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Gli strumenti preventivi e deflativi del contenzioso tributario.

1. Profili generali

Nei capitoli seguenti verranno esaminati gli strumenti preventivi e deflativi del contenzioso, in quanto rappresentano i mezzi attraverso i quali la pubblica amministrazione può perseguire principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, dettati dall'art. 97 Cost e prevenire o porre rimedio all’esercizio della propria attività sul piano sostanziale svolta in violazione alla legge al fine di rafforzare il rapporto di fiducia con il contribuente e diminuire i costi del contenzioso.

Verranno esaminati i seguenti strumenti preventivi e deflativi del contenzioso, focalizzando i presupposti per l’esercizio degli stessi:

- l’atto d’interpello (art. 11 della L. 212/2000);

- l’autotutela (D.M. 11 febbraio 1997 n.37);

- l’accertamento con adesione (art.6 e art.12 del D.Lgs. 19 giugno 1997 n.218);

- la conciliazione giudiziale, che estingue la lite (art.14 del D.Lgs. 19 giugno 1997 n.218).

Prima della predisposizione delle controdeduzioni, va valutato il grado di sostenibilità della pretesa, tenendo conto dei motivi di ricorso, al fine di verificare l’eventuale esistenza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela oppure della conciliazione giudiziale. Qualora, invece, sia stato inutilmente instaurato il contraddittorio con il contribuente l’opportunità di addivenire alla conciliazione giudiziale va valutata con riguardo soprattutto ai fatti nuovi o alle circostanze prima non rappresentate adeguatamente[1].

2. Risarcimento conseguente ad atti impositivi illegittimi

L’omesso esercizio del potere di autotutela o la mancata conciliazione di una controversia potrebbe configurare una responsabilità amministrativo-contabile. Infatti, la pubblica amministrazione deve esercitare la propria attività entro i limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere[2], e pertanto alla stessa è applicabile l'art. 2043 c.c.. Per la sussistenza della responsabilità, è necessario provare:

- il danno subito;

- l’elemento soggettivo consistente nel comportamento doloso o colposo del funzionario;

- il nesso di causalità tra la condotta del danneggiato ed il danno.

Il giudice può valutare la corretta applicazione dei principi della correttezza, della imparzialità e buona amministrazione in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa[3]. In altri termini, operando una netta inversione rispetto ai passati orientamenti, la risarcibilità è stata estesa anche agli interessi legittimi.

La materia è regolata dall’art. 1, c. 1, L. 14 gennaio 1994 n. 20 in base alla quale le responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali…”. In merito alla responsabilità patrimoniale dei dipendenti dell'Amministrazione finanziaria l’art. 2 septies L. 30 novembre 1994 n. 656 dispone che: “Nell'attività di interpretazione delle disposizioni tributarie e, comunque, nell'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 2-quater e 2-sexies i dipendenti dell'Amministrazione finanziaria che svolgono le relative funzioni rispondono patrimonialmente solo in caso di danno cagionato per dolo o colpa grave”.

I presupposti per esercitare l’azione di risarcimento sono i seguenti:

a) accertamento della sussistenza dell'evento dannoso;

b) verifica dell'ingiustizia del danno, da ricollegare, come già accennato, ad un "interesse rilevante per l'ordinamento che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse ancora (non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto)";

c) presa d'atto della connessione di causa-effetto fra evento dannoso e condotta (positiva, cioè commissiva; oppure negativa, cioè omissiva) dei funzionari pubblici;

d) accertamento dell'imputabilità della responsabilità dell'evento in capo alla Pubblica Amministrazione, cioè riconduzione a dolo o a colpa di essa. Per dolo si intende “un comportamento caratterizzato dalla volontarietà ed intenzionalità dell’evento”, mentre la colpa grave si configura come “una straordinaria negligenza e come una assoluta indifferenza rispetto alle norme, alle regole tecniche e di comportamento; ricomprende gli errori tecnici e quelli non scusabili per la loro grossolanità o per l’ignoranza incompatibile con il grado di preparazione o addestramento, per la temerarietà sperimentale e per qualsivoglia forma di imprudenza che danno luogo a superficialità ed interesse”

L'azione per il risarcimento del danno subito dal contribuente può essere promossa dal momento in cui i danni stessi si sono realizzati e da tale giorno inizia il decorso della prescrizione quinquennale[4].

3. Responsabilità contabile del dirigente innanzi la Corte del Conti

Il funzionario dell’Ente risponde del danno erariale quando quest’ultimo è conseguenza di una sua azione od omissione dovuta a dolo o colpa grave.

Si ha dolo quando l'evento dannoso, che è il risultato dell'azione od omissione, è dall'agente previsto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. Ad esempio allorquando il funzionario:

- nell’esercizio dell’autotutela annulla un atto legittimo essendo cosciente di tale legittimità o comunque accettando il rischio di annullare un atto legittimo (dolo eventuale);

- consente il prodursi degli effetti dell’interpello per effetto del decorso del termine entro il quale rispondere al contribuente;

- ricorre alla conciliazione giudiziale in presenza di palese fondatezza della pretesa tributaria.

In questi casi non è necessario che dall'annullamento il funzionario tragga (o speri di trarne) un qualche profitto (ipotesi quest'ultima che si configurerebbe, per altro verso, come reato).

Si ha colpa grave quando l'evento, anche se previsto, non è voluto dall'agente, e si verifica a causa di grave negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per grave inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In proposito, l'indirizzo di coordinamento 19 ottobre 1996, n. I.C./6, della Corte dei Conti, ha precisato che per aversi colpa grave deve innanzitutto ricorrere un errore professionale non scusabile. Secondo la Corte, l'inescusabilità dell'errore si concreta quando la scelta sia frutto di una operazione arbitraria. L'arbitrarietà può sussistere in tre vicende tipiche:

- in quanto si sia avuta una erronea percezione della realtà di diritto o di fatto che in base ai dati obiettivi risulti che non poteva essere così intesa per carenza di elementi di dubbio;

- in quanto la percezione stessa sia frutto di una scelta che abbia dato prevalenza all'erroneo proprio opinamento, senza tener conto di istruzioni, indirizzi, prassi e pronunce esistenti (...);

- il comportamento ora indicato sia conseguenza della mancata acquisizione di queste istruzioni, indirizzi, prassi e pronunce, pur esistenti o dell'equivalente evenienza di una ricerca e considerazione tra le stesse del solo documento conforme a scelta già effettuata.

A titolo esemplificativo, si forniscono di seguito alcuni casi di comportamenti, che potrebbero essere sintomatici della sussistenza della colpa grave:

- errori tecnici e quelli non scusabili per la loro grossolanità o per l’ignoranza incompatibile con il grado di preparazione o addestramento, per la temerarietà sperimentale e per qualsivoglia forma di imprudenza che danno luogo a superficialità ed interesse;

- condanna dell’Ente alle spese di giudizio in base al disposto dell’art.15 del D.Lgs. 546/92;

- il non aver esercitato il diritto di autotutela in presenza di un atto palesemente illegittimo[5];

- l’aver concluso un accertamento di adesione con il contribuente in presenza di una pretesa erariale certa, in relazione alla quale non sussistono né incertezze in relazione allo stato della giurisprudenza nè oggettive difficoltà esegetiche[6];

- annullamento di un atto per motivi sui quali non si riscontrano difformità interpretative in prassi e/o giurisprudenza;

- annullamento di un atto, quando in precedenza è intervenuto un giudicato favorevole all'Amministrazione sui medesimi motivi per cui si è disposto l'annullamento;

- autotutela per il semplice mutamento dell'esegesi della norma ovvero con l'entrata in vigore di una norma interpretativa[7];

- aver fatto maturare gli effetti dell’interpello non ricorrendone i presupposti;

- turbamento morale concreto ed effettivo patito dal contribuente conseguente alla erronea emissione da parte dell’Amministrazione di un avviso di liquidazione o di accertamento con i quali si chiede un’imposta già pagata[8].



[1] Circ. n. 24/E del 15 maggio 2009 Agenzia delle entrate – Dir. normativa e contenzioso Prevenzione e contrasto all’evasione – Anno 2009 – Indirizzi operativi in materia di contenzioso tributario.

[2] Cass. SS.UU. 29 aprile 1999 n. 722; Cass. sez. III 24 ottobre 2002 n.1191 per la quale “è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte della p.a., un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, dettati dall'art. 97 cost., la p.a. è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall'art. 2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario”.

[3] Cass. SS.UU. 26 marzo 1999 n. 500.

[4] Cass. sez. III 5 agosto 2005 n. 16589.

[5] Cfr. Circ. Min. n. 198/S del 5 agosto 1998.

[6] C. Conti, sez. Sicilia, 16 marzo 2005 n. 512 in base alla quale “la normativa pur privilegiando la forma concordataria dell’accertamento non attribuisce all’amministrazione finanziaria alcun margine di discrezionalità ma al contrario la legge attribuisce solo una discrezionalità tecnica nel senso di individuare e definire, con l’assenso del contribuente, quelle fattispecie che si prestano ad opinabili valutazioni in ordine alla loro effettiva sussistenza”.

[7] Corte dei Conti, Sez. Controllo 5 marzo 1991 n. 21.

[8] Cass. civ. sez. III 11 dicembre 2003 n. 10483.