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5. L’impugnazione dei regolamenti e degli atti generali ritenuti illegittimi. Disapplicazione
Il giudice tributario non ha alcun potere di invalidazione degli atti autoritativi di presupposto, cioè dei provvedimenti di carattere generale, che in quanto riguardanti interessi legittimi sono impugnabili davanti al giudice amministrativo[27]:
- deliberazioni degli Enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi genere;
- deliberazioni di determinazione delle aliquote e tariffe;
- deliberazioni di approvazione dei regolamenti dei tributi;
- regolamenti che disciplinano i singoli tributi, la conciliazione giudiziale, l’accertamento con adesione, le esenzioni e agevolazioni.
L’atto generale costituisce soltanto un presupposto dell’atto impositivo e nell’impugnazione di quest’ultimo dinanzi al giudice tributario, il contribuente ha l’onere di eccepire l’illegittimità di tale atto, in modo che la Commissione accertandone l’illegittimità lo possa disapplicare, limitatamente all’oggetto dedotto in giudizio ed al caso sottoposto al suo esame, ai fini dell’annullamento dell’atto impositivo[28]. La disapplicazione assicura la tutela del contribuente che pur non ottenendo la rimozione dell’atto generale illegittimo può far sì che non produca effetti lesivi nei suoi confronti, per effetto della cognizione incidentale della Commissione, nonché può riguardare anche un atto divenuto inoppugnabile per l'inutile decorso dei termini ai fini della sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo[29]. Gli effetti della pronuncia sono limitati al caso deciso e la valutazione da parte del giudice tributario della legittimità del regolamento non potrà avere effetti di sorta fuori del giudizio.
Pertanto, ove il contribuente deduca l'illegittimità di un atto di accertamento eccependo l'illegittimità della norma regolamentare su cui esso si fonda, il giudice di merito deve valutare incidenter tantum (e quindi con effetti limitati all’oggetto dedotto in giudizio e senza che la sua decisione possa assumere efficacia di giudicato) la legittimità delle norma regolamentare che rappresenta l’atto amministrativo presupposto, secondo il condiviso principio per il quale: "il giudice munito della giurisdizione sulla domanda ha il potere-dovere di definire le questioni che integrino antecedente logico della decisione a lui richiesta, fino a quando le stesse rimangano su un piano incidentale, e non aprano, per previsione di legge o per libera iniziativa delle parti, una causa autonoma, di carattere pregiudiziale, su cui si debba statuire con pronuncia atta ad assumere autorità di giudicato"[30]. Inoltre, nei confronti degli atti di carattere generale o normativi non trova applicazione nel diritto tributario l’istituto della acquiescenza, pertanto non può attribuirsi al riconoscimento fatto dal contribuente, di essere tenuto al pagamento di un tributo, l’effetto di precludere ogni contestazione in merito alla legittimità del regolamento[31].
Pertanto, tutte le volte che oggetto della controversia è l'esercizio di un potere discrezionale, come quello in esame, residua la competenza del giudice amministrativo[32], mentre al giudice tributario sono devolute le controversie attinenti dell'esecuzione della pretesa tributaria. Ciò in quanto, ha per oggetto un iter procedimentale che precede il sorgere dell’obbligazione tributaria e che sfocia nell’adozione di un atto amministrativo generale assunto dalla pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere d’imperio, avente natura discrezionale[33] e che incide su interessi legittimi.
A tale conclusione si perviene da un esame delle seguenti norme del D.Lgs. 546/1992, che verranno esaminate nei successivi capitoli:
- art. 2 c. 1, che disciplina l’oggetto della giurisdizione tributaria, secondo il quale "il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacita delle persone, diversa dalla capacita di stare in giudizio";
- art. 19, che elenca gli atti impugnabili tipici e nominati innanzi alle Commissioni tributarie, e tra i quali non sono compresi i regolamenti e gli atti amministrativi;
- art. 7 c. 5, che consente la disapplicazione dei regolamenti da parte del giudice tributario, secondo cui "le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento od un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente”. Quest’ultima disposizione trae fondamento nell’art. 5 della L. 20 marzo 1865, n. 2248 allegato E in base alla quale “… le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi e i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi” (c.d. pregiudiziale amministrativa).
Tra le molteplici pronunce del giudice amministrativo aventi ad oggetto la legittimità di atti generali emanati dagli Enti locali si segnalano le seguenti:
- Cons. di Stato Sez. V 11 maggio 2007 n. 2341, in base alla quale è legittima ed immune da vizi la deliberazione comunale che, in puntuale esecuzione della particolare previsione agevolativa prevista dall'art. 1, comma 86, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, sulla facoltà di accordare agevolazioni tributarie agli esercizi commerciali e artigianali situati in zone precluse al traffico a causa dello svolgimento di lavori pubblici di durata superiore a sei mesi, abbia escluso dall'esenzione un albergo, trattandosi di attività non riconducibile alle categorie economiche indicate dalla legge. Infatti, la citata disposizione, in quanto diretta all'attribuzione di un beneficio in deroga alla generale norma per la quale chi si avvale di un pubblico servizio è tenuto a pagare il corrispettivo stabilito, deve considerarsi di carattere speciale e, pertanto, di stretta interpretazione e non suscettibile di applicazione estensiva. Ne consegue che, del beneficio che essa consente di elargire, possono fruire solo le categorie di soggetti espressamente individuate (gli "esercizi commerciali ed artigianali") ma non altri, ivi compresi gli esercenti attività alberghiera, che, dovendo essere ricompresa tra le attività industriali, non è parificabile in alcun modo a quelle citate dalla normativa in questione;
- TAR Toscana 20 marzo 2008 n. 411, in base alla quale la disciplina del procedimento amministrativo consente, alla luce delle disposizioni in materia di determinazione della quota di compartecipazione dei Comuni all’addizionale IRPEF, la ratifica (anteriormente all’annullamento giurisdizionale) dell’atto viziato per incompetenza (delibera adottata dalla Giunta Comunale in luogo del Consiglio) per il tramite dell’emissione di un nuovo provvedimento che consegue efficacia sanante ex tunc. Infatti, ricorda il giudice amministrativo, che gli atti viziati da incompetenza dell'organo emanante possono essere legittimamente convalidati con efficacia retroattiva in sede di autotutela dall'organo competente, anche se avverso di essi penda impugnativa, fino a quando non ne sia intervenuto l’annullamento. Il provvedimento adottato ai sensi della norma citata costituisce un provvedimento di ratifica - o di convalida secondo la terminologia adottata dal legislatore - il quale si sostituisce all'atto viziato con effetto "ex tunc".
Tra le molteplici pronunce in tema di disapplicazione di regolamenti oppure atti generali degli Enti locali si segnalano le seguenti:
- Cass. sez. trib. 6 maggio 2005 n. 9415, che ha esaminato la controversia relativa all'impugnazione di una cartella esattoriale da parte di un campeggio che sosteneva l'intassabilità, ai fini Tarsu, di talune aree e l'inadeguatezza dell'imposizione in considerazione del fatto che l'attività non era stata svolta nell'intero anno. La Suprema Corte ha statuito che una volta accertate le circostanze che il criterio di tassazione, fissato dal regolamento comunale disattendeva le disposizione dell'art. 62 del D.Lgs. n. 507/1993, e che, d'altronde, la domanda della parte era sottesa all'annullamento della cartella, previa disapplicazione del regolamento comunale in quanto illegittimo, i Giudici di merito, avrebbero dovuto limitarsi, in ossequio a quanto disposto dall'art. 7 del D.Lgs. 546/1992 e dall'art. 112 c.p.c., alla disapplicazione della disposizione regolamentare, ed all'esame e valutazione della legittimità o meno dell'atto impugnato alla stregua della normativa vigente ed applicabile. Diversamente statuendo, e quindi ove si pronunci sul merito della imposta determinandone l'ammontare in base a parametri diversi rispetto a quelli indicati dall'Ente impositore ritiene il collegio, che la Commissione regionale, sia incorsa nel vizio di violazione dell'art. 7, c. 5, D.Lgs. n. 546/1992 e dell'art. 112 c.p.c., in quanto non ha facoltà di fissare nuovi e diversi parametri;
- Cass.SS.UU. 2 marzo 2006 n. 6265, che ha disapplicato la delibera tariffaria in materia di TARSU da applicare nei confronti di esercizi alberghieri, in considerazione della notevole differenza esistente con la tariffazione delle civili abitazioni;
- Cass. sez. trib. 4 febbraio 2005 n. 10308, in materia di imposta di pubblicità e pubbliche affissioni, che hanno interpretato l'art.4 del D.Lgs. 507/1993, indicando che l'Ente locale può individuare a propria discrezione e con apposito regolamento le zone "speciali" in cui l'imposta sulla pubblicità sia più costosa;
- Cass. SS.UU. 9 novembre 2001 n. 3030, in materia di TARSU, per la quale laddove la contestazione investa direttamente i cosiddetti atti autoritativi presupposti, e cioè i provvedimenti di carattere generale (regolamento e tariffa), la competenza giurisdizionale spetta al giudice amministrativo, mentre sono devolute alla cognizione delle commissioni tributarie le controversie concernenti i tributi comunali e locali tutte le volte in cui il contribuente abbia a contestare, nell'an e nel quantum, la pretesa impositiva azionata dall'Ente territoriale, impugnando, per l'effetto, gli atti impositivi, e così ponendo in discussione la specifica obbligazione tributaria ad essi riferibile (art. 2 c. 1 lett. h, del D.Lgs. 546/1992).
[27] Cons. di Stato Sez. IV 12 dicembre 2000 n. 732; Conforme Cons. di Stato Sez. IV 12 dicembre 2000 n. 735; Cons. di Stato Sez. V 10 febbraio 1998 n. 544.
[28] Cass. SS.UU. 2 marzo 2006 n. 6265 per la quale “non è ravvisabile il difetto di giurisdizione, nell'ipotesi in cui il giudice tributario disapplichi un atto amministrativo di carattere generale” - nello specifico una delibera comunale relativa alla tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) - al fine di decidere un giudizio relativo a uno specifico rapporto tributario.
[29] Cass. sez. trib. 15 ottobre 200 n. 4567.
[30] Cass. SS.UU. 27 febbraio 2003 n. 6631; Cass. SS.UU. 9 novembre 2001 n. 3030.
[31] Cfr. Cass. sez. trib. 1 marzo 2005 n. 16427 per la quale “al contribuente, che non abbia contestato per un anno l’applicazione della TARSU, non è preclusa la possibilità di impugnare in via incidentale il regolamento TARSU”.
[32] Cass. sez. trib. 4 novembre 2004 n. 22569 per la quale “in caso di annullamento da parte del giudice amministrativo la pubblica amministrazione può sostituire ora per allora l’atto annullato con un nuovo atto, dal medesimo contenuto sostanziale”, nel caso in esame trova applicazione la delibera comunale che ribadisce con efficacia retroattiva le aliquote ICI contenute in una precedente delibera annullata dal TAR per difetto di motivazione ed istruttoria. In tal senso Cons. Stato sez. IV 30 gennaio 2001 n. 1801.
[33] TAR Toscana 1 febbraio 2005 n. 315 in merito alla legittimità di una delibera comunale di determinazione della aliquote ICI. In tal senso Cons. Stato Sez. VI 30 settembre 2004 n. 6353 per cui “l’impugnazione dei regolamenti concernenti il contributo annuale per la sicurezza sanitaria, introdotto dalla L. 388/2000, non appartiene alla competenza del giudice tributario. Infatti, tutte le volte che oggetto della controversia è l’esercizio di un potere discrezionale residua la competenza del giudice amministrativo, mentre al giudice tributario sono devolute le controversie attinenti l’esecuzione della pretesa tributaria”. Conforme Cass. SS.UU. 25 maggio 2006 n. 20318 per la quale “è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo l'impugnazione del D.M. con cui il Ministro delle politiche agricole e forestali, in forza della delega contenuta nell'art. 59, c. 1, L. 23 dicembre 1999, n. 488, sostituito dall'art. 123, c. 1, lett. a), L. 23 dicembre 2000, n. 388, forma ed aggiorna l'elenco dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti di sintesi, il cui fatturato alla vendita costituisce la base imponibile sulla quale dev'essere applicato il prelievo del 2% a titolo di contributo annuale per la sicurezza alimentare”. Si tratta infatti di un atto amministrativo generale, posto a monte dell'accertamento e della determinazione in concreto del tributo, ed avente una funzione di integrazione del precetto legislativo, consentita dalla natura non assoluta della riserva di legge in materia tributaria. La controversia esula pertanto dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, il cui potere di annullamento riguarda soltanto gli atti indicati dall'art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non si estende agli atti amministrativi generali, dei quali l'art. 7 del medesimo D.Lgs. consente soltanto la disapplicazione, ferma restando l'impugnabilità degli stessi dinanzi al giudice amministrativo, non già nei confronti dell'Ente impositore, ma nei confronti del Ministero delle politiche agricole e forestali, al quale, come soggetto estraneo al rapporto tributario, non e' riconosciuta legittimazione processuale nel giudizio tributario.