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4. Il potere regolamentare degli Enti locali ed i propri limiti
Il potere regolamentare degli Enti locali incontra due ordine di limiti, uno interno e l’altro esterno[9], la cui violazione può determinare:
a) la impugnazione dell’atto regolamentare presso la giurisdizione amministrativa[10];
b) oppure la disapplicazione del regolamento per sua illegittimità da parte del giudice tributario in relazione all'oggetto dedotto in giudizio.
Il primo ordine di limiti (interni) discende dalla formulazione letterale del c.1 dell'art. 52 D.Lgs 446/1997, in base al quale è preclusa la possibilità di modificare, con norma regolamentare, gli elementi essenziali della prestazione impositiva costituiti:
- dal presupposto di applicazione del tributo;
- dalla base imponibile e dai criteri per la sua determinazione;
- dalla soggettività passiva e dalla misura massima di tassazione[11].
Un secondo ordine di limiti (esterni) va ricercato nella Costituzione nonché nei principi generali dell'ordinamento tributario vigente, nel senso che i regolamenti tributari non possono invadere il campo d'azione riservato alle disposizioni costituzionali ed agli atti di normazione primaria (casi di riserva di legge).
L'art. 119 Cost. nel riconoscere l'autonomia impositiva degli Enti locali ne fissa anche i limiti che sono rappresentati dalla necessità di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e che si identificano:
- nella riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost., in base alla quale nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge. Quindi, la potestà regolamentare pur espandendosi fino al punto di consentire all’Ente locale di non applicare le disposizioni di legge vigenti, non consente tuttavia di contravvenire al principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.[12]. Un’autonoma potestà di istituzione di nuovi tributi da parte degli Enti locali sarebbe stata, infatti, ipotizzabile solo qualora la L. Cost. n.3/2001 avesse abrogato l’art. 23 Cost.. Le argomentazioni finora svolte, trovano ulteriore conferma nel nuovo art. 114 Cost. che definisce gli Enti territoriali quali “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione” e nel nuovo art. 118 c. 2, per il quale gli Enti locali “sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Nel nuovo contesto costituzionale sono, comunque, da superare quelle interpretazioni dell’art. 23 - si ricordi che la prima parte della Costituzione non ha subito alcun ritocco - che hanno inteso la riserva di legge in materia di prestazioni imposte esclusivamente come riserva di legge statale[13]. Tale riserva, infatti, dovrebbe ora ritenersi estesa anche alla legge della Regione, in considerazione della attribuzione ad essa della legislazione esclusiva in tema di tributi regionali e locali e alla sua formale equiordinazione con la legge statale. Così come sussiste, ai sensi dell’art. 23 Cost., una riserva di legge statale per le prestazioni patrimoniali imposte[14] tra cui rientrano i tributi statali, deve perciò sussistere, ai sensi dello stesso articolo e dell’art. 117 c. 4, Cost. una riserva di legge regionale per i tributi regionali e per quelli locali[15];
- nel principio di legalità di cui all'art. 25 Cost., recepito nel testo dell'art. 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 che disciplina la materia delle sanzioni tributarie, in base al quale “nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Per cui l'Ente non può modificare il sistema sanzionatorio recato dai D.Lgs. 18 dicembre 1997 nn. 471, 472, e 473, in quanto modellato sulla base di criteri prettamente penalistici;
- nelle questioni che riguardano temi indisponibili agli Enti locali, quali la riserva di legge in materia giurisdizionale di cui all'art.113 Cost. A tal proposito, l'art. 12 della L. finanziaria 2002 (L. 28 dicembre 2001 n. 448) ha attribuito al giudice tributario la competenza a decidere tutte le controversie riguardanti i “tributi comunali, provinciali e regionali”[16], sgombrando il campo dall'ambigua precedente formulazione dell'art. 2 c. 1 lett. h), del D.Lgs. 546/1992 che prevedeva l'assoggettamento alla giurisdizione di tutti i tributi comunali e locali. Al riguardo, in passato, vi era chi restringeva la previsione ai soli “tributi comunali” e ai “tributi locali minori”, con esclusione di alcuni tributi provinciali e regionali (addizionale provinciale sul consumo dell'energia elettrica, controversie in materia di tasse automobilistiche…).
Altri limiti esterni sono fissati da norme di legge e riguardano:
- i criteri direttivi fissati dalla legge cui va uniformato il contenuto dei regolamenti in materia impositiva ed in particolare quelli adottati ai sensi del c. 5 dell'art. 52 D.Lgs. 446/1997, in materia di affidamento a terzi dell'accertamento e/o riscossione dei tributi; quelli adottati ai sensi dell'art.56 dello stesso decreto legislativo, per l'istituzione dell'imposta provinciale di trascrizione; quelli adottati ai sensi del pto l) del c.1 dell'art. 59 del citato decreto legislativo, per la modifica del procedimento di accertamento ICI;
- le agevolazioni e le esenzioni previste dalle leggi statali, che non possono quindi essere compresse, se non in presenza di una specifica disposizione, come quella contenuta nell'art. 59 D.Lgs. 446/1997 in tema di ICI. La Corte Costituzionale con sent. 22 febbraio 2006 n. 75 in merito ad un procedimento promosso nei confronti della Regione Friuli Venezia Giulia che attribuiva ai comuni del territorio la facoltà di prevedere esenzioni ai fini ICI per determinati soggetti con la finalità di agevolare lo sviluppo imprenditoriale ha dichiarato l’incostituzionalità di detta legge regionale. Ciò in considerazione che l’ICI è un tributo la cui disciplina è di competenza statale, pertanto le Regioni non possono derogare alla legge statale, mentre i Comuni possono disciplinare tale imposta nei limiti di quanto attribuito dal legislatore statale;
- i termini per la richiesta di rimborso delle somme indebitamente pagate, che non possono essere abbreviati;
- i termini di decadenza e prescrizione stabiliti per l’accertamento, la liquidazione e la riscossione dei tributi che non possono essere modificati in senso peggiorativo[17];
- il rispetto e la tutela dei principi generali dell'ordinamento tributario fissati espressamente nel nostro ordinamento con l'approvazione dello Statuto dei diritti del contribuente, avvenuta con L. 27 luglio 2000, n. 212;
- il rispetto dei principi fissati dal diritto comunitario. Sulla base di tali principi, la tassa sui marmi a favore del comune di Carrara istituita con L. 15 luglio 1911, n. 749 modificata dall’art.55, c.18 della L. 27 dicembre 1997 n. 449 ed applicata e riscossa dal Comune all’uscita dei marmi dai suoi confini è stata definita come una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale all’esportazione[18] ai sensi dell’art. 23 del Trattato CE. La stessa sorte è toccata al tributo ambientale imposto dalla Regione Sicilia, che colpisce il gas metano proveniente dall'Algeria previsto dall'art. 6 della legge regionale siciliana 26 marzo 2002, n. 2, recante disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2002. Secondo la Corte costituisce tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale, incompatibile con la normativa europea sulla libera circolazione delle merci[19]. Infatti, secondo le disposizioni del Trattato CE, la Comunità si fonda su un'unione doganale che comporta il divieto di qualsiasi dazio e tassa di effetto equivalente all'importazione ed all'esportazione fra gli Stati membri e l'adozione di una tariffa doganale comune per gli scambi tra gli Stati membri e i Paesi terzi. Costituisce tassa di effetto equivalente qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente, da una autorità pubblica di uno stato membro, indipendentemente dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisce le merci per il fatto che esse attraversano una frontiera. Recentemente, l’art. 6 della L. 25 febbraio 2008 n. 34 recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007) ha riscritto il procedimento di rivalsa da parte dello Stato nei confronti di regioni o altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario derivanti dalla normativa comunitaria[20], precedentemente disciplinato dai commi da 1213 a 1223 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
La potestà regolamentare riconosciuta agli Enti locali in materia di tributi propri non può, comunque, limitarsi al semplice recepimento della normativa statale, bensì deve rappresentare l’opportunità per introdurre nel sistema normativo locale elementi specifici mutuati dalla realtà locale, al fine di adattare la normativa statale alla realtà locale. Tale opportunità è stata riconosciuta ad esempio in materia di ICI dall’art. 59 D.Lgs. 446/97 che ha consentito ai Comuni, di avvalesi del potere regolamentare al fine di individuare per talune fattispecie, la possibilità di travalicare, entro determinati spazi, i limiti che si pongono al potere regolamentare di cui al c.1 art. 52[21].
Il privilegio per la potestà regolamentare degli Enti locali di cui all'art. 52 del D.Lgs. 446/1997 è riconosciuta nelle pronunce del giudice amministrativo. In particolare con l'ord. 28 agosto 2001, n. 4989 il Consiglio di Stato si è pronunciato in sede di impugnazione dell'ord. 8 giugno 2001, n. 171 con la quale, in sede cautelare il TAR Basilicata aveva dichiarato l'esclusività della riscossione della TARSU a mezzo ruolo (secondo quanto previsto in materia di riscossione della TARSU dall'art. 72 del D.Lgs. 507/1993), concedendo la sospensione della delibera di eliminazione del ruolo. Il giudice di appello ha negato l'esistenza del criterio della esclusiva riscossione della TARSU a mezzo ruolo, affermando che dal sistema delle fonti tale principio non emerge. Il Consiglio di Stato ha sottolineato come, invece, debba essere rammentata la natura generale del principio della potestà regolamentare dei Comuni e delle Province, potere che "trova un limite solo nelle materie costituzionalmente coperte da riserva di legge". La decisione del Consiglio di Stato trova conferma sia nell’art. 36 L. 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria per il 2001) in forza del quale i Comuni possono adottare misure che rendano più efficiente la riscossione dei tributi[22] e laddove optino per la riscossione spontanea dei tributi locali possono prevedere la riscossione coattiva a mezzo ruolo affidando lo stesso ai concessionari e sia nella prassi ministeriale. Con riferimento a quest’ultima, si segnala che l'Amministrazione finanziaria dapprima con circolare n. 118/E del 1999, ha precisato che l'ampio potere regolamentare previsto per la disciplina dei tributi propri, è stato attribuito a Comuni e Province, grazie all'art. 52 sopra citato onde giungere "all'adeguamento della legislazione statale alle esigenze socio - economiche ed alle condizioni ambientali locali" e successivamente con la risoluzione del 30 luglio 2002, n. 8/DPF ha ribadito la possibilità per l’Ente locale di procedere alla riscossione diretta per tutti i tributi, incluso la TARSU sulla base delle seguenti considerazioni:
a) le modalità di riscossione previste dalle norme disciplinati i singoli tributi non sono strettamente vincolate ai principi generali inderogabili dell’ordinamento tributario;
b) non vi è nessun ostacolo all’adozione di una modalità di pagamento dei tributi diversa da quella prevista dalla loro legge istitutiva allorquando non vengano posti a carico del contribuente ulteriori adempimenti.
Inoltre, l’art. 2 c.2 del D.L. 262/2006, che ha aggiunto il nuovo c. 6-bis al D.Lgs. 112/1999 in materia di riscossione coattiva delle somme dovute a titolo di tributi ed accessori, ha precisato che nel caso in cui alla Riscossione Spa viene affidata la sola gestione del recupero coattivo delle somme dovute a titolo di tributi locali, il compenso spettante all’esattore sarà aumentato del 25% rispetto a quanto previsto dall’art.17 D.Lgs. 13 aprile 1999, n.112.
La normativa statale prescrive i seguenti adempimenti per l’emanazione da parte degli Enti locali dei regolamenti disciplinati i propri tributi[23]:
1) approvazione del regolamento con apposita deliberazione di Consiglio entro il termine fissato dalla normativa statale per approvare i bilanci di previsione;
2) invio al Ministero delle Finanze (Direzione Centrale per la fiscalità locale) della copia conforme del regolamento e della relativa delibera entro 30 giorni dalla data in cui il regolamento è divenuto esecutivo, unitamente alla richiesta di pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell’avviso di adozione.
La pubblicazione dell’avviso in gazzetta ha mera funzione notiziale, per cui non assume rilevanza giuridica e, in particolare non è condizione di esistenza o di validità né è requisito di efficacia del regolamento.
I regolamenti degli Enti locali che istituiscono o disciplinano tributi propri possono essere impugnati:
a) dal Ministero dell’Economie e delle finanze innanzi al TAR per vizi di legittimità. L’esercizio di tale potere, attribuito dal c. 4 dell’art. 52 del D.Lgs. 446/1997, non si configura come un controllo bensì è puramente facoltativo;
b) dal contribuente in via principale innanzi al TAR[24] qualora dagli stessi possano derivare effetti immediatamente lesivi della propria sfera giuridica entro il termine di decadenza di 60 giorni e in via incidentale innanzi alle commissioni tributarie a seguito di impugnativa dell’atto tributario. In quest’ultimo caso qualora ritenuti illegittimi possono essere disapplicati dal giudice tributario se gli stessi sono rilevanti ai fini della decisione, così come disposto dall’art.7, c. 5 D.Lgs 546/1992[25], a nulla rilevando che l’atto sia divenuto inoppugnabile per inutile decorso dei termini ai fini della sua impugnazione in sede di giurisdizione amministrativa[26]. La disapplicazione dei regolamenti da parte del giudice tributario è preclusa solo quando la legittimità di un atto amministrativo sia affermata dal giudice amministrativo nel contraddittorio delle parti e con autorità di giudicato. Alla disapplicazione consegue l’annullamento dell’atto impositivo emanato dall’Ente sulla base del regolamento.
[9] Cfr. Ris. Min. Fin. n. 118/E del 26 maggio 1999.
[10] Cfr. Circ. Min. Fin. n. 241/E del 29 dicembre 2000 - Fiscalità locale -. I regolamenti concernenti le entrate tributarie in materia impositiva sono soggetti al controllo centrale del Ministero delle Finanze, più in particolare, l'ufficio del federalismo fiscale è titolare del potere di impugnativa, entro il termine di 60 giorni dal ricevimento dei regolamenti in questione, unicamente per vizi di legittimità innanzi al TAR competente in relazione alla collocazione territoriale dell'Ente locale.
[11] Cfr. Ris. Min. Fin. n. 5/DPF del 2 aprile 2002, per la quale l’Ente locale non può autonomamente istituire nuovi tributi.
[12] Cfr. Ris. Min. Fin. n. 5/DPF del 2 aprile 2002, ad oggetto "Istituzione dell’imposta comunale di soggiorno o altre imposte equivalenti". Il Ministero delle Finanze in risposta ad un quesito di un Comune, il quale chiedeva se era possibile istituire un’imposta comunale di soggiorno o altra imposta equivalente sulla base dei poteri conferiti ai Comuni dal nuovo art. 119, c. 2, della Costituzione, come modificato dalla L. Cost. n. 3/2001, rilevava che "il nuovo art. 119, c. 2, della Costituzione prevede che i Comuni stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Detti principi devono però essere inevitabilmente stabiliti dalla legge, in base ad una serie di disposizioni che sono contenute nella stessa Carta costituzionale.
[13] Rassegna Tributaria 2/2002 "Prime osservazioni sul nuovo articolo 119 Cost." di Franco Gallo.
[14] Sulla nozione di "prestazione patrimoniale imposta" si veda Corte Cost. 1 giugno 1998 n. 215, per la quale “nell'individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte che postulano la garanzia della riserva di legge prevista dall'art. 23 della Costituzione ed i consequenziali limiti alla discrezionalità della pubblica amministrazione, la giurisprudenza costituzionale ha subito un'evoluzione. In un primo tempo, infatti, si era fatto riferimento solo alla natura autoritativa dell'atto che impone la prestazione. Successivamente si è fatto invece riferimento a quel tipo di servizio, che, pur dando luogo ad un rapporto negoziale di diritto privato, in considerazione della sua particolare rilevanza venga riservato alla mano pubblica e l'uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita (sentenza n. 72 del 1969). Nel complesso della giurisprudenza costituzionale, ai fini dell'individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte, non costituiscono pertanto profili determinanti né le formali qualificazioni delle prestazioni (sentenza n. 4 del 1957), né la fonte negoziale o meno dell'atto costitutivo (sentenza n. 72 del 1969), né l'inserimento di obbligazioni ex lege in contratti privatistici (sentenza n. 55 del 1963). Va invece riconosciuto un peso decisivo agli aspetti pubblicistici dell'intervento delle autorità ed in particolare alla disciplina della destinazione e dell'uso di beni o servizi, per i quali si verifica che, in considerazione della loro natura giuridica (sentenze n. 122 del 1957 e n. 2 del 1962), della situazione di monopolio pubblico o della essenzialità di alcuni bisogni di vita soddisfatti da quei beni o servizi (sentenze nn. 36 del 1959, 72 del 1969, 127 del 1988), la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta con atti formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla sfera dell'autonomia privata, giustificano la previsione di una riserva di legge". Conforme Corte Cost. 6 giugno 1994 n. 236.
[15] Corte Cost. 23 giugno 1965 n. 64 che, nel dichiarare non fondata la questione, proposta sulla legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, in riferimento agli artt. 36, 14 e 17 dello Statuto regionale siciliano, nonché agli artt. 3, 53 e 23 della Costituzione, afferma che in materia di prestazioni patrimoniali in base all’art. 23 Cost. esiste un riserva “relativa” di legge statale anche in considerazione che altre norme costituzionali attribuiscono potere normativo in materia alle Regioni. Conforme Corte Cost. 18 luglio 1997 n. 269; Corte Cost. 27 maggio 1996 n. 180; Corte Cost. 7 dicembre 1979 n. 148.
[16] Corte Cost. ord. 20 aprile 1998 n. 144, con la quale è stato affermato che la modifica mediante ampliamento della competenza delle commissioni tributarie non vale a far ritenere nuovo il giudice tributario in modo tale da ravvisarsi un diverso giudice speciale, dovendosi interpretare l'art. 102 della Costituzione in combinato con la IV disposizione transitoria (che consente la revisione delle preesistenti giurisdizioni speciali, come quella tributaria) senza che sia precluso al legislatore procedere ad ulteriori interventi di revisione purchè non siano snaturate le materie già attribuite alla giurisdizione speciale.
[17] Corte Cost. 22 settembre 2003 n. 297 che ha accolto il ricorso dello Stato nei confronti delle regioni Piemonte e Veneto che avevano concesso la proroga di un anno per il recupero delle tasse automobilistiche regionali. Tale tributo non è di competenza regionale, ma statale; le Regioni non hanno perciò il potere di introdurre ipotesi di esenzione oltre quanto loro consentito dalla legislazione statale.
[18] Cass. ord. 27 ottobre 2003 n. 5067 che ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione della compatibilità dell'articolo unico della legge 15 luglio 1911, n.749 con il Trattato istitutivo della Comunità europea, in particolare con il principio di libera circolazione delle merci, stabiliti agli articoli da 23 a 31. Corte di Giustizia CE, sez. I – sent. 9 dicembre 2004, causa C-72/03.
[19] Sent. del 21 giugno 2007, causa C-173/05 della Corte di Giustizia UE, Sez. II per la quale “per effetto dell'istituzione dì tale tributo, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 23, 25 e 133 CE, nonché dell'art. 9 dell'Accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e la Repubblica democratica popolare di Algeria”.
[20] La disposizione in argomento dispone che “1. Al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa comunitaria. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 1, del citato Trattato.
2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, i poteri sostitutivi necessari, secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall'articolo 11, comma 8, della presente legge.
3. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 indicati dalla Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri Fondi aventi finalità strutturali.
4. Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunità europea
5. Lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.
6. Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 5:
a) nei modi indicati al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale;
b) mediante prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 20 ottobre 1984, n. 720, per tutti gli enti e gli organismi pubblici, diversi da quelli indicati nella lettera a), assoggettati al sistema di tesoreria unica;
c) nelle vie ordinarie, qualora l'obbligato sia un soggetto equiparato ed in ogni altro caso non rientrante nelle previsioni di cui alle lettere a) e b).
7. La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa, comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui ai commi 3, 4 e 5, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro tre mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e reca la determinazione dell'entità del credito dello Stato nonché l'indicazione delle modalità e i termini del pagamento, anche rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato.
8. I decreti ministeriali di cui al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati. Il termine per il perfezionamento dell'intesa è di quattro mesi decorrenti dalla data della notifica, nei confronti dell'ente territoriale obbligato, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L'intesa ha ad oggetto la determinazione dell'entità del credito dello Stato e l'indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. Il contenuto dell'intesa è recepito, entro un mese dal perfezionamento, in un provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Ministero dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.
9. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa, all'adozione del provvedimento esecutivo indicato nel comma 8 provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, nei successivi quattro mesi, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Presidente del Consiglio dei ministri in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.
10. Le notifiche indicate nei commi 7 e 8 sono effettuate a cura e a spese del Ministero dell'economia e delle finanze.
11. I destinatari degli aiuti di cui all'articolo 87 del Trattato che istituisce la Comunità europea possono avvalersi di tali misure agevolative solo se dichiarano, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e secondo le modalità stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, di non rientrare fra coloro che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato gli aiuti che sono individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea, e specificati nel decreto di cui al presente comma».
[21] Circ. Min. Fin. n. 296/E del 31 dicembre 1998.
[22] In base all’art. 36 L. 388/2000 "…Ferma restando l' eventuale utilizzazione di intermediari previste da norme di legge o di regolamento, le Regioni, le Province, i Comuni, e gli altri enti locali possono prevedere la riscossione spontanea dei propri tributi secondo modalità, che velocizzando le fasi di acquisizione delle somme riscosse, assicurino la più ampia diffusione dei canali di pagamento e la sollecita trasmissione all'Ente creditore dei dati del pagamento stesso…".
[23] Cfr. Circ. Min. Fin. n. 101/E del 17 aprile 1998; Circ. Min. Fin. n. 118/E del 26 maggio 1999; Circ. Min. Fin. n.241 del 29 dicembre 2000.
[24] Cfr. TAR di Venezia, Sez.I, 8 maggio 2008 n. 1552 in base alla quale “è inammissibile l’impugnazione rivolta alla delibera con la quale il Comune adotta una modificazione delle tariffe del servizio di smaltimento dei rifiuti senza la contestuale impugnazione del regolamento del quale si contestino le modalità di classificazione delle classi di attività di contribuzione al prelievo tributario a titolo di TARSU. La determinazione della nuova tariffa non può considerarsi essa stessa un regolamento, ma solo attività amministrativa che si svolge nell’ambito (e in conformità) della disciplina posta con regolamenti comunali (i quali, a loro volta, debbono essere conformi alle norme di legge e alle altre di rango superiore). Si tratta, in altre parole, di due attività amministrative di diversa natura e contenuto: l’una di carattere normativo, l’altra (la variazione periodica delle tariffe, al fine di adeguarle ai costi) a carattere pur sempre applicativo”.
[25] Tale disposizione rafforza la previsione dell’art. 5 della L. 20 marzo 1865, n. 2248 All. E, concernente la disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi ai sensi del quale “….., le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi.”. Con tale legge avente ad oggetto il contenzioso amministrativo sono stati aboliti i Tribunali speciali investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo, tanto in materia civile, quanto in materia penale e le controversie ad essi attribuite dalle diverse leggi sono state devolute alla giurisdizione ordinaria, od all'autorità amministrativa (art.1). Sono state devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie relative a qualunque diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione (art.2), mentre gli affari non compresi nell'articolo precedente sono stati attribuiti alle autorità amministrative, le quali, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate, devono provvedere con decreti motivati, previo parere dei consigli amministrativi che pei diversi casi siano dalla legge stabiliti. Contro tali decreti, che saranno scritti in calce del parere egualmente motivato, è stato ammesso il ricorso in via gerarchica in conformità delle leggi amministrative (art.3). Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio. L'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso (art.4).
[26] Cass. Sez. lavoro 29 gennaio 2002, n. 6801; Cass. sez. trib. 15 ottobre 2003 n. 4567; Cass. sez. trib. 20 giugno 2003 n. 16870; Cass. sez. trib. 30 aprile 2004 n. 13848 per la quale in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, “la deliberazione comunale relativa alle tariffe può essere disapplicata da parte del giudice tributario, ma tale disapplicazione può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell'atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), non essendo sufficiente a tal fine la generica contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell'adottare la delibera stessa”.