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L’oggetto della giurisdizione tributaria
1. Profili generali
L’oggetto della giurisdizione tributaria è disciplinato dall'art. 2 del D.Lgs. 546/1992, mentre il successivo art. 19 reca l'elenco degli atti impugnabili innanzi le Commissioni tributarie.
Sono attribuite alla giurisdizione tributaria le seguenti fattispecie:
a) tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale[1];
b) le sovrimposte e le addizionali;
c) le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio;
d) le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale.
Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica. Si tratta delle opposizioni all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c. relative alla pignorabilità dei beni, e le opposizioni agli atti esecutivi previsti dall’art. 617 c.p.c., diverse da quelle relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.
Le Commissioni tributarie sono competenti per tutte le controversie in materia di imposte e tasse e la loro giurisdizione è esclusiva e di carattere generale[2], pertanto tale giurisdizione è estesa ad ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo[3]. Ne deriva che ogni tributo, anche di nuova istituzione, rientrerà automaticamente nella giurisdizione tributaria, senza necessità di espresse disposizioni al riguardo[4].
2. L’ampliamento della giurisdizione
Il passaggio da un sistema basato sulla definizione dell'oggetto della giurisdizione tributaria che si identificava nell'elencazione tassativa di tributi rimessi alla cognizione delle Commissioni tributarie provinciali e regionali[5], ad un sistema “aperto”, coincidente con l’intera area del contenzioso tributario[6], è avvenuto per mezzo di due interventi legislativi:
a)l’art. 12, c. 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448;
b) l' art. 3-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 convertito con L. 2 dicembre 2005, n. 248 (c.d. collegato alla finanziaria 2006).
Tale ampliamento della giurisdizione non ha mancato di sollevare dubbi di legittimità costituzionale con riferimento:
1. alla possibile violazione dell’art. 102 e della VI disposizione trans. Cost., che dispone l’illegittimità di nuovi giudici speciali previsti da una norma successiva all’entrata in vigore della costituzione;
2. alla possibile violazione del limite – richiamato a suo tempo dalla Corte Costituzionale con ord. n. 144 del 23/04/1998 – della natura tributaria delle materie attribuite alle Commissioni tributarie, che rappresenta presupposto indispensabile per non farle ritenere “nuovi giudici speciali”.
3 L’ampliamento ad opera dell’art. 12, c. 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448
L’art. 12, c. 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448[7]:
- ha esteso la giurisdizione a tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, sostituendo l’elencazione tassativa delle imposte rimesse alla cognizione delle Commissioni tributarie. Conseguentemente, ogni tributo, anche di nuova istituzione, rientrerà automaticamente nella giurisdizione tributaria, senza necessità di espresse disposizioni al riguardo. La giurisdizione delle Commissioni ha assorbito, quindi, quella che era la competenza del giudice ordinario in materia di imposte e tasse prevista dall’art. 9 c.p.c.;
- ha consentito di superare le problematiche connesse all’interpretazione della categoria dei “tributi comunali e locali”, emerse con riferimento alla ricomprensione o meno in tale categoria dei tributi regionali, infatti alcune interpretazioni restrittive escludevano dalla giurisdizione speciale le controversie relative a quest’ultima categoria di tributi[8];
- ha attribuito alla cognizione delle Commissioni tutte le controversie in materia di sanzioni amministrative “comunque irrogate da uffici finanziari”, mentre la precedente formulazione dello stesso articolo, limitava la giurisdizione tributaria alle sole sanzioni tributarie non penali.
A decorrere dall’entrata in vigore (1 gennaio 2002) della citata modifica legislativa, sono stati attratti nella giurisdizione tributaria, tra l’altro, le seguenti controversie concernenti:
- i contributi spettanti ai consorzi di bonifica ed imposti ai proprietari, per le spese di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica nonché di miglioramento fondiario, in quanto rientranti nella categoria generale dei tributi, considerato che gli obblighi sono imposti dalla legge e non da accordi contrattuali[9]. Pertanto, spetta al giudice tributario, la competenza, ratione materiae, a conoscere della domanda con la quale il contribuente chiede la restituzione delle somme versate a tale titolo, laddove deduca di non avere tratto alcun vantaggio dall'attività consortile[10];
- i diritti doganali di cui all’art. 34 del TULD;
- l’imposta straordinaria sui beni di lusso[11] di cui all'art. 8 D.L. 384/1992, convertito, con modificazioni, nella L. 438/1992;
- i diritti aeroportuali relativi all’imbarco dei passeggeri, previsti dalla L. 5 maggio 1976, n. 324 in quanto obbligatoriamente corrisposti dagli utenti del servizio aeroportuale allo scopo di consentire ai gestori di svolgere le attività loro affidate[12].
Ciò nonostante sussisteva, il problema della giurisdizione per talune entrate patrimoniali degli Enti locali tra cui la TIA[13], in riferimento alle quali il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, nella Relazione al Parlamento sull'andamento dell'attività degli organi di giurisdizione tributaria (anno 2003), aveva prospettato l'attrazione delle relative controversie nell'alveo della giurisdizione tributaria, a ragione della loro prevalente natura di imposizioni tributarie.
4 L’ampliamento ad opera delle lett. a) e b) del c. 1 dell' art. 3-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 convertito con L. 2 dicembre 2005, n. 248
Le disposizioni normative di cui alle lett. a) e b) del c. 1 dell' art. 3-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 convertito con L. 2 dicembre 2005, n. 248 hanno ulteriormente modificato l’art. 2.
La lettera a) inserisce al c. 1 del citato art. 2, dopo le parole "tributi di ogni genere e specie", le parole "comunque denominati". Si tratta di una disposizione, con la quale si dà rilevanza all’aspetto sostanziale anzichè formale[14] (nomen iuris).
La lettera b) del c. 1 dell'art. 3-bis, riconduce nell'ambito della giurisdizione tributaria i seguenti canoni o tariffe di competenze degli Enti locali:
- le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni;
- del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani;
- le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni.
In definitiva, vengono attribuite alla giurisdizione tributaria anche le entrate patrimoniali di cui gli artt. 62 e 63 del D.Lgs. 446/1997, alla L. 5 gennaio 1994, n. 36 ed all'art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Antecedentemente a quest’ultima innovazione normativa, la giurisprudenza di legittimità si era consolidata nel riconoscere relativamente alle citate entrate la giurisdizione del giudice ordinario[15], trattandosi di controversie relative a rapporti individuali di utenza con soggetto privato, dovendosi ritenere per soggetto privato qualunque utente del servizio, e quindi anche un ente pubblico. Tale soluzione, veniva rafforzata dall’osservazione che detti "rapporti individuali di utenza con soggetti privati", sono sottratti dall'art. 7 della L. n. 205/2000 alla giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi: si tratta, infatti, di rapporti la cui fonte regolatrice non è di natura amministrativa, ma di diritto privato negoziale, indipendentemente dalla natura (pubblica o privata) del soggetto del rapporto giuridico da tale regolamento scaturito[16]. Tale soluzione è rafforzata dal nuovo testo dell'art. 33 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, così come modificato dall'art. 7 della L. n. 205/2000[17], nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale incostituzionalità, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 204 del 2004. La Corte ha, infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 7 in quanto attribuisce al giudice amministrativo l'intera materia dei pubblici servizi, a prescindere dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte. La Corte ha, infatti, statuito che, a prescindere dall'ipotesi di concessione di servizi, già contemplata dall'art. 5 della L. 1034/1971, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi sopravvive soltanto nelle controversie "relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica Amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento regolato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241", ovvero relative all'affidamento di un pubblico servizio e alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché alla vigilanza in settori particolari espressamente indicati[18]-[19]-[20]-[21].
Tuttavia, nulla è mutato con riferimento alle cause per contributi previdenziali obbligatori in costanza di lavoro, la cui competenza è dei Giudici civili - Giudici monocratici del lavoro[22].
5. Le sentenze della Corte costituzionale n. 64 del 14 marzo 2008 e n. 130 del 5 maggio 2008
Con Sent. n. 64 del 14 marzo 2008 la Corte Costituzionale[23] ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, c. 2, secondo periodo, del D.Lgs. 546/1992 – come modificato dall’art. 3-bis, c. 1, lett. b), del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni». Ciò discende dalla considerazione che una volta appurato che il COSAP non ha, secondo il diritto vivente, natura tributaria, la norma sopra citata nell’attribuire alla giurisdizione tributaria la cognizione di controversie relative a prestazioni patrimoniali non tributarie si risolve nella creazione di un giudice speciale vietato dal c.2 dell’art. 102. Dalla natura non tributaria discende che il credito non gode del privilegio speciale che l’art. 2752 c.c. assicura ai tributi locali.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 130 del 5 maggio 2008 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 2, c. 1, primo periodo nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria. Si trattava, nel caso di specie, delle sanzioni previste dall’art. 3 del D.L. 12/2002 per l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture obbligatorie e, pertanto, estranee alla materia tributaria, essendo dirette a contrastare il lavoro irregolare. Infatti, la norma scrutinata si pone in contrasto con il divieto costituzionale di istituzione di giudici speciali laddove devolve alla giurisdizione tributaria le controversie relative all’irrogazione di sanzioni in materia estranea alla disciplina dei rapporti tributari in virtù di un mero criterio soggettivo associato all’appartenenza all’Amministrazione finanziaria dell’ufficio competente all’irrogazione delle dette sanzioni.
6. Decorrenza della modifica della giurisdizione
Per il principio della perpetuatio jurisdictionis, di cui all’art. 5 c.p.c., applicabile in base al richiamo di cui all'articolo 1, c. 2 del D. Lgs. 546/1992, la giurisdizione si determina secondo la legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda. Senza che abbiano rilevanza i mutamenti legislativi successivi alla proposizione della domanda[24] nei casi in cui il sopravvenuto mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione al momento della introduzione della domanda.
Con particolare riferimento alle modifiche apportate con l' art. 3-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 restano, incardinate avanti al giudice ordinario le controversie introdotte avanti a quest'ultimo fino alla data del 3 dicembre 2005 (data di entrata in vigore della L. n. 248/2005)[25], mentre le nuove disposizioni si applicano a tutti i ricorsi presentati a partire da tale data. Da tale disposizione deriva che:
- il principio in argomento trova applicazione anche per gli atti notificati anteriormente al 3 dicembre 2005, sempre che - prima di tale data – gli stessi non siano stati impugnati (anche con la proposizione di ricorso amministrativo) in base alla disciplina previgente e che - alla stessa data - non sia ancora decorso il termine stabilito per l'impugnazione;
- tutti i giudizi già incardinati dinanzi al giudice ordinario alla data del 2 dicembre 2005 proseguono presso quest'ultimo in quanto non vengono influenzati dalla novella in rassegna[26];
- tutti i giudizi già incardinati dinanzi al giudice tributario alla data del 2 dicembre 2005, ancorché la giurisdizione al momento della domanda fosse stata carente, proseguono presso quest'ultimo, in quanto la novella legislativa ne conferma al giurisdizione[27].
L’art. 5 c.p.c. non trova applicazione in caso di sopravvenuta incostituzionalità della norma inerente la giurisdizione, come si è verificato nel caso delle sentenze della Corte costituzionale n. 64 del 14 marzo 2008 e n. 130 del 5 maggio 2008, in quanto la dichiarazione di illegittimità costituzionale non essendo una forma di abrogazione della legge ma una conseguenza della sua invalidità originaria, ha efficacia retroattiva, nel senso che investe anche situazioni processuali precedenti alla sentenza di abrogazione, salvo l’avvenuta formazione del giudicato e la presenza di preclusioni processuali già verificatesi[28], in conformità al principio enunciato dagli artt. 136 Cost. e 30 della L. 11 marzo 1953, n. 87. Di conseguenza le relative controversie se ancora pendenti al momento della dichiarazione di illegittimità costituzione devono essere riassunte dinanzi al giudice fornito di giurisdizione (c.d. traslatio judicii).
L’applicabilità della translatio iudicii comporta che - a seguito della declaratoria di difetto di giurisdizione pronunciata dalla Commissione tributaria presso cui pende il giudizio instaurato prima della pubblicazione della sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale - il processo possa essere riassunto innanzi al giudice fornito di giurisdizione del luogo in cui è stata commessa la violazione ovvero al diverso Tribunale indicato dal Giudice, entro il termine indicato dal Giudice a quo o, in mancanza, entro il termine di 6 mesi di cui al c.1 dell’art. 50 c.p.c., con conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva del giudizio tributario. In applicazione dei criteri enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 77 del 2007, nel giudizio di riassunzione non possono essere formulate domande ulteriori rispetto a quelle sollevate nel giudizio originariamente instaurato innanzi al Giudice tributario[29]. In merito alla forma ed al contenuto dell’atto di riassunzione, si richiamano, in particolare, le disposizioni di cui all’art. 125 disp. att. c.p.c. e la relativa giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. n. 18170 del 9 settembre 2004; n. 6255 del 21 giugno 1999). La mancata riassunzione determina l’estinzione dell’intero processo, con il venir meno delle sentenze emesse nel corso di esso e la conseguente definitività dell’atto (cfr. Cass. n. 3040 dell’8 febbraio 2008, secondo cui “l’estinzione del processo travolge la sentenza …, ma non l’atto amministrativo che – come noto - non è un atto processuale bensì l’oggetto dell’impugnazione”). Ciò posto, nel giudizio di riassunzione innanzi al Tribunale, pur essendo ammessa la possibilità di avvalersi della prova testimoniale – non ammessa nel processo tributario -, i fatti oggetto della prova sono pur sempre e solo quelli già ritualmente introdotti nel giudizio tributario, considerato che, come già ricordato, non si tratta di un nuovo giudizio, ma della prosecuzione di quello già instaurato, senza possibilità di modifica della domanda e dei fatti posti a fondamento della stessa. Più specificamente, la mancata allegazione in sede amministrativa o processual-tributaria di dichiarazioni rese da terzi si ritiene che escluda la possibilità di utilizzare validamente la prova per testi nell’ambito del giudizio di riassunzione[30].
.7. Controversie rientranti nella giurisdizione del giudice tributario
7.1. I tributi di ogni genere e specie.
- Imposte sui redditi (IRPEF e IRPEG);
- Imposta sul valore aggiunto (I.V.A.);
- Imposta di registro (D.P.R. 26.04.1986, n. 131);
- INVIM (soppressa con L. 28.12.2001, n. 448) ordinaria, decennale e straordinaria;
- imposte ipotecarie e catastali (D.Lgs. 31.10.1990, n. 347);
- imposta sulle successioni (soppressa con L. 18.10.2001, n. 383) e donazioni;
- imposta erariale di trascrizione dei veicoli al P.R.A. di cui alla L. 23.12.1977, n. 952;
- imposta sulle assicurazioni;
- imposta di bollo (D.P.R. 26.10.1972, n. 642);
- tasse automobilistiche (L. 27.12.1997, n. 449);
- tassa sulle concessioni governative (D.P.R. 26.10.1972, n. 641);
- tributi doganali (D.P.R. 23.1.1973);
- imposte di fabbricazione e di consumo (accise) di cui al D.Lgs. 26.10.1995, n. 504;
- diritti camerali riscossi dalle Camere di Commercio di cui alla L. 29.12.1993, n. 580;
- tassa sui contratti di borsa di cui al R.D. 30.12.1923, n. 3278 e ss.mm.;
- ICI. l'imposta comunale sugli immobili (disciplinata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504);
- CIMP, canone per l’installazione di mezzi pubblicitari (art. 62, D.Lgs. 446/1997);
- TIA, Tariffa di igiene urbana (art. 49 del D.Lgs. n. 22/1997 - cosiddetto decreto Ronchi).
- IPT, l’imposta provinciale di trascrizione;
- la tassa speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi;
- l’addizionale provinciale all’IRPEF (istituita dall’art. 12 della L. 13 maggio 1999, n.133);
- TUNIV, tassa per il diritto allo studio universitario (art. 3, c. da 19 a 23, L. 549/1995);
- TAUR, le tasse automobilistiche[33] regionali, di cui all'art. 23, D.Lgs. 30 dicembre1992, n. 504;
- addizionale regionale sul consumo di gas metano;
- IRBA, tassa regionale sulla benzina per autotrazione;
- IRESA, imposta regionale sulle emissioni sonore di aeromobili;
- TSDD, tributo speciale regionale per il deposito in discarica di rifiuti solidi;
- TCR, tasse sulle concessioni regionali.
7.1.a. Canone per l’installazione di mezzi pubblicitari (art. 62, D.Lgs. 446/1997) [34].
Gli elementi di analogia tra il canone e l’imposta comunale sulla pubblicità attengono:
7.1.c Tariffa di igiene urbana (TIA) [36] -[37].
In sesto luogo, infine, un altro significativo elemento di analogia tra la TIA e la TARSU è costituito dal fatto che ambedue i prelievi sono estranei all’ambito di applicazione dell’IVA. Infatti, la rilevata inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell’assoggettamento ad IVA ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 e caratterizzato dal pagamento di un «corrispettivo» per la prestazione di servizi[38]. Non esiste, del resto, una norma legislativa che espressamente assoggetti ad IVA le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti, quale, ad esempio, è quella prevista dall’alinea e dalla lettera b) del quinto comma dell’art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui, ai fini dell’IVA, «sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici», le attività di «erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore». Se, poi, si considerano gli elementi autoritativi sopra evidenziati, propri sia della TARSU che della TIA, entrambe le entrate debbono essere ricondotte nel novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006; come ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia CE del 16 settembre 2008, in causa C-288/07) esclude in via generale dall’assoggettamento ad IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità» (come si desume a contrario dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008), sempre che il mancato assoggettamento all’imposta non comporti una distorsione della concorrenza (distorsione, nella specie, non sussistente, in quanto il servizio di smaltimento dei rifiuti è svolto dal Comune in regime di privativa).
7.1.d Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani.
7.1.f Contributi in favore di Consorzi di bonifica
7.2 Le sovrimposte e le addizionali
7.3 Le sanzioni amministrative irrogate da uffici finanziari
Alla luce di quanto sopra esposto, ne deriva che non hanno natura tributaria:
Hanno, viceversa, natura tributaria e pertanto rientrano nella giurisdizione del giudice tributario:
- le sanzioni di cui ai D.Lgs. 471, 472, 473 del 1997;
7.4 Gli interessi e ogni accessorio relativi ai tributi, alle sovrimposte e addizionali
7.5. Il fermo di beni mobili registrati e l’ipoteca sugli immobili
8. Controversie escluse dalla giurisdizione del giudice tributario
Sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5 della L. 1034/71:
b) le somme dovute a titolo di oblazione in sede di condono edilizio previsto dalla L. 47/1985[74];
9. Decisione del giudice tributario in via incidentale
- la materia di querela di falso in merito ai documenti inerenti il giudizio;
- decidere, in via incidentale, sulla qualità di erede del contribuente[83];
10. Difetto di giurisdizione del giudice tributario
Il difetto di giurisdizione può riguardare:
11. Regolamento di giurisdizione
12. Applicazione della translatio iudicii
[1] In merito al CSSN si veda la Cass. SS.UU. ord. 7 dicembre 2006 n.123 per la quale “è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario ogni controversia riguardante l’omesso versamento di contributi per il Servizio sanitario nazionale in riferimento a prestazioni di lavoro subordinato, e relative sanzioni, in considerazione della natura tributaria di tali contributi. La citata norma, affermano le Sezioni unite, manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 25 e 102 Cost. poiché, in ragione della natura tributaria dei contributi in questione, non può ritenersi che essa abbia snaturato la competenza delle commissioni tributarie”.
[2] La Cass.SS.UU. 8 maggio 2007 n. 11082 ha riconosciuto che le liti che dovessero sorgere in relazione alle tasse automobilistiche rientrano nel campo di decisione del giudice tributario e non già del tribunale ordinario. Conforme Cass. SS.UU. 27 marzo 2007 n. 7399 per la quale con riferimento alla competenza giurisdizionale per le controversie relative alle cartelle esattoriali utilizzate per riscuotere somme di natura previdenziale, al di là del mezzo utilizzato per la riscossione (tipicamente tributario), occorre avere riguardo all'oggetto della lite e, dunque, un rapporto di natura previdenziale resta tale e di pertinenza del giudice ordinario.
[5] In particolare, già prima della riforma dell’art. 2 rientravano nella sfera d’azione delle Commissioni tributarie:
1) l’imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni;
2) la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni;
3) la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
4) l’imposta comunale sugli immobili;
5) l’imposta comunale per l’esercizio di arti e professioni.
[7] Con Circ. n. 251/E del 2002, il Ministero, ha fornito chiarimenti in merito all'ampliamento dell'oggetto della giurisdizione tributaria risultante dalle modifiche dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 operate dall'art. 12, c. 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448.
[8] Il Ministero delle Finanze nella Circ. 98/1996, afferma che per i tributi regionali la competenza delle Commissioni tributarie va valutata alla luce di quanto disposto dall'art. 6 della L. 16 maggio 1970, n. 281, secondo cui “avverso l'accertamento e la riscossione, nonchè per il rimborso dei tributi regionali, fatta salva l'azione giudiziaria avanti ai giudici ordinari, può essere proposto, in luogo dei ricorsi previsti dalle leggi relative ai corrispondenti tributi erariali e comunali, il ricorso in via amministrativa al presidente della giunta regionale”. Conseguentemente, il contenzioso poteva, a scelta del ricorrente, essere proposto dinanzi alle predette Commissioni ovvero utilizzando gli altri mezzi alternativi previsti dal citato art. 6.
[10] Cass. sez. trib. 25 maggio 2006 n. 14863; Cass. SS.UU. 31 marzo 2005 n. 14934 e 6 aprile 2004 n. 6784; Cass. sez. trib. 14 settembre 2004 n. 18484. Contra Cass. SS.UU. 26 gennaio 2001 n. 23.
[12] Cass.SS.UU. ord. 17 ottobre 2006 n. 22245 per la quale non assumono alcun rilevanza in senso contrario, le seguenti circostanze: a) i diritti in questione sono devoluti alla società concessionaria della gestione dell’aeroporto (che svolge attività d’impresa), b) su di essi l’Amministrazione pretende la corresponsione dell’Iva c) l’accertamento e la riscossione di tali diritti avviene secondo le modalità previste dal D.P.R.15 novembre 1982, n. 1085 e, quindi, attraverso modalità e atti non riconducibili alle tipologie di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.
[13] Risoluzione Agenzia delle entrate 5 febbraio 2003, n. 25/E, con la quale si sosteneva la natura non tributaria.
[14] Come evidenziato dalla Circ. dell’Agenzia delle Entrate n.10/E del 2006, ogni tributo anche di nuova istituzione rientrerà automaticamente nella giurisdizione tributaria, senza necessità di espresse disposizioni al riguardo.
[15] Cass. SS.UU. 19 novembre 2001, n. 14543, per la quale “è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia attinente la pretesa creditoria dell'Amministrazione finanziaria, per somme dovute in dipendenza dell'occupazione senza titolo di un bene del demanio, anche se detta controversia riguardi sanzioni amministrative applicate a carico dell'occupante ed insorga in via di opposizione ad ingiunzione di pagamento, dovendosi escludere sia la giurisdizione della Commissione tributaria, sia quella del giudice amministrativo”; Cass. SS.UU. 19 agosto 2003 n. 12167 che afferma “la competenza del giudice ordinario in relazione al canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP) in quanto il canone per l’occupazione di spazi di aree pubbliche (istituito dall’art. 63 D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dall’art. 31 della L. 23 dicembre 1998, n. 448) è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto l’aspetto strettamente giuridico, dal tributo (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 ed all’art. 5 L. 16 maggio 1970, n. 281) in luogo del quale può essere applicato, e risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Da siffatto inquadramento si è fatta derivare la conseguenza che le controversie attinenti alla debenza del canone in questione esulano dalla giurisdizione delle commissioni tributarie (come delineata dall’art. 2 D.Lgs. 546/1992, pur dopo la sostituzione operata dall’art. 12 della L. 28 dicembre 2001, n. 448) e rientrano nell’ambito della competenza giurisdizionale del giudice ordinario, a mente dell’art. 5 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 33 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (poi sostituito dall’art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205)”. Cass. SS.UU. ord. 25 maggio 2006 n. 14864; Cass. SS.UU. ord. 19 agosto 2003 n. 12167; Cass. SS.UU. 23 ottobre 2006 n. 22661 per le quali “le controversie concernenti indennità, canoni od altri corrispettivi riservate, in materia di concessioni amministrative, dall’art. 5, comma secondo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla giurisdizione del giudice ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della P.A. a tutela di interessi generali, con la conseguenza che quando la controversia coinvolga la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero quando investa l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull’an che sul quantum), la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo”.
[16] Cass. SS.UU. 28 aprile 2004 n. 8103, con la quale la Corte ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario con riguardo ad una controversia, insorta davanti ad un Giudice di pace, avente ad oggetto l'erogazione del servizio di fornitura di acqua potabile ed il relativo conteggio delle somme dovute da un privato ad un Comune; Cass. SS.UU. 27 novembre 2002 n. 16831 in base alla quale in tema di smaltimento dei rifiuti ai sensi del d.P.R. 10 settembre 1992 n. 915, soltanto lo smaltimento di quelli urbani, in quanto obbligatoriamente riservato ai comuni in privativa, è espressamente definito "servizio pubblico", mentre tale natura non può riconoscersi - stante la concezione c.d. soggettiva di servizio pubblico seguita da detto d.P.R. - all'attività di smaltimento dei rifiuti speciali nell'ipotesi in cui essi siano dai produttori conferiti ai soggetti esercenti il servizio pubblico relativo ai rifiuti urbani, sicchè la convenzione al riguardo stipulata, ad onta della denominazione di concessione attribuita dalle parti, deve essere riguardata come un contratto di diritto privato, nel quale le parti stesse sono poste su un piano paritetico, con la conseguenza che le controversie da essa originanti, attenendo a diritti soggettivi, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario.
[17] Cons. di Stato 16 novembre 2005 n. 6409 che in merito ad una controversia avente per oggetto il pagamento da parte di un Comune di corrispettivi per il pubblico servizio di smaltimento dei rifiuti gestito da un’Azienda consortile di servizi ambientali ha affermato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in tale lite. Ciò in quanto l’art. 33 del D.Lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7 della legge n. 205/2000 (in vigore all’epoca della proposizione del ricorso originario), è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, con sentenza Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, nella parte in cui attribuiva alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie riguardanti le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale. Sebbene, quindi, tali diatribe rientrassero allora nella giurisdizione esclusiva amministrativa, “la dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza” della Corte Costituzionale citata, “si applica anche a questo giudizio”, “in considerazione degli effetti retroattivi della dichiarazione di incostituzionalità.
[18] CTR Roma, 20 maggio 2005 n. 138 per la quale “il canone di concessione sulla pubblicità può paragonarsi ad un canone conseguente ad un contratto che ha come oggetto la fornitura di un servizio (come, ad esempio, il canone Rai) e, in ogni modo, di determinate prestazioni aventi connotazioni completamente diverse dal tributo. Trattandosi di un'entrata patrimoniale, è sottratto alla giurisdizione del giudice tributario ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 546/1992”. Contra Cass. sez. trib. 18 settembre 2006 n. 20068 per la quale “il Canone RAI che si configurava originariamente come corrispettivo dovuto dagli utenti di un servizio riservato allo Stato ed esercitato in regime di concessione, ha da tempo assunto, nella legislazione, natura di entrata tributaria, non essendo commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio in questione, al cui finanziamento il canone è destinato, ma essendo dovuta sul presupposto della sua riconducibilità ad una manifestazione, ragionevolmente individuata, di capacità contributivo, pertanto le controversie rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario”.
[19] Cass. SS.UU. ord. 29 settembre 2005 n. 3274 per la quale “la controversia in cui un'azienda consortile chieda il versamento della tariffa per i rifiuti solidi urbani (nel caso di specie, ad un Istituto comprensivo statale che sosteneva l'esenzione per gli edifici di scuole di Stato) non costituisce controversia relativa ad un provvedimento devoluta al giudice amministrativo, sebbene nella definizione del debito soggettivo possano assumere rilievo provvedimenti generali. Sussiste pertanto la giurisdizione del giudice ordinario”.
[20] Cass.SS.UU. ord. 3 aprile 2007 n. 8956 per la quale “non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia relativa al contributo per la valutazione dell’impatto ambientale previsto, ratione temporis, dall’art.27 L. 136/1999 (ma la situazione non è diversa nel nuovo regime emergente del c.d. codice dell’ambiente). Pur avendo ad oggetto una prestazione che si ricollega all’espletamento di un pubblico servizio, essa non riguarda un rapporto di concessione né implica un sindacato sulla legittimità di un provvedimento amministrativo, in quanto l’obbligo di pagamento sorge da presupposti interamente regolati dalla legge, senza che siano riservati alla pubblica amministrazione spazi di discrezionalità circa la concreta individuazione dei soggetti obbligati, i presupposti oggettivi o il quantum del corrispettivo dovuto. Tale prestazione, che trova la propria fonte nella legge e non in un rapporto contrattuale, presenta i connotati della tassa che è definibile come la prestazione che lo Stato può imporre al fine di procurarsi un’entrata in stretta correlazione all’espletamento di funzioni pubbliche che riguardano specificamente l’obbligato in una situazione di scambio di utilità (per il vantaggio che ne deriva all’obbligato medesimo) - prestazione che diversamente dall’impositiva – si ispira al principio di corrispettività e che non trova titolo giustificativo nella capacità contributiva del soggetto al quale è richiesta. Pertanto il relativo contenzioso rientra nella giurisdizione del giudice tributario”.
[21] Cons. di Stato Sez. V ord. 27 settembre 2004 n. 4356 che nega la giurisdizione del TAR in materia di fermo amministrativo.
[22] ex art. 442 c.p.c. con lo speciale rito del processo del lavoro secondo la L. 11 agosto 1973, n. 533.
[23] In giudice delle leggi con tale sentenza afferma che “per valutare la sussistenza della violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., occorre accertare, se la controversia devoluta ai giudici tributari abbia o no effettiva natura tributaria. E, a tal fine, non si può prescindere dai criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte per qualificare come tributarie le entrate erariali; criteri che, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina tali entrate, consistono nella doverosità della prestazione e nel collegamento di questa alla pubblica spesa, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante (ex multis: sentenze n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005). Al riguardo, va sottolineato che, ove sia stata accertata la natura non tributaria della materia attribuita alla cognizione dei giudici tributari, si deve affermare l’illegittimità costituzionale di detta attribuzione, né possono addursi in contrario argomenti che non trovano fondamento nell’art. 102, secondo comma, Cost. e nella VI disposizione transitoria della Costituzione. Ad esempio, non sarebbe sufficiente, al fine di negare lo “snaturamento” della materia attribuita alla giurisdizione tributaria, affermare che le controversie relative ad alcuni particolari canoni, pur non avendo natura tributaria, sono legittimamente attribuite alla cognizione delle commissioni tributarie per la sola ragione che il fatto generatore delle suddette prestazioni patrimoniali è simile al presupposto che, in passato, avevano avuto alcuni tributi. Neppure sarebbe sufficiente addurre mere ragioni di opportunità per giustificare, sul piano costituzionale, la cognizione, da parte dei giudici tributari, di controversie non tributarie riguardanti fattispecie in qualche misura simili a quelle propriamente tributarie. Al contrario, come già rilevato, il difetto della natura tributaria della controversia fa necessariamente venir meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che l’attribuzione a tale giudice della cognizione della suddetta controversia si risolve inevitabilmente nella creazione, costituzionalmente vietata, di un “nuovo” giudice speciale”.
[25] Cass. SS.UU. 2 febbraio 2006 n. 4898 in materia di canone depurazione; Cass. SS.UU. ord. 15 febbraio 2006 n. 3274.
[27] Cass. SS.UU. 26 febbraio 2004 n. 3877 per la quale “debbono essere trattenute avanti alle Commissioni tributarie le controversie instaurate avanti a tali organi prima della riforma del 2001 poiché il principio della perpetuatio iurisdictionis, contenuto nell'art. 5 del codice di procedura civile, consente di affermare l'irrilevanza, ai fini della determinazione della giurisdizione, dei mutamenti legislativi successivi alla proposizione della domanda nei soli casi in cui il sopravvenuto mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione al momento dell'introduzione della domanda, ma non, all'opposto, nei casi in cui esso comporti l'attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era inizialmente privo e davanti a cui il processo è stato (in ipotesi) erroneamente instaurato”. Corte Cass. SS.UU. 24 luglio 2007 n. 16289 in base alla quale “poiché le tasse automobilistiche hanno indiscutibilmente natura tributaria alla luce dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, come sostituito dall'art. 12, comma 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448 (ed integrato dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248) ed il relativo contenzioso rientra nella giurisdizione del giudice tributario, restano attribuite al giudice tributario anche le controversie promosse dinanzi ad esso in data anteriore all'entrata in vigore della nuova disposizione, non potendo utilmente invocarsi in contrario il principio della perpetuatio iurisdictionis, il quale opera soltanto nel caso di sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice adito, e non anche quando quest'ultimo, originariamente privo di giurisdizione, acquisisca la competenza in pendenza del giudizio”. Cass. civ. Sez. III Ord., 17 gennaio 2008, n. 857 per la quale “l'art. 5 cod. proc. civ., anche nel testo novellato dall'art. 2 della legge 26 novembre 1990, n. 353, che esclude la rilevanza dei mutamenti in corso di causa della legge - oltre che dello stato di fatto - in ordine alla determinazione della competenza, va interpretato in conformità alla sua "ratio", che è quella di favorire, non già di impedire, la perpetuatio iurisdictionis, sicchè, ove sia stato adito un giudice incompetente al momento della proposizione della domanda, non può l'incompetenza essere dichiarata se quel giudice sia diventato competente in forza di legge entrata in vigore nel corso del giudizio”.
[28] Cass. SS.UU. 3 marzo 2007 n. 14993; Cass. sez. trib. 21 marzo 2006 n. 10761, Cass. sez. I 14 febbraio 2003 n. 6926, Cass. sez. I 10 maggio 2002 n. 13839.
[29] Cass. 19 marzo 2008 n. 7392, per la quale “secondo l’orientamento consolidato, la riassunzione del processo non comporta la costituzione di un nuovo rapporto processuale, bensì la prosecuzione di quello inizialmente instaurato, sicché sotto ogni aspetto, sia sostanziale che processuale, la posizione delle parti nel processo, a seguito della riassunzione, è e deve essere esattamente quella assunta nell’originario ricorso (cfr. Cass. n. 11628 del 2007)”.
[30] Si veda la Circ. n. 56/E del 24 settembre 2008 Agenzia delle Entrate – Dir. normativa e contenzioso Sanzioni amministrative per l’utilizzo di lavoratori irregolari – Modifiche normative e giurisprudenza della Corte costituzionale nella quale l’Agenzia delle entrate evidenzia che, nell’ipotesi di riassunzione effettuata a cura di controparte, gli Uffici devono primariamente verificare il rispetto del termine indicato dal Giudice a quo ovvero, in mancanza, del termine di sei mesi previsto dall’articolo 50 del codice di procedura civile.
[33] Cass. SS.UU. 15 maggio 2007 n. 11082 per la quale “le Commissioni tributarie sono competenti per tutte le controversie in materia di imposte e tasse e la loro giurisdizione è esclusiva e di carattere generale. Pertanto, le liti che dovessero sorgere in relazione alle tasse automobilistiche rientrano nel campo di decisione del giudice tributario e non già del tribunale ordinario. La questione è sorta dalla impugnazione da parte di un cittadino della sentenza emessa da un giudice di pace che dichiarava la propria incompetenza giurisdizionale a favore di quella del giudice tributario. In particolare, la controversia aveva a oggetto l'avviso di mora con cui il concessionario aveva richiesto al contribuente il pagamento della tassa automobilistica per una determinata annualità”. Conforme Cass.SS.UU. 11 novembre 2007 n. 23832; Cass. 31 marzo 2008 n. 8283.
[34] Corte Cost. Ord. 17 luglio 2009, n. 218 in base alla quale è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui devolve alla giurisdizione tributaria le liti relative al canone per l'installazione di mezzi pubblicitari, in quanto a) la disciplina dell'imposta comunale sulla pubblicità e quella del CIMP hanno «forti tratti di continuità», con riferimento sia agli elementi strutturali del prelievo, sia ai poteri ed obblighi attinenti al controllo, all'accertamento ed alle sanzioni, sia all'insussistenza di un rapporto sinallagmatico tra il soggetto tenuto al pagamento ed il Comune; b) entrambi i suddetti prelievi presentano tutte le caratteristiche richieste dalla giurisprudenza costituzionale per essere qualificati come "tributi". Conforme Corte Cost. sent. 8 maggio 2009 n. 141.
[35] Cass. SS.UU. 20 marzo 2003 n. 6954 che fa discendere la giurisdizione del giudice tributario in materia di TARSU dall’art.12 c. 2 L. 28 dicembre 2001, n. 448.
[36] Cass. Sez. I civ 5 marzo 2009, n. 5298 per la quale “ricadono nel sistema tributario forme di partecipazione alle spese pubbliche che non sono riconducibili alla fiscalità generale e non sono perciò ragguagliate ad una qualche specifica capacità patrimoniale del soggetto. Rientrano cioè nel sistema fiscale anche quelle entrate pubbliche che si possono con termine moderno denominare tasse di scopo, che, cioè, mirano a fronteggiare una spesa di interesse generale ripartendone l’onere sulle categorie sociali che da questa traggono vantaggio o che comunque determinano l’esigenza per la mano pubblica di provvedere. Esempi in proposito sono costituiti dai contributi consortili, dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (ora tariffa igiene ambientale), dal canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue (che risponde al principio chi inquina paga)". "Si tratta di un complesso di proventi non sempre esattamente inquadratali o definibili, i cui confini sono stati tracciati da queste Sezioni Unite (ordinanze cass nn. 123/07, 8956/07) attraverso l’affermazione secondo cui deve essere riconosciuta natura tributaria a tutte quelle prestazioni che non trovino giustificazione o in una finalità punitiva perseguita dal soggetto pubblico o in un rapporto sinallagmatico tra la prestazione stessa e il beneficio che il singolo riceve". (Cass. sez. un 3158/08). Alla luce di questi principi generali è stato ritenuto, in riferimento alla T.I.A, che, anche se è vero che il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, (successivamente sostituito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238) ha previsto la soppressione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani interni (originariamente prevista dal R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 268 e segg., poi modificata dal D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 21, e compiutamente riordinata dal Capo 3 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507), prevedendo che in suo luogo si applichi la Tariffa per l’igiene ambientale, tuttavia tale tariffa non risulta presentare caratteri sostanziali di diversità rispetto alla tassa (Cass. 17526/07). Prescindendo, infatti, dalla considerazione che il termine tariffa non ha all’interno del sistema tributario un significato univoco, questa Corte ha osservato anzitutto che la applicazione della T.I.A non trova fondamento in alcun intervento o atto volontario del privato. Essa, infatti, ai sensi del D.Lgs n. 22 del 1997, art. 49, riveste carattere obbligatorio in quanto deve "essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale". Il fatto che siano assoggettati alla tariffa tutti i locali "esistenti nelle zone del territorio comunale" costituisce addirittura un’accentuazione del carattere pubblicistico dell’entrata (Cass. n. 17526/07), estendendone la base di applicazione rispetto a quanto in precedenza previsto dal R.D. n. 1175 del 1931, art. 270 (e poi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62) che prevedeva che "la tassa era dovuta soltanto da chi occupasse oppure conducesse locali a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi erano istituiti a norma delle disposizioni di legge vigenti in materia". (Cass. 17526/07). Presupposto del debito, è dunque "l’occupare o condurre immobili" a prescindere dal conferimento dei rifiuti al servizio pubblico, sia pure monopolistico, dal momento che la tassa è dovuta anche da chi occupa immobili in zone dell’area comunale non servite, in ipotesi, dal servizio di raccolta dei rifiuti. Il conferimento dei rifiuti (e la loro quantità) concorre quindi solo a determinare la partecipazione alla "quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio" (Cass. 17526/07). È stato ulteriormente osservato che "anche il riferimento ai rifiuti conferiti si rivela - almeno quando si discorra di utenze familiari - piuttosto labile: il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 ("Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani") ha infatti consentito alle Amministrazioni comunali di applicare un sistema presuntivo, prendendo a riferimento la produzione media comunale procapite, desumibile da tabelle che saranno predisposte annualmente sulla base dei dati elaborati dalla Sezione nazionale del Catasto dei rifiuti". (Cass. 17526/07). La non corrispondenza tra il conferimento effettivo dei rifiuti da parte dei cittadini e la somma da questi corrisposta si evince ulteriormente dal fatto che la tariffa comprende anche spese che riguardano la collettività nel suo insieme, dal momento che essa copre anche i costi per i servizi relativi ai rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico (Cass. 17526/07). La natura tributaria della tariffa non è messa poi in discussione dalla eventuale natura eventualmente privatistica del soggetto che gestisce la stessa. Questa Corte ha infatti più volte affermato che le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubbliche non fanno venir meno i cardini della struttura pubblicistica dei servizi (e delle entrate) stesse. La natura tributaria in questione non può neppure essere contestata in base alla considerazione che la parte terza della tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 49, in materia di IVA, preveda (n. 127 sexiesdecies) che le prestazioni di raccolta, trasporto recupero e smaltimento dei rifiuti sia urbani che speciali siano soggette al pagamento dell’IVA 10%. È sufficiente a tale proposito osservare che detta previsione normativa è stata introdotta dal D.L. n. 557 del 1993, art. 4, comma 1, convertito con L. n. 133 del 1994, quando era ancora in vigore la TARSU, la cui natura tributaria è sempre stata indiscussa. Il che dimostra che l’applicazione dell’Iva all’importo corrisposto per smaltimento dei rifiuti prescinde dalla sua natura tributaria o meno. Deve dunque concludersi (in accoglimento della corrispondente censura avanzata dalla società ricorrente) che l’entrata in questione ha natura sicuramente tributaria, non costituendo, in senso tecnico, il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta; e rappresentando invece una forma di finanziamento di servizio pubblico attraverso la imposizione dei relativi costi sull’area sociale che da tali costi ricava, nel suo insieme, un beneficio. Cass. SS.UU. 8 marzo 2006 n. 4895 ha affermato la giurisdizione tributaria relativamente alle controversie “in materia di TIA - con riferimento alla TIA, alla stregua della disciplina sopravvenuta con l’art. 3-bis, comma 1, lett. b), della Legge n. 248/2005 di conversione del D.L. n. 203/2005”-. Contra Cass. SS.UU. ord. 15 febbraio 2006 n. 3274 che ha dichiarato la giurisdizione del Giudice ordinario per le controversie aventi ad oggetto la tariffa per la raccolta dei rifiuti urbani (TARSU). Con decreto del 12 febbraio 2008 il presidente di sezione della CTP di Pistotia ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro la fattura emessa per la TIA. Si veda anche Sent. n. 259 del 30 dicembre 2008 (ud. del 21 novembre 2008) della Comm. trib. prov. di Pisa, Sez. IV per la quale la T.I.A. rappresenta una “tariffa” (e non una “tassa”) che deve essere pagata da chi produce rifiuti a fronte del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
[37] Corte Cost. 24 luglio 2009 n.238 che ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (– come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, sollevate, dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 15 giugno 2009 n. 13894, in riferimento agli artt. 25, c.1, e 102, c.2 della Costituzione, nonché alla VI disposizione transitoria della Costituzione. Per i giudici costituzionali le caratteristiche della TIA rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche del tributo e pertanto non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della TARSU.
[38] La tariffa - come si afferma nella circolare n. 1l1/E del 21 maggio 1999- non ha natura tributaria, in quanto assume i connotati propri di un'entrata patrimoniale. La stessa è, infatti, assoggettata ad imposta sul valore aggiunto, con l’aliquota del 10%, (n. 127-sexiesdecies- della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972, introdotto dall'art. 1 del D.L. n. 328/1997, come convertito dalla L. n. 410/1997).
[39] Il nuovo termine è stato fissato dal D.L. 194/2009 (c.d. decreto milleproroghe). In origine era fissato al 30 giugno 2009 e poi differito al 31 dicembre 2009 (art. 5, c. 2-quater, del D.L. n. 208 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 13 del 2009).
[40] Ai comuni che non provvedono nei termini previsti si applicano le sanzioni di cui all'articolo 141, comma 1, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, previa diffida ad adempiere e successiva nomina, in caso di inottemperanza, di un apposito commissario da parte del prefetto per l'approvazione delle delibere necessarie.
[41] Cass. SS.UU. 22 maggio 2003 n. 11188 per la quale“alla stregua della disciplina sopravvenuta con l’art. 3-bis, comma 1, lett. b), della L. n. 248/2005 di conversione del D.L. n. 203/2005”, escludendo anche ogni sospetto di incostituzionalità “sotto il profilo della possibile violazione dell’art. 102 e della VI disposizione trans. Cost., per l’inosservanza del limite – richiamato a suo tempo dalla Corte Costituzionale con ord. n. 144 del 23 aprile 1998 – della natura tributaria delle materie attribuite alle Commissioni tributarie, indispensabile per non farle ritenere “nuovi” Giudici speciali”, tenuto conto, tra l’altro, “che i canoni indicati nella disposizione sopravvenuta attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria”.
[43] Cass. SS.UU. 24 luglio 2000 n. 520; Cass. sez. trib. 15 maggio 2002 n. 7099; Cass. sez. trib. 27 giugno 2002 n. 9338; Cass. sez. I 25 giugno 2002, n. 9240 per la quale “il credito del Comune per l'erogazione al singolo di acqua ad uso domestico costituisce entrata patrimoniale dell'ente e può essere riscosso con gli strumenti propri delle entrate tributarie, ma non è imposta o tassa, trovando titolo non in una potestà impositiva, ma negli impegni convenzionalmente assunti dall'utente con la richiesta della somministrazione e la sottoscrizione del relativo contratto. Ne deriva che la controversia relativa a detto credito (che spetta alla cognizione del giudice ordinario) esula dalla competenza per materia del tribunale di cui all'art. 9 c.p.c. Inoltre, l'impugnazione della cartella di pagamento non è soggetta al termine di sessanta giorni previsto dall'art. 21 d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, applicabile nella sola materia tributaria, e ciò anche se la cartella costituisca mezzo di esecuzione esattoriale, configurandosi in tal caso un'opposizione all'esecuzione ex art. 615 e ss. c.p.c.”.
[44] Sul tema è intervenuta anche la Corte dei conti – sezione regionale di controllo per la Campania -, che con parere n, 24/2008 modificando i propri precedenti orientamenti ha affermato che le tariffe per il servizio di depurazione e fognature non vanno riscosse non solo se le utenze sono ubicate in zone prive di depuratore, ma anche se non sono allacciate alla fognatura comunale.
[47] Cass. SS.UU. 23 aprile 2008 n. 10469. Conforme Cass.SS.UU. 24 giugno 2005 n. 13549; Cass. sez. trib. 13 gennaio 2006 n.618.
[49] Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sent. n. 15846 del 7 luglio 2009 2009 la carenza di giurisdizione delle commissioni tributarie per le sanzioni irrogate dall’agenzia delle entrate in materia di lavoro nero comporta la cassazione delle eventuali sentenze pronunciate dai giudici tributari e la rimessione delle parti innanzi al giudice del lavoro, in base al principio della traslatio iudicii. Cass. SS.UU. 11 febbraio 2008 n. 3171, in base alla quale “rientrano cioè nel sistema fiscale anche quelle entrate pubbliche che si possono con termine moderno denominare "tasse di scopo" che cioè mirano a fronteggiare una spesa di interesse generale ripartendone l'onere sulle categorie sociali che da questa spesa traggono vantaggio, o che comunque determinano l'esigenza per la "mano pubblica" di provvedere. Esempi in proposito sono costituiti dai contributi consortili, dalla Tassa per lo Smaltimento dei rifiuti solidi Urbani (ora Tariffa Igiene Ambientale), dal canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue (che risponde al principio "chi inquina paga"). Si tratta di un complesso di proventi non sempre esattamente inquadrabili e definibili, i cui confini sono stati tracciati da queste Sezioni Unite (ordinanze n. 123 del 9 gennaio 2007 e n. 8956 del 16 aprile 2007) attraverso l'affermazione secondo cui deve essere riconosciuta natura tributaria a tutte quelle prestazioni che non trovino giustificazione o in una finalità punitiva perseguita dal soggetto pubblico, o in un rapporto sinallagmatico tra la prestazione stessa ed il beneficio che il singolo riceve. Questa proposizione consente di individuare la massima estensione della giurisdizione tributaria compatibile con il testo costituzionale e con il divieto di istituire "giurisdizioni speciali". Al giudice tributario possono cioè essere attribuite tutte le controversie che rientrano nella materia tributaria latamente intesa, ivi comprese quelle che derivino dalla applicazione di sanzioni conseguenti a violazioni di carattere tributario”.
[51] Cass. SS.UU. ord. 10 febbraio 2006 n. 2888, oramai superata, che nel caso esaminato ha dichiarato la giurisdizione del giudice tributario in ordine all’opposizione ad un’ordinanza – ingiunzione di pagamento emessa dall’Agenzia delle entrate concernente la violazione dell’obbligo di registrazione dei lavoratori impiegati accertata dall’ufficio provinciale del Lavoro. L’art. 36-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 introdotto in sede di conversione dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha modificato in più parti l’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002, tra l’altro attribuendo alla direzione provinciale del lavoro – anziché alla Agenzia delle entrate – la competenza ad irrogare la sanzione ivi prevista per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie. Tale modifica normativa è entrata in vigore il 12 agosto del 2006, pertanto l’atto di irrogazione della sanzione è impugnabile innanzi al Tribunale ordinario.
[52] Cass. SS.UU. 5 giugno 2007 n. 13902, oramai superata, per la quale è devoluta alla giurisdizione tributaria la controversia avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni disposta dagli uffici finanziari per l’utilizzazione di dipendenti pubblici senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza (art. 58 del D.Lgs. 31 marzo 1993, n. 29 e art. 53 del D.Lgs. n. 165/2000) in quanto tale fattispecie costituisce un fenomeno molto spesso associato al lavoro nero ed all’evasione fiscale e contributiva.
[53] La cartella di pagamento costituisce uno strumento in cui viene soltanto enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale; non possiede quindi (a differenza del fermo dei bei mobili registrati e della iscrizione di ipoteca) alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui la obbligazione è stata enunciata. Ed ove in un’unica cartella vengano incorporate più pretese ciascuna di esse conserva piena autonomia; di guisa che il regime delle impugnazioni è identico a quello che troverebbe applicazione ove fossero notificate più cartelle. Dunque la cartella esattoriale deve essere impugnata avanti al giudice competente a decidere in ordine al rapporto cui la cartella stessa è funzionale. Il petitum alla base della cartella impugnata riguardava "infrazioni valutarie" cioè una materia non devoluta alla giurisdizione tributaria. Conforme Cass. SS.UU. 27 marzo 2007 n. 7399; Cass. SS.UU. 20 ottobre 2006 n. 22514.
[55] Cass. SS.UU 5 giugno 2008 n. 14827, che ha osservato che nella fattispecie esaminata la giurisdizione spetta al giudice tributario in quanto la sanzione in argomento : a) è irrogata da un ufficio finanziario, l’Agenzia delle Dogane, Ufficio Tecnico di Finanze; b) è relativa a violazione attinente a tributi, l’imposta erariale sull’energia elettrica; c) è prevista da una norma tributaria espressa dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 59, che costituisce il “testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative”. Quindi, sussistono alla luce di quanto osservato dal Giudice delle leggi, tutte le condizioni perché la giurisdizione spetti al giudice tributario.
[56] Cass. SS.UU n. 16871 del 31 luglio 2007, la quale a differenza di precedenti pronunce (Cass. n. 22204 del 16 ottobre 2006 e n. 19400 del 5 ottobre 2005) subordina il riconoscimento della rivalutazione monetaria del rimborso di imposte a criteri di particolare rigore. Pertanto, è inammissibile la domanda di risarcimento danni da svalutazione per il ritardato rimborso di imposta che venga proposta come automatica conseguenza della mora debendi, senza che vengano neppure allegate le ragioni che giustificherebbero questo risarcimento. E tale inammissibilità può essere rilevata anche dal giudice di cassazione quando si debba pronunciare circa la questione relativa alla sussistenza (o meno) della giurisdizione del giudice tributario in ordine a questa forma di risarcimento.
[57] Cass. SS.UU. 5 giugno 2008 n. 14831 per la quale “il giudice tributario innanzi al quale sia stato impugnato un provvedimento di fermo di beni mobili registrati ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, deve accertare quale sia la natura - tributaria o non tributaria - dei crediti posti a fondamento del provvedimento in questione, trattenendo, nel primo caso, la causa presso di se, interamente o parzialmente (se il provvedimento faccia riferimento a crediti in parte di natura tributaria e in parte di natura non tributaria), per la decisione del merito e rimettendo, nel secondo caso, interamente o parzialmente, la causa innanzi al giudice ordinario, in applicazione del principio della translatio iudicii. Allo stesso modo deve comportarsi il giudice ordinario eventualmente adito. Il debitore, in caso di provvedimento di fermo che trovi riferimento in una pluralità di crediti di natura diversa, può comunque proporre originariamente separati ricorsi innanzi ai giudici diversamente competenti”; Cassazione SS.UU. ord. 17 aprile 2007 n. 875 che in merito ad una controversia avente ad oggetto l’ omesso versamento di contributi previdenziali ha disposto che “Il provvedimento di fermo amministrativo dei beni mobili registrati (nella specie, un'autovettura) emesso da un concessionario del servizio riscossione tributi ex art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 è un atto funzionale all'espropriazione forzata attraverso il quale si realizza il credito dell'amministrazione, e pertanto la tutela giurisdizionale nei confronti dello stesso si realizza dinanzi al giudice ordinario con le forme dell'opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi”.
[58] Sull’argomento è intervento da ultimo L'Agenzia delle Entrata Ris. n. 2/E del 9 gennaio 2006, con cui viene revocata la precedente risoluzione n. 92/E del 2004, e si consente ai concessionari della riscossione di procedere in via diretta al fermo, a condizione che l'iscrizione di fermo "sia preceduta da un preavviso, contenente ulteriore invito a pagare le somme dovute, esclusivamente presso gli sportelli della competente azienda concessionaria, entro i successivi venti giorni, decorsi i quali, il preavviso stesso assumerà il valore di comunicazione di iscrizione di fermo". In tal modo, si recepisce la modifica legislativa ad opera dell'art. 3, c. 41, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito nella L. 2 dicembre 2005, n. 248, che detta una norma di interpretazione autentica dell'art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, e stabilisce che le disposizioni del citato art. 86 si interpretano nel senso che, fino all'emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle D.M. 7 settembre 1998, n. 503 del Ministro delle finanze.
[59] In tal senso Cass. SS.UU. 31 gennaio 2006 n. 2053 per la quale “il rimedio del fermo amministrativo di beni mobili registrati del debitore d’imposta s’inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale, il quale è segnato dalle seguenti tappe: l’iscrizione del credito a ruolo (art. 49 del D.P.R. 602/73); la notificazione al contribuente della cartella di pagamento al fine della decorrenza del termine dilatorio per l’inizio dell’esecuzione (art. 50 dello stesso D.P.R.); la possibilità di iscrivere il fermo nei registri mobiliari (art. 51 del medesimo decreto) per sottrarre il bene sia alla circolazione naturale secondo il disposto dell’art. 214 comma ottavo del codice della strada, sia a quella giuridica attraverso la inopponibilità al concessionario degli atti dì disposizione successivi del bene, secondo il disposto dall’art. 5, c.1 del D.M. 503/98. Il fermo amministrativo, dunque, è atto funzionale all’espropriazione forzata e, quindi, mezzo di realizzazione del credito allo stesso modo con il quale la realizzazione del credito è agevolata dall’iscrizione ipotecaria ex art. 77 del citato D.P.R. 602/73. Se ne ricava che la tutela giudiziaria esperibile nei confronti del fermo amministrativa si deve realizzare davanti al giudice ordinario con le forme, consentite dal vigente art. 57 del citato D.P.R. 602/73, dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi. Sì deve aggiungere che nella materia non ricorre neppure la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giacché, con la richiesta di trascrizione nei registri mobiliari del fermo amministrativo, il concessionario non esercita alcun potere di supremazia in materia di pubblici servizi che, alla luce della pronuncia della Corte Cost. 204/04, giustifichi questa forma di giurisdizione amministrativa”. Conforme Cass. SS.UU. 23 giugno 2006 n. 14701; Cons. Stato, Sez. V, 13 settembre 2005 n. 4689 che ha negato la propria giurisdizione che in primo grado era stata affermata dal TAR; Cons. Stato, Sez. IV, 3 febbraio 2006 n. 418. Si veda anche Ordinanza Corte Cost. 8 maggio 2007 n. 161. Per altro filone giurisprudenziale Cons. di Stato 13 aprile 2006 n. 2032 “le controversie relative al fermo rientravano nella giurisdizione del giudice amministrativo, per la natura ablatoria del provvedimento amministrativo”.
[60] Cass. sez. trib. 3 aprile 1992 n. 2801; Cass. sez. trib. 9 febbraio 1995 n. 1471. Contra Cons. di Stato Sez. V 18 maggio 1987 n. 305; Cons. di Stato, Sez. V 15 giugno 1990, n. 579.
[61] Cass. sez. trib. 15 novembre 2002 n. 16158 per la quale “appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa dal locatore nei confronti del conduttore per ottenere il rimborso della tassa rifiuti solidi urbani versata all'amministrazione comunale, senza convenire in giudizio l'amministrazione stessa. In tal caso il giudice tributario dovrà risolvere in via incidentale la questione relativa alla titolarità dell'obbligazione tributaria, nonché quella, accessoria e subordinata, dell'esattezza della somma pretesa in relazione all'effettiva misura della superficie assoggettata alla tassa al limitato fine di stabilire se ed in quale misura sia fondata la domanda di rivalsa proposta dal locatore nei confronti del conduttore dell'immobile, senza che la relativa statuizione possa fare stato, nei confronti dell'ente impositore dell'obbligazione tributaria”. Cass. SS.UU. 27 marzo 2003 n. 9067; Cass. SS.UU. 20 gennaio 2003 n. 745. In tal senso anche Cass. SS.UU. n. 13199/1982; Sent. n. 5140/1998. Tali disposizioni non si pongono in contrasto con la Cass., SS.UU. n. 2803/1993, Cass. SS.UU n. 4223/1996 e n. 11891/1998 concernenti la controversia tra sostituto d'imposta e sostituito, avente ad oggetto il pagamento di quella parte del credito del lavoratore che il datore di lavoro abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d'imposta, attesa la particolare posizione soggettiva del sostituto d'imposta rispetto all'Amministrazione finanziaria e con Cass. SS.UU. 21 settembre 2006 n. 22515 per la quale è devoluta alla giurisdizione tributaria la controversia promossa dal sostituito d’imposta nei confronti del sostituto, per pretendere il pagamento di quella parte del suo credito che il convenuto (nel caso di specie il comune) abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d'acconto (nel caso in esame sulle somme liquidate a titolo di risarcimento danni per illegittima occupazione di un suolo). Si tratta, infatti, di un’indagine sulla legittimità della ritenuta integrante non una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, ma una causa tributaria avente carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita con effetti di giudicato sostanziale dal giudice cui la relativa cognizione spetta ratione materiae", in litisconsorzio necessario con l'Amministrazione finanziaria. Conforme Cass. SS.UU. 26 giugno 2009, n. 15047 per la quale laddove il thema decidendum della controversia abbia ad oggetto la sussistenza e determinazione del quantum di una ritenuta tributaria deve dichiararsi la giurisdizione del giudice tributario. Cass. SS.UU. 15 novembre 2005 n. 23019 e 19 febbraio 2004 n. 3343. Contra Cass. SS.UU. 26 giugno 2009 n. 15031.
[62] Cass. SS.UU. 4 febbraio 2008 n. 2509. Conforme Cass. SS.UU. 11 febbraio 2003 n. 1995 avente ad oggetto l’azione di rivalsa per il pagamento dell'IVA tra appaltatore e committente; Cass. sez. trib. 14 maggio 2001 n. 208 in tema di rimborso di IVA da parte del consumatore finale nel confronti oltre che del cedente anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
[63] Cass. SS.UU. ord. 22 luglio 2002 n.10725 per la quale “qualora l'Amministrazione finanziaria abbia formalmente riconosciuto il diritto del contribuente al rimborso delle imposte e la quantificazione della somma dovuta, sì che non residuino questioni circa l'esistenza dell'obbligazione tributaria, il "quantum" del rimborso o la procedura con la quale lo stesso deve essere effettuato, non ricorrono i presupposti di applicabilità della riserva alla giurisdizione tributaria, di cui all'art. 2 d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, con conseguente esperibilità, da parte del contribuente, dell'ordinaria azione di ripetizione d'indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. e devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario”; Cass. SS.UU. ord. 8 luglio 2005 n. 14332 per la quale “in mancanza di una decisione definitiva che contenga una condanna dell'Ente impositore al pagamento di somme dovute (della quale può chiedersi l'esecuzione in via civile ovvero l'ottemperanza), deve sempre attivarsi il procedimento di rimborso, contro il cui rifiuto può soltanto esperirsi la tutela dinanzi alle Commissioni tributarie”; Cass. SS.UU. 6 luglio 2004 n. 12352 per la quale “la controversia relativa al rifiuto di rimborso dell'Imposta comunale sugli immobili (ICI) è devoluta alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. h), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nel testo originario, applicabile nella fattispecie "ratione temporis"), in relazione all'art. 19, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 medesimo, atteso che tale inderogabile regola non si applica nei soli casi in cui il credito del contribuente sia incontestato, per essere stato formalmente riconosciuto dall'ente impositore. Né rileva, in contrario, la motivazione del diniego (nella specie fondata sull'intervenuta decadenza triennale ex art. 13 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504), poiché la giurisdizione tributaria è delineata unicamente dalla natura del rapporto e non dalla natura della problematica da affrontare per la sua definizione”.
[64] Cass. SS.UU. 22 gennaio 2003 n. 865; Cass. SS.UU. 20 maggio 2003 n. 7889; Cass. SS.UU. 15 luglio 2003 n. 11025.
[65] Cass.SS.UU. 18 maggio 2006 n. 11650; Cass. SS.UU. 30 ottobre 2008 n. 26013, che in applicazione dell’enunciato principio ha ritenuto la giurisdizione dell’AGO in una controversia avente ad oggetto la richiesta, avanzata da azienda operante nel settore elettrico ai propri dipendenti, di restituzione di quanto versato all’erario sulla base della bolletta elettrica per la quale i dipendenti medesimi, a noma del contratto di lavoro, erano esentati dal pagare ma avevano l’obbligo di versare le imposte.
[67] Cass.SS.UU. 17 aprile 2007 n. 12063, che nel caso esaminato afferma la giurisdizione del giudice ordinario, mentre rientra nella giurisdizione del giudice tributario la domanda di manleva avanzata dal concessionario nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in quanto in tale ultima controversia la debenza dell’IVA non costituisce un profilo incidentale, bensì l’oggetto principale del contendere.
[71] Cass. SS.UU. 18 gennaio 2008 n. 968. Conforme Cass. SS.UU. 30 aprile 2008 n. 10826 in base alla quale “non rientra nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie, e spetta invece alla cognizione al giudice ordinario, la controversia con la quale il privato, adempiuto il debito d’imposta (nel caso di specie relativo all’ICI) non tempestivamente o integralmente versata, domandi il risarcimento dei danni subiti in sede di riscossione coattiva per aver dovuto corrispondere anche le somme pretese dal comune per l’assistenza legale allo stesso prestata da avvocati di cui l’ente pubblico si sia avvalso. Non invade l’ambito proprio della giustizia amministrativa la sentenza con cui il giudice di pace qualifichi come illegittima la condotta del comune che, in sede di riscossione coattiva dei tributi, si avvalga della assistenza di un legale ponendo poi a carico del contribuente le relative spese, e quindi condanni il comune al risarcimento del danno. È priva di qualunque supporto normativo la pretesa del Comune volta ad ottenere il rimborso delle spese legali affrontate per una procedura di riscossione coattiva di debiti fiscali”. Cass. SS.UU. 16 aprile 2007, n. 8958 per la quale “compete al giudice ordinario valutare se l'illegittima richiesta di un tributo non dovuto abbia determinato danni patrimoniali e non patrimoniali risarcibili” (nel caso di specie l'Amministrazione era stata condannata al ristoro delle spese sostenute dal contribuente per l'iscrizione ipotecaria a garanzia del presunto credito tributario).
[72] Cass. SS.UU. 31 marzo 2008 n. 8279; Conforme Cass. SS.UU. 19 novembre 2007 n. 23832 e ordinanza 25 maggio 2005 n. 10958.
[78] T.A.R. Basilicata 12 luglio 2007, n. 498, nella specie il Garante del Contribuente in Basilicata con il provvedimento definitivo del 21.6.2004, impugnato con il presente ricorso, ai sensi dell'art. 13, comma 6, l. n. 212/2000 ha esercitato il potere di attivazione delle procedure di autotutela, il quale non si riferisce al rapporto contribuente-Amministrazione Finanziaria di competenza del Giudice Tributario (né si riferisce alla fase di esecuzione forzata, successiva all'emissione della cartella di pagamento, la quale ai sensi dell'art. 2, comma 1, seconda frase, d.lgs. n. 546/1992 spetta alla cognizione del Giudice Ordinario), ma costituisce una diretta ed unilaterale interferenza e/o intromissione sull'esercizio in generale dell'attività della società ricorrente e sul potere di autonomia organizzativa del concessionario. Infatti, il vigente ordinamento giuridico non prevede espressamente l'obbligo dell'Amministrazione finanziaria o dei concessionari della riscossione di emanare i provvedimenti di autotutela richiesti dal Garante del Contribuente o di adeguarsi alle decisioni da questo assunte, con la conseguenza che gli atti di tale organo non sono vincolanti e perciò non producono nemmeno effetti lesivi, ma costituiscono soltanto atti di sollecito, dai quali tutt'al più può derivare soltanto un obbligo di rispondere all'istanza di autotutela e/o di riesaminare la pratica, presentata dal contribuente.
[79] Cass. SS.UU. ord. 3 aprile 2007 n. 8957; Cass. SS.UU. 7 maggio 2003 n. 6956; Cass. SS.UU. 11 luglio 2006 n. 15658; Cass. SS.UU. 29 maggio 2003 n. 8580; Cass. SS.UU. 10 aprile 1999 n. 237.
[80] Cass. sez. trib. 5 agosto 2002 n. 11676; Cass. sez. trib. 29 aprile 2003 n. 6631; Cass. sez. trib. 23 maggio 2003 n. 8130.
[85] Cass. SS.UU. 2 marzo 2006 n. 6224. Conforme Cass. SS.UU. 20 settembre 2006 n. 20318; Cass. SS.UU. 25 gennaio 2007 n. 1616 in base alla quale “la controversia che abbia ad oggetto un atto amministrativo generale, presupposto dell'accertamento e della determinazione in concreto del tributo, ove esso sia integrativo del precetto legislativo (ciò essendo consentito dalla natura non assoluta della riserva di legge in materia tributaria), esula dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie (e ricade nella giurisdizione amministrativa), poiché il cui potere di annullamento dei giudici tributari riguarda, anche dopo la riforma del 2001, soltanto gli atti indicati dall'art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non si estende agli atti amministrativi generali, dei quali l'art. 7 del medesimo decreto legislativo consente soltanto la disapplicazione. Né il fatto che questa Corte, da una parte, non possa esercitare la funzione di nomofilachia rispetto alle sentenze del Consiglio di Stato (in tema di annullamento degli atti generali amministrativi di valenza tributaria) mentre, dall'altra, possa esercitare detta funzione rispetto ai singoli rapporti tributari, è in contrasto con il parametro di cui all'art. 3 della Costituzione in quanto i limiti di intervento di questa Corte rispetto alle sentenze del Consiglio di Stato sono espressamente tracciati dall'art. 111, comma 8, della Costituzione ("per soli motivi inerenti alla giurisdizione"), sul presupposto della diversa tutela accordata agli interessi legittimi rispetto ai diritti soggettivi ex art. 113 della Costituzione. Non incorre in eccesso di potere giurisdizionale la sentenza del Consiglio di Stato che constati come la legislazione vigente non consenta ai comuni di fissare aliquote diverse dell'Ici per le singole tipologie di immobili destinati ad usi non abitativi e quindi dichiari illegittima le discriminazioni all'interno della stessa categoria catastale, a danno della centrale termoelettrica dell'E. società per azioni. L'opera del giudice amministrativo si è esaurita nell'interpretazione delle norme di diritto che disciplinano il potere di stabilire l'aliquota Ici, senza alcuno straripamento giurisdizionale”; Cass. SS.UU. 27 luglio 1998, n. 7350 che con riguardo alla delibera di determinazione dell'aliquota dell'imposta comunale sugli immobili (nella misura, in specie, del sei per mille) ha stabilito che si sottrae al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la decisione del Consiglio di Stato di annullamento di detta delibera, a seguito di negativo riscontro della sua legittimità, per essere la detta determinazione fondata non sulla presenza di un fabbisogno economico-finanziario predeterminato ed emergente alla data di approvazione del bilancio comunale di previsione, bensì con riguardo ad un fabbisogno futuro ancora in fase di studio, trattandosi di interpretazione della normativa vigente in materia non sindacabile in sede di giudizio sulla giurisdizione ex art. 362 del codice di procedura civile, e non di pronuncia travalicante nella sfera del merito, sostitutiva delle determinazioni dell'Amministrazione.
[87] Ai sensi dell'art. 324 c.p.c., si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta nè a regolamento di competenza, nè ad appello, ne` a ricorso per cassazione, ne` a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c..
[92] Cass. SS.UU. 22 febbraio 2007 n. 4109. Si veda anche Corte Cost. n. 77 del 2007 per la quale “il Giudice delle leggi, partendo dai principi costituzionali dell’effettività della tutela e del giusto processo ex art. 24 e 111 Cost., ha dichiarato incostituzionale l’art. 30 l.1034/1971 (istitutiva dei TAR) nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione”. Cons. di Stato sez. 4, Sent. 18 gennaio 2008 n. 1059, per cui “l’affermazione del principio della translatio iudici davanti a un giudice di un diverso ordine, ha fortemente assimilato il difetto di giurisdizione a quello di competenza”.
[93] Si veda Circ. n. 56/E del 24 settembre 2008 Agenzia delle Entrate – Dir. normativa e contenzioso Sanzioni amministrative per l’utilizzo di lavoratori irregolari – Modifiche normative e giurisprudenza della Corte costituzionale.
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