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I principi dello Statuto dei diritti del contribuente e la loro applicazione agli Enti locali.
1. Profili generali
La L. 27 luglio 2000, n. 212 recante “Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente”, fissa i principi base relativi ai diritti del contribuente e regola i rapporti tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria[1]. Tali principi sono applicabili in virtù del disposto di cui all’art.1 anche agli Enti locali, per i quali viene previsto un termine di 6 mesi dalla entrata in vigore della legge, entro il quale gli stessi devono provvedere ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi ai principi dettati da tale legge. Per quanto riguarda le Regioni viene disposto che le Regioni a Statuto ordinario regolano le materie disciplinate dalla L. 212/2000 in attuazione delle disposizioni in essa contenute, mentre le Regioni a Statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella medesima legge[2] (art.1).
L'importanza della norma in argomento è sottolineata dalla valenza giuridica "rinforzata" delle disposizioni recate dallo Statuto che possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali[3]. Inoltre, secondo un filone ormai diffuso all’interno della suprema Corte di Cassazione, lo Statuto avrebbe un valore interpretativo di portata decisiva nei rapportati tra cittadini – contribuenti ed Ente impositore, pertanto il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. 212/2000, deve essere risolto dall’interprete nel senso più favorevole ai principi statutari.[4]
I principi affermati dallo Statuto, si possono raggruppare in tre categorie:
a) principi che stabiliscono vincoli per il legislatore e quindi non sono applicabili agli Enti locali;
b) principi direttamente applicabili agli Enti locali, la cui violazione si riflette sulla legittimità degli atti impositivi posti in essere e laddove non recepiti in atti regolamentari può esser causa di nomina di un commissario ad acta al fine di dare attuazione alla previsione normativa;
c) principi che per esplicare la propria efficacia nei confronti degli Enti locali vanno recepiti in atti regolamentari ed adattati al sistema locale, in quanto sono indirizzati all’Amministrazione Finanziaria. Qualora recepiti, la violazione degli stessi, configura profili di illegittimità nel procedimento impositivo.
Per parte della giurisprudenza[5], il mancato rispetto delle formalità procedimentali non determina l’illegittimità dell’atto di accertamento in quanto la legge non prevede sanzioni per l’inosservanza di questi adempimenti.
2. Principi che vincolano il legislatore
Il potere legislativo in materia tributaria è vincolato dai seguenti principi della L. 212/2000:
- la possibilità di adottare norme interpretative in materia tributaria soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica[6];
- il divieto per le leggi che non hanno un oggetto tributario di contenere disposizioni di carattere tributario, a meno che non siano attinenti all'oggetto della legge stessa (art.2, c.2);
- l’improrogabilità dei termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta (art.3). Con riferimento alle proroghe dei termini previsti dalle leggi finanziarie, la giurisprudenza ha ritenuto che le stesse non siano leggi speciali, bensì leggi generali che si occupano di tutto e che possono pertanto disporre legittimamente la proroga di termini[7]. Il legislatore con l’art. 1 c. 162 della L. 27 dicembre 2006, n. 296 – Finanziaria 2007- ha disposto di fatto la proroga dei termini per l’esercizio del potere di accertamento in materia di tributi locali, ancorché la norma incida sull’unificazione dei termini per l’esercizio del potere di accertamento. In merito, alle proroghe dei termini di prescrizione e decadenza da parte dell’Amministrazione qualora venga constatato un evento di carattere eccezionale che impedisca il regolare rispetto dei termini (art.1 l. 592/1985) la Corte costituzionale con sentenza 27 febbraio 2009 n. 56 ne ha ribadito la legittimità[8];
- il divieto di disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi tributi o la previsione dell'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti (art. 4).
3. Principi direttamente applicabili agli Enti locali
Rientrano nella seconda categoria, i seguenti principi direttamente applicabili agli Enti locali:
- chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie (art.2);
- conoscenza delle disposizioni vigenti in materia tributaria, anche curando la predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti (art.5);
- informazione al contribuente in ordine ai fatti che lo interessano (art.6), la cui comunicazione va effettuata nel luogo di effettivo domicilio, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico. Inoltre, prima di procedere a iscrizioni a ruolo o di negare un rimborso, se sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione, a pena di nullità, deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o i documenti mancanti concedendo allo stesso almeno 30 giorni (art.6, c.5). Viene ribadito l'obbligo dell'indicazione negli atti, compresi quelli degli Agenti della riscossione, delle autorità a cui ricorrere, dei termini e modalità del ricorso, dell'organo competente a riesaminare l'atto in sede di autotutela (organo che peraltro si identifica, come è noto, con lo stesso ufficio che ha emesso l'atto);
- la necessità di assicurare al contribuente residente all'estero le informazioni sulle modalità di applicazione delle imposte e la utilizzazione di moduli semplificati (art.14);
- l’irretroattività delle disposizioni tributarie (art.3), con esclusione di quelle favorevoli al contribuente[9]. A tal proposito si intendono abrogate eventuali normative di settore disciplinanti i singoli tributi che prevedono la possibilità di emanare ruoli speciali in materia di tributi, un esempio per tutte è rappresentato dall’ art. 33, del D.Lgs 30 dicembre 1992 n. 504, che autorizza gli Enti locali, anche nel corso dell’anno, non oltre il 30 novembre, a rideterminare in aumento le tariffe con effetto, dall’anno in corso per la tassa di smaltimento rifiuti solidi, nel caso in cui si evidenzi uno squilibrio nel rapporto tra spese impegnate ed entrate accertate. A tal proposito tale disposizione deve ritenersi tacitamente abrogata alla luce del divieto di retroattività delle norme in materia tributaria posto dall’art. 3 della legge 212/2000, per cui non è più possibile stabilire un tributo annuale in epoca successiva al 31 dicembre dell’anno precedente quello di riferimento, salvo che una norma successiva espressamente lo preveda e nei limiti temporali dalla medesima stabiliti per l’esercizio di tale potestà[10]. Inoltre, in materia di ICI deve ritenersi che la fissazione con delibera del valore delle aree fabbricabili avvalendosi della potestà regolamentare ai sensi dell’art. 59 del D.Lgs. n. 446/1997 non possa farsi retroattivamente[11]. Per gli Enti locali il termine ultimo per la deliberazione delle aliquote e delle misure dei tributi, nonché delle tariffe locali è fissato, dall’art.27, c. 8 della L 28 dicembre 2001, n.448, alla data prevista da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione;
- il divieto di stabilire adempimenti a carico del contribuente la cui scadenza risulti fissata prima che siano trascorsi 60 giorni dalla data in cui sia divenuta efficace la relativa deliberazione (art.3);
- l’applicazione delle modifiche introdotte ai tributi periodici solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle leggi che le prevedono. Tale principio va comunque coordinato con l’art.27, c. 8 della L. 448/2001 sopra citato il quale dispone che il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l'aliquota dell'addizionale comunale all'IRPEF e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli Enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1 gennaio dell'anno di riferimento. Tale principio è stato confermato dall’l’art. 1 c. 169 della L. n. 296 del 27 dicembre 2006 - Finanziaria 2007-. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno;
- l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi come d'altronde prescritto dall'art. 7 della L. 241/1990[12] (art.7, c.1), il cui fine è quello di consentire al cittadino la ricostruzione dell’iter logico-giuridico della pretesa erariale, onde consentirgli di espletare il proprio diritto di difesa. Pertanto l’atto impositivo soddisfa l’obbligo di motivazione quando, attraverso l’indicazione degli elementi costitutivi della pretesa pone il ricorrente nella condizione di potersi difendere”[13], consentendo di contestare l’an ed il quantum debeatur[14]. Tutti gli atti di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi devono essere motivati. La motivazione dell'atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto e non ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Ciò è previsto espressamente dall’art.6 c. 1 del D.Lgs. 32/2001 e dalla normativa di settore disciplinante i seguenti tributi locali: liquidazione ed accertamento dell’ICI (art. 11 del D.Lgs. 504/1992), rettifica ed accertamento dell’imposta comunale sulla pubblicità (art. 10, c. 1 del D.Lgs. 507/1993), accertamento e rimborso della TOSAP (art. 51, c. 2-bis, del D.Lgs. 507/1993)[15], accertamento della TARSU (art. 71, c. 2-bis, del D.Lgs. 507/1993). Si ritiene che detta prescrizione non trova applicazione laddove l’atto richiamato è una delibera comunale di giunta o di consiglio, in quanto essendo soggetta a pubblicità legale, si presume la conoscibilità della stessa da parte del contribuente[16]. L'atto è nullo se non sono osservate queste disposizioni[17]. L’obbligo di motivazione assume rilevanza, oltre che con riferimento ai singoli atti impositivi, anche con riferimento ai regolamenti ed agli atti generali (fissazione di tariffe ed aliquote) relativi ai tributi locali deliberati dall’Ente locale. Ad esempio la delibera di determinazione delle tariffe relative alla TARSU deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe[18]; così come per quanto riguarda la TIA analoga necessità di motivazione si pone con riferimento agli indici quali-quantitativi di produzione dei rifiuti e per quanto riguarda l’ICI, con riferimento alla misura dell’aliquota ICI deliberata dall’Ente in relazione al fabbisogno di bilancio. L’Amministrazione Finanziaria con la circolare 150/E del 1 agosto 2000 del Dipartimento delle Entrate – Direzione centrale accertamento e programmazione - ha invitato gli uffici ad allegare agli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni, copia degli atti richiamati nelle motivazioni ancorché gli stessi fossero gia stati comunicati o notificati al contribuente. Il principio in argomento prescritto dall’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, trova applicazione anche alla cartella di pagamento, tanto più quando tale cartella non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento. Pertanto anche nella cartella di pagamento l'Ente impositore ha "l'obbligo di chiarire, sia pure succintamente, le ragioni - intese come indicazione sia della mera causale che della motivazione vera e propria - dell'iscrizione nel ruolo dell'importo dovuto, in modo tale da consentire al contribuente un non eccessivamente difficoltoso esercizio del diritto di difesa[19];
- l’obbligo di indicare tassativamente negli atti (art. 7 c. 2 lett. a , lett b): a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato[20] e il responsabile del procedimento[21]; b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;
- l’obbligo di indicare negli atti (art. 7 c. 2 lett. c): le modalità, il termine e l’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente[22]. Per la giurisprudenza prevalente, la mancata osservanza della norma citata è da ritenersi una mera irregolarità, rendendo per lo più rilevante sul piano processuale l'eventuale scusabilità dell'errore in cui sia incorso il ricorrente[23] qualora derivi una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela;
- il diritto all'integrità patrimoniale. Quando si accerta in modo definitivo che l'imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore di quella accertata, il fisco è tenuto a rimborsare il costo della fideiussione che il contribuente ha dovuto chiedere per ottenere la sospensione del pagamento, la rateizzazione o il rimborso (art.8, c.4);
- la possibilità di estinguere l’obbligazione tributaria per compensazione (art.8). Con riferimento ai tributi locali, l’art. 1 c. 167 L. 27 dicembre 2006, n. 296 - Finanziaria 2007- ha stabilito che gli Enti locali disciplinano le modalità con le quali i contribuenti possono compensare le somme a credito con quelle dovute al Comune a titolo di tributi locali;
- la tutela dell'affidamento[24] e buona fede del contribuente, che tra l'altro ha interessato le disposizioni relative al sistema sanzionatorio previste dai decreti 471, 472 e 473 del 1997. Pertanto, non sono irrogate sanzioni al contribuente che ha seguito le indicazioni dell'amministrazione o in relazione a comportamenti derivati da ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione (art.10, c.1 e 2), così come non sono punibili gli errori formali che non rechino ostacolo all'accertamento e le violazioni dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria (art.10 c.3). Ad esempio in materia di aree edificabili ai fini ICI, sono intervenute in via interpretativa[25] dapprima le disposizioni di cui all’art.11-quaterdecies c. 16 della legge di conversione del D.L. 203/2005 e successivamente le disposizioni di cui all’art. 36 c. 2 D.L. 226/2006, convertito in L. 248/06, di conseguenza qualora un contribuente si sia adeguato a tale disposizione regolarizzando i versamenti ICI non si ritiene applicabile la relativa sanzione da parte dell’Ente. Con la prima delle sopra citate disposizioni il legislatore ha stabilito che ai fini ICI si configura l’edificabilità dell’area con la semplice previsione nello strumento urbanistico generale[26]. Con la seconda, invece, il legislatore ha precisato che l’art. 2, c. 1, lett. b), del D.Lgs. n. 504/92 va interpretato nel senso che, ai fini dell’applicazione dell’ICI, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo[27]. Per entrambe le disposizioni la Corte costituzionale ha respinto le eccezioni di incostituzionalità. Pertanto, con riferimento ad una siffatta area, l’ICI deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo peraltro conto anche di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione[28];
- l’introduzione dell'istituto dell'interpello[29] del contribuente, già previsto dall'art. 21 della L. n. 413/1991 (art.11). Quest’ultima disposizione stabilisce che, se vi sono "obiettive condizioni di incertezza" nella normativa, il contribuente può rivolgere un quesito all'Amministrazione Finanziaria, che deve rispondere entro 120 giorni. Se la risposta non arriva entro questo termine si intende che l'Amministrazione concordi con l'interpretazione prospettata dal contribuente (si applica, cioè, il c.d. "silenzio-assenso"). E' nullo qualunque atto emanato in difformità dalla risposta o dall'interpretazione desunta in base al silenzio-assenso (art.11). La procedura di interpello nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria è regolata da un apposito regolamento del 26 aprile 2001 (D.M. n. 209).
4. Principi che per esplicare la propria efficacia nei confronti dell’Ente locale vanno recepiti in atti regolamentari
Rientrano nella terza, ed ultima categoria i seguenti principi che ai fini dell’applicazione agli Enti locali necessitano di un recepimento ed adattamento da parte degli stessi con propria attività regolamentare:
- diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali (art.12). Tale disposizione è rivolta al personale del Ministero delle Finanze e della Guardia di Finanza in occasione dell’attività di verifica. Le verifiche esterne devono essere svolte "sulla base di esigenze effettive", in modo da recare il minimo intralcio possibile alle attività del contribuente, e non devono durare, di regola, più di 30 giorni, eventualmente prorogabili per altri 30 in casi di particolare complessità. Con riferimento ai tributi locali, infatti, le situazioni in cui si manifesta la necessità di accedere ai locali in cui sono svolte attività economiche o in quelli costituenti domicilio per effettuare controlli sul luogo sono ben rari. Un caso è rappresentato dal disposto degli artt. 71 e 73, D.Lgs. 507/1993 relativi all’accesso per effettuare rilevazioni sulla superficie tassabile ai fini TARSU. L’art. 73 prevede a garanzia dei diritti del contribuente che coloro che procedono all’accesso devono essere muniti di autorizzazione del sindaco e devono darne comunicazioni all’interessato almeno 5 giorni prima[30]. L’Ente con atto regolamentare può estendere tale disposizione agli altri tributi nonché può riconoscere al contribuente i diritti previsti dall’art. 12 della L.212/2001, ossia il dovere da parte del soggetto incaricato dell’accesso di informare il contribuente delle ragioni che l’hanno determinato e dei diritti e obblighi che lo riguardano; il contribuente ha diritto di farsi assistere da un difensore abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria; l’accesso deve durare il tempo necessario per eseguire le indagini sul luogo;
- emanazione un codice di comportamento che regoli le attività del personale addetto alle verifiche tributarie (art. 15). A tal fine è proponibile un codice di comportamento del personale addetto agli accertamenti dei tributi locali.
5. Il garante del contribuente
La figura del Garante è prevista dall'art. 13 della L. 212/2000, lo stesso interviene su sollecitazione di un contribuente o di un qualsiasi interessato che "lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e Amministrazione finanziaria", inoltre rivolge richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti; attiva le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente; rivolge raccomandazioni agli uffici per migliorarne i servizi.
Proprio il riferimento alla “Amministrazione Finanziaria" ed agli uffici con i quali lo stesso deve intrattenere rapporti quali il Ministro delle Finanze, la Direzione regionale, il Comando di zona della Guardia di finanza e con i relativi titolari delle funzioni esercitate da tali uffici, lascia intendere che le sue attribuzioni sono circoscritte al campo dei tributi erariali.
Pertanto lo stesso non ha competenze in materia di tributi locali, atteso che la norma non fa riferimento ai rapporti fra il Garante, le Regioni, le Province e i Comuni ed in considerazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti locali, riconosciuta dagli articoli 5 e 119 della Costituzione.
Pertanto i poteri del Garante del contribuente riguardano atti, prassi e comportamenti dell'Amministrazione Finanziaria, per tali dovendosi chiaramente intendere l'Amministrazione finanziaria statale, secondo quanto è dato arguire dall'art. 13, c. 6 della L. 212/2000[31].
A livello locale, gli Enti potrebbero riconoscere nell’ambito della propria autonomia impositiva che le attività del Garante siano svolte dal difensore civico, che per il ruolo di terzietà rispetto all’Amministrazione è l’organo più idoneo allo svolgimento. Infatti il Garante svolge un potere meramente sollecitatorio, cui non consegue per l’ufficio il dovere di annullare o ridurre la pretesa tributaria[32]. Non a caso, infatti, il generale potere di autotutela delle Regioni e degli Enti locali è previsto dall'art. 27, c. 1-ter, L. 18 febbraio 1999, n. 28, che sancisce per detti Enti, la previsione nei loro ordinamenti di appositi organi deputati all'esercizio del potere di revoca, annullamento e sospensione di atti concernenti i tributi di loro competenza.
[1] Corte Cost. ord. 5 luglio 2004 n. 216 per la quale i principi dello Statuto sono criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria, anche antecedente.
[2] Le disposizioni della presente legge si applicano anche nei confronti degli Agenti della riscossione (già concessionari) e degli organi indiretti dell'Amministrazione Finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l'attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura.
[3] Cass. sez. trib. 6 novembre 2003 n. 7080.
[4] Cass. sez. trib. 12 febbraio 2002 n. 17576.
[5] CTR Puglia 17 gennaio 2006 n. 150, per la quale non è illegittimo l'accesso presso i locali del contribuente, per rilevare la superficie imponibile, in mancanza dell'autorizzazione del sindaco e del preavviso di almeno cinque giorni, in quanto la legge non prevede sanzione per l'inosservanza di questi adempimenti.
[6] Corte Cost. 13 luglio 1995 n. 376; Corte Cost. 15 novembre 2000 n. 525 per la quale è possibile l’emanazione di disposizioni di interpretazione autentica anche in presenza di un diverso indirizzo omogeneo della Cassazione. Inoltre, per l’emanazione di disposizioni di interpretazione autentica, è sufficiente che l’interpretazione accolta rientri tra le possibili varianti interpretative del testo originale. Per la Cass. SS.UU. 28 settembre 2006 n. 25506 “l’emanazione di norme interpretative che incidono su procedimenti in corso, nei quali l’Amministrazione finanziaria è parte in causa, può essere in contrasto con l’art.111 della Costituzione”.
[7] CTR Perugia 17 aprile 2003 n. 24.
[8] La Corte Costituzionale gia con sentenza n. 177 del 1992 ed ordinanza n. 459 del 1992 ha affermato i seguenti principi: a) «la circostanza che al riscontro del presupposto di fatto da cui discende la proroga dei termini sia preposta una delle parti del rapporto tributario (e cioè l’amministrazione finanziaria) non vulnera il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione sia perché si tratta di attività accertativa, sia perché l’interesse dell’Amministrazione al regolare accertamento e riscossione delle imposte ha carattere di specialità e natura di valore primario, in quanto connesso al generale dovere di solidarietà dei singoli di concorrere alle spese pubbliche (art. 53 della Costituzione)»; b) la previsione di un tale potere di proroga «non determina uno sbilanciamento della norma in favore dell’amministrazione finanziaria, atteso che la proroga riguarda non solo i termini afferenti all’azione di accertamento o di riscossione dell’Amministrazione medesima, ma anche i termini di adempimento delle obbligazioni tributarie dei contribuenti e di altre prescrizioni a carattere formale poste a carico degli stessi»; c) qualora l’amministrazione finanziaria facesse, comunque, cattivo esercizio del potere di cui agli artt. 1 e 3 del decreto-legge n. 498 del 1961, il decreto emesso sarebbe «affetto da vizio di eccesso di potere per sviamento dalla causa» e, perciò, incidentalmente sindacabile dal giudice ordinario o tributario, con possibile disapplicazione dell’atto medesimo. Contra Cass. sez. trib. 2 luglio 2009 n. 15528 che interpretando restrittivamente la nozione di “eventi eccezionali”, ha ritenuto illegittima la proroga disposta dall’Amministrazione finanziaria, ritenendo la stessa conseguenza di inerzia o negligenza dell’Amministrazione.
[9] Cass. sez. trib. 20 dicembre 2000 n. 5931; Cass. sez. trib. 14 aprile 2004 n. 7080 per la quale “in caso di possibilità di fornire due interpretazioni alternative della disposizione deve essere preferita quella che non comporti la retroattività della misura fiscale più sfavorevole, in considerazione del principio generale dell'ordinamento tributario posto dall'art. 3 dello Statuto del contribuente, di cui alla L. n. 212 del 2000”; Corte Cost. ord. 6 dicembre 2006 n. 428 che con riferimento all’art. 3 comma 1 della l. 212/2000 ha precisato che il divieto di retroattività non ha rango costituzionale, pertanto sono ammesse disposizioni retroattive, a condizione che ci sia un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori costituzionalmente tutelati. Conforme Corte Cost. 9 ottobre 2000 n. 419; Corte Cost. 7 giugno 1999 n. 229; Corte Cost. 13 luglio 2005 n. 376; Corte Cost. 7 luglio 1994 n. 315.
[10] Ris. Min. Interno n.1352/05 del 6 maggio 2005 che ribadisce il divieto di rideterminare in aumento la TARSU in corso d’anno.
[11] In senso contrario CTR Venezia, sez. XXI, sezione staccata di Verona, 10 maggio 2004, n.23.
[12] Cass. sez. trib. 26 ottobre 2005 n. 1236; Cass. sez. trib. 30 gennaio 2007 n. 1905, la quale seppur ha esaminato una vicenda fattuale che si riferisce ad una fase anteriore alle modifiche apportate dallo Statuto dei diritti del contribuente e dal successivo D.Lgs. n. 32/2001, ha ritenuto applicabile la normativa sul procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241/90 anche all’accertamento tributario.
[13] Conforme Cons. di Stato Sez. IV 4 dicembre 2001 n. 2281; Cass. sez. trib. 3 dicembre 2004 n. 22764 che stabilisce che “un avviso di accertamento TARSU, in caso di evasione totale del tributo è da ritenersi congruamente motivato con l’indicazione delle superfici accertate senza che occorra alcuna ulteriore indicazione di atti o che sia necessario attivare le procedure di cui all’art.73 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507”. Conforme Cass. sez. I 29 ottobre 1999 n. 1209; Cass. sez. trib. 13 luglio 2000 n. 15050.
[14] Cass. sez. trib. 2 maggio 2002 n. 15525.
[15] Cass. sez. trib. 18 ottobre 2004 n. 20381 per la quale “l'art. 50, c. 2, D.Lgs. n. 507/1993 stabilisce che l'obbligo della denuncia di occupazione permanente di suolo pubblico non sussiste per gli anni successivi a quelli di prima applicazione della tassa, sempreché non si verifichino variazioni nella occupazione che determinino un maggiore ammontare del tributo. In tali casi - in cui il contribuente non ha un obbligo di denuncia di variazione - l'Ente territoriale non è tenuto ad emettere avvisi di accertamento - d'ufficio o in rettifica - ma, all'esito del controllo delle denunce e dei versamenti, provvede alla correzione di eventuali errori materiali o di calcolo, dandone comunicazione al contribuente. L'eventuale integrazione della somma già versata a titolo di tassa, accettata dal contribuente, è effettuata dal contribuente medesimo, mediante apposito versamento. Ora, stante tale contesto normativo - che prevede espressamente l'accettazione del contribuente - è evidente che nel caso (come il presente) di mancata accettazione da parte del contribuente della richiesta di integrazione della tassa, l'Ente territoriale (nella specie, Provincia) titolare del relativo potere impositivo (art. 39 D.Lgs. n. 507/1993), può iscrivere a ruolo il tributo ed emettere la relativa cartella di pagamento per la riscossione coattiva della tassa, senza notificare un previo avviso di accertamento. Tuttavia tale cartella, proprio perché consegue ad una non accettazione, da parte del contribuente, della integrazione della tassa richiesta dall'Ente deve necessariamente esplicitare, direttamente o per relationem, le ragioni di tale maggior pretesa tributaria”.
[16] Cass. sez. trib. 10 novembre 2004 n. 3551 per la quale “in tema di TARSU, le delibere comunali relative all'applicazione di un tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che debbono essere allegati agli avvisi di accertamento, atteso che si tratta di atti amministrativi di carattere generale che sono a disposizione del pubblico e vengono pubblicati con affissione all'albo pretorio; Cass. sez. trib. 25 febbraio 2005, n. 5755 per la quale l'obbligo di allegazione imposto dall'art. 7 dello Statuto del contribuente riguarda necessariamente, come precisato dal D.Lgs. 32/2001, un atto non conosciuto e non altrimenti conoscibile dal contribuente, mentre atti generali come le delibere consiliari sono comunque soggette a pubblicità legale e, quindi, la loro conoscibilità è presunta”. Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte Cass. sez. trib. 12 ottobre 2004, n. 21571, “l'obbligo motivazionale degli accertamenti ICI deve ritenersi adempiuto, conformemente a quanto accade nelle altre attività accertative in campo tributario, ogniqualvolta il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali per potersi adeguatamente difendere”. Contra Cass. sez. trib. 7 febbraio 2005 n. 6201 che in ordine ad un avviso di accertamento emesso ai fini ICI, e relativo alla tassazione di un’area fabbricabile, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento tributario allorquando lo stesso venga motivato per relationem. (Nella fattispecie esaminata l’avviso di accertamento ICI relativo ad un’area fabbricabile richiamava la delibera comunale che conteneva il tipo di zona ed i relativi valori al metro quadrato).
[17] Ad esempio sono affetti da nullità insanabile: a) l’avviso di accertamento in cui sono omessi l’indicazione dei criteri in base ai quali l’Amministrazione abbia rettificato i valori dichiarati dal contribuente; b) gli avvisi di classamento non adeguatamente motivati.
[18] Contra Cons. di Stato Sez. V 20 maggio 2003 n. 4117 per cui “l’art. 3 L. 8 agosto 1990 n. 241 al c. 2 dispone che la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale, pertanto il Comune non ha l’obbligo di motivare la quantificazione della misura di imposta all’interno dell’ambito stabilito”.
[19] Cass. sez. trib. 16 maggio 2007 n. 11251.
[20] I giudici di legittimità si sono più volte espressi in ordine all’omessa indicazione degli altri elementi richiesti dall’articolo 7, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente, diversi dall’indicazione del responsabile del procedimento, concludendo per la mera irregolarità degli atti di natura tributaria. Cfr. Cass. sez. trib. 13 dicembre 2007 n. 26116 per la quale “il principio secondo cui dalla erronea indicazione - da parte dell'autorità amministrativa - dei termini per ricorrere nonché dell'autorità giudiziaria da adire ai fini dell'impugnazione dell'atto amministrativo possa discendere errore scusabile vale a rimettere in termini il destinatario dell'atto, deve essere temperato con l'evidente e concorrente onere di autodiligenza per il contribuente”; Cass. sez. trib. 15 maggio 2003 n. 7558 per la quale “la mancanza, nell'atto di accertamento, della commissione competente a decidere sull'eventuale ricorso non determina alcun vizio dell'accertamento e, conseguentemente, alcuna nullità dell'atto, potendo, al più, risultare ostativa alla decorrenza del termine per impugnare”.
[21] L’articolo 36, comma 4-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, dispone che: “La cartella di pagamento di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse”. Per effetto di tale disposizione, le cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati dal 1° giugno 2008 devono contenere, a pena di nullità, l’indicazione dei responsabili dei procedimenti di iscrizione a ruolo (ente creditore) nonché di emissione e notificazione della medesima cartella di pagamento (agente della riscossione).
[22] Cass. SS.UU. 29 aprile 2004 n. 10952 per la quale “non assume rilievo l’erronea indicazione, contenuta nell'ingiunzione di pagamento emessa dal Comune, in materia di ICI, dell'organo giurisdizionale davanti al quale proporre l'impugnativa, potendo tale errore tutt'al più incidere sulla decorrenza del termine per impugnare, senza alcuna influenza sulla giurisdizione, identificabile sulla base di regole inderogabili”; Cass. 1 aprile 2004 n. 12070 per la quale “l’ obbligo di indicare nell’atto tributario la Commissione tributaria competente per territorio…comporta che l’autore dell’atto impositivo deve individuare in concreto la specifica Commissione tributaria competente per territorio, non essendo sufficiente una indicazione generica e ripetitiva della formula usata dal legislatore; tuttavia l’omessa od incompleta indicazione della Commissione non comporta una nullità dell'atto sia perché una tale conseguenza non è prevista dal legislatore, e sia perché si tratta di una semplice irregolarità del tutto irrilevante, poiché scopo della norma è soltanto quello di agevolare il compito del contribuente che voglia impugnare l’atto”. Cass. sez. trib. 29 settembre 2003 n. 14482 per la quale “per delineare quello che è stato definito il contenuto minimo dell'avviso di accertamento si e' fatto riferimento al suo carattere di provocatio ad opponendum, affermandosi che esso soddisfa la sua funzione ogni qualvolta l'Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi (ricognitivi e logico-deduttivi) essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'an e il quantum debeatur attraverso una motivata e tempestiva impugnazione”. Cass. sez. trib. 19 dicembre 2002 n. 7558; Cass. sez. trib. 6 dicembre 2001 n. 3865 per la quale “la mancata indicazione del termine e dell'organo giurisdizionale davanti al quale proporre l'impugnativa non determina alcun vizio comportante l’annullamento dell’avviso di accertamento, in considerazione che la legge non commina espressamente alcuna nullità, salvo che ne derivi una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela attivabili dal ricorrente”.
[23] Cons. di Stato sez V 4 giugno 2002 n. 501; Cass. SS.UU. 16 dicembre 1999 n. 362.
[24] Cfr. Cass. sez. trib. 13 maggio 2009 n. 10982 per la quale “ il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino, reso esplicito in materia tributaria dallo Statuto dei diritti del contribuente, trovando origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., espressamente richiamati dall’art. 1, medesimo statuto, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa. La previsione dell’art. 10 dello statuto - a differenza di altre che presentano un contenuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente - è dunque espressiva di principi generali, anche di rango costituzionale, immanenti nel diritto e nell’ordinamento tributario anche prima della legge, sicchè essa vincola l’interprete, in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a Costituzione, risultando così applicabile sia ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, sia ai rapporti fra contribuente ed ente impositore diverso dall’amministrazione finanziaria dello Stato, sia ad elementi dell’imposizione diversi da sanzioni e interessi, giacché i casi di tutela espressamente enunciati dal detto art. 10, comma 2 riguardano situazioni meramente esemplificative, legate a ipotesi maggiormente frequenti, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti”. In tal senso Cass. sez. trib. 22 giugno 2006 n. 21513 e Cass 10 dicembre 2002 n. 17576.
[25] In merito alla efficacia di tali norme di natura interpretativa si richiamano i principi affermati dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 41 del 27 febbraio 2008 in base alla quale “l’interpretazione fornita dal legislatore tributario, per il tramite dell’ art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, risulta compatibile con la formulazione letterale dell’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 504/1992 ed annoverabile fra le soluzioni ermeneutiche ammesse dalla citata disposizione”. Conseguentemente, la Corte ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sottopostale in quanto l’art. 2 della L. 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui «L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica», non osta all’adozione di disposizioni di interpretazione autentica in quanto nella gerarchia delle fonti lo statuto non ha valore superiore a quello della legge ordinaria ed in considerazione che la potenzialità edificatoria dell’area, ancorché accordata da strumenti urbanistici il cui iter non sia stato perfezionato costituisce elemento suscettibile di attribuire un incremento del valore venale all’immobile.
[26] Cass. sez. trib. 11 maggio 2004 n. 16751 che in merito all’applicazione della lett. b) c. 1 dell’art. 2 D.Lgs. 504/1992, ha ritenuto le sanzioni non applicabili in base all’art. 10, c. 3 L. 212/2000 in quanto detta norma in un unico contesto si riferiva sia a strumenti urbanistici generali, sia particolari e sia al concetto di “possibilità effettive di edificazione”. Pertanto, ai fini della applicazione dell'Ici deve essere considerata come edificabile l'area tale qualificata da un piano regolatore generale senza che occorrano piani regolatori già attuabili o particolareggiati, dell'assenza di un piano attuativo dello strumento generale si deve però tenere conto nella individuazione della base imponibile, ai sensi dell'art. 5, n. 5, D.Lgs. n. 504 del 1992. Deve essere esclusa la applicazione delle sanzioni per omessa denuncia di un cespite imponibile ai fini Ici, quando in relazione ad un periodo di tempo in cui la tassabilità del cespite stesso era incerta; nel caso di specie non essendo ancora stata definita dalla risoluzione dell'Amministrazione finanziaria del 17 ottobre 1997, n. 209/E la nozione di area edificabile e non avendo ancora il Comune dato attuazione alla norma che lo facoltizza definire il valore delle aree edificabili.
[27] In merito alla edificabilità dei suoli in presenza di uno strumento urbanistico generale, anche se non definitivamente approvato e privo degli strumenti attuativi si veda anche Cass. Sez. trib. 2 luglio 2009 n. 15558; Cass. Sez. trib. 28 gennaio 2008 n. 1861; Cass. Sez. trib. 3 dicembre 2007 n. 25166; Cass. Sez. Trib. 27 luglio 2007 n. 16712; Cass. SS.UU. 30 novembre 2006 n. 25506. Contra Cass. Sez. trib. 3 febbraio 2006 n. 2387. Circolare Agenzia delle entrate n. 28/E/06. Cass. Sez. trib. 24 ottobre 2008 n. 25672 in base alla quale “laddove il piano regolatore generale del Comune abbia destinato una determinata area a verde pubblico attrezzato, tale prescrizione urbanistica sottrae al privato la facoltà di trasformazione edificatoria del bene in quanto rivolto alla fruizione pubblica dello spazio con conseguente esclusione della natura edificabile dell’area medesima”. In tal senso Cass. sez. I 14 giugno 2007 n. 13917 con la quale è stato ribadito “il principio ripetutamente enunciato” secondo cui “ove la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico; attrezzature pubbliche; ecc.), la classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione”. Cass. Sez. trib. 23 settembre 2004 n. 19161 che ha precisato che “qualora, la zona sia stata concretamente e particolareggiatamente vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico, che non ne tollera la realizzazione ad iniziativa privata neppure attraverso strumenti di convenzionamento, la classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione come tali soggette al regime autorizzatolo previsto dalla vigente legislazione edilizia, con la conseguenza che l'area va qualificata come non edificabile; qualora, invece, il vincolo posto dalla classificazione introduca una destinazione realizzabile non solo mediante interventi (o successive espropriazioni) di natura pubblica ma anche ad iniziativa privata (non importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa), o promiscua pubblico - privata, detto vincolo non è idoneo ad escludere la vocazione edificatoria del suolo (così Cass. n. 11729/2003, proprio in fattispecie avente a oggetto area compresa in zona F/1; vedi, altresì, Cass. Sez. Un. nn. 172/2001 e 173/2001 nonché Cass. nn. 3298/2000, 8028/2000, 9669/2000, 2641/2003)”. Nel caso esaminato è stato ritenuto che la destinazione attribuita all'area dalla classificazione in zona F/1 comporta l'attribuzione alla stessa di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, essendo consentito ai privati proprietari di realizzare le opere previste e, quindi, di sfruttare economicamente il loro diritto dominicale.
[28] Cass. SS.UU. 28 settembre 2006 n. 25506. Tale interpretazione – che risolve un contrasto insorto nella giurisprudenza della Sezione Tributaria della Cassazione tra l’indirizzo “sostanzialistico”, accolto dalle Sezioni unite, e quello “formale-legalistico” secondo il quale la qualifica di area edificabile presupporrebbe, anche ai fini fiscali, che le procedure per l’approvazione degli strumenti urbanistici siano perfezionate – trova conferma nel D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248 – intervenuto dopo che le stesse Sezioni Unite erano state investite del riferito contrasto - , che, all’art. 36, c. 2, fornisce una chiave interpretativa da utilizzare, per espressa volontà del legislatore, nell’applicazione delle disposizioni relative, oltre che all’ICI, anche all’IVA, al TUIR ed all’imposta di registro.
[29] Per l’applicazione dell’istituto dell’interpello agli Enti locali si veda Parte I, Capo V.
[30] Cass. sez. trib. 15 giugno 2006 n. 18836 per la quale “la mancata comunicazione al contribuente della data di accesso all'immobile da parte dei funzionari comunali, per la verifica delle superfici ai fini dell'applicazione della Tarsu (art. 73 D.Lgs n. 507/1993), non inficia la validità delle misurazioni effettuate che possono essere poste a base di un avviso di accertamento, poiché l'attività di accertamento tributario non è retta dal principio del contraddittorio”. Nell’ipotesi di rifiuto all’accesso da parte della società ricorrente nei confronti dei funzionari comunali, l’Ente locale avrebbe potuto procedere a mezzo di presunzioni, così come previsto dal comma 3 dell’articolo 73, a mente del quale “In caso di mancata collaborazione del contribuente od altro impedimento alla diretta rilevazione, l'accertamento può essere effettuato in base a presunzioni semplici aventi i caratteri previsti dall'articolo 2729 del codice civile”. In senso conforme Cass. sez. trib. 25 novembre 2005 n. 28764; Cass. sez. trib. 24 novembre 2005 n. 2948; Cass. sez. trib. 24 gennaio 2005 n. 5093; Cass. sez. trib. 8 novembre 2002 n. 6232. Contra Cass. sez. trib. 17229 del 2006 resa in materia di studi di settore che propende per un indirizzo formalistico che ha stabilito che “in tema di accertamenti tributari, gli studi di settore, di cui all'art. 62-bis del D.L. n. 331 del 1993, convertito nella L. n. 427 del 1993, costituiscono atti amministrativi generali di organizzazione che non sono sufficienti a realizzare l'accertamento di un rapporto giuridico tributario. Infatti, perché si pervenga a tale risultato occorre il completamento dell'attività istruttoria amministrativa, nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, consentendo al contribuente, che voglia vincere la presunzione posta dagli studi di settore, ai sensi dell'art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di adire il giudice tributario”.
[31] TAR Puglia 25 novembre 2004 n. 5477, che ha annullato la deliberazione del Garante del contribuente per la Puglia con la quale si avviava un procedimento in autotutela relativamente agli avvisi di accertamento in materia di canone per occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) emanati da un Comune della Regione.
[32] Cfr. Circ. Min. Fin. n. 59/E del 18 giugno 2001.
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