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La proposizione del ricorso
1. Profili generali
Il contribuente in caso di notifica di un atto imposititvo può decidere di:
a) adempiere l’obbligazione tributaria entro il termine per ricorrere ed in caso di irrogazione immediata di sanzioni ai sensi dell’art. 17, c. 2 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, procedere alla definizione agevolata pagando un quarto delle sanzioni irrogate, entro il citato termine;
b) formulare, entro il termine di 60 giorni dalla notificazione dell’atto, apposita istanza di accertamento con adesione[1];
c) proporre ricorso giudiziale nel termine di 60 giorni decorrenti dalla notificazione dell’atto oppure nel termine previsto per la prescrizione del diritto al rimborso nel caso in cui venga impugnato il silenzio tacito alla restituzione dei tributi formatosi sulla domanda di rimborso. Tale principio è ispirato all’art. 99 c.p.c. in base al quale “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”.
Nel caso di rifiuto tacito da parte dell’Ente impositore, al rimborso di tributi, sanzioni, interessi ed altri accessori non dovuti, il ricorso potrà essere presentato non prima dei 90 giorni dalla presentazione dell’istanza di restituzione a sua volta proposta nei termini di decadenza stabiliti dalla singola legge d’imposta ed entro 10 anni dall’istanza di rimborso.
Con la proposizione del ricorso avverso gli atti impugnabili[2] individuati dall’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 si instaura il processo tributario. Il ricorso tributario si differenzia dalla citazione del processo ordinario in quanto non è indirizzato alla controparte (vocatio in ius), bensì direttamente alla commissione tributaria competente (vocatio iudicis).
Si ritiene ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario l'art. 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte - e quindi la trattazione unitaria – di una pluralità di domande anche non connesse tra loro, con risultato, del resto, analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi, anche soltanto soggettivamente connessi, già ammessa dall'art. 34 del citato D.P.R. 636/1972 e ora dall'art. 29 del D.Lgs. 546/1992. Inoltre, nell'ambito del processo tributario, non si pongono limitazioni riguardanti la competenza per valore[3].
Il ricorso si articola in due fasi processuali:
1) una prima fase nella quale il ricorrente porta a conoscenza della controparte il ricorso, mediante notificazione, consegna o spedizione a mezzo posta fatta in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento;
2) una seconda fase nella quale viene investito della controversia il giudice competente, mediante la costituzione in giudizio della parte ricorrente.
2. Requisiti formali del ricorso
Il ricorso, così come l’opposizione ed altri atti difensivi del contribuente come previsto dall’art. 5, c. 1 della Tabella, Allegato B, al DPR 642/1972 è escluso dall’esenzione dall’imposta di bollo prevista invece per gli atti e copie del procedimento di accertamento e riscossione di qualsiasi tributo, dichiarazioni, denunzie, atti, documenti e copie presentati ai competenti uffici ai fini dell’applicazioni delle leggi tributarie nonché per le istanze di rimborso e di sospensione del pagamento di qualsiasi tributo, e documenti allegati alle istanze medesime. Pertanto si applica l’imposizione del tributo di bollo nella misura di € 14,62 per ogni foglio, (intendendosi per foglio quello composto da 4 facciate), previsto dall’art. 20 della Tariffa, allegato A, parte prima. Il bollo si applica sull’originale del ricorso notificato all’Ente, mentre la copia depositata alla commissione tributaria non va in bollo. Il pagamento può avvenire con le modalità della carta bollata, marche o bollo a punzone. Qualora l’Ente locale opera in qualità di contribuente – ricorrente nei confronti di un atto emesso dall’Amministrazione finanziaria sarà obbligato al pagamento dell’imposta di bollo[4].
Al processo tributario è inapplicabile la riforma del contributo unificato, contenuta nella disposizione di cui all’art. 9 della L. 23 dicembre 1999, n. 488 ed entrata in vigore dal 1 marzo 2002, in considerazione della tassatività dell’applicazione di quest’ultimo[5] ai procedimenti giurisdizionali civili ed amministrativi, comprese le procedure concorsuali e di volontaria giurisdizione.
In caso di inosservanza della proposizione del ricorso su carta da bollo, la segreteria della Commissione non può rifiutare il deposito. Tale irregolarità comporta l’invito alla regolarizzazione e l’applicazione della sanzione amministrativa (artt. 19 e 31 DPR 642/72), mediante trasmissione dell’atto a cura della segreteria della commissione al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
In caso di conferimento di procura al difensore abilitato nel ricorso mediante apposizione a margine o in calce allo stesso dovrà essere corrisposta un’ulteriore marca da bollo, in quanto dovuta per la certificazione della firma (art.20, n.1 della tariffa –parte I – allegata al D.P.R. 642/72).
3. Contenuto essenziale del ricorso
Il ricorso deve contenere “tassativamente” l'indicazione:
a) della commissione tributaria cui è diretto. Specificando sia il grado (provinciale o 1° grado per le province autonome di Trento e Bolzano) che la sede;
b) del ricorrente e del suo legale rappresentante[6] (se procuratore è necessario indicare gli estremi della procura), della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato. Nel caso di ricorrente persona fisica andranno indicati i dati anagrafici di quest’ultima. Nel caso di società o ente andranno indicati la denominazione sociale o ragione sociale, la sede ed i dati del rappresentante legale. Nel caso di ricorrente Ente territoriale andranno indicati i dati del rappresentante legale (sindaco, presidente della provincia o presidente della regione);
c) del codice fiscale del ricorrente;
d) dell'ufficio dell’Agenzia delle Entrate (o del Territorio o delle Dogane) o dell'Ente locale o dell’Agente della riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto;
e) dell'atto impugnato (o estremi dell’istanza di rimborso cui ha fatto seguito il silenzio dell’ufficio);
f) dell'oggetto della domanda[7] (che rappresenta il “petitum”), ossia il provvedimento richiesto al giudice e che in effetti circoscrive il thema decidendum. In base al principio processuale della “corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato”, il giudice dovrà pronunciarsi sulle sole richieste avanzate dal ricorrente, in quanto laddove si pronunciasse su domande diverse, la sentenza emessa risulterebbe viziata da ultrapetizione. Tra le richieste avanzate dal ricorrente è bene che a quest’ultimo non sfugga la richiesta di condanna della parte resistente al rimborso delle spese di giudizio;
g) dei motivi[8] (che rappresentano la causa petendi), ossia le ragioni di fatto e di diritto che stanno alla base dell’impugnazione dell’atto. E’ inammissibile il ricorso in cui ci si limiti ad affermare l'illegittimità dell'atto impugnato, rinviando alle difese successive la specificazione delle ragioni di tale affermazione, perché in tal caso l'atto introduttivo non soddisfa il requisito dell'indicazione dei motivi, prescritto a pena di inammissibilità[9];
h) la sottoscrizione in originale del difensore del ricorrente o della parte nei casi in cui non sia obbligatoria l’assistenza tecnica[10].
4. Contenuto eventuale del ricorso
Il ricorso può eventualmente contenere:
a) l’istanza di sospensione dell’atto impugnato[11];
b) l’istanza di trattazione in pubblica udienza[12];
c) l’istanza di riunione dei ricorsi (se il ricorrente non ha optato per il ricorso cumulativo).
5. Inammissibilità del ricorso
Il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni richieste tassativamente dalla normativa e sopra citate, ad eccezione di quella relativa al codice fiscale, oppure non è sottoscritta a norma del c. 3 dell’art.18. Le commissioni tributarie per verificare l'esistenza dei requisiti necessari per la validità dei ricorsi devono porre in essere ogni opportuno adempimento per tentare di utilizzare i ricorsi stessi in base al principio della conservazione degli atti giuridici[13], ricavabile dagli artt. 156 e 164 c.p.c. concernenti rispettivamente il tema della nullità degli atti processuali ed il tema della nullità della citazione.
Il ricorso è inammissibile qualora venga omessa la consegna o spedizione del ricorso all'ufficio finanziario competente, anche se copia dello stesso sia stata consegnata o spedita ad altro ufficio appartenente alla stessa amministrazione finanziaria[14].
Le disposizioni che sanciscono l'inammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio debbono essere interpretate ed applicate in armonia con i principi della Costituzione ed in particolare con il diritto alla difesa in giudizio sancito dall'art. 24 della medesima. Di conseguenza si deve procedere ad una interpretazione restrittiva dell'art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992 e applicare la sanzione estrema della inammissibilità del ricorso (lo stesso dicasi per l’appello) solo quando siano lesi profili sostanziali del contraddittorio processuale[15].
L’inammissibilità del ricorso è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Il vizio non è sanabile neanche con la costituzione in giudizio della parte resistente (art. 22, c. 2 D.Lgs. 546/1992).
6. Modalità di notifica del ricorso
La notifica del ricorso, in base all’art. 20 D.Lgs. 546/1992, può essere effettuata all’Ente impositore in uno dei seguenti modi:
a) notifica a mezzo degli ufficiali giudiziari ai sensi degli artt. 137 e ss. c.p.c., al quale andrà consegnato il ricorso in originale ed in copia conforme (entrambi in bollo). Quest’utima sarà consegnata al destinatario, mentre l’originale, munito di relata attestante la notifica della copia consegnata all’Ente impositore, verrà restituito al richiedente e successivamente da questi depositato presso la segretaria della Commissione;
b) consegna dell’originale del ricorso a mani di personale dell’Ente impositore destinatario che è tenuto a rilasciare ricevuta. All’Agente della riscossione non potrà essere effettuata la notifica mediante consegna diretta;
c) spedizione dell’originale del ricorso a mezzo servizio postale dell'atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento[16]. Avvenuta la notifica la fase successiva è rappresentata dal deposito degli atti da parte del ricorrente nella segreteria della Commissione tributaria adita entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso, a pena di inammissibilità.
Nelle fattispecie sub b) e sub c) il ricorrente dovrà attestare sulla copia del ricorso da depositare successivamente presso la segreteria della Commissione tributaria che essa è conforme all’atto consegnato o spedito.
La notifica del ricorso a mezzo spedizione postale è subordinata all’adempimento delle seguenti formalità:
a) plico senza busta;
b) raccomandata con avviso di ricevimento.
L’attinenza della ricevuta di spedizione alla copia del ricorso[17], consente di dare certezza al giorno di spedizione della raccomandata, certezza che potrebbe essere compromessa dalla non contestualità del timbro dell'ufficio postale con l'atto incorporante il ricorso.
Il momento perfezionativo della notifica del ricorso a mezzo posta, è da individuarsi nella consegna del plico al servizio postale. In caso contrario verrebbe compromesso il diritto di difesa del soggetto notificante qualora a causa di un disservizio postale l’atto venga consegnato al destinatario oltre i termine di decadenza[18].
La spedizione del ricorso in “busta chiusa” anziché in “plico senza busta” rappresenta una semplice irregolarità[19] atteso che la notifica a mezzo posta si perfeziona per il notificante alla data di spedizione e non a quella della sua ricezione. Le formalità relative all’invio del plico sono prescritte dalla legge solo per dare certezza del contenuto dell’atto notificato in caso di contestazioni. Pertanto, l’irregolarità è sanata, ex tunc, qualora la controparte si costituisca, anche tardivamente, senza contestare che l’atto di ricorso fosse contenuto nel plico, così come depositato dal ricorrente, ma soltanto al fine dichiarato di far rilevare il vizio[20]. Ciò che rileva, invece, in tale fattispecie è la tempestività del ricorso, che non si ritiene accertabile dalla data della sua spedizione, ma solamente dal timbro di ricezione dell’ufficio impositore, con la conseguenza che, se tale data è successiva alla scadenza del termine previsto per proporre ricorso, questo deve essere dichiarato inammissibile[21].
Il termine di 60 giorni dalla notificazione dell’atto per la proposizione del ricorso ha natura di termine perentorio, come tale non suscettibile di interruzione o sospensione (salve le ipotesi tassativamente indicate dalla legge)[22] ed il suo inutile decorso rende l’atto non impugnato definitivo producendo l’impossibilità per il contribuente di rimettere in discussione la pretesa e determinando la cristallizzazione del quantum che il soggetto passivo è obbligato a corrispondere all'Ente impositore.
7. Termine per la proposizione del ricorso
Il termine per la proposizione del ricorso, è espressamente previsto a pena di inammissibilità e nessuna rilevanza viene attribuita al caso fortuito e alla forza maggiore[23], ed è fisato in:
- giorni 60 dalla notificazione dell’atto impugnato;
- giorni 90 dalla presentazione della domanda di rimborso, o sgravio di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti, senza che l’ufficio adotti alcun provvedimento (c.d. silenzio rifiuto) [24]. In base, al c. 2 dell’art. 21 D.Lgs. 546/1992, il ricorso può esser proposto con decorrenza dal novantesimo giorno dalla data di presentazione dell’istanza di restituzione (termine a quo) e fino a quando il diritto alla restituzione non si è prescritto (termine ad quem). La domanda di rimborso deve esser, comunque, presentata entro i termini previsti da ciascun tributo[25]; in mancanza di disposizioni specifiche non può esser presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
In caso di errore scusabile, a differenza del processo civile e del processo amministrativo, nel processo tributario non esiste alcun istituto generale di rimessione in termine per fatto imputabile all’onerato.
In nessun caso è possibile per l’Amministrazione incidere su tale termine, a tal proposito è stato previsto in giurisprudenza che il potere sospensivo della riscossione insito nella potestà di autotutela, nella specie esercitabile nei confronti degli uffici gerarchicamente sott’ordinati e dei concessionari del servizio previsto con circolare o direttiva non può interrompere e far nuovamente decorrere ad libitum partis[26].
In effetti, parte minoritaria ed isolata della giurisprudenza riteneva applicabile l’art. 184-bis, c. 1 c.p.c. (vigente ante modifica al codice di procedura civile apportata dalla L. 69/2009) che così disponeva “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini”[27]. I casi in cui la rimessione in termini è stata ritenuta applicabile sono rappresentati dalla omessa indicazione nel provvedimento impugnato tanto dell’organo giurisdizionale quanto del termine per ricorrere ovvero dai casi di incertezze normative[28].Tale orientamento è supportato da un principio fondamentale del nostro ordinamento sancito dall’art. 24 Cost. concernente il diritto di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti, nonché dal principio della buona fede ed affidamento sancito dall’art.10 L. 27 luglio 2000, n. 212.
A seguito della modifica apportata dalla L. n. 69/2009 che ha abrogato l’art. 184-bis c.p.c. (collocato nel libro II del codice di rito) spostandone il contenuto nell’art. 153 c.2 c.p.c. (collocato nel libro I del codice di rito) il legislatore ha inteso riconoscere all’istituto della rimessione in termini una valenza di carattere generale. L’art. 153 c. 2 nel disporre che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile prevedendo che la stessa può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”, ha natura derogatoria del principio stabilito dal c. 1 dello stesso articolo secondo il quale “i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti”.
L’intempestività del ricorso, poiché attiene ad un presupposto processuale è sempre rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, senza una tempestiva eccezione dell’Ente impositore. Trattasi, infatti, di decadenza prevista nel pubblico interesse[29]. Differente da tale fattispecie è la decadenza dell’ufficio dal potere di accertamento per mancato esercizio dello stesso nel termine fissato dal legislatore. In questo caso la decadenza non può esser rileva d’ufficio dal giudice, ma deve essere ritualmente eccepita dal contribuente[30].
8. Motivi del ricorso
I motivi di gravame vanno dedotti, a pena di inammissibilità, con l’atto introduttivo. Infatti l’art. 24 c. 2 D.Lgs. 546/1992 dispone che eccezionalmente sono ammissibili nuovi motivi d'impugnazione ad integrazione di quelli già dedotti con il ricorso introduttivo (c.d. "memoria integrativa"), subordinatamente al verificarsi di una condizione dipendente da una precisa attività processuale della controparte: il deposito di documenti non conosciuti[31]. Pertanto, andrà sollevata con apposito motivo nel ricorso introduttivo, ad esempio l’eccezione relativa alla mancanza di legittimazione passiva, in quanto in caso contrario non potrà esser rileva d’ufficio dal giudice[32].
Qualora il ricorrente non abbia indicato nel ricorso di primo grado ed in particolare nell’oggetto della domanda ex art.18 D.Lgs. 546/1992 determinati motivi, non può proporli successivamente, in appello, in quanto si amplierebbe il thema decidendum.
9. Integrazione dei motivi di ricorso
L'integrazione dei motivi di ricorso[33] è consentita dall'art. 24, c. 2, del D.Lgs. 546/1992 soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e comunque entro 60 giorni dalla data in cui si è avuta notizia di tali documenti.
[1] Si veda Parte I, Capo VI.
[2] Si veda Parte II, Capo IV.
[3] Cass. sez. trib. 24 marzo 2004 n. 19666.
[4] Ris. Agenzia delle Entrate n. 34/E del 1 febbraio 2002.
[5] Circ. Min. Fin. n. 21/E del 27 febbraio 2002.
[6] Cass. sez. III 27 giugno 2005 n. 17771 per la quale “la erronea indicazione dell'organo della persona giuridica convenuta che ne ha la rappresentanza in giudizio determina la nullità dell'atto introduttivo del giudizio solo quando si traduca in incertezza assoluta sull'identificazione dell'ente convenuto, secondo l'apprezzamento del giudice di merito, che è incensurabile in cassazione se correttamente motivato”. Conforme Cass. sez. trib. 14 gennaio 2000 n. 5572 “per la quale la carenza nell'atto introduttivo del processo delle indicazioni necessarie per la individuazione del legale rappresentante (anche organico) del ricorrente inficia l'atto medesimo e ne determina la inammissibilità tutte le volte che sia causa di incertezza assoluta al riguardo, senza che tale vizio possa ritenersi passibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo ai sensi dell'art. 156 comma 3 c.p.c.”; Cass. sez. trib. 10 marzo 2008 n. 6359.
[7] Cass. sez. III 23 marzo 2001 n. 7448 per la quale “la nullità della citazione per totale omissione o assoluta incertezza dell'oggetto della domanda, ai sensi dell'art. 164 c.p.c., non ricorre quando il "petitum", inteso sotto il profilo formale come provvedimento giurisdizionale richiesto e sotto l'aspetto sostanziale come bene della vita di cui si chiede il riconoscimento, sia comunque individuabile attraverso un esame complessivo dell'atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva, costituendo il relativo apprezzamento una valutazione di fatto riservata al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità se non congruamente o correttamente motivata”.
[8] Cass. sez. trib. 10599 del 8 febbraio 2007, per la quale ove il contribuente abbia proposto denunce delle norme istitutive del tributo con diverse norme della costituzione è solo tale questione che deve essere esaminata (e respinta) nel giudizio. Nel caso sottoposto alla Corte il ricorso veniva proposto avverso il silenzio rifiuto dell'istanza di rimborso Irap deducendo l'illegittimità costituzionale dell'imposta. In deroga alla regola della tassatività dei motivi si veda l’art. 24 D.Lgs. 546/1992.
[9] CTC 1 luglio 1994 n. 2358.
[10] Cass. sez. trib. 6 dicembre 2000 per la quale “il ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alle commissioni tributarie è inammissibile tutte le volte in cui manchi, nella copia depositata con la costituzione in giudizio, la sottoscrizione dell'autore dell'atto (e cioè della parte ovvero del suo difensore), indipendentemente dalla circostanza che la controparte non contesti la sottoscrizione dell'originale”. Cass. sez. trib. 22 marzo 2006, n. 6391 in base alla quale “l'inammissibilità per difetto di sottoscrizione del ricorso si verifica solo quando la sottoscrizione stessa manchi del tutto e non quando il contribuente (in violazione del citato art. 22) consegni all'ufficio la copia dell'appello priva di sottoscrizione e depositi in segreteria l'originale regolarmente sottoscritto”. Cass. sez. trib. 15 marzo 2004, n. 5257 in base alla quale “non è privo di sottoscrizione e, perciò, è ammissibile, ai sensi dell'art. 18, commi 3 e 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il ricorso tributario notificato all'ente impositore in copia fotostatica in cui sia riprodotta la sottoscrizione del difensore, ove il ricorso depositato presso la segreteria del giudice rechi la firma autografa del difensore e la conformità della copia fotostatica non sia stata contestata”. Cass. 13 aprile 1999, n. 3620 secondo la quale “la mancanza di sottoscrizione del difensore abilitato a rappresentare la parte in giudizio nella copia notificata della citazione, non incide sulla validità di questa se è sottoscritto l'originale e la copia notificata fornisca alla controparte sufficienti elementi per acquisire la certezza della sua rituale provenienza da quel difensore”.
[11] Si veda Parte III, Capo III.
[12] Si veda Parte III, Capo V, Par. 3.
[13] Cass. sez. I 13 dicembre 1988 n. 1047.
[14] Cass. sez. trib. 15 maggio 2000 n. 6212.
[15] Cass. sez. trib. 31 ottobre 2005 n. 21170; Cass. sez. trib. 22 marzo 2006 n. 6391.
[16] Cass. sez. I 14 marzo 1990 n. 5387 per la quale “quando una norma di legge prescrive che un atto possa esser inoltrato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno attraverso il servizio postale, non è consentito far ricorso a una agenzia di recapito autorizzato, perché le attestazioni dei dipendenti di tali agenzie non godono della particolare valenza propria delle attestazioni dei pubblici impiegati dell'amministrazione postale. Inoltre, detta formalità non si applica nel caso in cui ad avvalersi del mezzo postale è l’ufficiale giudiziario, in quanto potrà procedere ai sensi dell’art.149 c.p.c., quindi all’invio in plico raccomandato chiuso, con avviso di ricevimento”.
[17] Cass. sez. I 29 febbraio 1988 n. 6200 per la quale “la completezza formale del ricorso alle commissioni tributarie va accertata con esclusivo riferimento all'originale potendo la mancata sottoscrizione della copia solo ingenerare nel destinatario incertezza nella provenienza dell'atto che è da escludere qualora l'atto abbia raggiunto il suo scopo, con la costituzione in giudizio dell'appellato”.
[18] Cass. sez. trib 26 febbraio 2003 n. 10481. Corte Costituzionale 26 novembre 2002, n. 477 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 149 c.p.c. nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificane, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché alla data di consegna all’ufficiale giudiziario. Tale orientamento viene confermato dalla stessa Corte Cost. con sentenza 13 gennaio 2004 n. 28 con riferimento alla notificazione eseguita direttamente dall’ufficiale giudiziario, in base alla quale “non è fondata, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 139 e 148 c.p.c., nella parte in cui prevede che le notificazioni si perfezionino, per il notificante, alla data di perfezionamento delle formalità di notifica poste in essere dall'ufficiale giudiziario e da questi attestate nella relazione di notificazione, anziché alla data, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. Per effetto della sentenza n. 477 del 2002, risulta ormai presente nell'ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario, pur restando fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o adempimenti o comunque conseguenze decorrenti dalla notificazione, gli stessi debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti, sicché, le norme censurate vanno interpretate nel senso che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario”.
[19] Cass. sez. trib. 12 dicembre 2005 n. 918 per la quale “gli effetti della notifica per il notificante si determinano, pur sempre, dal giorno della spedizione di spedizione dell'atto anche nel caso in cui la spedizione avvenga in busta e non in piego raccomandato, qualora non sussistano contestazioni riguardo al contenuto della busta stessa”; Cass. sez. trib. 2 settembre 2004, n. 17702. Contra Cass. sez. trib. 16 novembre 2006 n. 27067 per la quale “la notifica del ricorso per posta si ritiene effettuata al momento della consegna all'ufficio postale (art. 20 D.Lgs. n. 546/1992) solo se ha luogo tramite plico senza busta raccomandato, con avviso di ricevimento. Se invece il ricorso viene spedito in una busta chiusa, la sua tempestività può rilevarsi solo dal timbro di ricezione dell’ufficio impositore, per cui se tale data è successiva alla scadenza del termine per proporre ricorso, esso andrà dichiarato inammissibile”.
[20] Cass. sez. trib. 11 novembre 2004 n. 333 per la quale “ai fini della tempestività del ricorso risulta rilevante e fa fede, anche in caso di spedizione postale mediante uso della busta anziché del plico raccomandato, la data di spedizione, costituendo l'uso della busta una mera irregolarità, in relazione alla efficacia sanante della costituzione in giudizio del destinatario dell'atto viziato.” In base all’art. 156, c. 3, c.p.c. “ la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
[21] Cass. sez. trib 16 novembre 2006 n. 27067; Cass. sez. trib. 16 marzo 2001 n. 11327.
[22] Proroga di 6 mesi, a decorrere dall’evento, qualora, nella pendenza del detto termine, si verifichi una delle cause di interruzione del processo previste dall’art.40, c. 1, lett. a) D.Lgs.. 546/1992: “il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa dall'ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza”.
[23] Cass. sez. trib. 19 giugno 2002 per la quale “la remissione della causa alla commissione tributaria provinciale prevista dall'art. 59, c. 1, lett. b), D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, per l'ipotesi di non regolare costituzione o integrazione del contraddittorio nel giudizio di primo grado non può trovare applicazione quando, per la mancata notifica all'ufficio tributario del ricorso, semplicemente presentato alla commissione adita, neppure sia stato costituito il contraddittorio, ove si consideri che in tale caso, ai sensi degli art. 21 e 22 del medesimo decreto, la inammissibilità del ricorso è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce, con la conseguente definitività dell'atto impugnato”; Cass. sez. trib. 12 dicembre 2001 n. 11222 per la quale “in materia di contenzioso tributario, il termine previsto dall'art. 21, c. 1, D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 per la proposizione del ricorso giudiziale avverso il provvedimento impositivo è, per sua natura, di carattere perentorio, sicché, venuto esso a scadenza, risulta irrilevante il successivo contegno del convenuto, stante l'imperatività ed indisponibilità delle norme in materia di decadenza. A tale stregua, la costituzione della parte convenuta, se ai sensi dell'art. 156, c. 3, c.p.c. può sanare vizi inerenti la notificazione dell'atto introduttivo, in quanto prova l'uguale raggiungimento dello scopo perseguito dalle norme che regolano tale notificazione, comunque non vale ad inficiare a posteriori la definitività del provvedimento impositivo, stante l'avvenuta perdita del diritto d'impugnarlo, venendo altrimenti detta costituzione sostanzialmente a tradursi in un'inammissibile ipotesi di rimessione in termini”; Corte Cost. ord. 9 marzo 2004 n. 89 con la quale il giudice delle leggi esclude la rilevanza della forza maggiore quale causa di illegittimità dell’art.21, c. 1, del D.Lgs. 546/1992, come sollevata dal giudice a quo, in riferimento all’art.24, c. 1 e 2 Cost..
[24] In merito al silenzio rifiuto Vedi Parte II, Cap.IV, Par. 8
[25] Per quanto riguarda l’IVA è previsto il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso dell’imposta versata in misura superiore al dovuto, che decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, non essendo il diritto medesimo esigibile prima del decorso di detto termine (cfr. Cass. Sez. trib. 25 novembre 2008, n. 28024). In materia di crediti IVA la giurisdizione tributaria è individuata dall’oggetto della domanda e non dal soggetto titolare del credito, il quale ben può essere, quindi, il cessionario che assume la stessa posizione riservata al contribuente creditore originario. Appartiene alla competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie ivi, ratione temporis, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. art. 1, lett. d), la domanda proposta nei confronti dell’amministrazione finanziaria per la restituzione di somme indebitamente versate a titolo di imposta sul valore aggiunto, una volta che ne sia rifiutato il rimborso, senza che la giurisdizione del giudice tributario possa venir meno per essere stato proposto il ricorso da soggetto d’IVA (cessionario del bene o committente del servizio), invece che dal soggetto passivo del rapporto tributario, atteso che esulano dal tema della giurisdizione e sono ad essa gradate le questioni relative alla legittimazione attiva ed all’ammissibilità della domanda (Cass. SS.UU. 17 aprile 2009, n. 9142).
[26] CTP Alessandria 10 marzo 1999 n.165. Contra CTP di Salerno 11 marzo 1999 n. 1
[27] Cass. sez. I 9 marzo 1999 n. 6954 che riteneva non applicabile l’art. 184-bis c.p.c. sotto il vigore del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 poiché l’art. 39 rinviava al solo libro I del codice di procedura civile mentre l’art. 184 - bis si trova nel libro II c.p.c.. Tale limitazione nel processo regolato dal D.Lgs. 546/1992 è superata in virtù del rinvio ad opera dell’art. 1 c. 2 c.p.c..
[28] CTC 7 febbraio 2003 n. 1818.
[29] Cass. sez. I 6 giugno 1995 n. 1532 per la quale il ricorso avverso l'ingiunzione di pagamento del tributo dovuto (nella specie, imposta ipotecaria ordinaria, interessi e soprattassa) proposto oltre 60 giorni dalla notifica dell'avviso di liquidazione, non impugnato, per motivi non riguardanti l'atto di riscossione coattiva, ma soltanto la debenza del tributo, è inammissibile e la verificatasi decadenza dall'impugnazione deve essere rilevata dal giudice, trattandosi di decadenza prevista nel pubblico interesse e perciò sottratta alla disponibilità delle parti (art. 2969 c.c.); Cass. sez. I 29 aprile 1991 n. 5620.
[30] In base all’art. 2969 c.c. “la decadenza non può essere rilavata d’ufficio dal giudice, salvo, che trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause di improponibilità dell’azione”.
[31] Cass. sez. trib. 5 ottobre 2005 n. 24970 per la quale “l'integrazione dei motivi di ricorso è consentita dall'art. 24, c. 2, D.Lgs. 546/1992 soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti (e comunque entro sessanta giorni dalla data in cui si è avuta notizia di tali documenti), pertanto la decadenza dell'Amministrazione dal potere di accertamento, non rilevabile d'ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti”. Conforme Cass. sez. trib. 10 settembre 2007 n. 19000.
[32] Cass. sez. trib. 14 dicembre 2006 n. 1327.
[33] Si veda Parte III, Cap VI
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