia al ricorso

La prima ipotesi di estinzione, regolata dall’art. 44 D.Lgs. 546/1992,  si verifica quando una parte decide di abbandonare il giudizio, senza giungere ad una pronuncia di merito.

La rinuncia al ricorso deve essere fatta per iscritto e sottoscritta (in bollo) dalle parti personalmente o dai loro procuratori speciali e dai difensori laddove tale potere è stato espressamente conferito nella procura, e deve essere depositata nella segreteria della commissione.

Il termine ultimo per la rinuncia è la data di udienza della trattazione. Si ritiene ammissibile rendere la dichiarazione di rinuncia in ordine alla materia del contendere in sede di udienza pubblica[14]. La rinuncia produce i suoi effetti solo se accettata dalle parti costituite che abbiano interesse alla prosecuzione del processo con atto anch’esso sottoscritto e depositato presso la segreteria della commissione.

Sia la  rinuncia che l’accettazione devono esser depositate presso la segreteria della Commissione competente; in alternativa la rinuncia al ricorso può esse fatta mediante dichiarazione a verbale nel corso dell’udienza.

Il soggetto legittimato a rinunciare in primo grado è il contribuente e nel caso di litisconsorzio necessario è richiesta la volontà di ciascuno dei liticonsorti; mentre nel caso dei gradi successivi soggetto legittimato può essere sia il contribuente che l’Ente. In quest’ultimo caso l’Ente annulla un atto emanato per eliminare vizi o errori contenuti nell’atto, ma senza rinunciare alla pretesa tributaria sostanziale.

È necessario distinguere la rinuncia agli atti del giudizio, dalla rinuncia al giudicato. Infatti la rinuncia in grado di appello agli atti del giudizio e la conseguente estinzione del processo, rende inefficaci gli atti del giudizio di gravame (ex art. 310 c.p.c.), ma non la sentenza di merito pronunciata nel corso del processo, la quale passa in giudicato in conseguenza della sopravvenuta inefficacia della sua impugnazione[15].  Al fine di travolgere gli effetti della sentenza di prime cure è necessario un atto dal quale possa ricavarsi una piena rinuncia non solo agli atti ma anche al giudicato, quindi estesa alla sentenza già emessa[16].

Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo un diverso accordo tra le parti. La liquidazione è fatta dal giudice con ordinanza, che costituisce titolo esecutivo.

4.2 Estinzione del processo  per inattività delle parti

La seconda ipotesi di estinzione, regolata dall’art. 45 D.Lgs. 546/1992, si verifica allorquando una parte decide:

-   di non proseguire il processo sospeso;

-   di non riassumere il processo interrotto;

-   di non integrare il contraddittorio nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.

L'estinzione del processo per inattività delle parti è rilevata anche d'ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti. L'estinzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con sentenza. Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo alla commissione che provvede a norma dell'art. 28.

Le spese di giudizio  sono a carico di ciascuna parte che le ha anticipate.

4.3 Estinzione del processo  per cessazione della materia del contendere

La cessazione del contendere si verifica se viene meno la ragion d’essere sostanziale della lite per il sopravvenire di un fatto che priva le parti di qualsiasi interesse a proseguire il giudizio, non essendo più necessaria la pronuncia giurisprudenziale[17].

Sono cause di cessazione della materia del contendere:

-       la definizione delle pendenze tributarie (cosiddetto condono);

-       la conciliazione giudiziale;

-       l’annullamento in autotutela dell’atto impugnato da parte dell’Ufficio finanziario.

L’estinzione opera di diritto e viene dichiarata con decreto del Presidente della sezione o con sentenza della commissione tributaria. La pronuncia di cessazione della materia del contendere produce effetti di giudicato sostanziale[18], a differenza della rinuncia agli atti ed alla rinuncia per inattività delle parti che non hanno efficacia di giudicato tra le parti ex art. 2909 c.c..

In merito alle spese di giudizio, la Corte Cost. con sentenza 12 luglio 2005 n. 274, ha dichiarato l’illegittimità   costituzionale dell'art. 46, c.3 D.Lgs. 546/92 con  riferimento  alla violazione del principio di ragionevolezza, nella parte in cui prevede che “le spese del giudizio estinto, nei  casi  di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni  altro caso di cessazione della materia del contendere, restano  a  carico della parte che le ha anticipate” nelle ipotesi  di  cessazione  della materia del contendere diverse  dai  casi  di  definizione  delle  pendenze tributarie previsti dalla legge.

Pertanto, a seguito della sentenza della Corte  Costituzionale  n.  274 del 2005, il principio della responsabilità della parte soccombente per  le spese di giudizio trova piena applicazione anche nel  processo  tributario. E, dunque, il giudice di merito  che  prenda  atto  del  venir  meno  della materia  del  contendere  deve  procedere  ad  una  valutazione  dell'esito virtuale della controversia  e  ben  può  accollare  le  spese  alla  parte virtualmente soccombente  - principio  della soccombenza virtuale - [19].

 


[1] Cass. sez. trib. 10 marzo 2006 n. 5366 in base alla quale “L'operatività della sospensione necessaria é disciplinata nella materia del contenzioso tributario dall'art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992 che  prevede la sospensione del processo in caso di presentazione di querela di falso  o quando deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato  o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di  stare  in giudizio. Ciò  peraltro  non  osta  all'applicabilità  al   giudizio   tributario dell'art. 295 del codice di procedura civile;  il  recepimento  dei  canoni codicistici è, infatti, escluso solo in presenza di una disposizione  della speciale  disciplina  tributaria  che  regoli   la   stessa   vicenda   con disposizioni distinte o  logicamente  incompatibili;  tali  situazioni  non emergono dal raffronto fra i predetti artt. 39 del D.Lgs. n. 546/1992 e 295 c.p.c.”.

[2] Cass. sez. trib. 10 gennaio 2001 n. 14788; Cass. sez. trib. 18 luglio 2002 n. 10509; Cass. sez. trib. 18 novembre 2005 n. 24408; Cass. sez. trib. 26 ottobre 2006  n. 26380 per la quale “tra la controversia che oppone il contribuente all’Agenzia del Territorio in ordine alla impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile e la controversia che oppone lo stesso contribuente al Comune avente ad oggetto la impugnazione della liquidazione dell’ICI gravante sull’immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata, sussiste un rapporto di pregiudizialità che impone la sospensione del secondo giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., fino alla definizione del primo con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione in ordine alla liquidazione dell’imposta”; Conforme Cass. sez. trib. 11 dicembre 2006  n. 26377; Cass. sez. trib. 23 novembre 2005 n. 24577; Cass. sez. trib.  12 aprile 2006 n. 13082 con la quale è stata cassata la sentenza di merito emessa in relazione ad una annualità ICI nonostante risultasse pendente la controversia relativa all’accatastamento dei beni, nella specie costituiti da una centrale elettrica; Cass. SS.UU. 4 giguno 2008 n. 14814 per la quale “quando   viene   riconosciuto   il   vincolo    della consequenzialità necessaria, il procedimento  dipendente,  se  non  è  stato riunito (o non è  stato  possibile  riunirlo)  al  principale,  deve  essere sospeso in attesa dell’esito di quest’ultimo”.

[3] Cass. sez. trib. 30 ottobre 2003 n. 16338.

[4] Cass. sez. trib. 22 giugno 2001 n. 8567.

[5]  Conforme: Cass. sez. trib. 21 marzo 2001 n. 4058; Cass. sez. trib. 10 aprile 2000 n. 4509.

[6] Cass. sez. trib. 6 settembre 2004 n. 17937.

[7] Cass. sez. trib.  22 giugno 2001  n. 8567 per la quale “la pendenza di  una  controversia sul reddito di una societa' di persone soggetto ad ILOR,   cui   non  partecipi  il  singolo  socio  dell'ente,  non  comporta  l'obbligo di  sospendere,  ex  art.  295  c.p.c., la separata causa eventualmente promossa  dal  socio  stesso  per  contestare  la  rettifica del proprio  imponibile  ai  fini  dell'IRPEF nella parte inerente al computo della quota del  reddito  sociale,  in  quanto la decisione della prima controversia non produrrebbe, comunque, effetti vincolanti sulla decisione dell'altra”.   

[8] Cass. sez. trib. 4 giugno 2001 n. 7506.

[9] Cass. sez. trib. 27 ottobre 2005 n. 27343 secondo la quale “la Commissione tributaria deve verificare se sussistono i presupposti per procedere alla riunione dei processi o alla sospensione di uno dei due per evitare il rischio che si concludono in maniera difforme, pertanto il provvedimento del giudice non è arbitrario bensì sindacabile in sede di impugnazione”. Conforme Cass. SS.UU. 30 novembre 2005 n. 26102; Cass. sez. trib. 20 novembre 2005 n. 26129; Cass. sez. trib. 8 settembre 2005 n. 17936; Cass. sez. trib. 12 luglio 2005 n. 14668. 

[10] Cass. Ord. 15 marzo 2007 n.  8129; Cass. sez. trib. n. 11140 del 2005.

[11] Cass. sez. I 17 settembre 1992 n. 10664; Cass. sez. III 21 aprile 1990 n. 3346.

[12] Contra CTR Genova  sez. III 6 dicembre 2002 n. 101 che ha dichiarato improcedibile l’appello dell’ufficio notificato al difensore della parte privata deceduta dopo la pubblicazione della sentenza.

[13] In dottrina vi è chi distingue da tale fattispecie quella della sopravvenuta carenza di interesse che si realizza allorquando una parte del processo, pur riconoscendo le ragioni dell’altra, non soddisfa in pieno i suoi interessi ciò si verifica allorquando l’Amministrazione annulla l’atto impugnato dal ricorrente, ma ne emana un altro integrativo o sostitutivo, pertanto il contribuente in questi casi non è liberato definitivamente. In dottrina contra Gledi

[14] Cass. sez. trib. 24 febbraio 2003 n. 5270.

[15] Cass. sez. trib. 16 ottobre 2002 n. 5026.

[16] Cass. civ. sez. II, 21 gennaio 1971 n. 310.

[17] Cass. civ. sez. II 18 luglio 1997  n. 6625;  Cass. civ. sez. II 22 gennaio 1997 n. 622; Cass. sez. trib. 24 giugno 2000 n. 8607.

[18] Cass. sez. trib. 8 agosto 1990 n. 8000; Cass. sez. trib. 24 luglio 1987 n. 6446; Cass. sez. trib. 11 gennaio 1990 n. 46.

[19] Cass. sez. trib. 4 ottobre 2006 n. 21380. Conforme Cass. sez. trib 15 ottobre 2007  n. 21530 in base alla quale, “allorquando  l'Amministrazione finanziaria annulli il provvedimento impugnato dal contribuente davanti al giudice tributario si  determina  la  cessazione della materia del contendere. Peraltro, poiché il potere di autotutela  deve essere esercitato al fine di assicurare l'imparzialità ed il buon  andamento della  Pubblica  Amministrazione,  esso   non   può   costituire   strumento utilizzabile  per   vanificare   l'azione   del   contribuente   limitandone l'efficacia. Conseguentemente,  il  malgoverno  del  potere  di  autotutela comporta la condanna  alla  rifusione  delle  spese  di  giudizio  in  danno dell'Amministrazione finanziaria”. 

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