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La conciliazione giudiziale

1. Profili generali

La conciliazione giudiziale rappresenta una forma di composizione convenzionale della lite tributaria nella sede del processo, il cui fine è quello di ridurre le controversie pendenti tra Amministrazione e contribuenti. Costituisce la deroga al principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria[1] (ex art. 13 del R.D. n. 3269/1923) e si inserisce nella fase contenziosa a differenza dell’istituto dell’accertamento con adesione, che si caratterizza per il fatto di prevenire una controversia.

Tale istituto ha sostituito il cosiddetto “esame preventivo della controversia”, disciplinato dal vecchio testo dell’art. 48 D.Lgs. 546/1992, che riconosceva al ricorrente la “…facoltà di chiedere nel ricorso…la definizione totale o parziale della controversia da parte della Commissione Tributaria Provinciale…” che decideva con sentenza, suscettibile di reclamo dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale “…solo per errore materiale o per violazione delle norme che regolano il procedimento…”. Effetto della definizione preventiva della controversia era l’estinzione dei reati per i quali era ammessa l’oblazione.

Le modifiche introdotte dall'art. 14, c. 1, al testo dell'art. 48 D.Lgs. 546/1992, sono le seguenti:

- è prevista la possibilità di pagare le somme dovute anche in forma rateale, con prestazione di idonea garanzia[2];

- la conciliazione si perfeziona con il versamento delle somme dovute, nei termini e con le modalità ivi previste;

- è stata eliminata la disposizione secondo la quale "la conciliazione, comunque, non da' luogo alla restituzione delle somme già versate all'ente impositore";

- è stata rideterminata la misura delle sanzioni amministrative dovute a seguito di conciliazione.

Il tentativo di conciliazione non è vincolante, nel senso che il contribuente può tentare l’accordo, ma qualora non lo raggiunga può sempre proseguire il contenzioso. Nell’ipotesi di mancata accettazione della proposta giudiziale, allorquando consegua che l’ammontare del tributo oggetto della controversia sia stato stabilito dal giudice in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, l’art. 91 c. 1 c.p.c., nella novella apportata dal c. 10 dell’art. 45, L. 18 giugno 2009, n. 69 prevede un obbligo in capo al giudice di condannare la parte, che non ha aderito senza giustificato motivo alla conciliazione, alle spese maturate dopo la proposta di conciliazione.

La conciliazione giudiziale non è un atto autoritativo cui si aggiunge, in adesione esterna ma senza fondersi con esso, il consenso del contribuente, ma un atto negoziale, che può avere a oggetto, oltre alla determinazione dell'imponibile, anche la misura dell'imposta che, quindi, può essere diminuita. Del resto, l'autonomia delle parti in ordine all'accordo comporta anche la possibilità di concordare un risultato finale complessivo riduttivo dell'entità del prelievo originariamente richiesto dall'ufficio, senza che il giudice tributario possa esprime alcuna valutazione in merito alla congruità dell’importo[3]. Proprio per tale natura, l’Amministrazione non può procedere a rettifiche laddove l’errore di calcolo non riguardi mere operazioni aritmetiche (e sia pertanto riconoscibile dal contribuente).

La conciliazione giudiziale ha carattere novativo delle precedenti opposte posizioni soggettive e comporta la sostituzione della pretesa fiscale originaria, ma unilaterale e contestata, con una certa e concordata, tanto è vero che il relativo processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute (Cass. n. 20386/06). Consegue che l'obbligazione tributaria precedente si estingue quando le parti sostituiscono l'obbligazione originaria con la nuova obbligazione nella misura concordata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48[4].

Poiché la conciliazione giudiziale implica la definizione di poteri dispositivi delle parti sulla lite tributaria, è illegittima la conciliazione formulata dal Sindaco cui era stato attribuito soltanto il potere di resistere alla lite, ma non anche quello di transigere[5].

Le controversie conciliabili sono quelle che hanno ad oggetto una valutazione estimativa oppure accertamenti presuntivi.

I vantaggi della conciliazione giudiziale sono i seguenti:

- estinzione della lite o delle questioni conciliate, pertanto l’atto di adesione non potrà essere modificato e/o intergrato dall’Amministrazione[6], salvo la presenza di nuovi elementi sconosciuti al momento dell’adesione, e non potrà essere impugnato dal contribuente;

- riduzione ad un terzo delle sanzioni amministrative dovute, ricalcolate in relazione all'imposta stabilita in sede di conciliazione (l'importa comunque non può essere più basso di un terzo dei minimi previsti per le violazioni più gravi stabilita per ciascun tributo);

- in caso di cumulo delle sanzioni in seguito all'applicazione della regola sulla continuazione delle violazioni, verrà irrogata una sanzione unica (solo per le violazioni riportate nell'atto di contestazione o nel provvedimento di irrogazioni sanzioni);

- le pene previste per i reati tributari, ai sensi del D.Lgs. 74/2000, sono diminuite fino alla metà, senza l'applicazione delle pene accessorie;

- le spese di giudizio sono compensate.

La conciliazione può essere totale o parziale, a seconda che investa la lite nella sua globalità o in una sua parte. Essa, pertanto, si presta ad essere circoscritta ad alcuni aspetti dell’atto impugnato semprechè abbiano formato oggetto di contestazione nel ricorso; in tale ultimo caso nulla osta a che il giudizio prosegua sui punti per i quali non si è trovato l’accordo.

La conciliazione può avvenire “in udienza”, ovvero “fuori udienza” e, comunque, solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza di trattazione[7].

Sia in caso di conciliazione in udienza che fuori udienza la Commissione tributaria provinciale ha unicamente un potere deputato ad accertare la regolarità della proposta e l’assenza di cause di inammissibilità previste dalla legge, restando solo inibita allo stesso ogni verifica di congruità[8].

L’organo giudicante, in caso di conciliazione in udienza, esperito tale controllo, in caso di esito negativo, vale a dire di accertata inammissibilità della prospettata conciliazione, non ne dà corso e fissa, con decreto, la trattazione della causa.

2. Presupposti per la conciliazione

Presupposto fondamentale per il ricorso alla procedura conciliativa è la pendenza di una controversia dinanzi ad un organo giudicante, che difetta quando il contribuente non abbia mai depositato o spedito, l'originale del ricorso alla segreteria della Commissione tributaria[9]. Infatti, nel nostro ordinamento vige il principio dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, quindi le definizioni convenzionali della lite sono valide solo nei casi espressamente previsti, come è nella conciliazione giudiziale che rappresenta una deroga al predetto principio. Non può pertanto vincolare le parti una definizione raggiunta in assenza dei presupposti per la conciliazione giudiziale, fra i quali rientra la necessaria pendenza di una lite dinanzi al giudice di primo grado[10].

La condizione sine qua non affinché l’Ente possa utilizzare tale strumento, è rappresentata dall’esistenza di “dubbi” sulla legittimità e fondatezza del provvedimento impugnato e, quindi, sull’esito del giudizio; ferma la possibilità per l’Ente di agire in autotutela nei casi in cui dalla lettura del ricorso appaia “certa” l’infondatezza del predetto atto.

3. Conciliazione fuori udienza

Il procedimento conciliativo, c.d. “fuori udienza”, si instaura mediante il deposito, da parte dell’Ufficio - prima della fissazione della data di trattazione - di una proposta preconcordata con il contribuente; tale rito semplificato prosegue con la verifica dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità da parte del Giudice e, quindi, in caso positivo si conclude con decreto dichiarativo dell’estinzione del giudizio.

La proposta preconcordata contiene tra l’altro:

- l’indicazione della Commissione tributaria provinciale adita;

- i dati identificativi delle parti;

- la manifestazione della volontà di conciliare, con l'indicazione esatta degli elementi oggetto della proposta conciliativa;

- la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione giudiziale;

- la breve disamina dei motivi che hanno indotto l'Ufficio a inoltrare la proposta di conciliazione;

- l’accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della proposta;

- data, sottoscrizione del titolare dell'Ufficio e sottoscrizione del ricorrente.

Secondo la Cassazione, un'interpretazione che ritenesse preclusa la possibilità della conciliazione giudiziale concordata fuori dall'udienza solo in ragione del fatto che, prima della sua conclusione negoziata, siano state tenute alcune udienze di mero rinvio, si porrebbe in contrasto con il canone della ragionevole durata del processo. Significherebbe forzare le parti a una lite indesiderata; in questo modo, nonostante la volontà dei protagonisti della vertenza e contro l'interesse dell'ordinamento nazionale (e comunitario) alla dichiarazione di inutilità del contenzioso - il giudice finirebbe con l'imporre «un'attività inutile e defatigante »[11].

Il decreto, unitamente alla preconcordata proposta conciliativa, produce gli stessi effetti del processo verbale di conciliazione redatto “in udienza”; esso è, pertanto, titolo per la riscossione delle somme oggetto di conciliazione. Il versamento dell'intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro 20 giorni dalla data della comunicazione.

Qualora, il Presidente ritiene inammissibile la conciliazione, fissa la trattazione della controversia, con decreto reclamabile innanzi alla Commissione. Il provvedimento del Presidente è depositato in segreteria entro 10 giorni dalla data di presentazione della proposta.


4. Conciliazione in udienza

La conciliazione, c.d. “in udienza”, presuppone la rituale costituzione delle parti e può avere luogo mediante:

a) iniziativa di una delle parti, con la presentazione di una proposta di conciliazione, in udienza, unitamente all’istanza di pubblica udienza, depositata nella segreteria della Commissione provinciale entro il termine di 10 giorni liberi prima della data di trattazione del ricorso. Entro tale termine l’istanza deve, non solo essere depositata nella segreteria della Commissione, ma anche notificata alle parti costituite;

b) iniziativa dell’ufficio, con il deposito presso la segreteria del Collegio - dopo la data di fissazione dell’udienza di trattazione e prima che questa sia stata celebrata in Camera di consiglio o in pubblica udienza – di una proposta scritta dell’Ufficio, preconcordata con il ricorrente;

c) iniziativa del giudice, con l’invito formulato dalla Commissione tributaria adita alle parti a raggiungere un accordo conciliativo.

Qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e l’altra non vi abbia aderito, la Commissione può stabilire un termine non superiore a 60 giorni per la formulazione di una nuova proposta; in tale ipotesi, ove dovesse successivamente formarsi l’accordo, l’Ufficio, prima della trattazione della causa, è tenuto a depositarlo alla segreteria della Commissione.

Ove l’accordo non sia ritenuto inammissibile dal Presidente, l’estinzione della controversia viene dichiarata con decreto, senza passare per il vaglio di una seconda udienza.

La conciliazione c.d. “in udienza” si formalizza mediante la redazione di un apposito verbale nel quale devono essere analiticamente indicate le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e d’interessi.

La sottoscrizione del processo verbale di conciliazione - peraltro titolo per la riscossione delle predette somme - segna, dunque, la cessazione della materia del contendere, almeno limitatamente alle questioni conciliate; tale cessazione deve, però, essere dichiarata dalla Commissione con sentenza.

4.1 Proposta di conciliazione. Contenuto

La proposta di conciliazione giudiziale, che può riguardare tutta o parte della materia del contendere, deve contenere:

- l'indicazione della Commissione tributaria adita;

- i dati identificativi dell'ufficio finanziario e del ricorrente;

- la manifestazione della volontà di conciliare, con l'indicazione esatta degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici;

- la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione giudiziale;

- una succinta motivazione delle ragioni che hanno indotto l'ufficio ad avanzare la proposta di conciliazione;

- l'accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della proposta nonché delle somme liquidate;

- la data, la sottoscrizione del titolare dell'ufficio e la sottoscrizione autografa del ricorrente.

4.2 Effetti della conciliazione

A seguito della conciliazione giudiziale:

a) le sanzioni devono essere applicate nella misura di 1/3 delle somme irrogabili, in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima e, comunque, in misura non inferiore ad 1/3 dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. Pertanto la materia delle sanzioni applicabili alla controversia conciliata è del tutto sottratta alla disponibilità delle parti, atteso che l’art. 48 in esame ne fa automatica applicazione nelle misure ivi stabilite[12];

b) il giudizio si estingue per cessazione della materia del contendere (laddove la conciliazione è totale);

c) le spese di giudizio restano a carico della parte che le ha sostenute.

5. Perfezionamento della conciliazione

L’accordo conciliativo si perfeziona con il versamento, entro il termine di 20 giorni dalla data d’udienza in caso di conciliazione dinanzi al giudice o dalla data della comunicazione del decreto in presenza di conciliazione al di fuori dell’udienza, dell'intero importo dovuto ovvero della prima rata e con la prestazione della predetta garanzia sull'importo delle rate successive, comprensivo degli interessi al saggio legale, calcolati con riferimento alla stessa data, e per il periodo di rateazione di detto importo, aumentato di un anno.

Il successivo inadempimento legittima l’Amministrazione a procedere al recupero coattivo delle somme dovute, sia nei confronti del contribuente che verso il garante, non potendo giammai considerare inefficace l’accordo e recuperare l’intera imposta e sanzioni[13].

Si intende evitare che le parti considerino estinta la controversia a seguito della semplice redazione processo verbale, senza porre attenzione alla necessità di provvedere ai versamenti individuati con la stipula dell’accordo.



[1] Cass. sez. trib. 16 marzo 2001 n. 12314 per la quale “la conciliazione è configurata come una forma di composizione convenzionale della lite tributaria nella sede del processo, e si pone in deroga al principio più generale della normale indisponibilità per l'erario del credito d'imposta. Il carattere processuale dell'istituto, come configurato dalla legge, postula non soltanto la formale contestazione della pretesa erariale nei confronti dell'Amministrazione, ma altresì l'instaurazione del rapporto processuale con l'organo giudicante, mediante deposito del ricorso notificato presso la segreteria della Commissione tributaria di primo grado. In assenza di tale deposito e quindi di una controversia esistente, il relativo accordo fra le parti è da ritenersi inefficace, sia per effetto del meccanismo processuale ex art. 48 d.lg. 546/92, sia per insuperabili ragioni di principio”.

[2] Cfr. Circ. Agenzia delle Entrate n.14 del 13 aprile 2006.

[3] Cass. sez. trib. 13 giugno 2006 n. 21325.

[4] Cass. sez. tributaria 19 giugno 2009 n. 14300.

[5] Cass. sez. trib. 25 febbraio 2005 n. 8455; Cass. sez. trib. 12 aprile 2005 n. 7505; Cass. sez. trib. 12 aprile 2005 n. 7506.

[6] Cass. sez. trib. 9 ottobre 2001 n. 3932; Cass. sez. trib. 16 marzo 2005 n. 18962.

[7] Circ. Agenzia delle Dogane n. 41/D del 17 giugno 2002.

[8] Cass. sez. trib. 12 aprile 2005 n. 750; Corte cost. 24 ottobre 2000 n. 433 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 48 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 53, 97 e 104 nella parte in cui non consente alla Commissione tributaria provinciale alcun giudizio sulla congruità delle imposte da versare su cui l'ufficio e il contribuente si sono accordati.

[9] Cass. sez. trib. 5 novembre 2001 n.4320.

[10] Corte dei Conti Lombardia 30 maggio 2006 n. 312.

[11] Cass. sez. trib. 15 febbraio 2007 n. 9222; Cass. sez. trib. 26 ottobre 2006 n. 1540 per la quale “il principio costituzionale di ragionevole durata del processo trova applicazione anche nel processo tributario, senza che assuma alcun rilievo, in contrario, l’inapplicabilità tendenziale allo stesso della disciplina dettata in materia di equa riparazione”.

[12] Cass. sez. trib. 15 febbraio 2007 n. 9223.

[13] Cass. sez. trib. 20 settembre 2006, n. 20386; Cass. sez. trib. 9223 del 2007 per la quale “la materia delle sanzioni applicabili alla controversia conciliata è del tutto sottratta alla disponibilità delle parti. Le multe, infatti, si possono recuperare in un momento successivo, attraverso «le consuete tecniche liquidatorie» dell'Amministrazione. Quindi, dopo la conciliazione, sta all'Ufficio pretendere il dovuto, nella misura legalmente fissata”.