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Rinvio alle norme del codice di procedura civile

1. Differenze rispetto alla normativa previgente

La normativa di riferimento applicabile al processo tributario è prevista dal D.Lgs. n. 546/92, salvo  il rinvio, previsto dall’ art. 1 c. 2 del citato decreto, alle norme del codice di procedura civile compatibili con quelle del processo tributario. Rispetto al previgente sistema normativo disciplinato dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il richiamo alle norme del codice di procedura civile è più ampio in quanto il rinvio al codice di procedura non è più limitato soltanto al libro I del c.p.c. e né tantomeno al criterio della compatibilità delle norme del c.p.c. rispetto alle leggi che disciplinano singole imposte.

 

2. Norme del codice di procedura civile espressamente richiamate dal D.Lgs. 546/92

-         art. 41, c.1 c.p.c.. in tema di regolamento preventivo di giurisdizione richiamato dall’art. 3 c.2 del D.L.gs. 546/92;

-         art. 92, c.2 c.p.c.. in tema di compensazione delle spese di giudizio richiamato dall’art. 15 c. 1 del D.L.gs. 546/92;

-         artt. 137 e ss. c.p.c. in tema di notificazioni richiamato dagli artt. 22 e 38 del D.lgs. 546/92;

-         artt. 276 e ss. c.p.c. in tema di deliberazioni del collegio giudicante richiamato dall’art. 35 del D.Lgs. 546/92;

-         art. 327, c.1  c.p.c. in tema di decadenza dall’impugnazione richiamato dall’art. 38 del D.lgs. 546/92;

-         titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, con esclusione dell'art. 337  in tema di impugnazioni richiamato dall’art. 49 del D.lgs. 546/92;

-         art. 360 c.p.c.  in tema di ricorso per Cassazione richiamato dall’art. 62 del D.lgs. 546/92;

-         art. 395 c.p.c.  in tema di revocazione richiamato dagli artt. 51 e  64 del D.lgs. 546/92;

-         art. 475 c.p.c.  in tema di rilascio da parte della segreteria di copia della sentenza spedita in forma esecutiva.

3. Norme del codice di procedura civile espressamente non applicabili  al processo tributario in base al D.Lgs. 546/92

-         artt. 42 e ss. c.p.c.. relativo ai “regolamenti di competenza”, espressamente non applicabili in base all’art. 5 del D.L.gs. 546/92;

-         artt. 233 ss. e 244 ss. c.p.c.. relativo “all’ammissione del giuramento ed ella prova testimoniale”, espressamente non applicabili in base all’art. 7 del D.L.gs. 546/92;

-         artt. 282 ss. c.p.c.. relativo “all’ammissione di sentenza non definitive o limitate ad alcune domande”, espressamente non applicabile in base all’art. 35 del D.L.gs. 546/92;

-         art. 337 c.p.c. relativo alla “sospensione dell’esecuzione e dei processi” espressamente non applicabile in base all’art. 49 del D.L.gs. 546/92.

4. Rinvio alle norme del codine di procedura civile per effetto dell’art.1, c.2 del D.Lgs.546/92 ed esame della compatibilità

Il rinvio è subordinato a due condizioni, che devono sussistere congiuntamente:

-         assenza di norma specifica del D.Lgs. n. 546 del 1992 che disciplini la fattispecie sia pure mediante interpretazione estensiva;

-         compatibilità della norma processual-civilistica, astrattamente applicabile alla fattispecie, con il decreto legislativo medesimo.

Ai fini dell’accertamento di tale compatibilità si fa richiamo al principio contenuto nella sentenza Cass. SS.UU., 16 gennaio 1986 n. 210, secondo la quale l’indagine deve tendere ad accertare:

a)      se nel processo tributario possa configurarsi una situazione processuale avente le medesime caratteristiche di quella oggetto delle disposizioni richiamate;

b)      se la disciplina risultante sia o meno compatibile con le norme del processo tributario e dell’ordinamento tributario in generale. Il giudizio di compatibilità avrà esito positivo non solo quando non vi è contrasto assoluto tra le norme, ma anche quando l’applicazione della norma richiamata non comporti una disarmonia nel sistema del processo tributario non giustificata.

Pertanto gli interventi legislativi di modifica alle norme del codice di procedura civile si riflettono sul processo tributario, in virtù del richiamo da parte dell’art. 1, c. 2 del D.Lgs. 546/92, nonché da norme specifiche dello stesso decreto. E’ il caso delle modifiche apportate con i seguenti interventi normativi:

-         L. 28 dicembre 2005, n. 263, che ha modificato gli artt. 92, c. 2, 136, 145, 147, 149, 155 c.p.c.;

-         D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 che ha modificato il codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, emanato in base alla delega[1] di cui all'articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80. Successivamente abrogata dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 47, L. 18 giugno 2009, n. 69;

-         L. 18 giugno 2009, n. 69 relativa alla riforma del processo civile.

Tra le norme del codice di procedura civile direttamente applicabili, in quanto compatibili con la normativa di cui al D.Lgs. 546/92,  si segnalano:

a)      l'art.  5  c.p.c., applicabile  in quanto richiamato dall' art.1, c. 2 del D.Lgs. 546/92, in base al quale la giurisdizione si determina avuto riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda (principio della cosiddetta perpetuatio jurisdictionis), e non hanno rilevanza rispetto ad esse  i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo (cosiddetto jus superveniens)[2]. Il principio in argomento non opera in relazione a casi in cui i mutamenti di giurisdizione siano intervenuti prima che il contenzioso fra le parti sfociasse in liti giudiziarie[3]. Quindi le modifiche  normative, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 c.p.c. devono riguardare la legge determinativa della giurisdizione (quali ad esempio le modifiche apportate all’art. 2 dapprima con la L. 448/01 e successivamente con l’art. 3-bis della L. n. 248/2005, oppure in tema di liti concernenti le tasse automobilistiche[4]) e non la  natura   della prestazione dell'utente del servizio ossia la diversa qualificazione di una entrata da tributaria a patrimoniale[5]. La ratio dell'art. 5 c.p.c.  è  quella  di garantire la perpetuatio jurisdictionis  ed è per questo motivo che tale norma trova  applicazione  solo  nel  caso  di sopravvenuta carenza di giurisdizione  del  giudice  originariamente  adito[6]. Qualora  la  giurisdizione  sopravvenga  nel  corso  di   un   giudizio instaurato dinanzi ad un organo originariamente incompetente, questi  potrà legittimamente pronunciarsi sul merito.

Pertanto, ai sensi dell'art. 5  c.p.c.,  il processo deve continuare davanti al giudice adito, non solo nel caso in cui questi,  originariamente  competente,  cessa  di  esserlo  a  seguito   del sopravvenuto mutamento dello stato di fatto o di diritto, ma  anche  quando il giudice adito, incompetente, sia divenuto  competente  per  sopravvenuta modifica legislativa;

c)      gli artt. 152, 153, 154 e 155 c.p.c. relativi rispettivamente ai termini legali e termini giudiziari, all’improrogabilità dei termini perentori, alla prorogabilità del termine perentorio, ed al computo dei termini;

b)      l’art.184-bis c.p.c. che prevede che la parte che dimostra di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile possa chiedere al giudice di esser rimessa nei termini. La Corte Cost. con sentenza 20 maggio 1976, n.120 ha affermato l’incostituzionalità dell’art.650 c.p.c. nella parte in cui non prevede la possibilità di impugnare tardivamente l’atto di opposizione a causa di forza maggiore o di caso fortuito[7];

c)      gli art. 117 (interrogatorio non formale delle parti),  118 (ordine di ispezione di persone o cose), 213 c.p.c. (richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione) in merito ai poteri istruttori previsti dal decreto 546/92;

d)      gli artt. 115 e 116 c.p.c. in merito alla valutazione delle prove da parte del giudice[8], ed in  particolare al fatto che il giudice tributario può trarre soltanto "argomenti di prova" dal comportamento tenuto dalle parti ma non può basare in via esclusiva la propria decisione che comunque deve essere  adottata  e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze;

e)      l’art. 134 c.p.c. sugli obblighi di comunicazione delle ordinanze[9];

f)        gli artt. 274 e 335 c.p.c. sulla riunione dei giudizi[10];

g)      l’art. 288 c.p.c. relativo al procedimento di correzione di errore materiale contenuto in sentenza;

h)      l’art. 295 c.p.c. sulla sospensione in caso di questione incidentale pregiudiziale[11];

i)        gli artt. 291 e 350 c.p.c. in merito all’obbligo del giudice di ordinare la rinnovazione della notifica nulla[12];

j)        l’art. 214 c.p.c. sull’applicazione dell'istituto del disconoscimento delle scritture[13];

k)      l’art. 216 c.p.c. sulla richiesta di verificazione della scrittura disconosciuta  da parte di colui che intende avvalersene[14];

l’art. 161, c. 1 c.p.c. relative al principio di conversione delle cause di nullità in motivi di impugnazione[15].  

 



[1] La delega indicava i seguenti principi e criteri direttivi a cui il Governo doveva attenersi:

a) disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica, stabilendo identità dei motivi di ricorso ordinario e straordinario ai sensi dell'articolo 111, settimo comma, della Costituzione, prevedendo che il vizio di motivazione debba riguardare un fatto controverso; l'obbligo che il motivo di ricorso si chiuda, a pena di inammissibilità dello stesso, con la chiara enunciazione di un quesito di diritto; l'estensione del sindacato diretto della Corte sull'interpretazione e sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, ampliando la previsione del numero 3) dell'articolo 360 del codice di procedura civile; la non ricorribilità immediata delle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire il giudizio e la ricorribilità immediata delle sentenze che decidono parzialmente il merito, con conseguente esclusione della riserva di ricorso avverso le prime e la previsione della riserva di ricorso avverso le seconde; la distinzione fra pronuncia delle sezioni semplici e pronuncia delle sezioni unite prevedendo che la questione di giurisdizione sia sempre di competenza delle sezioni unite nei casi di cui all'articolo 111, ottavo comma, della Costituzione, e possa invece essere assegnata, negli altri casi, alle sezioni semplici se sulla stessa si siano in precedenza pronunziate le sezioni unite; il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, stabilendo che, ove la sezione semplice non intenda aderire al precedente, debba reinvestire le sezioni unite con ordinanza motivata; l'estensione delle ipotesi di decisione nel merito, possibile anche nel caso di violazione di norme processuali; l'enunciazione del principio di diritto, sia in caso di accoglimento, sia in caso di rigetto dell'impugnazione e con riferimento a tutti i motivi della decisione; meccanismi idonei, modellati sull'attuale articolo 363 del codice di procedura civile, a garantire l'esercitabilità della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, anche nei casi di non ricorribilità del provvedimento ai sensi dell'articolo 111, settimo comma, della Costituzione. Prevedere la revocazione straordinaria e l'opposizione di terzo contro le sentenze di merito della Corte di cassazione, disciplinandone la competenza.

[2] Cass.  SS.UU. 6 ottobre 2005 n. 20471; Cass. SS.UU. 21marzo 2002 n. 8087.

[3] Cass. SS.UU. 22 ottobre 2002 n. 14896.

[4] Cass. SS.UU. 12 marzo 2003 n. 3599.

[5] Cass. SS.UU. 7 novembre 2002 n. 1086.  Fino al 3 ottobre 2000, il canone per il  servizio  di  depurazione delle acque reflue era un tributo comunale, e pertanto le  controversie ad  esso  relative  appartenevano  alla  giurisdizione  delle   commissioni tributarie. Ne consegue che le controversie concernenti i canoni relativi al periodo anteriore alla predetta data del 3 ottobre 2000 appartengono alla giurisdizione delle Commissioni tributane, a nulla rilevando né che il giudizio sia stato instaurato dopo la data anzidetta, né che nel Comune interessato sia stato già costituito il soggetto gestore del servizio idrico integrato (tale orientamento è stato più volte affermato dalle SS.UU.). Conforme Cass. sez. trib. 13  giugno  2002  n.  8444; Cass. sez. trib. 2 agosto 2002 n. 11631; Cass. sez. trib. 15 maggio  2002 n. 7099; Cass. sez. trib.  24 gennaio 2003 n. 1087;  Cass. sez. trib. 1 agosto 2002 n. 11488.

[6] Cass. SS.UU. 12 novembre 2002 n. 15885 per la quale “la giurisdizione viene attribuita, ai sensi dell'art. 5 c.p.c., con riferimento allo stato di fatto e di diritto che viene a delinearsi al momento della proposizione della domanda, non incidendo, in tale designazione, eventuali successivi mutamenti; tale principio, che fagocita la perpetuatio iurisdictionis, non trova applicazione allorchè il mutamento dello stato di fatto e di diritto comporti l'attribuzione della giurisdizione al giudice che non ne era titolare al momento del promuovimento dell'azione, al contrario si applica nel caso di sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice originariamente adito”.

[7] CTP Pisa 4 ottobre 2005 n. 224.

[8] Cass. sez. trib. 17 gennaio 2002 n. 443.

[9] Cass. sez. trib.  19 aprile 2001 n. 5807.

[10] Cass. sez. trib. 11 febbraio 2003  n. 2013.

[11] Cass. sez. trib.  18 luglio 2002 n. 10509.

[12] Cass. sez. trib. 2 agosto 2000 n. 10136.

[13] Cass. sez. trib.  6 febbraio 2006 con riferimento alla fattispecie relativa al disconoscimento delle sottoscrizioni di fatture da parte di un contribuente, che assumeva di non averle emesse. Conforme  Cass. sez. trib  n. 10212 del 27 giugno 2003 e n. 9054 del 28 agosto 1999. 

[14] Cass. sez. trib., 20 marzo 2006, n. 6184 in base alla quale “nel giudizio tributario, la parte che abbia prodotto una scrittura privata, la cui sottoscrizione sia stata tempestivamente disconosciuta da colui che ne appare l'autore, contro il quale è prodotta, non può avvalersene, come prova della propria pretesa, in mancanza di verificazione a norma dell'art. 216 c.p.c., ammissibile anche nel processo tributario, previa sospensione di questo ai sensi degli artt. 1, comma secondo, e 39 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”. (Sulla base dell'enunciato principio, la S.C. ha quindi cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale - a fronte del disconoscimento da parte del contribuente della sottoscrizione apposta in calce alla domanda di condono fiscale sulla cui base era stata emessa la cartella di pagamento impugnata - aveva ritenuto che detto disconoscimento non fosse sufficiente a rendere inefficace la richiesta di condono, essendo altresì necessaria, a tale scopo, la prova che la presentazione di questa fosse avvenuta contro la volontà dell'apparente firmatario o a sua insaputa. La S.C. ha peraltro precisato che il principio in massima non esclude che la pretesa fiscale possa essere altrimenti provata, anche in base ad indizi e presunzioni, la cui valenza rimane affidata all'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in cassazione se adeguatamente motivato).

[15] Cass. sez. trib. 10 marzo 2006 n. 5356 in base alla quale “l'impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta, fondato su una sentenza non impugnata, presuppone che il contribuente, il quale deduca di non aver avuto conoscenza della sentenza, non fosse costituito nel giudizio in cui la stessa è stata pronunciata, e che, avutane conoscenza, l'abbia impugnata, in quanto solo l'esperimento vittorioso dell'impugnazione può riflettersi sulla legittimità dell'atto di liquidazione. Tale conclusione discende necessariamente dal principio di conversione delle cause di nullità in motivi di impugnazione - sancito dall'art. 161, c.1 c.p.c. ed applicabile al processo tributario per effetto del rinvio contenuto nell'art. 1, c.2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 - nonché dall'art. 38, c.3, del medesimo d.lgs. n. 546, il quale, adattando al processo tributario la disciplina dell'art. 327 c.p.c., fa decorrere il termine annuale per l'impugnazione della sentenza dalla conoscenza della stessa, qualora la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza”.

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