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Copyright © 2012 Amministrazione e contabilità pubblica - dott. Forgione Gianluca

I principi dello Statuto dei diritti del contribuente e la loro applicazione agli Enti locali.

3. Principi direttamente applicabili agli Enti locali

Rientrano nella seconda categoria, i seguenti principi direttamente applicabili agli Enti locali:

-       chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie (art.2);

-       conoscenza delle disposizioni vigenti in materia tributaria,  anche  curando la predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei  contribuenti (art.5);

-       informazione al contribuente in ordine ai fatti che lo interessano (art.6), la cui comunicazione va effettuata nel luogo di effettivo domicilio, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico. Inoltre, prima di procedere a iscrizioni a ruolo o di negare un rimborso, se sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione, a pena di nullità, deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o i documenti mancanti concedendo allo stesso  almeno 30 giorni (art.6, c.5). Viene ribadito l'obbligo dell'indicazione negli atti, compresi quelli degli Agenti della riscossione, delle autorità a cui ricorrere, dei termini e modalità del ricorso, dell'organo competente a riesaminare l'atto in sede di autotutela (organo che peraltro si identifica, come è noto, con lo stesso ufficio che ha emesso l'atto);

-       la necessità di assicurare al contribuente residente all'estero le informazioni sulle modalità di applicazione delle imposte e la  utilizzazione  di  moduli semplificati (art.14);

-       l’irretroattività delle disposizioni tributarie (art.3), con esclusione di quelle favorevoli al contribuente[9]. A tal proposito si intendono abrogate eventuali normative di settore disciplinanti i singoli tributi che prevedono la possibilità di emanare ruoli speciali in materia di tributi, un esempio per tutte è rappresentato dall’ art. 33,  del D.Lgs 30 dicembre 1992 n. 504, che autorizza gli Enti locali, anche nel corso  dell’anno, non oltre il 30 novembre, a rideterminare in aumento le tariffe con effetto, dall’anno in corso per la tassa di smaltimento rifiuti solidi, nel caso in cui si evidenzi uno squilibrio nel rapporto tra spese impegnate ed entrate accertate. A tal proposito tale disposizione deve ritenersi tacitamente abrogata alla luce del divieto di retroattività delle norme in materia tributaria posto dall’art. 3 della legge 212/2000, per cui non è più possibile stabilire un tributo annuale in epoca successiva al 31 dicembre dell’anno precedente quello di riferimento, salvo che una norma successiva espressamente lo preveda e nei limiti temporali dalla medesima stabiliti per l’esercizio di tale potestà[10]. Inoltre, in materia di ICI deve ritenersi che la fissazione con delibera del valore delle aree fabbricabili avvalendosi della potestà regolamentare ai sensi dell’art. 59 del D.Lgs. n. 446/1997 non possa farsi retroattivamente[11]. Per gli Enti locali il termine ultimo per la deliberazione delle aliquote e delle misure dei tributi, nonché delle tariffe locali è fissato, dall’art.27, c. 8 della L 28 dicembre 2001, n.448, alla data prevista da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione; 

-       il divieto di stabilire adempimenti a carico del contribuente la cui scadenza risulti fissata prima che siano trascorsi 60 giorni dalla data in cui sia divenuta efficace la relativa deliberazione (art.3);

-       l’applicazione delle modifiche introdotte ai tributi periodici solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle leggi che le prevedono. Tale principio va comunque coordinato con l’art.27, c. 8 della L. 448/2001 sopra citato il quale dispone che il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l'aliquota dell'addizionale comunale all'IRPEF e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli Enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1 gennaio dell'anno di riferimento. Tale  principio è stato confermato dall’l’art. 1 c. 169 della L. n. 296 del 27 dicembre 2006 - Finanziaria 2007-. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno;

-       l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi come d'altronde prescritto dall'art. 7 della L. 241/1990[12] (art.7, c.1), il cui fine è quello di consentire al cittadino la ricostruzione dell’iter logico-giuridico della pretesa erariale, onde consentirgli di espletare il proprio diritto di difesa. Pertanto l’atto impositivo soddisfa l’obbligo di motivazione quando, attraverso l’indicazione degli elementi costitutivi della pretesa  pone il ricorrente nella condizione di potersi difendere”[13], consentendo di contestare l’an ed il quantum debeatur[14]. Tutti gli atti di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi devono essere motivati. La motivazione dell'atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto e non ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Ciò è previsto espressamente dall’art.6 c. 1 del D.Lgs. 32/2001 e dalla normativa di settore disciplinante i seguenti tributi locali: liquidazione ed accertamento dell’ICI (art. 11 del D.Lgs. 504/1992), rettifica ed accertamento dell’imposta comunale sulla pubblicità (art. 10, c. 1 del D.Lgs. 507/1993), accertamento e rimborso della TOSAP (art. 51, c. 2-bis, del D.Lgs. 507/1993)[15], accertamento della TARSU (art. 71, c. 2-bis, del D.Lgs. 507/1993). Si ritiene che detta prescrizione non trova applicazione laddove l’atto richiamato è una delibera comunale di giunta o di consiglio, in quanto essendo soggetta a pubblicità legale, si presume la conoscibilità della stessa da parte del contribuente[16]. L'atto è nullo se non sono osservate queste disposizioni[17]. L’obbligo di motivazione assume rilevanza, oltre che con riferimento ai singoli atti impositivi, anche con riferimento ai regolamenti ed agli atti generali (fissazione di  tariffe ed aliquote) relativi ai tributi locali deliberati dall’Ente locale. Ad esempio la delibera di determinazione delle tariffe relative alla TARSU deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra  le  tariffe[18]; così come per quanto riguarda la TIA analoga necessità di motivazione si pone con riferimento agli indici quali-quantitativi di produzione dei rifiuti e per quanto riguarda l’ICI, con riferimento alla misura dell’aliquota ICI deliberata dall’Ente in relazione al fabbisogno di bilancio. L’Amministrazione Finanziaria con la circolare 150/E del 1 agosto 2000 del Dipartimento delle Entrate – Direzione centrale accertamento e programmazione -  ha invitato gli uffici ad allegare agli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni, copia degli atti richiamati nelle motivazioni ancorché gli stessi fossero gia stati comunicati o notificati al contribuente. Il principio in argomento prescritto dall’art. 7 della L.  27  luglio  2000,  n. 212, trova applicazione anche alla cartella  di  pagamento, tanto più quando tale  cartella  non  sia  stata preceduta  da  un  motivato avviso di accertamento. Pertanto anche nella cartella di pagamento  l'Ente   impositore   ha   "l'obbligo  di  chiarire,  sia  pure succintamente, le  ragioni  -  intese  come indicazione sia della mera causale che della   motivazione   vera   e   propria   -   dell'iscrizione  nel  ruolo dell'importo dovuto,  in  modo  tale  da  consentire  al  contribuente  un non eccessivamente difficoltoso esercizio del diritto di difesa[19];  

-       l’obbligo di indicare tassativamente  negli  atti (art. 7 c. 2 lett. a , lett b): a) l'ufficio presso  il   quale  è  possibile  ottenere  informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato[20] e il  responsabile  del procedimento[21]; b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali  è  possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;

-       l’obbligo di indicare negli atti (art. 7 c. 2 lett. c): le modalità, il termine e l’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente[22]. Per la giurisprudenza prevalente, la mancata osservanza della norma citata è da ritenersi una mera irregolarità, rendendo per lo più rilevante sul piano processuale l'eventuale scusabilità dell'errore in cui sia incorso il ricorrente[23] qualora derivi una giustificata incertezza  sugli strumenti di tutela;

-       il diritto all'integrità patrimoniale. Quando si accerta in modo definitivo che l'imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore di quella accertata, il fisco è tenuto a rimborsare il costo della fideiussione che il contribuente ha dovuto chiedere per ottenere la sospensione del pagamento, la rateizzazione o il rimborso (art.8, c.4);

-       la possibilità di estinguere l’obbligazione tributaria per compensazione (art.8). Con riferimento ai tributi locali, l’art. 1 c. 167 L. 27 dicembre 2006, n. 296 - Finanziaria 2007-  ha stabilito che gli Enti locali disciplinano le modalità con le quali i contribuenti possono compensare le somme a credito con quelle dovute al Comune a titolo di tributi locali;

-       la tutela dell'affidamento[24] e buona fede del contribuente, che tra l'altro ha interessato le disposizioni relative al sistema sanzionatorio previste dai decreti 471, 472 e 473 del 1997. Pertanto, non sono irrogate sanzioni al contribuente che ha seguito le indicazioni dell'amministrazione o in relazione a comportamenti derivati da ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione (art.10, c.1 e 2), così come non sono punibili gli errori formali che non rechino ostacolo all'accertamento e le violazioni dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria (art.10 c.3). Ad esempio in  materia di aree edificabili ai fini ICI, sono intervenute in via interpretativa[25] dapprima le disposizioni di cui all’art.11-quaterdecies c. 16 della legge di conversione del D.L. 203/2005 e successivamente le disposizioni di cui all’art. 36 c. 2 D.L. 226/2006, convertito in L. 248/06, di conseguenza qualora un contribuente si sia adeguato a tale disposizione regolarizzando i versamenti ICI non si ritiene applicabile la relativa sanzione da parte dell’Ente. Con la prima delle sopra citate disposizioni il legislatore ha stabilito che ai fini ICI si configura l’edificabilità dell’area con la semplice previsione nello strumento urbanistico generale[26]. Con  la seconda, invece, il legislatore ha precisato che  l’art. 2, c. 1, lett. b), del D.Lgs. n. 504/92 va interpretato nel senso che, ai fini dell’applicazione dell’ICI, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo[27]. Per entrambe le disposizioni la Corte costituzionale ha respinto le eccezioni di incostituzionalità.  Pertanto, con riferimento ad una siffatta area, l’ICI deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo peraltro conto anche di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione[28];

-       l’introduzione dell'istituto dell'interpello[29] del contribuente, già previsto dall'art. 21 della L. n. 413/1991 (art.11). Quest’ultima disposizione stabilisce che, se vi sono "obiettive condizioni di incertezza" nella normativa, il contribuente può rivolgere un quesito all'Amministrazione Finanziaria, che deve rispondere entro 120 giorni. Se la risposta non arriva entro questo termine si intende che l'Amministrazione concordi con l'interpretazione prospettata dal contribuente (si applica, cioè, il c.d. "silenzio-assenso"). E' nullo qualunque atto emanato in difformità dalla risposta o dall'interpretazione desunta in base al silenzio-assenso (art.11). La procedura di interpello nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria è regolata da un apposito regolamento del 26 aprile 2001 (D.M. n. 209).

[9] Cass. sez. trib.  20 dicembre 2000 n. 5931; Cass. sez. trib. 14 aprile 2004 n. 7080 per la quale “in caso di possibilità di fornire due interpretazioni alternative della disposizione deve essere preferita quella che non comporti la retroattività della misura fiscale più sfavorevole, in considerazione del principio generale dell'ordinamento tributario posto dall'art. 3 dello Statuto del contribuente, di cui alla L. n. 212 del 2000”; Corte Cost. ord. 6 dicembre 2006 n. 428 che con riferimento all’art. 3 comma 1 della l. 212/2000 ha precisato che il divieto di retroattività non ha  rango costituzionale, pertanto sono ammesse disposizioni retroattive, a condizione che ci sia un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non  si pongano in contrasto con altri valori costituzionalmente tutelati. Conforme Corte Cost. 9 ottobre 2000 n. 419;  Corte Cost. 7 giugno 1999 n. 229; Corte Cost. 13 luglio 2005  n. 376; Corte Cost. 7 luglio 1994 n. 315.

[10] Ris. Min. Interno n.1352/05 del 6 maggio 2005 che ribadisce il divieto di rideterminare in aumento la TARSU in corso d’anno.

[11] In senso contrario CTR Venezia, sez. XXI, sezione staccata di Verona, 10 maggio 2004, n.23.

[12] Cass. sez. trib. 26 ottobre 2005 n. 1236;  Cass. sez. trib. 30 gennaio 2007  n. 1905,  la quale seppur ha esaminato una vicenda fattuale che si riferisce ad una fase anteriore  alle modifiche apportate  dallo  Statuto  dei  diritti  del  contribuente  e  dal successivo D.Lgs. n. 32/2001, ha ritenuto applicabile la normativa sul procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241/90 anche all’accertamento tributario.

[13] Conforme Cons. di Stato Sez. IV 4 dicembre 2001 n. 2281;  Cass. sez. trib. 3 dicembre  2004 n. 22764 che stabilisce che “un avviso di accertamento  TARSU, in caso di evasione totale del tributo  è da  ritenersi congruamente motivato con l’indicazione delle superfici accertate senza che occorra alcuna ulteriore indicazione di atti o che sia necessario attivare le procedure di cui all’art.73 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507”. Conforme Cass. sez. I 29 ottobre 1999 n. 1209; Cass. sez. trib. 13 luglio 2000  n. 15050.

[14] Cass. sez. trib. 2 maggio 2002 n. 15525.

[15] Cass. sez. trib. 18 ottobre 2004 n. 20381 per la quale “l'art. 50, c. 2,  D.Lgs.  n.  507/1993 stabilisce che l'obbligo della denuncia di occupazione permanente di  suolo pubblico  non  sussiste  per  gli  anni  successivi  a  quelli   di   prima applicazione della tassa, sempreché non  si  verifichino  variazioni  nella occupazione che determinino un maggiore ammontare del tributo. In tali casi - in cui il contribuente non ha un obbligo di denuncia  di variazione - l'Ente  territoriale  non  è  tenuto  ad  emettere  avvisi  di accertamento -  d'ufficio  o  in  rettifica -  ma, all'esito del controllo delle denunce e dei versamenti, provvede alla correzione di eventuali errori materiali o di  calcolo, dandone comunicazione al contribuente.  L'eventuale integrazione della somma già versata  a  titolo  di  tassa, accettata dal  contribuente,  è  effettuata  dal  contribuente  medesimo, mediante apposito versamento.     Ora,  stante  tale  contesto  normativo  -  che  prevede  espressamente l'accettazione del  contribuente  -  è  evidente  che  nel  caso  (come  il presente) di mancata accettazione da parte del contribuente della richiesta di integrazione della tassa, l'Ente territoriale (nella specie,  Provincia) titolare del relativo potere impositivo (art. 39 D.Lgs. n.  507/1993),  può iscrivere a ruolo il tributo ed emettere la relativa cartella di  pagamento per la riscossione coattiva della tassa, senza notificare un previo  avviso di accertamento.     Tuttavia  tale  cartella,  proprio   perché   consegue   ad   una   non accettazione, da parte del contribuente,  della  integrazione  della  tassa richiesta dall'Ente deve necessariamente esplicitare,  direttamente  o  per relationem, le ragioni di tale maggior pretesa tributaria”.

[16] Cass. sez. trib.  10 novembre 2004  n. 3551 per la quale “in tema  di  TARSU,  le  delibere  comunali  relative  all'applicazione  di un tributo ed  alla  determinazione  delle  relative  tariffe non rientrano tra i documenti che  debbono  essere  allegati  agli  avvisi di accertamento, atteso che si  tratta  di  atti  amministrativi  di  carattere  generale  che  sono a disposizione del   pubblico  e  vengono  pubblicati  con  affissione  all'albo pretorio;  Cass. sez. trib. 25 febbraio 2005, n. 5755 per la quale l'obbligo  di  allegazione  imposto  dall'art. 7 dello Statuto del contribuente riguarda  necessariamente,  come precisato dal D.Lgs. 32/2001, un atto  non  conosciuto e non altrimenti conoscibile dal contribuente, mentre atti generali   come   le   delibere   consiliari  sono  comunque  soggette  a pubblicità legale  e,  quindi,  la loro conoscibilità è presunta”. Peraltro, secondo la  giurisprudenza  della Corte Cass. sez. trib. 12 ottobre 2004, n. 21571, “l'obbligo motivazionale degli  accertamenti  ICI deve ritenersi adempiuto, conformemente a quanto  accade  nelle  altre  attività  accertative  in  campo  tributario, ogniqualvolta il  contribuente  sia  stato  posto  in  grado  di  conoscere la pretesa tributaria  nei  suoi  elementi  essenziali  per potersi adeguatamente difendere”. Contra Cass. sez. trib. 7 febbraio 2005  n. 6201 che in ordine ad un avviso di accertamento emesso ai fini ICI, e relativo alla tassazione di un’area fabbricabile, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento tributario allorquando lo stesso venga motivato per relationem. (Nella fattispecie esaminata l’avviso di accertamento ICI relativo ad un’area fabbricabile richiamava la delibera comunale che conteneva il tipo di zona ed i relativi valori al metro quadrato).

[17] Ad esempio sono affetti da nullità insanabile: a) l’avviso di accertamento in cui sono omessi l’indicazione dei criteri in base ai quali l’Amministrazione abbia rettificato i valori dichiarati dal contribuente; b) gli avvisi di classamento non adeguatamente motivati.

[18] Contra Cons. di Stato Sez. V 20 maggio 2003 n. 4117 per cui “l’art. 3 L.  8 agosto 1990 n. 241 al c. 2 dispone che la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale, pertanto il Comune non ha l’obbligo di motivare la quantificazione della misura di imposta all’interno dell’ambito stabilito”.

[19] Cass. sez. trib. 16 maggio 2007 n. 11251.

[20] I giudici di legittimità si sono più volte espressi in  ordine all’omessa indicazione degli altri elementi richiesti dall’articolo 7, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente, diversi dall’indicazione  del responsabile del procedimento, concludendo per la  mera  irregolarità  degli atti di natura tributaria. Cfr.  Cass. sez. trib. 13 dicembre 2007 n. 26116  per la quale “il principio secondo cui dalla erronea indicazione - da parte dell'autorità amministrativa - dei termini per ricorrere nonché dell'autorità giudiziaria da adire ai fini dell'impugnazione dell'atto amministrativo possa discendere errore scusabile vale a rimettere in termini il destinatario dell'atto, deve essere temperato con l'evidente e concorrente onere di autodiligenza per il contribuente”; Cass. sez. trib. 15  maggio  2003 n. 7558 per la quale “la mancanza, nell'atto di accertamento, della commissione competente a decidere sull'eventuale ricorso non determina alcun vizio dell'accertamento e, conseguentemente, alcuna nullità dell'atto, potendo, al più, risultare ostativa alla decorrenza del termine per impugnare”.

[21] L’articolo 36, comma 4-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n.  248,  recante  “Proroga  di  termini  previsti  da  disposizioni   legislative   e disposizioni urgenti in materia finanziaria”, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, dispone che: “La cartella di  pagamento di cui all’articolo 25  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29 settembre 1973, n. 602, e successive  modificazioni,  contiene,  altresì,  a pena  di  nullità,  l’indicazione  del  responsabile  del  procedimento   di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della  stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008;  la mancata indicazione dei responsabili  dei  procedimenti  nelle  cartelle  di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale  data  non  è  causa  di nullità delle stesse”. Per effetto di tale disposizione, le cartelle di pagamento  relative  ai ruoli consegnati dal 1° giugno 2008 devono  contenere,  a  pena  di  nullità, l’indicazione dei responsabili dei procedimenti di iscrizione a ruolo  (ente creditore) nonché di emissione e notificazione della  medesima  cartella  di pagamento (agente della riscossione).

[22] Cass. SS.UU. 29 aprile 2004 n. 10952  per la quale “non assume rilievo l’erronea indicazione, contenuta nell'ingiunzione   di   pagamento  emessa  dal  Comune,  in materia di ICI, dell'organo giurisdizionale davanti al quale proporre  l'impugnativa,  potendo  tale  errore  tutt'al  più  incidere sulla decorrenza  del  termine  per  impugnare,  senza  alcuna influenza sulla giurisdizione, identificabile sulla base di regole inderogabili”; Cass. 1 aprile 2004 n. 12070  per la quale “l’ obbligo di indicare nell’atto  tributario  la Commissione tributaria competente per territorio…comporta che l’autore dell’atto impositivo deve individuare in concreto la specifica Commissione tributaria  competente  per  territorio,  non  essendo sufficiente una indicazione generica e ripetitiva della  formula  usata  dal legislatore; tuttavia l’omessa od incompleta indicazione  della  Commissione non comporta una nullità dell'atto sia perché una  tale  conseguenza  non  è prevista  dal  legislatore,  e  sia  perché  si  tratta  di   una   semplice irregolarità del tutto irrilevante, poiché  scopo  della  norma  è  soltanto quello di  agevolare  il  compito  del  contribuente  che  voglia  impugnare l’atto”. Cass. sez. trib.  29 settembre 2003 n. 14482 per la quale “per delineare quello che è stato definito il contenuto minimo dell'avviso di accertamento si e' fatto riferimento al suo carattere di provocatio ad opponendum, affermandosi che esso soddisfa la sua funzione ogni qualvolta l'Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi (ricognitivi e logico-deduttivi) essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'an e il quantum debeatur attraverso una motivata e tempestiva impugnazione”. Cass. sez. trib.  19 dicembre 2002 n. 7558;  Cass. sez. trib. 6 dicembre 2001 n. 3865 per la quale “la mancata indicazione del termine e dell'organo giurisdizionale davanti al quale proporre  l'impugnativa non determina alcun vizio comportante l’annullamento dell’avviso di accertamento, in considerazione che la legge non commina espressamente alcuna nullità, salvo che ne derivi una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela attivabili dal ricorrente”.

[23] Cons. di Stato sez V 4 giugno 2002 n. 501; Cass. SS.UU. 16 dicembre 1999  n. 362.

[24] Cfr. Cass. sez. trib. 13 maggio 2009 n. 10982  per la quale “ il  principio  della  tutela  del  legittimo affidamento del cittadino, reso esplicito in materia tributaria dallo Statuto  dei   diritti   del contribuente, trovando origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.,  espressamente  richiamati  dall’art.  1,  medesimo  statuto,  è immanente in tutti i rapporti di diritto  pubblico  e  costituisce  uno  dei fondamenti  dello  Stato  di  diritto  nelle  sue   diverse   articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa. La previsione dell’art. 10 dello statuto -  a  differenza  di  altre  che  presentano  un  contenuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente - è dunque espressiva  di principi generali, anche di rango costituzionale, immanenti  nel  diritto  e nell’ordinamento tributario anche prima della  legge,  sicchè  essa  vincola l’interprete,  in  forza   del   canone   ermeneutico   dell’interpretazione adeguatrice a Costituzione, risultando  così  applicabile  sia  ai  rapporti tributari sorti in epoca anteriore  alla  sua  entrata  in  vigore,  sia  ai rapporti fra contribuente ed ente  impositore  diverso  dall’amministrazione finanziaria  dello  Stato,  sia  ad  elementi  dell’imposizione  diversi  da sanzioni e interessi, giacché i casi di tutela espressamente  enunciati  dal detto art. 10, comma  2  riguardano  situazioni  meramente  esemplificative, legate a ipotesi maggiormente frequenti, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti”. In tal senso Cass. sez. trib. 22 giugno 2006  n. 21513 e Cass 10 dicembre 2002 n. 17576.

[25] In  merito alla efficacia di tali norme di natura interpretativa si richiamano i principi affermati dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 41 del 27 febbraio 2008 in base alla quale  “l’interpretazione   fornita   dal legislatore tributario,  per  il  tramite  dell’ art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006,  risulta compatibile con la formulazione letterale dell’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 504/1992 ed annoverabile fra  le  soluzioni  ermeneutiche  ammesse dalla citata disposizione”. Conseguentemente, la Corte ha rigettato la  questione  di legittimità costituzionale sottopostale in quanto l’art. 2  della  L. 27 luglio 2000, n.  212, secondo cui «L’adozione di  norme  interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni  di  interpretazione autentica», non osta all’adozione  di  disposizioni  di  interpretazione autentica in quanto nella gerarchia delle fonti lo statuto non ha valore superiore a quello della legge ordinaria ed in considerazione che la potenzialità  edificatoria  dell’area,  ancorché  accordata   da   strumenti urbanistici il cui iter non sia stato perfezionato costituisce  elemento suscettibile di attribuire un incremento del valore venale  all’immobile.

[26] Cass. sez. trib. 11 maggio 2004   n. 16751 che in merito all’applicazione della lett. b) c. 1 dell’art. 2 D.Lgs. 504/1992, ha ritenuto le sanzioni non applicabili in base all’art. 10, c. 3 L.  212/2000 in quanto detta norma in un unico contesto si riferiva sia a strumenti urbanistici generali, sia particolari e sia al concetto di “possibilità effettive di edificazione”. Pertanto, ai fini della applicazione dell'Ici deve  essere  considerata come edificabile l'area tale qualificata da un  piano  regolatore  generale senza che occorrano piani regolatori  già  attuabili  o  particolareggiati, dell'assenza di un piano attuativo dello strumento generale  si  deve  però tenere  conto  nella  individuazione  della  base  imponibile,   ai sensi dell'art. 5, n. 5, D.Lgs. n. 504 del 1992. Deve essere esclusa la applicazione delle sanzioni per omessa  denuncia di un cespite imponibile ai fini Ici, quando in relazione ad un periodo  di tempo in cui la tassabilità del cespite stesso era  incerta; nel caso di specie non essendo ancora stata definita dalla risoluzione dell'Amministrazione finanziaria del 17 ottobre 1997, n. 209/E la nozione di area edificabile e non avendo ancora il Comune dato attuazione alla norma che lo facoltizza definire il valore delle aree edificabili.

[27] In merito alla edificabilità dei suoli in presenza di uno strumento urbanistico generale, anche se non definitivamente approvato e privo degli strumenti attuativi si veda anche Cass. Sez. trib. 2 luglio 2009 n. 15558; Cass. Sez. trib. 28 gennaio 2008 n. 1861;  Cass. Sez. trib. 3 dicembre 2007 n. 25166; Cass. Sez. Trib. 27 luglio 2007 n. 16712; Cass. SS.UU. 30 novembre 2006 n. 25506. Contra Cass. Sez. trib. 3 febbraio 2006 n. 2387. Circolare Agenzia delle entrate n. 28/E/06. Cass. Sez. trib. 24 ottobre 2008 n. 25672 in base alla quale “laddove  il  piano  regolatore  generale  del  Comune  abbia destinato  una  determinata  area  a   verde   pubblico   attrezzato,   tale prescrizione urbanistica sottrae al privato  la  facoltà  di  trasformazione edificatoria del bene in quanto rivolto alla fruizione pubblica dello spazio con conseguente esclusione della natura edificabile dell’area medesima”. In tal senso Cass. sez. I   14 giugno 2007  n. 13917 con la quale è stato  ribadito “il principio ripetutamente enunciato” secondo cui “ove  la  zona sia stata concretamente vincolata ad  un  utilizzo  meramente  pubblicistico (verde pubblico; attrezzature pubbliche; ecc.), la  classificazione  apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati  tutte  quelle  forme  di trasformazione del suolo che sono  riconducibili  alla  nozione  tecnica  di edificazione”. Cass. Sez. trib. 23 settembre 2004 n. 19161 che ha precisato che “qualora, la zona sia stata  concretamente  e particolareggiatamente vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico, che non ne tollera la realizzazione ad iniziativa privata neppure attraverso strumenti di convenzionamento, la classificazione  apporta  un  vincolo  di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme  di  trasformazione del suolo riconducibili alla nozione  tecnica  di  edificazione  come  tali soggette  al  regime  autorizzatolo  previsto  dalla  vigente  legislazione edilizia, con la conseguenza che l'area va qualificata come non edificabile; qualora, invece, il vincolo posto dalla  classificazione introduca una destinazione realizzabile non  solo  mediante  interventi  (o successive espropriazioni)  di  natura  pubblica  ma  anche  ad  iniziativa privata (non importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa), o promiscua pubblico - privata, detto vincolo non è  idoneo  ad escludere la vocazione edificatoria del suolo (così  Cass.  n.  11729/2003, proprio in fattispecie avente a oggetto area compresa in  zona  F/1;  vedi, altresì, Cass. Sez. Un. nn. 172/2001 e 173/2001 nonché Cass. nn. 3298/2000, 8028/2000, 9669/2000, 2641/2003)”. Nel caso esaminato è stato ritenuto che la destinazione attribuita  all'area dalla classificazione in zona  F/1  comporta  l'attribuzione  alla stessa  di  una  vocazione  edificatoria,  sia  pure   specifica,   essendo consentito ai privati  proprietari  di  realizzare  le  opere  previste  e, quindi, di sfruttare economicamente il loro diritto dominicale.

[28] Cass. SS.UU. 28 settembre 2006 n. 25506. Tale interpretazione – che risolve un contrasto insorto nella giurisprudenza della Sezione Tributaria della Cassazione tra l’indirizzo “sostanzialistico”, accolto dalle Sezioni unite, e quello “formale-legalistico” secondo il quale la qualifica di area edificabile presupporrebbe, anche ai fini fiscali, che le procedure per l’approvazione degli strumenti urbanistici siano perfezionate – trova conferma nel  D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248 – intervenuto dopo che le stesse Sezioni Unite erano state investite del riferito contrasto - , che, all’art. 36, c. 2, fornisce una chiave interpretativa da utilizzare, per espressa volontà del legislatore, nell’applicazione delle disposizioni relative, oltre che all’ICI, anche all’IVA, al TUIR ed all’imposta di registro.

[29] Per l’applicazione dell’istituto dell’interpello agli Enti locali si veda Parte I, Capo V.