L’autonomia impositiva e la potestà regolamentare degli Enti locali
1. Profili generali
Il sistema impositivo rappresenta la principale leva dell'autonomia finanziaria degli Enti locali e conseguentemente la principale leva di finanziamento delle funzioni pubbliche, nel sistema delle autonomie delineato dalla L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3. Quest’ultima, ha consolidato nel nostro ordinamento i principi introdotti dalla legge Bassanini (L. 15 marzo 1997, n. 59) di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, dando vita ad un sistema equiordinato in cui la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato, ed in cui in coerenza con il principio di sussidiarietà (verticale), le funzioni amministrative devono essere esercitate a livello locale, salvo per quelle attribuzioni che richiedano una gestione unitaria.
In questo nuovo scenario, che vede ribaltato il tradizionale principio del "trasferimento di funzioni" dallo Stato, alle Regioni ed ai Comuni, basato su una finanza di tipo derivato, si assiste al recupero da parte dei vari livelli di governo della loro autonomia finanziaria sia sotto il profilo della capacità decisionale di erogazione di spesa ed acquisizione di entrate, sia sotto il profilo dell'autonoma applicazione di tributi ed entrate propri.
Quest'ultimo aspetto comporta per gli Enti locali una maggiore responsabilizzazione in merito alla valutazione dei propri programmi di spesa che dipenderanno sempre più dallo sforzo fiscale che si riterrà di applicare e dalla percezione da parte dei contribuenti dei risultati derivanti dall'impiego delle risorse reperite.
Un’ulteriore spinta verso l’attuazione dei principi costituzionali sopra citati è in corso si definizione ad opera della L. 5 maggio 2009, n. 42 con la quale il Parlamento ha delegato il Governo in materia di federalismo fiscale.
2. Evoluzione del concetto di autonomia impositiva
L’esame sulla evoluzione del concetto di autonomia impositiva non può non iniziare dall’esame della riforma fiscale degli anni '70, il cui fine era quello di metter ordine al previgente sistema impositivo degli Enti locali disciplinato dal R.D. 14 settembre 1931, n. 1175 (testo unico per la finanza locale) e dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (testo unico della legge comunale e Provinciale) ai quali, però, si erano sovrapposti, nel corso degli anni, numerosi interventi legislativi dando vita, così, ad un articolato sistema di sovraimposte ed addizionali, nonché ad una serie di tributi locali minori (ad es. l'imposta di famiglie e quelle di consumo) dagli altissimi costi di gestione.
La riforma tributaria del 1971 - 1973 si caratterizza per un accentuato centralismo la cui conseguenza è stata la deresponsabilizzazione politico-amministrativa degli Enti locali.
Con riferimento alle Regioni, il sistema delineato dalla L. 16 maggio 1970, n. 281, ha tracciato linee rigide alla potestà impositiva individuando i tributi che le stesse avrebbero potuto e dovuto istituire (l'imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile, la tassa sulle concessioni regionali, la tassa regionale di circolazione, la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche), mentre con riferimento alle entrate tributarie degli Enti locali da un lato venivano mantenuti in vita alcuni tributi previgenti di maggior gettito aventi natura corrispettiva (come la tassa per la raccolta sui rifiuti solidi urbani), dall'atro nuovi tributi venivano istituiti (come la tassa sulle concessioni comunali e l'imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni).
Il sistema così delineato, è stato in parte giustificato dal testo allora vigente della Costituzione che all'art. 119 richiamava la necessità di coordinamento tra l'autonomia finanziaria delle Regioni e quella dello Stato, delle Province e dei Comuni. Se da un lato venivano espressamente attribuiti tributi propri alle Regioni, il riconoscimento della potestà tributaria degli altri Enti locali la si faceva discendere indirettamente dall'art. 5 della costituzione. Inoltre, alle Regioni era riconosciuto un potere legislativo attuativo delle leggi statali (artt.115 e 117 Cost.).
Tale lacuna, fu colmata dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, con la quale vennero dettati i principi generali della "nuova" finanza locale. L'art. 54 nella originaria formulazione riconosceva a Comuni e Province, nell'ambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su certezze di risorse proprie e trasferite, nonché potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte, delle tasse e delle tariffe, con conseguente adeguamento della legislazione tributaria vigente.
Questa norma evidenziava la tendenza del legislatore a mantenere la c.d. autonomia impositiva degli Enti locali entro schemi ben strutturati dalla legge formale, infatti al primo comma si legge che "l'ordinamento della finanza locale è riservato alla legge".
La riorganizzazione delle autonomie locali disposta con la L. 142/1990 ha dato avvio ad un processo, non sempre razionale e coordinato, teso a ridurre la dipendenza degli Enti locali dai trasferimenti statali, facendo aumentare l'incidenza delle entrate tributarie sul complesso delle entrate degli Enti locali.
Con legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 il Parlamento delegava il Governo a razionalizzare nonché revisionare una serie di materie tra le quali la finanza territoriale con l'obiettivo di provvedere al fabbisogno finanziario per mezzo di risorse proprie. In attuazione della delega nonché in aderenza ai principi della L. 142/1990 veniva emanato il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 che ridisegnava l'assetto istituzionale delle autonomie locali, introducendo l'imposta comunale sugli immobili, l'imposta provinciale sull'erogazione del gas e dell'energia elettrica, il tributo provinciale per l'esercizio di tutela, protezione ed igiene ambientale, l'imposta provinciale per l'iscrizione dei veicoli al pubblico registro automobilistico e provvedendo al riassetto dell'imposta comunale sulla pubblicità, i diritti comunali sulle pubbliche affissioni, la tassa comunale e provinciale per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
La riforma attuata con il D.Lgs. 504/1992, nel ridisegnare l'assetto istituzionale delle autonomie locali, rendendolo più aderente ai principi di autonomia contenuti nell'art. 128 Cost., ha accentuato la responsabilizzazione degli amministratori locali nel soddisfare i bisogni pubblici compatibilmente con le risorse disponibili, e ciò in linea con i principi enunciati dall'art. 54 del nuovo ordinamento sulle autonomie locali.
Una ulteriore trasformazione, dettata dall'esigenza di uno spiccato decentramento, è avvenuta per mezzo delle deleghe dettate dalla L. 23 dicembre 1996 n. 662 e con i decreti delegati 446 e 449 del 1997, mediante i quali veniva perseguito l'obiettivo di dotare gli Enti di proprie risorse che consentissero un reale esercizio dell'autonomia impositiva, nonché finanziaria. Si attua, quindi, un significativo decentramento del prelievo dallo Stato, alle Regioni e agli Enti locali, dotando questi livelli di governo dell'autonomia finanziaria ed in particolare impositiva necessaria per svolgere un'autonoma e responsabile politica di bilancio.
Tra le novità introdotte si segnalano:
a) l'istituzione dell'addizionale regionale all'IRPEF[1];
b) l'istituzione dell'IRAP[2] con la contestuale abolizione, entro i vincoli dell'invarianza del gettito della spesa, dei seguenti tributi: i contributi per il servizio sanitario nazionale, l'imposta locale sui redditi (ILOR), l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, la tassa di concessione governativa sulla partita Iva, l'imposta comunale per l’esercizio di imprese e di arti e professioni (ICIAP)[3], le tasse sulle concessioni comunali[4];
c) la previsione per le Province di istituire l’imposta provinciale sulle formalità di iscrizione, annotazione e trascrizione dei veicoli al pubblico registro automobilistico. Conseguentemente verrà abolita l’imposta erariale di trascrizione (IET) e la relativa addizionale provinciale (APIET);
d) il riconoscimento ai Comuni ed alle Province di una potestà regolamentare generale in materia tributaria.
A tal proposito l'art. 52 del D.Lgs. 446/1997 stabilisce che Province e Comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo che per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima.
In merito alla nozione di tributi propri delle Regioni, delle Province e degli Enti locali l’art.13, c.3 della L. 27 dicembre 2002 n. 289 definisce tali, quelli la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai predetti enti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonchè delle mere attribuzioni ad Enti territoriali del gettito, totale o parziale, di tributi erariali.
Il concetto di autonomia impositiva, assume rilevanza a seguito dell’emanazione dei seguenti provvedimenti legislativi:
- L. 3 agosto 1999, n. 265 che ha ampliato il concetto di autonomia contenuto all'art. 3 della L. 142/1990 che era limitato all'aspetto statutario e finanziario, riconoscendo agli Enti locali autonomia statutaria, normativa, organizzativa ed amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell'ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica;
- D.Lgs. 18 febbraio 2000 n. 56, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'art. 10 della L. 13 maggio 1999, n. 133 che ha soppresso alcune tipologie di trasferimenti statali in favore delle Regioni a statuto ordinario compensandole:
a) con la compartecipazione regionale all'imposta sui valore aggiunto (IVA);
b) con l'aumento dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF);
c) con l'aumento dell’aliquota di compartecipazione regionale all'accisa sulle benzine;
d) con l’attribuzione della compartecipazione ai comuni ed alle province del gettito dell'IRAP, per i quali viene prevista la compensazione con trasferimenti erariali.
Inoltre, viene istituito un Fondo perequativo nazionale al fine di consentire che una parte del gettito della compartecipazione all'IVA venga destinata alla realizzazione degli obiettivi di solidarietà interregionale e prevista la partecipazione delle Regioni a statuto ordinario all'attività di accertamento dei tributi erariali analogamente a quanto disposto dall’art. 44 del D.P.R. 29 settembre 1973 per i Comuni in merito alla partecipazione all'accertamento dei redditi delle persone fisiche.
Il sistema impositivo degli Enti locali è stato ricondotto ad organicità dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e rispettivamente all'art. 3 e all'art. 149 che disciplinano l'autonomia dei Comuni e delle Province ed i principi generali in materia di finanza propria e derivata, nonchè dalla L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3 che ha costituzionalizzato i principi del TUEL.
3. Modifica al titolo V della Costituzione
Con gli art. 117 e 119, vengono modificati in modo sostanziale i ruoli e i rapporti di Stato ed Enti locali rispetto alla materia tributaria[5]:
- il c.2 dell'art. 117 definisce le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materie tassativamente elencate, tra le quali "il sistema tributario e contabile dello Stato" e la “perequazione delle risorse finanziarie” (art.117, c.2 lett.e);
- il c.3 indica le materie in cui si esercita la potestà legislativa concorrente delle Regioni, cioè, quella che trova limiti solo in principi fondamentali che devono essere determinati da leggi dello Stato, tra i quali "armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario";
- il c.4 individua la competenza legislativa c.d. residuale spettante alle Regioni, che ha carattere primario in quanto non è condizionata dai "principi fondamentali", riguardante tutte le materie che non risultano riservate alla competenza esclusiva dello Stato e, quindi, per quanto attiene la materia tributaria, i tributi regionali e quelli locali;
- l'art. 119 assicura, a Regioni, Province autonome ed Enti Locali l'autonomia di entrata e di spesa (c. 1) e prevede l'applicazione di tributi ed entrate proprie secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (c. 2).
L’attuazione di questo disegno costituzionale richiede però come necessaria premessa l’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed Enti locali[6].
In base ai principi costituzionali, si hanno quindi quattro livelli di autonomia impositiva:
- un primo livello caratterizzato dalla legislazione “esclusiva” dello Stato;
- un secondo livello caratterizzato dalla legislazione “concorrente” tra Stato e Regione;
- un terzo livello caratterizzato dalla legislazione “residuale esclusiva” delle Regioni, in tema di tributi regionali e locali;
- un quarto ed ultimo livello caratterizzato dal riconoscimento a Comuni, Province, Città metropolitane di tributi propri, secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e quindi nell’ambito dei principi fissati dai primi tre livelli.
3.1. Autonomia impositiva delle Regioni
Le Regioni, alla luce del nuovo testo costituzionale, hanno la possibilità di istituire propri tributi, in piena autonomia definendone tutti gli elementi fondamentali (soggetti passivi, basi imponibili e aliquote) nei limiti:
- dei principi della Costituzione;
- del rispetto del vincolo di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in quanto oggetto di legislazione concorrente;
- dei vincoli derivanti dall'ordinamento Comunitario e dagli obblighi internazionali, e nel rispetto del vincolo di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in quanto oggetto di legislazione concorrente.
Pertanto, l’autonomia impositiva regionale incontra limiti nei seguenti casi:
a) il tributo è stato istituito con legge statale ancorché il gettito venga attributo alle Regioni o la legge statale attribuisca espressamente alla Regione determinazioni in merito al tributo[7];
b) l’istituzione del tributo regionale viola i principi costituzionali o comunitari. Un esempio è rappresentato dalla disposizione della regione Sardegna che ha istituito i seguenti tributi propri:
- imposte regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico (art. 2 L.R. n. 4 del 11 maggio 2006, successivamente modificata dalla L.R. 29 maggio 2007, n.2);
- imposte regionale sulle seconde case ad uso turistico (art. 3 L.R. n. 4 del 11 maggio 2006, successivamente modificata dalla L.R. 29 maggio 2007, n.2);
- imposte regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto (art. 4 L.R. n. 4 del 11 maggio 2006, successivamente modificata dalla L.R. 29 maggio 2007, n.2);
- imposta di soggiorno (Legge regionale 29 maggio 2007, n. 2).
A seguito del ricorso costituzionale presentato dal Consiglio dei ministri, si è espressa la Corte costituzionale, con sentenza n. 102 e l’ordinanza n. 103 del 15 aprile 2008, con le quali:
a) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
- del tributo sulle seconde case adibite ad uso turistico;
- dell’imposta sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case;
b) ha dichiarato infondata la questione relativamente:
- all’imposta di soggiorno;
- al tributo sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto. La pronuncia di non fondatezza non ha riguardato né le ipotesi di scalo effettuato da unità da diporto il cui esercizio è svolto a fini di lucro, né le ipotesi di scalo effettuato da aeromobili che svolgono operazioni di “aviazione generale di affari”, in quanto la Consulta - relativamente a tali ipotesi particolari - ha sospeso il giudizio di costituzionalità e - con apposita ordinanza (n. 103/2008) - di sua iniziativa ha sottoposto alla Corte di Giustizia CE, ai sensi dell’art. 234 del Trattato, la questione di compatibilità con l’ordinamento comunitario, in particolare rispetto al principio di non discriminazione (art. 49 Trattato) e al divieto di aiuti di Stato (art. 47 Trattato), dei prelievi anzidetti ove gravanti sulle imprese, non residenti nella Regione, esercenti le attività sopra ricordate. L’avvocato generale della Corte di giustizia nella causa C-169/08 nelle conclusioni del 2 luglio 2009 ha evidenziato che:
1) l’art. 49 CE osta ad una legge di una Regione autonoma in forza della quale viene riscossa un’imposta dettata essenzialmente da motivi di politica ambientale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto dalle sole imprese aventi il proprio domicilio fiscale al di fuori di tale regione, ma non dalle imprese aventi il proprio domicilio fiscale all’interno della medesima;
2) una legge regionale come quella adottata dalla Regione autonoma della Sardegna, in forza della quale viene riscossa un’imposta sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto dalle sole imprese aventi il proprio domicilio fiscale al di fuori di tale regione, costituisce un aiuto ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, a favore di imprese che svolgono la stessa attività e hanno il proprio domicilio fiscale all’interno della medesima.
In ogni caso, la situazione risulta risolta in conseguenza dell’abrogazione di tale disposizione da parte dell’art. 2 della L.R. 14 maggio 2009, n. 1 (legge finanziaria 2009).
3.2. Autonomia impositiva delle Province e dei Comuni
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno anch'essi riconosciuta l'autonomia finanziaria di entrata e possono applicare tributi propri, utilizzando lo strumento giuridico del regolamento entro la cornice di legge regionale che dovrà rispondere ai principi generali della legge di coordinamento.
L’autonomia impositiva degli Enti locali quali Province e Comuni deve svolgersi in ottemperanza all’art. 23 Cost. in base al quale “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Nell’ambito della potestà legislativa regionale e dei principi fondamentali dello Stato, gli Enti locali non potranno mai introdurre nuovi tributi, in quanto dotati solo del potere regolamentare e non anche normativo. La previsione costituzionale (ex art. 119 c.2) secondo la quale “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” è interpretabile infatti solo nel senso che, fermo il potere esclusivo dello Stato e delle Regioni di introdurre nuove imposte ciascuno nei propri ambiti esercitato attraverso l’organo legislativo, gli Enti locali (Comuni e Province) potranno:
a) decidere in merito all'applicazione o meno di tributi istituiti e disciplinati nei loro caratteri costitutivi dallo Stato o dalle Regioni nonché le modalità applicative degli stessi nel rispetto della legislazione vigente;
b) stabilire ed applicare, ossia disporre e regolamentare i casi accessori al rapporto tributario, che non riguardino quindi le caratteristiche fondanti del rapporto tributario, quali la determinazione del soggetto passivo, della fattispecie imponibile (o presupposto di fatto) e delle esenzioni.
In sintesi, la legge di coordinamento fissa i principi fondamentali per i tributi locali, lasciando ampia libertà di manovra agli Enti locali.
Tale orientamento è evidente anche nella normativa che prevede le sanatorie, tant'è vero che il legislatore si limita a consentire l'introduzione di forme di definizione agevolata, con riferimento ai tributi propri degli Enti locali, lasciando poi gli Enti liberi di decidere i principali tributi interessati dal condono e le varie tipologie di sanatorie[8]. Lo strumento a disposizione degli enti per l’applicazione del condono è rappresentato per le Regioni dalla legge, mentre per i Comuni e le Province dal potere regolamentare di cui all’art. 52 D.Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446.
L'art. 52 del D.Lgs. 446/1997, in attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nelle lettere a) e b) del c. 149 dell'art. 3 della L. 662/1996, stabilisce che Province e Comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo che per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima. Tale articolo, ricondotto ad organicità nella parte seconda del TUEL, con le norme efferenti l'ordinamento contabile degli Enti locali, si sposa, con il combinato disposto del già citato art. 119 Cost., per il quale gli Enti locali "hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri" e del nuovo dettato dell'art. 117 Cost., per il quale gli stessi Enti "hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite".
4. Il potere regolamentare degli Enti locali ed i propri limiti
Il potere regolamentare degli Enti locali incontra due ordine di limiti, uno interno e l’altro esterno[9], la cui violazione può determinare:
a) la impugnazione dell’atto regolamentare presso la giurisdizione amministrativa[10];
b) oppure la disapplicazione del regolamento per sua illegittimità da parte del giudice tributario in relazione all'oggetto dedotto in giudizio.
Il primo ordine di limiti (interni) discende dalla formulazione letterale del c.1 dell'art. 52 D.Lgs 446/1997, in base al quale è preclusa la possibilità di modificare, con norma regolamentare, gli elementi essenziali della prestazione impositiva costituiti:
- dal presupposto di applicazione del tributo;
- dalla base imponibile e dai criteri per la sua determinazione;
- dalla soggettività passiva e dalla misura massima di tassazione[11].
Un secondo ordine di limiti (esterni) va ricercato nella Costituzione nonché nei principi generali dell'ordinamento tributario vigente, nel senso che i regolamenti tributari non possono invadere il campo d'azione riservato alle disposizioni costituzionali ed agli atti di normazione primaria (casi di riserva di legge).
L'art. 119 Cost. nel riconoscere l'autonomia impositiva degli Enti locali ne fissa anche i limiti che sono rappresentati dalla necessità di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e che si identificano:
- nella riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost., in base alla quale nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge. Quindi, la potestà regolamentare pur espandendosi fino al punto di consentire all’Ente locale di non applicare le disposizioni di legge vigenti, non consente tuttavia di contravvenire al principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.[12]. Un’autonoma potestà di istituzione di nuovi tributi da parte degli Enti locali sarebbe stata, infatti, ipotizzabile solo qualora la L. Cost. n.3/2001 avesse abrogato l’art. 23 Cost.. Le argomentazioni finora svolte, trovano ulteriore conferma nel nuovo art. 114 Cost. che definisce gli Enti territoriali quali “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione” e nel nuovo art. 118 c. 2, per il quale gli Enti locali “sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Nel nuovo contesto costituzionale sono, comunque, da superare quelle interpretazioni dell’art. 23 - si ricordi che la prima parte della Costituzione non ha subito alcun ritocco - che hanno inteso la riserva di legge in materia di prestazioni imposte esclusivamente come riserva di legge statale[13]. Tale riserva, infatti, dovrebbe ora ritenersi estesa anche alla legge della Regione, in considerazione della attribuzione ad essa della legislazione esclusiva in tema di tributi regionali e locali e alla sua formale equiordinazione con la legge statale. Così come sussiste, ai sensi dell’art. 23 Cost., una riserva di legge statale per le prestazioni patrimoniali imposte[14] tra cui rientrano i tributi statali, deve perciò sussistere, ai sensi dello stesso articolo e dell’art. 117 c. 4, Cost. una riserva di legge regionale per i tributi regionali e per quelli locali[15];
- nel principio di legalità di cui all'art. 25 Cost., recepito nel testo dell'art. 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 che disciplina la materia delle sanzioni tributarie, in base al quale “nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Per cui l'Ente non può modificare il sistema sanzionatorio recato dai D.Lgs. 18 dicembre 1997 nn. 471, 472, e 473, in quanto modellato sulla base di criteri prettamente penalistici;
- nelle questioni che riguardano temi indisponibili agli Enti locali, quali la riserva di legge in materia giurisdizionale di cui all'art.113 Cost. A tal proposito, l'art. 12 della L. finanziaria 2002 (L. 28 dicembre 2001 n. 448) ha attribuito al giudice tributario la competenza a decidere tutte le controversie riguardanti i “tributi comunali, provinciali e regionali”[16], sgombrando il campo dall'ambigua precedente formulazione dell'art. 2 c. 1 lett. h), del D.Lgs. 546/1992 che prevedeva l'assoggettamento alla giurisdizione di tutti i tributi comunali e locali. Al riguardo, in passato, vi era chi restringeva la previsione ai soli “tributi comunali” e ai “tributi locali minori”, con esclusione di alcuni tributi provinciali e regionali (addizionale provinciale sul consumo dell'energia elettrica, controversie in materia di tasse automobilistiche…).
Altri limiti esterni sono fissati da norme di legge e riguardano:
- i criteri direttivi fissati dalla legge cui va uniformato il contenuto dei regolamenti in materia impositiva ed in particolare quelli adottati ai sensi del c. 5 dell'art. 52 D.Lgs. 446/1997, in materia di affidamento a terzi dell'accertamento e/o riscossione dei tributi; quelli adottati ai sensi dell'art.56 dello stesso decreto legislativo, per l'istituzione dell'imposta provinciale di trascrizione; quelli adottati ai sensi del pto l) del c.1 dell'art. 59 del citato decreto legislativo, per la modifica del procedimento di accertamento ICI;
- le agevolazioni e le esenzioni previste dalle leggi statali, che non possono quindi essere compresse, se non in presenza di una specifica disposizione, come quella contenuta nell'art. 59 D.Lgs. 446/1997 in tema di ICI. La Corte Costituzionale con sent. 22 febbraio 2006 n. 75 in merito ad un procedimento promosso nei confronti della Regione Friuli Venezia Giulia che attribuiva ai comuni del territorio la facoltà di prevedere esenzioni ai fini ICI per determinati soggetti con la finalità di agevolare lo sviluppo imprenditoriale ha dichiarato l’incostituzionalità di detta legge regionale. Ciò in considerazione che l’ICI è un tributo la cui disciplina è di competenza statale, pertanto le Regioni non possono derogare alla legge statale, mentre i Comuni possono disciplinare tale imposta nei limiti di quanto attribuito dal legislatore statale;
- i termini per la richiesta di rimborso delle somme indebitamente pagate, che non possono essere abbreviati;
- i termini di decadenza e prescrizione stabiliti per l’accertamento, la liquidazione e la riscossione dei tributi che non possono essere modificati in senso peggiorativo[17];
- il rispetto e la tutela dei principi generali dell'ordinamento tributario fissati espressamente nel nostro ordinamento con l'approvazione dello Statuto dei diritti del contribuente, avvenuta con L. 27 luglio 2000, n. 212;
- il rispetto dei principi fissati dal diritto comunitario. Sulla base di tali principi, la tassa sui marmi a favore del comune di Carrara istituita con L. 15 luglio 1911, n. 749 modificata dall’art.55, c.18 della L. 27 dicembre 1997 n. 449 ed applicata e riscossa dal Comune all’uscita dei marmi dai suoi confini è stata definita come una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale all’esportazione[18] ai sensi dell’art. 23 del Trattato CE. La stessa sorte è toccata al tributo ambientale imposto dalla Regione Sicilia, che colpisce il gas metano proveniente dall'Algeria previsto dall'art. 6 della legge regionale siciliana 26 marzo 2002, n. 2, recante disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2002. Secondo la Corte costituisce tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale, incompatibile con la normativa europea sulla libera circolazione delle merci[19]. Infatti, secondo le disposizioni del Trattato CE, la Comunità si fonda su un'unione doganale che comporta il divieto di qualsiasi dazio e tassa di effetto equivalente all'importazione ed all'esportazione fra gli Stati membri e l'adozione di una tariffa doganale comune per gli scambi tra gli Stati membri e i Paesi terzi. Costituisce tassa di effetto equivalente qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente, da una autorità pubblica di uno stato membro, indipendentemente dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisce le merci per il fatto che esse attraversano una frontiera. Recentemente, l’art. 6 della L. 25 febbraio 2008 n. 34 recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007) ha riscritto il procedimento di rivalsa da parte dello Stato nei confronti di regioni o altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario derivanti dalla normativa comunitaria[20], precedentemente disciplinato dai commi da 1213 a 1223 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
La potestà regolamentare riconosciuta agli Enti locali in materia di tributi propri non può, comunque, limitarsi al semplice recepimento della normativa statale, bensì deve rappresentare l’opportunità per introdurre nel sistema normativo locale elementi specifici mutuati dalla realtà locale, al fine di adattare la normativa statale alla realtà locale. Tale opportunità è stata riconosciuta ad esempio in materia di ICI dall’art. 59 D.Lgs. 446/97 che ha consentito ai Comuni, di avvalesi del potere regolamentare al fine di individuare per talune fattispecie, la possibilità di travalicare, entro determinati spazi, i limiti che si pongono al potere regolamentare di cui al c.1 art. 52[21].
Il privilegio per la potestà regolamentare degli Enti locali di cui all'art. 52 del D.Lgs. 446/1997 è riconosciuta nelle pronunce del giudice amministrativo. In particolare con l'ord. 28 agosto 2001, n. 4989 il Consiglio di Stato si è pronunciato in sede di impugnazione dell'ord. 8 giugno 2001, n. 171 con la quale, in sede cautelare il TAR Basilicata aveva dichiarato l'esclusività della riscossione della TARSU a mezzo ruolo (secondo quanto previsto in materia di riscossione della TARSU dall'art. 72 del D.Lgs. 507/1993), concedendo la sospensione della delibera di eliminazione del ruolo. Il giudice di appello ha negato l'esistenza del criterio della esclusiva riscossione della TARSU a mezzo ruolo, affermando che dal sistema delle fonti tale principio non emerge. Il Consiglio di Stato ha sottolineato come, invece, debba essere rammentata la natura generale del principio della potestà regolamentare dei Comuni e delle Province, potere che "trova un limite solo nelle materie costituzionalmente coperte da riserva di legge". La decisione del Consiglio di Stato trova conferma sia nell’art. 36 L. 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria per il 2001) in forza del quale i Comuni possono adottare misure che rendano più efficiente la riscossione dei tributi[22] e laddove optino per la riscossione spontanea dei tributi locali possono prevedere la riscossione coattiva a mezzo ruolo affidando lo stesso ai concessionari e sia nella prassi ministeriale. Con riferimento a quest’ultima, si segnala che l'Amministrazione finanziaria dapprima con circolare n. 118/E del 1999, ha precisato che l'ampio potere regolamentare previsto per la disciplina dei tributi propri, è stato attribuito a Comuni e Province, grazie all'art. 52 sopra citato onde giungere "all'adeguamento della legislazione statale alle esigenze socio - economiche ed alle condizioni ambientali locali" e successivamente con la risoluzione del 30 luglio 2002, n. 8/DPF ha ribadito la possibilità per l’Ente locale di procedere alla riscossione diretta per tutti i tributi, incluso la TARSU sulla base delle seguenti considerazioni:
a) le modalità di riscossione previste dalle norme disciplinati i singoli tributi non sono strettamente vincolate ai principi generali inderogabili dell’ordinamento tributario;
b) non vi è nessun ostacolo all’adozione di una modalità di pagamento dei tributi diversa da quella prevista dalla loro legge istitutiva allorquando non vengano posti a carico del contribuente ulteriori adempimenti.
Inoltre, l’art. 2 c.2 del D.L. 262/2006, che ha aggiunto il nuovo c. 6-bis al D.Lgs. 112/1999 in materia di riscossione coattiva delle somme dovute a titolo di tributi ed accessori, ha precisato che nel caso in cui alla Riscossione Spa viene affidata la sola gestione del recupero coattivo delle somme dovute a titolo di tributi locali, il compenso spettante all’esattore sarà aumentato del 25% rispetto a quanto previsto dall’art.17 D.Lgs. 13 aprile 1999, n.112.
La normativa statale prescrive i seguenti adempimenti per l’emanazione da parte degli Enti locali dei regolamenti disciplinati i propri tributi[23]:
1) approvazione del regolamento con apposita deliberazione di Consiglio entro il termine fissato dalla normativa statale per approvare i bilanci di previsione;
2) invio al Ministero delle Finanze (Direzione Centrale per la fiscalità locale) della copia conforme del regolamento e della relativa delibera entro 30 giorni dalla data in cui il regolamento è divenuto esecutivo, unitamente alla richiesta di pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell’avviso di adozione.
La pubblicazione dell’avviso in gazzetta ha mera funzione notiziale, per cui non assume rilevanza giuridica e, in particolare non è condizione di esistenza o di validità né è requisito di efficacia del regolamento.
I regolamenti degli Enti locali che istituiscono o disciplinano tributi propri possono essere impugnati:
a) dal Ministero dell’Economie e delle finanze innanzi al TAR per vizi di legittimità. L’esercizio di tale potere, attribuito dal c. 4 dell’art. 52 del D.Lgs. 446/1997, non si configura come un controllo bensì è puramente facoltativo;
b) dal contribuente in via principale innanzi al TAR[24] qualora dagli stessi possano derivare effetti immediatamente lesivi della propria sfera giuridica entro il termine di decadenza di 60 giorni e in via incidentale innanzi alle commissioni tributarie a seguito di impugnativa dell’atto tributario. In quest’ultimo caso qualora ritenuti illegittimi possono essere disapplicati dal giudice tributario se gli stessi sono rilevanti ai fini della decisione, così come disposto dall’art.7, c. 5 D.Lgs 546/1992[25], a nulla rilevando che l’atto sia divenuto inoppugnabile per inutile decorso dei termini ai fini della sua impugnazione in sede di giurisdizione amministrativa[26]. La disapplicazione dei regolamenti da parte del giudice tributario è preclusa solo quando la legittimità di un atto amministrativo sia affermata dal giudice amministrativo nel contraddittorio delle parti e con autorità di giudicato. Alla disapplicazione consegue l’annullamento dell’atto impositivo emanato dall’Ente sulla base del regolamento.
5. L’impugnazione dei regolamenti e degli atti generali ritenuti illegittimi. Disapplicazione
Il giudice tributario non ha alcun potere di invalidazione degli atti autoritativi di presupposto, cioè dei provvedimenti di carattere generale, che in quanto riguardanti interessi legittimi sono impugnabili davanti al giudice amministrativo[27]:
- deliberazioni degli Enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi genere;
- deliberazioni di determinazione delle aliquote e tariffe;
- deliberazioni di approvazione dei regolamenti dei tributi;
- regolamenti che disciplinano i singoli tributi, la conciliazione giudiziale, l’accertamento con adesione, le esenzioni e agevolazioni.
L’atto generale costituisce soltanto un presupposto dell’atto impositivo e nell’impugnazione di quest’ultimo dinanzi al giudice tributario, il contribuente ha l’onere di eccepire l’illegittimità di tale atto, in modo che la Commissione accertandone l’illegittimità lo possa disapplicare, limitatamente all’oggetto dedotto in giudizio ed al caso sottoposto al suo esame, ai fini dell’annullamento dell’atto impositivo[28]. La disapplicazione assicura la tutela del contribuente che pur non ottenendo la rimozione dell’atto generale illegittimo può far sì che non produca effetti lesivi nei suoi confronti, per effetto della cognizione incidentale della Commissione, nonché può riguardare anche un atto divenuto inoppugnabile per l'inutile decorso dei termini ai fini della sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo[29]. Gli effetti della pronuncia sono limitati al caso deciso e la valutazione da parte del giudice tributario della legittimità del regolamento non potrà avere effetti di sorta fuori del giudizio.
Pertanto, ove il contribuente deduca l'illegittimità di un atto di accertamento eccependo l'illegittimità della norma regolamentare su cui esso si fonda, il giudice di merito deve valutare incidenter tantum (e quindi con effetti limitati all’oggetto dedotto in giudizio e senza che la sua decisione possa assumere efficacia di giudicato) la legittimità delle norma regolamentare che rappresenta l’atto amministrativo presupposto, secondo il condiviso principio per il quale: "il giudice munito della giurisdizione sulla domanda ha il potere-dovere di definire le questioni che integrino antecedente logico della decisione a lui richiesta, fino a quando le stesse rimangano su un piano incidentale, e non aprano, per previsione di legge o per libera iniziativa delle parti, una causa autonoma, di carattere pregiudiziale, su cui si debba statuire con pronuncia atta ad assumere autorità di giudicato"[30]. Inoltre, nei confronti degli atti di carattere generale o normativi non trova applicazione nel diritto tributario l’istituto della acquiescenza, pertanto non può attribuirsi al riconoscimento fatto dal contribuente, di essere tenuto al pagamento di un tributo, l’effetto di precludere ogni contestazione in merito alla legittimità del regolamento[31].
Pertanto, tutte le volte che oggetto della controversia è l'esercizio di un potere discrezionale, come quello in esame, residua la competenza del giudice amministrativo[32], mentre al giudice tributario sono devolute le controversie attinenti dell'esecuzione della pretesa tributaria. Ciò in quanto, ha per oggetto un iter procedimentale che precede il sorgere dell’obbligazione tributaria e che sfocia nell’adozione di un atto amministrativo generale assunto dalla pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere d’imperio, avente natura discrezionale[33] e che incide su interessi legittimi.
A tale conclusione si perviene da un esame delle seguenti norme del D.Lgs. 546/1992, che verranno esaminate nei successivi capitoli:
- art. 2 c. 1, che disciplina l’oggetto della giurisdizione tributaria, secondo il quale "il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacita delle persone, diversa dalla capacita di stare in giudizio";
- art. 19, che elenca gli atti impugnabili tipici e nominati innanzi alle Commissioni tributarie, e tra i quali non sono compresi i regolamenti e gli atti amministrativi;
- art. 7 c. 5, che consente la disapplicazione dei regolamenti da parte del giudice tributario, secondo cui "le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento od un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente”. Quest’ultima disposizione trae fondamento nell’art. 5 della L. 20 marzo 1865, n. 2248 allegato E in base alla quale “… le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi e i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi” (c.d. pregiudiziale amministrativa).
Tra le molteplici pronunce del giudice amministrativo aventi ad oggetto la legittimità di atti generali emanati dagli Enti locali si segnalano le seguenti:
- Cons. di Stato Sez. V 11 maggio 2007 n. 2341, in base alla quale è legittima ed immune da vizi la deliberazione comunale che, in puntuale esecuzione della particolare previsione agevolativa prevista dall'art. 1, comma 86, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, sulla facoltà di accordare agevolazioni tributarie agli esercizi commerciali e artigianali situati in zone precluse al traffico a causa dello svolgimento di lavori pubblici di durata superiore a sei mesi, abbia escluso dall'esenzione un albergo, trattandosi di attività non riconducibile alle categorie economiche indicate dalla legge. Infatti, la citata disposizione, in quanto diretta all'attribuzione di un beneficio in deroga alla generale norma per la quale chi si avvale di un pubblico servizio è tenuto a pagare il corrispettivo stabilito, deve considerarsi di carattere speciale e, pertanto, di stretta interpretazione e non suscettibile di applicazione estensiva. Ne consegue che, del beneficio che essa consente di elargire, possono fruire solo le categorie di soggetti espressamente individuate (gli "esercizi commerciali ed artigianali") ma non altri, ivi compresi gli esercenti attività alberghiera, che, dovendo essere ricompresa tra le attività industriali, non è parificabile in alcun modo a quelle citate dalla normativa in questione;
- TAR Toscana 20 marzo 2008 n. 411, in base alla quale la disciplina del procedimento amministrativo consente, alla luce delle disposizioni in materia di determinazione della quota di compartecipazione dei Comuni all’addizionale IRPEF, la ratifica (anteriormente all’annullamento giurisdizionale) dell’atto viziato per incompetenza (delibera adottata dalla Giunta Comunale in luogo del Consiglio) per il tramite dell’emissione di un nuovo provvedimento che consegue efficacia sanante ex tunc. Infatti, ricorda il giudice amministrativo, che gli atti viziati da incompetenza dell'organo emanante possono essere legittimamente convalidati con efficacia retroattiva in sede di autotutela dall'organo competente, anche se avverso di essi penda impugnativa, fino a quando non ne sia intervenuto l’annullamento. Il provvedimento adottato ai sensi della norma citata costituisce un provvedimento di ratifica - o di convalida secondo la terminologia adottata dal legislatore - il quale si sostituisce all'atto viziato con effetto "ex tunc".
Tra le molteplici pronunce in tema di disapplicazione di regolamenti oppure atti generali degli Enti locali si segnalano le seguenti:
- Cass. sez. trib. 6 maggio 2005 n. 9415, che ha esaminato la controversia relativa all'impugnazione di una cartella esattoriale da parte di un campeggio che sosteneva l'intassabilità, ai fini Tarsu, di talune aree e l'inadeguatezza dell'imposizione in considerazione del fatto che l'attività non era stata svolta nell'intero anno. La Suprema Corte ha statuito che una volta accertate le circostanze che il criterio di tassazione, fissato dal regolamento comunale disattendeva le disposizione dell'art. 62 del D.Lgs. n. 507/1993, e che, d'altronde, la domanda della parte era sottesa all'annullamento della cartella, previa disapplicazione del regolamento comunale in quanto illegittimo, i Giudici di merito, avrebbero dovuto limitarsi, in ossequio a quanto disposto dall'art. 7 del D.Lgs. 546/1992 e dall'art. 112 c.p.c., alla disapplicazione della disposizione regolamentare, ed all'esame e valutazione della legittimità o meno dell'atto impugnato alla stregua della normativa vigente ed applicabile. Diversamente statuendo, e quindi ove si pronunci sul merito della imposta determinandone l'ammontare in base a parametri diversi rispetto a quelli indicati dall'Ente impositore ritiene il collegio, che la Commissione regionale, sia incorsa nel vizio di violazione dell'art. 7, c. 5, D.Lgs. n. 546/1992 e dell'art. 112 c.p.c., in quanto non ha facoltà di fissare nuovi e diversi parametri;
- Cass.SS.UU. 2 marzo 2006 n. 6265, che ha disapplicato la delibera tariffaria in materia di TARSU da applicare nei confronti di esercizi alberghieri, in considerazione della notevole differenza esistente con la tariffazione delle civili abitazioni;
- Cass. sez. trib. 4 febbraio 2005 n. 10308, in materia di imposta di pubblicità e pubbliche affissioni, che hanno interpretato l'art.4 del D.Lgs. 507/1993, indicando che l'Ente locale può individuare a propria discrezione e con apposito regolamento le zone "speciali" in cui l'imposta sulla pubblicità sia più costosa;
- Cass. SS.UU. 9 novembre 2001 n. 3030, in materia di TARSU, per la quale laddove la contestazione investa direttamente i cosiddetti atti autoritativi presupposti, e cioè i provvedimenti di carattere generale (regolamento e tariffa), la competenza giurisdizionale spetta al giudice amministrativo, mentre sono devolute alla cognizione delle commissioni tributarie le controversie concernenti i tributi comunali e locali tutte le volte in cui il contribuente abbia a contestare, nell'an e nel quantum, la pretesa impositiva azionata dall'Ente territoriale, impugnando, per l'effetto, gli atti impositivi, e così ponendo in discussione la specifica obbligazione tributaria ad essi riferibile (art. 2 c. 1 lett. h, del D.Lgs. 546/1992).
[1] Corte Cost. ord. 3 aprile 2006 n. 148 per la quale “l’addizionale regionale in quanto istituita e disciplinata dall’art. 50 D.Lgs. 446/1997, è da considerarsi tributo statale, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, c.2 lett. e), Cost., e non tributo «proprio» della Regione, senza che in contrario rilevino né l’attribuzione del gettito alle Regioni ed alle Province, né le determinazioni espressamente attribuite alla legge regionale dal citato decreto legislativo (sent. n. 2 del 2006, n. 37 e n. 381 del 2004), pertanto non è possibile invocare, quale parametro costituzionale, il c.2 del vigente art. 119 Cost. perché relativo al coordinamento dei tributi «propri» della Regione, cioè dei tributi stabiliti e applicati dalla Regione”.
[2] Corte Cost. 22 settembre 2003 n. 296 per la quale “la circostanza che l’imposta sia stata istituita con legge statale e che alle regioni a statuto ordinario, destinatarie del tributo, siano espressamente attribuite competenze di carattere solo attuativo rende palese che l’imposta stessa – nonostante la sua denominazione – non può considerarsi tributo proprio della Regione nel senso in cui oggi tale espressione è adoperata dell’art. 119, c.2 Cost., essendo indubbio il riferimento della norma costituzionale ai soli tributi istituiti dalle regioni con propria legge, nel rispetto di coordinamento con il sistema tributario statale”. La pronuncia trae origine dal ricorso dello Stato nei confronti della regione Piemonte avverso la legge regionale con la quale si esonerava dal versamento dell’IRAP l’Agenzia per lo svolgimento dei giochi olimpici.
[3] Introdotta con L. 24 aprile 1989, n. 144, aveva come presupposto impositivo l’esercizio di imprese e di arti e professioni secondo la normativa IVA, nonché l’esercizio di attività agricola di cui all’art.26 del DPR 917/1986 limitatamente all’attività di commercializzazione di prodotti agricoli e zootecnici svolto al di fuori del fondo in locali aperti al pubblico o esercitata in forma stabile in aree mercatali e attrezzate.
[4] Introdotte con D.L. 10 novembre 1978 n. 702, successivamente all’attribuzione agli Enti locali delle funzioni amministrative di cui al DPR 616/1977. Si applicavano agli atti e ai provvedimenti emessi dai Comuni nell’esercizio delle loro funzioni (licenze per apertura punti vendita, ecc.).
[5] Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale, l’art.116 Cost., così come sostituto dall’art. 2 L.Cost. n.3/2001 riconosce “forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.
[6] Corte Cost. 26 gennaio 2004 n. 37.
[7] Corte Cost. 4 dicembre 2006 n. 413 per la quale “la disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi rientra nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e, di conseguenza, l'esercizio della potestà legislativa delle regioni riguardo a tale tributo è ammesso solo nei limiti consentiti dalla legge statale. Si tratta, infatti, di un tributo che va considerato statale e non già “proprio” della Regione, nel senso di cui al vigente art. 119 Cost., senza che in contrario rilevino né l'attribuzione del gettito alle regioni ed alle province, né le determinazioni espressamente attribuite alla legge regionale dalla citata norma statale”. Conforme Corte Cost. 12 ottobre 2005 n. 397 per la quale “deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, della legge della Regione Molise 13 gennaio 2003, n. 1, modificata con successiva legge regionale promulgata il 31 agosto 2004, recante disposizioni per l'applicazione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, di cui alla L. n. 549 del 1995, nella parte in cui prevede un aumento del tributo con decorrenza dal 1 gennaio 2005, per l'illegittimo esercizio da parte della Regione della potestà legislativa consentitale in materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato (che prevede la possibilità delle regioni di fissare l'ammontare del tributo con propria legge entro e non oltre il 31 luglio di ogni anno per l'anno successivo e Corte Cost. 27 luglio 2005, n. 335, concernente lo stesso tributo speciale)”. Conforme in principio Corte Cost. 29 dicembre 2004 n.431 che con riferimento all’IRAP, nel richiamare le precedenti pronunce n. 311 e n. 296 del 2003, ha affermato che “l’IRAP è un tributo, istituito e disciplinato dal d.lgs. n. 446 del 1997, salve le determinazioni espressamente attribuite alla legge regionale dal medesimo decreto legislativo. Conseguentemente la disciplina sostanziale dell’imposta rientra tuttora nella competenza dello Stato. Ne deriva che si deve ritenere spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina di tale tributo”. In tal senso Corte Cost. 19 luglio 2004 n. 241 del 2004 e corte Cost. 26 settembre 2003 n 297 che con riferimento alle tasse automobilistiche, hanno precisato che la disciplina sostanziale dell’imposta non è divenuta oggetto di legislazione concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, ma rientra nella esclusiva competenza dello Stato in materia di tributi erariali, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e). Si vedano anche le sentenze Corte cost. n. 37 e n. 29 del 2004; Corte Cost. 15 ottobre 2003 n. 311 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – in relazione agli artt. 3, 117 c.2 e 199 Cost. – dell’art. 24 c.2 della L.R. Campania 26 luglio 2002 n. 15 che stabiliva la proroga al 31 dicembre 2003 del termine originario del 31 dicembre 2002, per il recupero delle tasse automobilistiche dovute per l’anno 1999, rientrando la disciplina delle tasse medesime nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato.
[8] Cfr. art. 13 L. 289/2002. Il condono locale, diversamente da quello statale, non è automatico, poiché non dipende dalla istanza del contribuente ma soprattutto dalle decisioni dell'Ente impositore.
[9] Cfr. Ris. Min. Fin. n. 118/E del 26 maggio 1999.
[10] Cfr. Circ. Min. Fin. n. 241/E del 29 dicembre 2000 - Fiscalità locale -. I regolamenti concernenti le entrate tributarie in materia impositiva sono soggetti al controllo centrale del Ministero delle Finanze, più in particolare, l'ufficio del federalismo fiscale è titolare del potere di impugnativa, entro il termine di 60 giorni dal ricevimento dei regolamenti in questione, unicamente per vizi di legittimità innanzi al TAR competente in relazione alla collocazione territoriale dell'Ente locale.
[11] Cfr. Ris. Min. Fin. n. 5/DPF del 2 aprile 2002, per la quale l’Ente locale non può autonomamente istituire nuovi tributi.
[12] Cfr. Ris. Min. Fin. n. 5/DPF del 2 aprile 2002, ad oggetto "Istituzione dell’imposta comunale di soggiorno o altre imposte equivalenti". Il Ministero delle Finanze in risposta ad un quesito di un Comune, il quale chiedeva se era possibile istituire un’imposta comunale di soggiorno o altra imposta equivalente sulla base dei poteri conferiti ai Comuni dal nuovo art. 119, c. 2, della Costituzione, come modificato dalla L. Cost. n. 3/2001, rilevava che "il nuovo art. 119, c. 2, della Costituzione prevede che i Comuni stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Detti principi devono però essere inevitabilmente stabiliti dalla legge, in base ad una serie di disposizioni che sono contenute nella stessa Carta costituzionale.
[13] Rassegna Tributaria 2/2002 "Prime osservazioni sul nuovo articolo 119 Cost." di Franco Gallo.
[14] Sulla nozione di "prestazione patrimoniale imposta" si veda Corte Cost. 1 giugno 1998 n. 215, per la quale “nell'individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte che postulano la garanzia della riserva di legge prevista dall'art. 23 della Costituzione ed i consequenziali limiti alla discrezionalità della pubblica amministrazione, la giurisprudenza costituzionale ha subito un'evoluzione. In un primo tempo, infatti, si era fatto riferimento solo alla natura autoritativa dell'atto che impone la prestazione. Successivamente si è fatto invece riferimento a quel tipo di servizio, che, pur dando luogo ad un rapporto negoziale di diritto privato, in considerazione della sua particolare rilevanza venga riservato alla mano pubblica e l'uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita (sentenza n. 72 del 1969). Nel complesso della giurisprudenza costituzionale, ai fini dell'individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte, non costituiscono pertanto profili determinanti né le formali qualificazioni delle prestazioni (sentenza n. 4 del 1957), né la fonte negoziale o meno dell'atto costitutivo (sentenza n. 72 del 1969), né l'inserimento di obbligazioni ex lege in contratti privatistici (sentenza n. 55 del 1963). Va invece riconosciuto un peso decisivo agli aspetti pubblicistici dell'intervento delle autorità ed in particolare alla disciplina della destinazione e dell'uso di beni o servizi, per i quali si verifica che, in considerazione della loro natura giuridica (sentenze n. 122 del 1957 e n. 2 del 1962), della situazione di monopolio pubblico o della essenzialità di alcuni bisogni di vita soddisfatti da quei beni o servizi (sentenze nn. 36 del 1959, 72 del 1969, 127 del 1988), la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta con atti formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla sfera dell'autonomia privata, giustificano la previsione di una riserva di legge". Conforme Corte Cost. 6 giugno 1994 n. 236.
[15] Corte Cost. 23 giugno 1965 n. 64 che, nel dichiarare non fondata la questione, proposta sulla legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, in riferimento agli artt. 36, 14 e 17 dello Statuto regionale siciliano, nonché agli artt. 3, 53 e 23 della Costituzione, afferma che in materia di prestazioni patrimoniali in base all’art. 23 Cost. esiste un riserva “relativa” di legge statale anche in considerazione che altre norme costituzionali attribuiscono potere normativo in materia alle Regioni. Conforme Corte Cost. 18 luglio 1997 n. 269; Corte Cost. 27 maggio 1996 n. 180; Corte Cost. 7 dicembre 1979 n. 148.
[16] Corte Cost. ord. 20 aprile 1998 n. 144, con la quale è stato affermato che la modifica mediante ampliamento della competenza delle commissioni tributarie non vale a far ritenere nuovo il giudice tributario in modo tale da ravvisarsi un diverso giudice speciale, dovendosi interpretare l'art. 102 della Costituzione in combinato con la IV disposizione transitoria (che consente la revisione delle preesistenti giurisdizioni speciali, come quella tributaria) senza che sia precluso al legislatore procedere ad ulteriori interventi di revisione purchè non siano snaturate le materie già attribuite alla giurisdizione speciale.
[17] Corte Cost. 22 settembre 2003 n. 297 che ha accolto il ricorso dello Stato nei confronti delle regioni Piemonte e Veneto che avevano concesso la proroga di un anno per il recupero delle tasse automobilistiche regionali. Tale tributo non è di competenza regionale, ma statale; le Regioni non hanno perciò il potere di introdurre ipotesi di esenzione oltre quanto loro consentito dalla legislazione statale.
[18] Cass. ord. 27 ottobre 2003 n. 5067 che ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione della compatibilità dell'articolo unico della legge 15 luglio 1911, n.749 con il Trattato istitutivo della Comunità europea, in particolare con il principio di libera circolazione delle merci, stabiliti agli articoli da 23 a 31. Corte di Giustizia CE, sez. I – sent. 9 dicembre 2004, causa C-72/03.
[19] Sent. del 21 giugno 2007, causa C-173/05 della Corte di Giustizia UE, Sez. II per la quale “per effetto dell'istituzione dì tale tributo, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 23, 25 e 133 CE, nonché dell'art. 9 dell'Accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e la Repubblica democratica popolare di Algeria”.
[20] La disposizione in argomento dispone che “1. Al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa comunitaria. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 1, del citato Trattato.
2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, i poteri sostitutivi necessari, secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall'articolo 11, comma 8, della presente legge.
3. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 indicati dalla Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri Fondi aventi finalità strutturali.
4. Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunità europea
5. Lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.
6. Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 5:
a) nei modi indicati al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale;
b) mediante prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 20 ottobre 1984, n. 720, per tutti gli enti e gli organismi pubblici, diversi da quelli indicati nella lettera a), assoggettati al sistema di tesoreria unica;
c) nelle vie ordinarie, qualora l'obbligato sia un soggetto equiparato ed in ogni altro caso non rientrante nelle previsioni di cui alle lettere a) e b).
7. La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa, comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui ai commi 3, 4 e 5, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro tre mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e reca la determinazione dell'entità del credito dello Stato nonché l'indicazione delle modalità e i termini del pagamento, anche rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato.
8. I decreti ministeriali di cui al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati. Il termine per il perfezionamento dell'intesa è di quattro mesi decorrenti dalla data della notifica, nei confronti dell'ente territoriale obbligato, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L'intesa ha ad oggetto la determinazione dell'entità del credito dello Stato e l'indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. Il contenuto dell'intesa è recepito, entro un mese dal perfezionamento, in un provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Ministero dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.
9. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa, all'adozione del provvedimento esecutivo indicato nel comma 8 provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, nei successivi quattro mesi, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Presidente del Consiglio dei ministri in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.
10. Le notifiche indicate nei commi 7 e 8 sono effettuate a cura e a spese del Ministero dell'economia e delle finanze.
11. I destinatari degli aiuti di cui all'articolo 87 del Trattato che istituisce la Comunità europea possono avvalersi di tali misure agevolative solo se dichiarano, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e secondo le modalità stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, di non rientrare fra coloro che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato gli aiuti che sono individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea, e specificati nel decreto di cui al presente comma».
[21] Circ. Min. Fin. n. 296/E del 31 dicembre 1998.
[22] In base all’art. 36 L. 388/2000 "…Ferma restando l' eventuale utilizzazione di intermediari previste da norme di legge o di regolamento, le Regioni, le Province, i Comuni, e gli altri enti locali possono prevedere la riscossione spontanea dei propri tributi secondo modalità, che velocizzando le fasi di acquisizione delle somme riscosse, assicurino la più ampia diffusione dei canali di pagamento e la sollecita trasmissione all'Ente creditore dei dati del pagamento stesso…".
[23] Cfr. Circ. Min. Fin. n. 101/E del 17 aprile 1998; Circ. Min. Fin. n. 118/E del 26 maggio 1999; Circ. Min. Fin. n.241 del 29 dicembre 2000.
[24] Cfr. TAR di Venezia, Sez.I, 8 maggio 2008 n. 1552 in base alla quale “è inammissibile l’impugnazione rivolta alla delibera con la quale il Comune adotta una modificazione delle tariffe del servizio di smaltimento dei rifiuti senza la contestuale impugnazione del regolamento del quale si contestino le modalità di classificazione delle classi di attività di contribuzione al prelievo tributario a titolo di TARSU. La determinazione della nuova tariffa non può considerarsi essa stessa un regolamento, ma solo attività amministrativa che si svolge nell’ambito (e in conformità) della disciplina posta con regolamenti comunali (i quali, a loro volta, debbono essere conformi alle norme di legge e alle altre di rango superiore). Si tratta, in altre parole, di due attività amministrative di diversa natura e contenuto: l’una di carattere normativo, l’altra (la variazione periodica delle tariffe, al fine di adeguarle ai costi) a carattere pur sempre applicativo”.
[25] Tale disposizione rafforza la previsione dell’art. 5 della L. 20 marzo 1865, n. 2248 All. E, concernente la disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi ai sensi del quale “….., le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi.”. Con tale legge avente ad oggetto il contenzioso amministrativo sono stati aboliti i Tribunali speciali investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo, tanto in materia civile, quanto in materia penale e le controversie ad essi attribuite dalle diverse leggi sono state devolute alla giurisdizione ordinaria, od all'autorità amministrativa (art.1). Sono state devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie relative a qualunque diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione (art.2), mentre gli affari non compresi nell'articolo precedente sono stati attribuiti alle autorità amministrative, le quali, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate, devono provvedere con decreti motivati, previo parere dei consigli amministrativi che pei diversi casi siano dalla legge stabiliti. Contro tali decreti, che saranno scritti in calce del parere egualmente motivato, è stato ammesso il ricorso in via gerarchica in conformità delle leggi amministrative (art.3). Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio. L'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso (art.4).
[26] Cass. Sez. lavoro 29 gennaio 2002, n. 6801; Cass. sez. trib. 15 ottobre 2003 n. 4567; Cass. sez. trib. 20 giugno 2003 n. 16870; Cass. sez. trib. 30 aprile 2004 n. 13848 per la quale in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, “la deliberazione comunale relativa alle tariffe può essere disapplicata da parte del giudice tributario, ma tale disapplicazione può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell'atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), non essendo sufficiente a tal fine la generica contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell'adottare la delibera stessa”.
[27] Cons. di Stato Sez. IV 12 dicembre 2000 n. 732; Conforme Cons. di Stato Sez. IV 12 dicembre 2000 n. 735; Cons. di Stato Sez. V 10 febbraio 1998 n. 544.
[28] Cass. SS.UU. 2 marzo 2006 n. 6265 per la quale “non è ravvisabile il difetto di giurisdizione, nell'ipotesi in cui il giudice tributario disapplichi un atto amministrativo di carattere generale” - nello specifico una delibera comunale relativa alla tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) - al fine di decidere un giudizio relativo a uno specifico rapporto tributario.
[29] Cass. sez. trib. 15 ottobre 200 n. 4567.
[30] Cass. SS.UU. 27 febbraio 2003 n. 6631; Cass. SS.UU. 9 novembre 2001 n. 3030.
[31] Cfr. Cass. sez. trib. 1 marzo 2005 n. 16427 per la quale “al contribuente, che non abbia contestato per un anno l’applicazione della TARSU, non è preclusa la possibilità di impugnare in via incidentale il regolamento TARSU”.
[32] Cass. sez. trib. 4 novembre 2004 n. 22569 per la quale “in caso di annullamento da parte del giudice amministrativo la pubblica amministrazione può sostituire ora per allora l’atto annullato con un nuovo atto, dal medesimo contenuto sostanziale”, nel caso in esame trova applicazione la delibera comunale che ribadisce con efficacia retroattiva le aliquote ICI contenute in una precedente delibera annullata dal TAR per difetto di motivazione ed istruttoria. In tal senso Cons. Stato sez. IV 30 gennaio 2001 n. 1801.
[33] TAR Toscana 1 febbraio 2005 n. 315 in merito alla legittimità di una delibera comunale di determinazione della aliquote ICI. In tal senso Cons. Stato Sez. VI 30 settembre 2004 n. 6353 per cui “l’impugnazione dei regolamenti concernenti il contributo annuale per la sicurezza sanitaria, introdotto dalla L. 388/2000, non appartiene alla competenza del giudice tributario. Infatti, tutte le volte che oggetto della controversia è l’esercizio di un potere discrezionale residua la competenza del giudice amministrativo, mentre al giudice tributario sono devolute le controversie attinenti l’esecuzione della pretesa tributaria”. Conforme Cass. SS.UU. 25 maggio 2006 n. 20318 per la quale “è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo l'impugnazione del D.M. con cui il Ministro delle politiche agricole e forestali, in forza della delega contenuta nell'art. 59, c. 1, L. 23 dicembre 1999, n. 488, sostituito dall'art. 123, c. 1, lett. a), L. 23 dicembre 2000, n. 388, forma ed aggiorna l'elenco dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti di sintesi, il cui fatturato alla vendita costituisce la base imponibile sulla quale dev'essere applicato il prelievo del 2% a titolo di contributo annuale per la sicurezza alimentare”. Si tratta infatti di un atto amministrativo generale, posto a monte dell'accertamento e della determinazione in concreto del tributo, ed avente una funzione di integrazione del precetto legislativo, consentita dalla natura non assoluta della riserva di legge in materia tributaria. La controversia esula pertanto dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, il cui potere di annullamento riguarda soltanto gli atti indicati dall'art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non si estende agli atti amministrativi generali, dei quali l'art. 7 del medesimo D.Lgs. consente soltanto la disapplicazione, ferma restando l'impugnabilità degli stessi dinanzi al giudice amministrativo, non già nei confronti dell'Ente impositore, ma nei confronti del Ministero delle politiche agricole e forestali, al quale, come soggetto estraneo al rapporto tributario, non e' riconosciuta legittimazione processuale nel giudizio tributario.
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