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Gli atti impugnabili

1. Profili generali

Delimitata la giurisdizione del giudice tributario (art. 2, c. 1, D.Lgs. 546/1992), gli atti impositivi nei confronti dei quali il contribuente può tutelare i propri interessi dinanzi  alle  Commissioni  tributarie provinciali sono elencati dall’art.  19,  c. 1, D.Lgs. 546/1992.

Detti atti acquistano definitività se entro 60 giorni dalla notifica non vengono impugnati presso la commissione tributaria provinciale[1].

In base all’art.  19,  c.  1, sono impugnabili i seguenti atti:

a) l'avviso di accertamento del tributo;

b) l'avviso di liquidazione del tributo;

c) il provvedimento che irroga le sanzioni;

d) il ruolo e la cartella di pagamento;

e) l'avviso di mora;

e-bis) l’iscrizione di ipoteca  sugli immobili di cui all’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni[2];

e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni[3];   

f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, c. 3 ossia “l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il  classamento  dei  terreni  e  la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di  una stessa particella, nonché […] la consistenza, il classamento  delle  singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale”;

g) il rifiuto espresso o tacito di rimborso o  sgravio  di  tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;

h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;

i) ogni altro atto per il  quale  la  legge  ne  preveda  l'autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie. Quest’ultima disposizione, come evidenziato dalla Corte, rappresenta una  "norma  di  chiusura  che conferma pienamente i principi della tipicità degli atti  e  della  stretta legalità dell'azione amministrativa ...".

Detti atti intanto sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie in quanto la controversia rientra tra quelle riconducibili alle materie di cui all’art. 2 del D.Lgs. 546/1992[4].

Già sotto  il  vigore dell'art. 16 del D.P.R. 636/1972  -  a  seguito  delle  modifiche introdotte dal D.P.R. 739/1981  -  si riteneva che il  carattere tassativo   dell'elencazione,   non era di ostacolo ad una l'interpretazione estensiva di tale norma[5].

Con la nuova formulazione del citato artico  ad opera dell’art. 30, c. 1, lett. c), della L. delega  n.  413 del 30 dicembre  1991,  il legislatore ha  esteso  la  possibilità  di impugnazione a tutti gli atti che hanno natura  tributaria, nell'accezione più ampia, ossia tutti i provvedimenti che possano essere assimilati per funzione o per natura a quelli indicati dall'art. 19 D.Lgs. n. 546/1992[6], a prescindere dal nomen iuris dell’atto.

L’elencazione degli "atti impugnabili", contenuta nell'art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001. Ciò comporta la possibilità di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'Ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è "naturaliter" preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 citato. Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico. La mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall'art. 19[7].

È impugnabile, pertanto, qualsiasi atto che  incide negativamente  nella  sfera giuridica del soggetto  destinatario,  ossia qualsiasi atto che pur   non  essendo compreso nella elencazione, presenta lo stesso scopo e produce  i  medesimi effetti, degli atti elencati[8]. Così si ritiene impugnabile:

a)      il provvedimento di revoca dell'accertamento con adesione, proprio in base alla sua funzione sostanzialmente impositiva, e dovendosi ritenere lo stesso ricompresso con interpretazione estensiva, nella nozione di avviso d'accertamento[9];

b)      il rifiuto espresso o tacito a provvedere in autotutela[10]. Compete al giudice tributario stabilire se quel rifiuto sia o meno impugnabile, così come valutare se con l’istanza di autotutela il contribuente chiede l’annullamento dell’atto impositivo per vizi originari di tale atto[11] o per eventi sopravvenuti. Nel  giudizio instaurato contro il mero, ed esplicito,  rifiuto di esercizio dell'autotutela può esercitarsi un sindacato -  nelle forme ammesse sugli atti discrezionali -soltanto sulla legittimità del  rifiuto, e non sulla fondatezza delle pretesa tributaria, sindacato che costituirebbe un'indebita sostituzione dal giudice nell'attività amministrativa. Il sindacato del giudice dovrà riguardare l’esistenza dell’obbligazione tributaria solo qualora l’atto di autotutela contenga tale verifica[12];

c)      la “nota” con cui viene negata la definizione agevolata di un rapporto  tributario, in quanto ha natura di atto amministrativo che esplicita la volontà negativa dell'Amministrazione, rispetto alla richiesta del contribuente[13];

d)      il diniego di disapplicazione di disposizioni antielusive[14];

e)      gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati. Oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione, e come tali sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche se emessi anteriormente all'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha espressamente annoverato l'avviso di recupero quale titolo per la riscossione di crediti indebitamente utilizzati in compensazione[15];

f)        l’avviso di liquidazione Iva di cui all’art. 54-bis del D.P.R. 633/72[16].

La giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, poi, non ha ad "oggetto" solo gli  atti  per così dire "finali" del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come "impugnabili" dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19) ma investe - nei  limiti,  ovviamente,  dei  "motivi" sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, c. 2, lett. e), stesso D.Lgs. - tutte le fasi del procedimento che  hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale

giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o  alla  regolarità  (formale e/o sostanziale) su un qualche atto "istruttorio" prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata,  dell’atto  "finale"  impugnato. La correttezza del procedimento di formazione  della  pretesa  tributaria, infatti (Cass. SS.UU. 4 marzo 2008 n. 5791; Cass. SS.UU. 25 luglio  2007 n. 16412), "è assicurata mediante  il  rispetto  di  una  sequenza  ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e  a  portarla nella sfera di conoscenza  dei  destinatati,  allo  scopo,  soprattutto,  di rendere possibile per questi ultimi un efficace  esercizio  del  diritto  di difesa"[17]. Gli atti istruttori ancorché illegittimi non sono autonomamente impugnabili per difetto di concreta lesività, dovendo la relativa contestazione essere differita al momento dell'impugnazione - per illegittimità derivata - del provvedimento finale[18]. Pertanto risultano sindacabili, purchè eccepiti unitamente agli atti finali di imposizione:

a)      gli  atti  prodromici  del  "procedimento  impositivo"   quali   i provvedimenti emessi dal Procuratore della Repubblica  D.P.R.  29  settembre 1973, n. 600, ex art. 33 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, c. 2, di autorizzazione alla perquisizione  domiciliare  e/o  personale  da  parte degli organi fiscali inquirenti[19];

b)      il preventivo invito al pagamento (contenuto nel D.P.R. n.  633  del 1972, art. 60, c. 6), quale  adempimento  necessario  e  prodromico  alla iscrizione a ruolo dell’imposta sul valore aggiunto[20];

c)      l’invito al pagamento"  notificato  dal  Comune  al  contribuente quale atto prodromico all’iscrizione a ruolo[21];

d)      l’invito di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51,  c. 2, n. 2, per fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine  alle  operazioni annotate nei conti bancari[22];

e)      l’invito al pagamento menzionato nel D.P.R. 28  gennaio  1988,  n. 43, art. 67, c. 2, lett. a), (Cass. trib. 12 marzo 2002 n. 3540) e  f) più in generale,  sulla  scorta  dei  principi  affermati  dalla Cass. SS.UU. 25 luglio 2007 n. 16412, sulla mancata notifica  di un atto prodromico quale "vizio proprio" (D.Lgs. n. 546 del  1992,  ex  art. 19, c. 3), dell’atto notificato al contribuente[23];

f)        gli atti relativi ad accessi, ispezioni e verifiche (una volta notificato l’avviso di accertamento).

 

2. Impugnazione per vizi propri e omessa notificazione di atti impugnabili.

Ognuno degli atti autonomamente impugnabili, in applicazione del disposto di cui al c. 3 dello stesso art. 19, può essere impugnato solo per vizi propri[24] (ad esempi vizi di notifica di tale atto ovvero errori nell’indicazione degli importi), ciò al fine di evitare l’aggiramento del termine di decadenza previsto dall’art.21 D.lgs. 546/92 per ricorrere dinanzi alle commissioni tributarie. Sicchè, ad esempio, in sede di ricorso avverso una cartella di pagamento preceduta da avviso di accertamento o da provvedimento di irrogazione di sanzioni non si possono più sollevare questioni relative all'atto presupposto. 

La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione nel merito unitamente a quest'ultimo (ad esempio avviso di mora non preceduto dalla cartella di pagamento[25] oppure cartella di pagamento non preceduta da avviso di accertamento o di liquidazione o provvedimento che irroga la sanzione). Si garantisce, così, il diritto alla difesa di cui all’art. 24, c.2 Cost., in quanto il contribuente in tali casi non è in grado di impugnare un provvedimento di cui ignora l’esistenza[26].

In tali ipotesi, il contribuente può impugnare solo l’atto consequenziale facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto oppure impugnare con l’atto consequenziale anche l’atto presupposto (non notificato), per ottenere una pronuncia che non esaurisca i propri effetti nella dichiarazione di annullamento dell’atto successivo, ma si estenda all’atto presupposto, investendo radicalmente la pretesa dell’amministrazione finanziaria[27].

Nel caso in cui non sia stato notificato un atto presupposto, c’è la possibilità di far valere anche questioni di  merito relative al rapporto tributario[28]. La correttezza del procedimento di  formazione  della  pretesa tributaria è assicurata  mediante  il  rispetto  di  una  sequenza  ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e  a  portarla nella sfera di conoscenza  dei  destinatari,  allo  scopo,  soprattutto,  di rendere possibile per questi ultimi un efficace  esercizio  del  diritto  di difesa. Nella predetta sequenza, l’omissione della notificazione di un  atto presupposto (ad esempio: avviso di accertamento)  costituisce  vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale  (ad esempio: cartella di pagamento) notificato. Tale  nullità  può  essere  fatta valere dal contribuente mediante la scelta o di impugnare, per tale semplice vizio, l’atto consequenziale notificatogli - rimanendo esposto all’eventuale successiva  azione  dell’amministrazione,  esercitabile  soltanto  se  siano ancora aperti i  termini  per  l’emanazione  e  la  notificazione  dell’atto presupposto  -  o  di  impugnare  cumulativamente  anche  quest’ultimo  (non notificato) per  contestare  radicalmente  la  pretesa  tributaria:  con  la conseguenza che spetta al  giudice  di  merito  -  la  cui  valutazione,  se congruamente motivata,  non  sarà  censurabile  in  sede  di  legittimità  - interpretare la domanda proposta dal contribuente al fine di  verificare  se egli abbia inteso far valere la nullità  dell’atto  consequenziale  in  base all’una o all’altra opzione[29].

In  ordine  alla  legittimità  del  differimento  al  momento  della impugnazione dell’atto impositivo della tutela giurisdizionale per vizi  e/o per   irregolarità   concernenti   atti   compiuti   nel   corso   dell’iter amministrativo conclusosi con l’adozione dell’atto impositivo  notificato  è sufficiente ricordare il pensiero della  Corte  Costituzionale  (decisione  23 novembre 1993 n. 406, che richiama "da ultimo le sentenze n. 154 del 1992; n. 15 del 1991; n. 470 del 1990; n. 530 del 1989") secondo cui “gli artt.  24  e 113 Cost., non impongono  una  correlazione  assoluta  tra  il  sorgere  del diritto e la sua azionabilità, la quale può essere differita ad  un  momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia, sempre che il legislatore osservi il limite imposto dell’esigenza di non rendere la tutela  giurisdizionale  eccessivamente  difficoltosa,  in conformità al principio della  piena  attuazione  della  garanzia  stabilita dalle suddette norme costituzionali.

Tale principio derivante da norme processuali cede rispetto al disposto di norme sostanziali vigenti ratione temporis, per cui la mancata o irrituale notificazione dell’atto presupposto determina in ogni caso l’invalidità dell’atto conseguente, nonostante la facoltà riconosciuta al contribuente di contestare anche gli atti presupposti non notificati mediante l’impugnazione degli atti successivi[30].

 

3. Atti non impugnabili

Si ritiene che non sono impugnabili, in quanto non incidenti sulla sfera giuridica del  soggetto passivo del tributo i seguenti atti:

-         gli atti istruttori (questionari, processo verbale di constatazione)[31]. Essendo atti intermedi del procedimento amministrativo e non immediatamente lesivi, dovranno impugnarsi unitamente al provvedimento finale;

-         le comunicazioni che contengano (come,  ad esempio, quelle previste dal comma 3 dell'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973  e dal c. 3 dell'art. 54-bis del D.P.R.  633/1972)  un  “invito”  a  fornire “eventuali dati o elementi non considerati  o  valutati  erroneamente  nella liquidazione dei tributi” e che quindi manifestano  una  volontà  impositiva ancora in itinere e non formalizzata in  un  atto  definitivo,  cancellabile solo in via di autotutela o attraverso l'intervento del giudice[32];

-         l'emissione di  atti  "irrituali", in merito ai quali è possibile soltanto  instaurare un rapporto informale con l'ufficio emittente, con la conseguenza della possibile definizione del procedimento  amministrativo  o del rapporto tributario posto in essere, se si è nella sfera impositiva;

-         l’avviso bonario[33].  In merito, all’opposizione ad un avviso bonario, emesso dal concessionario  avete ad oggetto la TARSU, la Corte ha evidenziato che:  "nel caso esaminao  l'atto  fatto  pervenire  dal concessionario della riscossione (invito al pagamento) non è espressione di un potere pubblicistico autoritativo, ma è un atto riconducibile alla sfera privatistica di un creditore che rivolge un  invito  di  pagamento  al  suo debitore, senza che ad esso possano essere  ricollegati  effetti  negativi, significativi e rilevanti per il destinatario"[34]. In  concreto  la  Corte  ha  affermato  il  principio  secondo  cui  il concessionario della riscossione agisce in veste privatistica e come  tale, ai fini della richiesta di pagamento di quanto dovuto dal suo  debitore,  è legittimato a svolgere qualsiasi attività sollecitatoria  per  il  recupero del credito, prima di dar corso alle azioni  previste  dalla  normativa  in vigore,  mediante  la  formazione  del  ruolo  (di   competenza   dell'ente creditore) e l'emissione della cartella esattoriale, atti che rivestono  la loro tipicità, quindi, opponibili secondo le norme procedurali previste dal decreto sul contenzioso. Il predetto avviso, pertanto, costituendo un  atto  premonitorio  è  il mezzo attraverso il quale si prendono contatti informali con  il  debitore, perché questi valuti  l'opportunità  di  definire  il  debito  evitando  le successive  azioni  esecutive  da  parte  del  creditore (concessionario della riscossione), con l'aggravio delle  spese  conseguenti, ma anche per verificare  se  sussistono  eventuali  errori  che  potrebbero essere corretti in via breve, evitando,  conseguentemente,  il  ricorso  al contenzioso in sede di emissione della cartella;

-         l’atto di interpello[35]-[36] previsto dall'art. 11 della L. 27  luglio  2000  n.  212, in considerazione che lo stesso non riveste natura di provvedimento amministrativo bensì natura  interpretativa, ben potendo il contribuente discostarsene facendo successivamente valere le proprie ragioni innanzi al giudice tributario in caso di esercizio del potere di accertamento da parte dell’ufficio tributario;

-         il rifiuto alla conciliazione opposto dall’ufficio in quanto atto discrezionale e non  assimilabile al rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari di cui alla lettera h) dell’art. 19;

-         atti regolamentari ed atti amministrativi generali in materia tributaria, in merito ai quali al giudice tributario è consentita solo la disapplicazione (art. 7 comma 5);

-         gli atti con efficacia meramente interna[37],  in quanto la  cosiddetta  interpretazione  ministeriale,  sia  essa contenuta in circolari o risoluzioni, non vincola né  i  contribuenti  né  i giudici, né costituisce fonte di diritto[38]; la deliberazione adottata dal garante del contribuente;

-         il D.M. contenente tariffe d’estimo.

Tali atti esprimono la  posizione  dell’Amministrazione finanziaria, ma non sono immediatamente lesivi dei diritti del contribuente[39].

Qualora il  giudice  accerti (con  efficacia  di  giudicato  per  difetto  di  impugnazione)  che  l’atto dell'Amministrazione contestato in giudizio è privo dei requisiti  necessari per esprimere la pretesa  tributaria,  non  può  procedere  all’accertamento negativo avente per oggetto la sussistenza del debito tributario. La proposizione di  un'azione  di  accertamento  negativo in via preventiva, cioè  prima  che  vengano  notificati  gli  atti impositivi o, nel caso di  domande  di  rimborso,  prima  del  provvedimento espresso o tacito di diniego  innanzi  al  giudice tributario, “pur essendo considerata estranea al modulo  del processo tributario, che deve essere necessariamente introdotto con l'impugnazione  di  specifici atti, non dà luogo ad un'ipotesi di difetto di giurisdizione, ma soltanto ad un'improponibilità della domanda, essendo la giurisdizione attribuita in via esclusiva e ratione materiae, e non  in  considerazione  dell'oggetto  della domanda”. Infatti, l'azione di accertamento negativo è estranea  alla  struttura del processo tributario innanzi alle commissioni tributarie,  in quanto la tutela  del  contribuente  si  attua  mediante  la proposizione  di  ricorsi  avverso  specifici  atti  di  accertamento  o  di imposizione dell'Amministrazione finanziaria ovvero avverso  il  rigetto  di  istanze di rimborso di somme indebitamente pagate[40].

 

4. Contenuto degli atti impugnabili

A norma del c. 2 dell'art. 19 del D.Lgs. 546/1992, gli atti impositivi dovranno indicare:

a)      il termine per l’impugnativa;

b)      il procedimento per la proposizione del ricorso;

c)      la commissione tributaria cui è possibile ricorrere. 

Tali elementi, vanno integrati con le prescrizioni dell’art. 7 dello statuto del contribuente (L. 212/2000), che prevede che gli atti dell'Amministrazione finanziaria e dell’Agente della riscossione (già concessionario  della riscossione) devono tassativamente indicare:

a)      l'ufficio presso  il  quale  è  possibile  ottenere  informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il  responsabile  del procedimento;

b)      l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali  è  possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;

c)      le modalità, il termine, l'organo  giurisdizionale  o  l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili;

d)      nel caso di titolo esecutivo, il  riferimento  all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la  motivazione  della pretesa tributaria.

La mancata indicazione di tali elementi negli atti impugnabili non determina alcun vizio dell’accertamento e conseguentemente alcuna invalidità dell’atto che, quindi, diviene definitivo se non tempestivamente impugnato, infatti la legge in tale ipotesi non dispone la nullità dell’atto[41]. Si ritiene tra l’altro non applicabile l’istituto della rimessione in termine in quanto l’art. 184 bis c.p.c.,   riguardante le sole ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nell’ambito della  causa in corso di trattazione, non è applicabile alle situazioni esterne al giudizio[42]. Per queste vige la regola della improrogabilità dei termini perentori (art.153 c.p.c.), che impedisce di utilizzare l’istituto in argomento anche per le decadenze relative al compimento del termine perentorio per instaurare il giudizio.

A maggior ragione in caso di indicazioni erronee le stesse non sono vincolanti, in quanto il ricorso ben può essere indirizzato al giudice depositario secundum legem della giurisdizione e della  competenza.

 

5. L’avviso di accertamento del tributo

E’ l’atto di natura sostanziale per mezzo del quale l’Ente locale esercita la propria potestà impositiva. Esso deve recare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che sono alla base della pretesa impositiva.

Con l’avviso di accertamento l’ufficio tributario accerta l’esistenza di un rapporto tributario non dichiarato o non denunciato dal contribuente. L’ufficio deve indicare sia la causa petendi sia il petitum ed evidenziare anche i passaggi essenziali (come le aliquote applicate).

L’art. 1 c. 161 L. 296/2006 (L. finanziaria 2007) ha stabilito che gli Enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d'ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati[43]. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Sono stati, quindi, unificati i termini di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento relativamente ai tributi locali, pertanto sono state abrogate le norme relative all’accertamento previste dal D.Lgs. 507 del 15 novembre 1993 in materia di imposta comunale sulla pubblicità e pubbliche affissioni (art.10), TOSAP (art. 5 ad eccezione del c. 5), TARSU (art. 71 ad eccezione del c. 4), per i soli casi di denuncia infedele o incompleta ovvero di omessa denuncia.

Il successivo c. 162 ha stabilito che gli avvisi di accertamento in rettifica e d'ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

Gli avvisi, sottoscritti dal funzionario designato dall'Ente locale per la gestione del tributo, devono, inoltre, contenere le seguenti indicazioni:

-         dell'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato;

-         del responsabile del procedimento;

-         dell'organo o dell'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;

-         delle modalità, del termine e dell'organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, nonché il termine di 60 giorni entro cui effettuare il relativo pagamento (fino al 31 dicembre 2006 questo termine era di 90 giorni).

La mancata indicazione nell’atto amministrativo  del  termine d’impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere  proposto  ricorso, prevista dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, c.  4,  non  inficia  la validità dell’atto, pertanto non  determina  espressamente  la  nullità dell’atto tributario per il solo fatto  che  le  richieste  indicazioni  non siano presenti[44], anche alla luce della L. n. 212  del  2000,  art.  5. Tutt’al più determina, ricorrendone le condizioni, il riconoscimento della  scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per  l’impugnativa,  ove questa sia stata proposta tardivamente.

 

6. L’avviso di liquidazione

L'avviso di liquidazione è un provvedimento che l'Ente impositore emette a seguito di una serie di operazioni dirette al controllo dei calcoli e alla verifica dei versamenti eseguiti dal contribuente, dalle quali può risultare un'imposta pagata nella misura inferiore, uguale o superiore a quella dovuta.

In materia di tributi locali era previsto solo per l'Ici e andava notificato entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui la dichiarazione era stata presentata o, nel caso in cui questa non doveva essere presentata, a quello del versamento dell'imposta. E’ venuto meno per effetto del c.161 dell'art.1 della Finanziaria, per il quale gli Enti locali, per i tributi di propria competenza  possono procedere:

-         alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, o dei parziali o ritardati versamenti;

-        all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti.

La liquidazione dell'ICI in base al controllo formale dei dati dichiarati verrà eseguita dall'Agenzia delle Entrate, infatti il c. 103 prevede che in sede di controllo delle dichiarazioni, effettuato ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/1973, vengano verificati i versamenti ICI relativi a ciascun fabbricato effettuati nell’anno precedente e gli esiti del controllo saranno trasmessi ai Comuni competenti. La finanziaria 2007, nel recepire quanto stabilito dal D.L. 223/2006, ha disposto al c. 104, che nelle dichiarazioni dei redditi debba essere indicato l’importo dovuto ai fini ICI, esponendo per ogni immobile i relativi dati catastali (codice del comune, foglio, sezione, particella e subalterno); gli stessi dati dovranno essere riproposti negli anni successivi solo in caso di variazione relativa anche a uno solo dei fabbricati (art. 101).

 

7. Il provvedimento che irroga le sanzioni

Il sistema sanzionatorio tributario è disciplinato dai D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, 472 e n. 473.

In merito al procedimento di irrogazione delle sanzioni l’art. 16 D.Lgs. 472/97 dispone che la sanzione amministrativa e le sanzioni accessorie sono irrogate dall'ufficio o dall'ente competenti all'accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono. 

L'Ente impositore può procedere mediante notifica di atto di contestazione con indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità, nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni (art. 16 D.Lgs. 472/97).

In deroga a tale disposizione, l’art. 17 D.Lgs. 472/97, stabilisce che le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono possono essere irrogate, senza previa contestazione e con l'osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità (mediante atto di accertamento ed irrogazione di sanzioni).

L'atto di contestazione di cui all'art. 16 D.Lgs. 472/97, ovvero l'atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi (art. 20 D.Lgs. 472/97).

Il provvedimento di irrogazione delle sanzioni impugnabile riguarda oltre quello riferito alle sanzioni correlate ai tributi di ogni genere e specie anche, in via residuale, quello relativo a tutte le altre sanzioni non necessariamente attinente a tributi ma “comunque” irrogate dagli uffici finanziari, ciò per effetto del disposto di cui all’art. 2 D.Lgs. 546/1992[45].

 

8. Il rifiuto tacito o espresso  rimborso

Tradizionalmente si distingue tra rimborsi da indebito, in merito ai quali il contribuente deve presentare una domanda all’Ente impositore (errori commessi nella fase di dichiarazione, accertamento o riscossione), e rimborsi non da indebito (o da restituzioni), nelle quali si creerebbe per le caratteristiche strutturali del tributo un’eccedenza d’imposta rispetto a quella dovuta (eccedenza detraibile nell’IVA) recuperabile in sede di dichiarazione fiscale.

La domanda di restituzione deve essere proposta nei termini di decadenza[46] stabiliti da ciascuna legge d’imposta, oppure in mancanza nel termine stabilito dall’art. 21 c. 2 del D.Lgs. 546/1992 che è di due anni:

-   per le imposte sui redditi, entro 48 mesi dal pagamento (art. 38 D.P.R. 602/73);

-   per l’imposta di registro , entro tre anni dal pagamento (art.77 D.P.R. 131/1986);

-   per l’IVA, entro due anni dal pagamento, in quanto il D.P.R. 633/72 non prevede un  termine di pagamento[47];

-   per i tributi locali, l’art. 1 c.164 della L. n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007) ha stabilito che il rimborso delle somme versate e non dovute deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di 5 anni dal giorno del versamento[48], ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione[49]. L'Ente locale provvede ad effettuare il rimborso entro 180 giorni dalla data di presentazione dell'istanza.

Oltre alla richiesta delle somme da rimborsare, è opportuno che il ricorrente espressamente chieda spese,  interessi[50] e rivalutazione monetaria[51].

Gli interessi decorrono dalla data dell’istanza amministrativa di rimborso  e non dalla domanda giudiziale, viene così ad applicarsi il principio previsto dall’art. 5 della L. 26/1961 in tema di restituzione delle tasse ed imposte indirette sugli affari per le quali è affermata la non debenza[52].

In  materia di tributi locali, l’art. 1 c. 165 della L. n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007) ha stabilito che  la misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale[53]. In mancanza di deliberazione in merito il tasso resta fissato a quello previsto dalla legge.

Il contribuente dovrà, quindi, esercitare il diritto al rimborso previsto dalle specifiche leggi d’imposta e in caso di diniego espresso o tacito potrà proporre impugnazione innanzi al giudice tributario, non essendo ammissibile, in alternativa, l’azione di indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) o di arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.) nel termine di prescrizione decennale innanzi al giudice ordinario.

Può accadere, che il contribuente che voglia verificare la correttezza di una propria tesi, senza dover subire in caso di soccombenza, l’applicazione delle sanzioni, potrebbe presentare la dichiarazione oppure autoliquidare un tributo nella maniera più vantaggiosa per l’Ente impositore, facendo seguire una richiesta di rimborso[54]. Ciò ovviamente è possibile finchè l’Ente non ha notificato alcun atto impositivo, poiché in quest’ultimo caso l’unico rimedio è l’impugnazione dell’atto.

Nel caso in cui l’Ente abbia riconosciuto il diritto al rimborso e la quantificazione della somma dovuta, ma  non  ha provveduto a effettuare il rimborso sicchè non residuino questioni circa l’esistenza dell’obbligazione tributaria, il quantum del rimborso o le procedura con le quali lo stesso può essere effettuato, il contribuente può esperire l’azione di indebito di ripetizione oggettivo ex art. 2033 c.c., devoluta alla cognizione del giudice ordinario[55]. In tal caso è opportuno procedere dapprima con atto stragiudiziale di messa in mora dell’Ente locale intimando di provvedere al rimborso dei tributi dovuti oltre interessi di legge  maturati e maturandi.

Qualora l’Ente nonostante la sentenza esecutiva non proceda a rimborso oppure ha  già riconosciuto il relativo diritto ma non ha ancora provveduto ad  effettuare materialmente il rimborso (per esempio,  per  mancanza  di  fondi) il contribuente può procedere a pignoramento  presso la tesoreria dell’Ente nei limiti della disponibilità dei fondi pignorabili. A tal proposito la Corte cost. già nel 1981 affermava che a fronte di una sentenza di pagamento si somme di denaro, la posizione della pubblica amministrazione non è diversa in via di principio da quella di qualsiasi altro debitore.

Un rimedio certamente più efficace è il giudizio per ottemperanza.

 

8.1 Ricorso avverso il rifiuto tacito (c.d. silenzio rifiuto)

Con il trascorrere dei 90 giorni dalla presentazione della domanda di rimborso, o sgravio  di  tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti, senza che l’ufficio adotti alcun provvedimento si forma il c.d. silenzio rifiuto. Tale termine, fissato dall’art. 21 c. 2 del D.Lgs. 546/1992,  è pari alla metà rispetto a quello fissato dalla L. finanziaria 2007,  entro cui l’Ente locale deve procedere al rimborso.

Il termine può essere interrotto nel caso di riconoscimento del diritto a norma dell’art. 2944 c.c. mediante un atto o fatto che implichi, anche tacitamente, ma inequivocabilmente, l’ammissione dell’esistenza del debito e  sia incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa fatta valere. Conseguentemente la ricognizione interruttiva della prescrizione non può essere ricollegata, per difetto del requisito dell’univocità, all’atto col quale l’ufficio tributi, esaminata l’istanza di rimborso, inviti il contribuente a produrre la documentazione su cui si fonda il credito[56].

Ove il ricorrente impugna il silenzio opposto dall’ufficio senza far decorrere detto termine, il ricorso è inammissibile[57], in quanto non si ritiene che sia formato il silenzio rigetto dell’ufficio che costituisce l’atto impugnabile.

Sulla questione della fattispecie relativa all’istanza  di  rimborso  presentata  ad  un   ufficio   dell’amministrazione finanziaria, incompetente funzionalmente  o  territorialmente  a provvedere sulla medesima, la Corte di Cassazione discostandosi da un orientamento prevalente[58], accolto anche nella sentenza delle Sezioni Unite 13 novembre 1997, n. 11217, ha  ritenuto  che in ossequio al principio di leale  collaborazione  sancito dall’art.  10,  L.  n.  212/2000,  si debba ritenere che   l’ufficio  ricevente è tenuto  a  trasmettere  la  richiesta di rimborso  formulata  all’ufficio  competente in conformità delle regole di collaborazione  tra  organi  della stessa amministrazione (cfr. anche la L. 18 marzo 1968,  n.  249,  art.  5), restando configurabile, in difetto,  un  silenzio  -  rifiuto  del  rimborso medesimo, impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie  (Cass.  8  agosto 1988 n. 4878). A tale conclusione si perviene sulla base delle seguenti considerazioni: a) la domanda di rimborso non è rivolta  ad  un organo estraneo all’amministrazione finanziaria; b) in tema di rimborso, l’ordinamento impone una dovuta costante collaborazione tra uffici dell’Amministrazione[59].

 

8.2. Ricorso avverso il rifiuto espresso

Il diniego espresso assume la forma e natura di atto impugnabile, pertanto l’atto va impugnato entro i 60 giorni dinanzi alla Commissione tributaria provinciale.

Nel caso in cui l’Ente impositore dopo una sentenza non passata in giudicato ad esso sfavorevole, rifiuti di procedere al rimborso delle somme percepite, il relativo contenzioso ricade nella giurisdizione del giudice tributario[60].

 

9. L’iscrizione a ruolo

Il ruolo consiste nell’elenco nominativo dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio tributario dell’Ente ai fini della riscossione a mezzo Agente della riscossione e sottoscritto dal titolare dell’ufficio o suo delegato.

I ruoli sono atti interni all’Amministrazione i cui vizi solo eccezionalmente si riverberano sul rapporto tributario individuale e pertanto solo in tali casi si rendono impugnabili[61], come ad esempio nel caso in cui specifiche norme prevedano dei termini a pena di decadenza per l’esecutività.

Il ruolo si colloca nel procedimento di riscossione dei tributi, che si articola nelle seguenti fasi:

-         iscrizione a ruolo;

-         consegna del ruolo all’Agente della riscossione;

-         formazione e successiva notifica della cartella di pagamento

L’unico tributo comunale riscuotibile a mezzo ruolo è la TARSU, il cui ruolo ai sensi dell’art.72 del D.Lgs. 507/1993 deve essere formato e reso esecutivo entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel corso del quale è stata prodotta la denuncia. Per quanto riguarda, invece, gli altri tributi locali, gli stessi sono riscossi a mezzo ruolo (unitamente alle sanzioni ed agli interessi) solo nella fase della riscossione coattiva (art.12 D.Lgs. 504/1992 per l’ICI, art. 51 del D.Lgs. 507/1993 per la TOSAP; art. 9 del D.Lgs. 507/1993 per l’imposta sulla pubblicità).

Relativamente alle entrate tributarie riscosse a mezzo ruolo[62] il ricorso va proposto avverso il ruolo.

Ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 602/1973, concernente la formazione ed il contenuto dei ruoli, gli stessi devono indicare:

-         il numero del codice fiscale del contribuente;

-         la specie del ruolo;

-         la data in cui il ruolo diviene esecutivo;

-         il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa;

-         la sottoscrizione, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell'ufficio o da un suo delegato ai fini dell’esecutività.

Il ruolo rappresenta anche titolo esecutivo per la riscossione coattiva da parte dell’Agente della riscossione, dispone il c. 1 dell’art. 49 del D.P.R. 602/73, così come integrato dall’art. 1 c. 415 della L. 30 dicembre 2004, n. 311, che “per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo; il concessionario può altresì promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore”.

Il contribuente ha contezza dell’iscrizione a ruolo mediante la notifica da parte dell’Agente della riscossione consegnatario del ruolo, della cartella di pagamento.

L’art. 21 c. 1 periodo finale prevede che “ la notificazione della cartelle di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”. Ne consegue, quindi, che non è sufficiente la formazione del ruolo al fine di interrompere i termini decadenziali per la riscossione dei tributi, poiché se così fosse si verificherebbe l’indefinita soggezione del contribuente all’azione esecutiva del fisco[63].

Al riguardo l’art. 6 della L.212/2000 rubricato “Conoscenza degli atti e semplificazione” stabilisce il principio della effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti  a lui destinati”.

Dal punto di vista sostanziale, il ruolo e la cartella di pagamento conservano le loro specificità anche in considerazioni che fanno capo rispettivamente a due soggetti differenti: Ente impositore ed Agente della riscossione, con conseguenze in merito alla individuazione della legittimazione passiva.

 

10. La cartella di pagamento

La cartella di pagamento, ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.602, va redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze 28 giugno 1999 (integrato con decreto 11 settembre 2000 e Provvedimento del 22 febbraio 2001) e deve indicare[64]:

-         l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di 60 giorni dalla notificazione[65], con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata (assorbe quindi la funzione di titolo esecutivo e di precetto);

-         l'indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo (con la sottoscrizione da parte del funzionario responsabile);

-         l’indicazione  del responsabile del  procedimento  di  iscrizione  a  ruolo  e  di  quello  di emissione e di notificazione della stessa cartella. Tale indicazione è prevista a pena di nullità e si applica ai ruoli consegnati  dall’Ente all’Agente  della riscossione a decorrere dal 1° giugno  2008[66]. Antecedentemente secondo l’interpretazione offerta dall’Agenzia delle Entrate l’omessa indicazione del responsabile del procedimento raffigurava una mera irregolarità, non suscettibile di determinare l’illegittimità dell’atto[67]. In tal senso era orientata anche la giurisprudenza per la quale non costituiva causa di nullità della cartella di  pagamento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7 della L.  27  luglio  2000,  n. 212,  l’omissione   relativa   alla   indicazione   del   responsabile   del procedimento poichè tale elemento  non  è  richiesto  a  pena  di  nullità. La nullità è prevista (v. art.  21 septies cit.), invece, in caso di mancanza di un  elemento  essenziale, di difetto assoluto dì attribuzione, o di adozione in violazione o elusione del giudicato, e, ancora, nei casi espressamente previsti dalla legge. A quest'ultimo riguardo,  però,  si ricorda  che  la  norma  richiede  l'indicazione   del   responsabile   solo "tassativamente", ma non "a pena di nullità". Ciò non toglie,  però,  che  nella  specie  si  sia  indubbiamente verificata una violazione di legge, in quanto  l'indicazione  in  oggetto  è prescritta  "tassativamente",  cioè  inderogabilmente,  per  cui  l'atto  in questione sarebbe annullabile a norma del primo comma  dell'art.  21  octies della l. n. 241/1990.     Di contro, però, il c.2 di tale norma recita testualmente:  "Non  è annullabile  il  provvedimento  adottato  in   violazione   di   norme   sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura  vincolata  del provvedimento, sia palese che  il  suo  contenuto  dispositivo  non  avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"[68]-[69];

-         il frontespizio riepilogativo contenente l'indicazione degli elementi sulla base dei quali è stata disposta l'iscrizione a ruolo[70], le istruzioni per il pagamento e le avvertenze relative alle modalità ed ai termini di impugnazione della cartella di pagamento.

L’omessa indicazione si uno degli elementi sopra citati costituisce un vizio proprio della cartella di pagamento che deve esser sollevato con ricorso da notificare entro 60 giorni dal ricevimento della cartella, all’Agente della riscossione responsabile dell’omissione, salvo che la cartella non abbia recepito altri vizi imputabili all’Ufficio impositore.

Con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del  13 febbraio 2007 è stato approvato il nuovo modello da utilizzare per le cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione con decorrenza dal 25 marzo 2007. Al fine di favorire la piena consapevolezza, da parte del debitore, delle somme dallo stesso dovute e di agevolarlo nelle operazioni di pagamento, si è ritenuto opportuno non limitarsi, per quanto riguarda il compenso, ad indicare la percentuale di aggio a suo carico in relazione al momento in cui effettua il pagamento, bensì si è,  previsto che venga calcolato e riportato in cartella l'importo esattamente dovuto a tale titolo, evitando, in tal modo, che il debitore debba determinarlo autonomamente.

Il foglio del «Dettaglio degli addebiti» del modello approvato contiene, pertanto, apposite tabelle, recanti l'illustrazione analitica di tutte le somme dovute, sia nel caso di pagamento entro i termini indicati nella stessa cartella, sia nel caso di versamento effettuato oltre tali termini. Infatti, laddove il destinatario non paghi le somme iscritte entro il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella , è obbligato al versamento dell’intero compenso spettante all’Agente della riscossione anzichè soltanto il 4,65% della somma iscritta a ruolo, mentre la restante parte dell’aggio è a carico dell’Ente creditore.

Sono state, tra l’altro, apportate alcune variazioni alla relazione di notifica contenuta nel frontespizio della cartella di pagamento, al fine di tener conto delle recenti modifiche all'art. 60, c. 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotte dall'art. 37, comma 27, lettera a), del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248, per il caso di consegna della stessa cartella ad uno dei soggetti terzi diversi dal destinatario, cui tale consegna può essere effettuata per legge.

Il termine di notifica della cartella di pagamento da parte del concessionario è stato oggetto di modifiche legislative ed interventi della Corte costituzionale, il cui iter è così riassumibile:

-         nella formulazione ante modifiche apportate dall’art.11 del D.Lgs. 46/1999 si prevedeva che l’esattore, non oltre il giorno 5 del mese successivo a quello nel corso del quale il ruolo gli veniva consegnato, doveva notificare la contribuente la cartella di pagamento (ci si riferisce ai ruoli consegnati al concessionario fino al 30 giugno 1999);

-         successivamente alla normativa sopra citata e antecedentemente alle modifiche apportate dall’art. 1 del D.Lgs. n. 193 del 27 aprile 2001: la cartella di pagamento doveva essere notificata dal concessionario al debitore iscritto a ruolo entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo[71]. Pertanto veniva previsto un termine per l’iscrizione a ruolo (art. 17 D.P.R. 602/1973) ed un termine per la notifica della cartella (art.25 del D.P.R. 602/1973) (ci si riferisce ai ruoli consegnati al concessionario dal 1 luglio 1999 al 8 giugno 2001);

-         l’art. 1 del D.Lgs. n. 193 del 27 aprile 2001, in vigore dal 9 giugno 2001, ha abolito il termine dei quattro mesi per la notifica della cartella, pertanto si riteneva applicabile il termine di prescrizione decennale[72] (ci si riferisce ai ruoli consegnati al concessionario dal 9 giugno 2001 al 30 giugno 2005);

-         il c. 417 dell’art.1 L. n. 311 del 30 dicembre 2004 prevedeva quale termine di notifica della cartella di pagamento al debitore iscritto al ruolo o al coobbligato a pena di decadenza l’ultimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo[73] (ci si riferisce ai ruoli resi esecutivi dal 1 luglio 2005);

-         in seguito al D.L. n. 106 del 17 giugno 2005, convertito dalla L. n. 156 del 31 luglio 2005 che tra l’atro recepiva l’indirizzo della Corte costituzionale[74] espresso con sentenza n. 280 del 15 luglio 2005 che dichiarava incostituzionale l’art. 25 del D.P.R. 602/73 come modificato dall’art. 1 del D.lgs. n. 193 del 27 aprile 2001, venivano unificati i termini per la notificazione delle cartelle di pagamento in materia di IVA ed II.DD. Pertanto, il concessionario notifica la cartella di pagamento, al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:

a)      del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione  per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di liquidazione prevista dall'art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, oppure a seguito dell'attività di liquidazione prevista dall'art. 54-bis del D.P.R. 633/1972 nonchè del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917;

b)      del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di controllo formale prevista dall'articolo 36-ter del citato D.P.R. n. 600 del 1973 oppure seguito dell'attività di controllo formale prevista dall'articolo 54-bis del D.P.R. 633/72;

c)      del secondo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell'ufficio.

Con riferimento ai tributi locali l’art. 1 c. 163 della L. n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007) ha stabilito che nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali il relativo titolo esecutivo deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo[75].

Viene quindi privilegiato dal legislatore il rapporto tra contribuente ed Ente impositore, mentre perde ogni rilievo il tempo di formazione del ruolo e la consegna all’Agente della riscossione, in quanto essendo un processo interno del Comune è inidoneo a produrre effetti nella sfera giuridica del destinatario[76].

In merito al rapporto Ente impositore – Agente della riscossione nell’ipotesi di riscossione spontanea la cartella dovrà essere notificata dall’Agente entro il terzo mese successivo all’ultima rata indicata nel ruolo. Mentre nell’ipotesi di riscossione coattiva, a seguito della modifiche apportate dall’art. 15 del D.L. 1 luglio 2009 n. 78 (decreto anticrisi), all’art. 19 del D.Lgs. 13 aprile 1999 n. 12,  il termine entro il quale gli Agenti della riscossione dovranno notificare le cartelle di pagamento è stabilito in 9 mesi dalla consegna del ruolo da parte degli enti creditori.

La mancata notifica della cartella di pagamento, nei termini prescritti, comporta per l’Agente la perdita del diritto al discarico.

Le cartelle con cui vengano richieste somme dovute  a  seguito della definitività degli accertamenti  fiscali non costituiscono autonomi atti di accertamento, bensì atti applicativi di precedenti avvisi  mai  impugnati  e  divenuti  pertanto definitivi; per tale ragione, esse non necessitano di alcuna  motivazione, in quanto deve ritenersi già conosciuta la presupposta pretesa  fiscale  poi iscritta a  ruolo.  Di  conseguenza,  è  sufficiente  che  l’Amministrazione produca in sede  di  impugnazione  la  documentazione  giustificativa  della pretesa fiscale[77].

La cartella  di  pagamento,  quando faccia  seguito  ad  un  avviso  di  accertamento  divenuto  definitivo,  si esaurisce  in  un’intimazione  di  pagamento  della  somma  dovuta  in  base all’avviso e non integra un  nuovo  ed  autonomo  atto  impositivo,  con  la conseguenza che essa resta sindacabile innanzi  al  giudice  solo  per  vizi propri, con esclusione di qualsiasi questione attinente all’accertamento[78].

 

11. L’avviso di mora

L’avviso di mora nella disciplina ante riforma costituisce il primo atto partecipativo della pretesa fiscale da notificarsi prima dell’esecuzione nei confronti del debitore[79].

Tale strumento è stato abolito a partire dal 1° ottobre 1999, dal D.Lgs 46/99, che ha riformato la disciplina della riscossione tramite ruolo. A decorrere dalla stessa data il concessionario una volta ricevuto il ruolo deve notificare la cartella di pagamento al debitore. La cartella di pagamento unifica in sé la funzione di pagamento e quella di avviso di mora, e contiene l’obbligo di procedere al pagamento entro il termine di 60 giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che in mancanza si provvederà ad esecuzione forzata.

Nel caso in cui l’Agente della riscossione non intraprenda l’esecuzione forzata entro una anno dalla notifica della cartella di pagamento, sarà necessario notificare un avviso che contenga l’intimazione ad adempiere l’obbligo prescritto entro 5 giorni. Se l’Agente non provvede entro 180 giorni ad iniziare la procedura esecutiva, l’avviso perde efficacia.

In merito alla disciplina ante D.Lgs. 46/1999, vi è un contrasto in giurisprudenza  tra  un orientamento che sostiene la nullità dell'atto conseguente (ad esempio,  avviso  di  mora) che non sia stato preceduto dalla rituale  notifica  dell'atto  presupposto[80] (ad esempio, cartella di pagamento) ed un secondo orientamento secondo cui sussiste la possibilità di impugnare l’atto conseguente (l'avviso di mora) per vizi dell’atto presupposto (cartella di pagamento) allorché quest'ultimo non sia notificato al contribuente.[81] Il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalla Corte di Cassazione SS.UU. con sentenza n. 16412 del 25 luglio 2007, con la quale la Corte ha ribadito che la correttezza del procedimento di  formazione  della  pretesa tributaria è assicurata  mediante  il  rispetto  di  una  sequenza  ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le  relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e  a  portarla nella sfera di conoscenza  dei  destinatari,  allo  scopo,  soprattutto,  di rendere possibile per questi ultimi un efficace  esercizio  del  diritto  di difesa. Nella predetta sequenza, l'omissione della notificazione di un  atto presupposto (nel caso di specie cartella  di  pagamento)  costituisce  vizio procedurale che comporta la nullità dell'atto consequenziale  (nel  caso  di specie avviso di mora) notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta o di impugnare,  per  tale  semplice  vizio, l'atto  consequenziale  notificatogli  -  rimanendo  esposto   all'eventuale successiva  azione  dell'Amministrazione,  esercitabile  soltanto  se  siano ancora aperti i  termini  per  l'emanazione  e  la  notificazione  dell'atto presupposto  -  o  di  impugnare  cumulativamente  anche  quest'ultimo  (non notificato) per  contestare  radicalmente  la  pretesa  tributaria:  con  la conseguenza che spetta  al  giudice  di  merito  -  la  cui  valutazione  se congruamente  motivata  non  sarà  censurabile  in  sede  di  legittimità  - interpretare la domanda proposta dal contribuente al fine di  verificare  se egli abbia inteso far valere la nullità  dell'atto  consequenziale  in  base all'una o all'altra opzione (nel caso di  specie  la  Corte  ha  cassato  la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che  la  mancata  notifica  della cartella di pagamento non determinasse la nullità  dell'avviso  di  mora  e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso  introduttivo  del  contribuente avverso l'avviso di mora). L'impugnazione avverso l'avviso di mora emesso dal  concessionario  alla riscossione, deducendo l'omessa notifica della cartella  di  pagamento,  può essere promossa dal contribuente indifferentemente nei  confronti  dell'Ente creditore  o  del  concessionario  e  senza  che  tra  costoro  si  realizzi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla  sola  volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà  di  chiamare  in  causa l'Ente creditore (allo scopo  di  renderlo  partecipe  della  responsabilità della gestione del processo)[82].

 

12. L’ingiunzione fiscale[83]

Qualora la riscossione del tributo non viene affidata all’Agente della riscossione, bensì viene svolta in proprio dall’Ente impositore o dai soggetti abilitati iscritti all’albo, di cui all’art, 53 D.Lgs 446/97, istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la riscossione coattiva dei tributi avviene mediante ingiunzione di fiscale di cui al R.D. 14 aprile 1910 n. 639 (ex art.52 D.Lgs. 446/1997).

Quest’ultima, consiste in un’intimazione al pagamento della somma dovuta (utilizzabile per il recupero sia delle entrate tributarie che patrimoniali), con diffida, in caso di inadempimento entro un certo termine, di procedere alla esecuzione forzata dei beni.

La giurisdizione, in merito alle controversie, è attribuita al  giudice tributario nei casi in cui il tributo in contestazione rientri nell’art. 2 del D.Lgs. 546/1992[84]. A titolo esemplificativo appartiene alla giurisdizione tributaria la contestazione della  pretesa fiscale per il tramite dell’impugnazione dell’atto di ingiunzione emesso dal concessionario della riscossione nei confronti del contribuente[85].

L’ingiunzione fiscale assolve alla stessa funzione della cartella di pagamento in quanto atto prodromico per l’esecuzione forzata pertanto ogni contestazione che concerne il rapporto tributario ed i suoi elementi costitutivi deve esse assegnata alla Commissione tributaria, che ora ha anche il potere di sospendere l’esecutività dell’atto. Alla giurisdizione del giudice ordinario appartengono solo gli atti che saranno posti in essere durante la successiva espropriazione forzata[86].

Il termine per proporre ricorso è di 60 giorni dalla notifica; qualora, invece, l’ingiunzione riguardi entrate diverse da quelle tributarie il giudice competente sarà, il giudice ordinario e l’eventuale opposizione dovrà essere proposta entro 30 giorni dalla notifica.

L'ingiunzione fiscale cumula in sè la duplice natura e funzione di titolo esecutivo, unilateralmente formato dalla pubblica amministrazione nell'esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e autotutela, e di atto prodromico all'inizio dell'esecuzione coattiva equipollente a quello che nel processo civile ordinario è l'atto di precetto, contro il quale la parte privata ha l'onere di proporre opposizione nel termine di legge per far valere l'inesistenza della pretesa tributaria.

Qualora l'ingiunzione perda efficacia relativamente e limitatamente alla sua equivalenza al precetto (nella specie, in ragione del mutamento nel sistema di riscossione coattiva, a seguito di una modifica legislativa) non viene meno in essa la valenza del titolo esecutivo, in cui è irrevocabilmente consacrato l'accertamento del credito dell'Amministrazione. Pertanto, ove l'ingiunzione non sia tempestivamente impugnata, tale accertamento non può più essere revocato con l'opposizione proponibile in seguito alla notificazione della cartella esattoriale, restando la "causa petendi" circoscritta a ipotetici vizi propri di quest'ultima, senza che possa estendersi a quanto era originariamente deducibile e non è stato dedotto, risultando questo assorbito nel giudicato[87].

Con riferimento al rapporto che intercorre tra ingiunzione ed atto di accertamento: l'ingiunzione fiscale, qualora   non  sia  conseguenzialmente  correlata a una previa  attività  formale   di   accertamento, cumula in se stessa la duplice natura  e  funzione   di titolo esecutivo e di atto (equipollente al precetto) prodromico al   procedimento di riscossione coattiva, mentre, ove sia preceduta dalla emissione  e notificazione di un atto di accertamento o di liquidazione, nei  quali   -   se    ed   in quanto  divenuti definitivi e incontestabili va identificato  il  titolo   esecutivo - conserva   l'efficacia di mero atto riproduttivo destinato a esplicare incidenza soltanto sul piano dell'esigibilità  della  pretesa tributaria, e, come tale, resta suscettibile di impugnazione  solo per vizi propri e non anche per motivi attinenti a fatti e momenti   della   vicenda   tributaria  anteriori alla formazione del titolo esecutivo, deducibili   ma   non   dedotti   in sede di impugnazione dell'atto presupposto[88].

Inoltre, l'Ente non può notificare una ingiunzione fiscale, emessa ai  sensi dell'art.  2 e ss. del R.D.L. n. 639 del 1910, nei confronti del contribuente,  quando  il  giudice  tributario, davanti al quale sia stato portato - dal primo - l'esame del titolo sottostante l'ingiunzione, l'abbia posto nel  nulla,  quand’anche  con  sentenza  non ancora passata in giudicato, atteso che  -  al  momento  della  sua  notificazione - l'ingiunzione doveva considerarsi priva del titolo sottostante in ragione  dell'efficacia  del provvedimento giurisdizionale  di  annullamento  di  quello  amministrativo  - tributario (nella  specie  un  avviso di accertamento ritenuto non ritualmente notificato al contribuente)[89].

Nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali l’ingiunzione fiscale deve essere notificata al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo (art.1, c.163 della L. 269/2006 – finanziaria 2007).

 

13. L’atto di iscrizione ipotecaria sugli immobili[90]

A mezzo iscrizione ipotecaria viene riconosciuta all’Agente della riscossione una garanzia di tipo reale avente ad oggetto i beni immobili del debitore, che consente al creditore procedente di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall'espropriazione (art. 2808 c.c.).

Ai sensi dell’art. 77 D.P.R. 602/73, decorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede. In sostanza,  quindi,  all’Agente è   riconosciuta   una   garanzia   di   tipo  reale  mediante l'iscrizione di ipoteca legale sugli immobili del debitore e dei coobbligati.

L’adozione dell’iscrizione ipotecaria è nulla se non preceduta dalla notificazione al contribuente dell’intimazione al  pagamento  ex  art. 50, D.P.R. n. 602/1973, che costituisce l’atto  prodromico  indispensabile  per  dar  corso all'esecuzione forzata[91].

In base a quest’ultima disposizione l’Agente  procede  ad  espropriazione  forzata  quando  è inutilmente decorso il termine di 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le disposizioni  relative  alla  dilazione  ed alla sospensione del pagamento.  Se l'espropriazione non è iniziata  entro  un  anno  dalla  notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere  preceduta dalla notifica, da  effettuarsi  con  le  modalità  previste  dall'art. 26, di un avviso che  contiene  l'intimazione  ad  adempiere  l'obbligo risultante dal ruolo entro 5 giorni.

 

14. Il provvedimento di fermo amministrativo dei beni mobili registrati[92]. Impugnabilità del preavviso di fermo

Ai sensi dell’ art. 86, del D.P.R. n. 602/1973, l’Agente della riscossione, decorso il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento (salvo dilazione o sospensione del pagamento), può disporre il fermo dei beni mobili iscritti in pubblici registri appartenenti al debitore o ai coobbligati (disciplina comunemente denominata ganasce fiscali); l'iscrizione del provvedimento di fermo nei registri mobiliari va comunicata ad opera dell’Agente al soggetto nei confronti del quale è disposto il fermo stesso. Pertanto, prima di procedere al fermo, l’Agente della riscossione dovrà inviare al contribuente un avviso[93] invitandolo a pagare le somme dovute entro 20 giorni dalla notifica di detto invito, in mancanza, il preavviso assumerà la valenza di comunicazione di iscrizione di fermo a tutti gli effetti di legge.

Il preavviso è sostanzialmente  l'unico atto mediante il quale il contribuente viene a conoscenza  della  esistenza nei suoi confronti di una procedura di fermo amministrativo dell'autoveicolo e costituisce  parte  integrante  di  una sequenza procedimentale finalizzata all’adozione della misura cautelare nei confronti del contribuente al quale, anteriormente all’iscrizione dell’atto nel pubblico registro, viene anticipato il contenuto  della  determinazione dell’Agente della riscossione. Mutatis  mutandis,  il  preavviso  di  fermo assolve alla medesima funzione  svolta  dall’avviso  di  mora,  conseguendo natura di atto impugnabile, ben potendo - fra l’altro - essere il primo atto formalmente comunicato al contribuente circa la sussistenza di una pretesa erariale avanzata dall’Amministrazione finanziaria  ed  avverso  la quale ha diritto di resistere.  Infatti, costituisce  ius  receptum  nella  giurisprudenza  di  legittimità   il principio secondo il quale l’elencazione contenuta nell’art. 19, D.Lgs.  n. 546/1992 non rappresenta ulteriormente un numerus clausus  in  quanto  deve ritenersi impugnabile  avanti  alla  giurisdizione  tributaria  ogni  atto, indipendentemente dalla forma o denominazione, che rechi  una  pretesa  nei confronti  del  destinatario  deducendo  la  sussistenza di un rapporto giuridico d’imposta suscettibile pertanto di far insorgere nel destinatario l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. spiegando le proprie difese davanti al giudice naturale[94]. Identiche osservazioni è possibile farle in merito all’impugnazione di iscrizione di ipoteca.

 

15. Gli atti relativi alle operazioni catastali

La disposizione dell'art. 2, c.3, del D.Lgs. 546/1992, il quale attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo tra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari e l'attribuzione della rendita catastale, si applica esclusivamente alle controversie tributarie in senso stretto, quali sono quelle instaurate dai privati possessori che abbiano ad oggetto operazioni di intestazione o di variazione catastale operate dall'amministrazione e necessarie al fine della imposizione di tributi. Sussiste, invece, la giurisdizione del giudice ordinario qualora la controversia riguardi, l'accertamento, in radice, della titolarità del diritto di proprietà invocato dal privato nei confronti della pubblica amministrazione[95].

 



[1] Non sono ammissibili atri mezzi alternativi di tutela quali i rimedi amministrativi del ricorso gerarchico e del ricorso in opposizione (Circ. Agenzia delle entrate n. 25/E del 21 marzo 2002) oppure il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (Cons. Stato parere 26 settembre 2006 n. 3444;   27 settembre 2005 n. 3599; 14 giugno 2005  n. 7486 per i quali il ricorso è inammissibile in quanto vige la giurisdizione esclusiva in capo al giudice tributario).

[2] lettera aggiunta in sede di conversione del D.L. n.223 del 4 luglio 2006 con L. n.248 del 4 agosto 2006.

[3] lettera aggiunta in sede di conversione del D.L. n.223 del 4 luglio 2006 con L. n.248 del 4 agosto 2006.

[4] Cass. SS.UU. 16 marzo 2006 n. 11625. Ha ritenuto di competenza della giurisdizione ordinaria l’impugnazione della cartella di pagamento emessa dal concessionario per il servizio di riscossione che sia riferita ad un credito di natura patrimoniale (nella specie relativa a contributi industriali). Conforme Cass. SS.UU. 12 luglio 2004  n. 12879 per la quale l’impugnazione della cartella esattoriale e dell’avviso di mora relativi all’ingiunzione di un sanzione amministrativa pecuniaria (nella specie per violazione al  codice della strada)  appartiene   alla cognizione del giudice ordinario.

[5] Corte  Cost.  6  dicembre  1985  n. 313. Nella specie alla Corte costituzionale era stata sottoposta una questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del D.P.R. n. 636 del 1972, in  rapporto all’art. 24 Cost. Cass. SS.UU. 26 marzo 1999 n. 185.

[6] Circ. Agenzia delle Dogane n. 26/D  del 4 aprile  2002. Cass. sez. trib. 9 agosto 2007   n. 17526 in base alla quale “l'elencazione contenuta in tale comma  non  ha natura tassativa, o quanto meno debba essere interpretata con  considerevole ampiezza  (tanto  da   comprendervi   appunto   gli   atti,   apparentemente privatistici). L'art. 19 concorre  dunque  a delineare la natura dell'atto impugnato nel processo tributario  soprattutto con il suo comma 2  in  cui  disciplina  taluni  profili  formali  cui  deve rispondere  tale  atto  (lasciando  ovviamente  aperta  la  questione  delle conseguenze che si determinano ove tali  formalità  non  siano  rispettate). Anche  simili  prescrizioni  costituiscono  per  altro  un  tassello   delle connotazioni pubblicistiche dell'atto con cui la  pretesa  impositiva  viene portata a conoscenza del privato. Nel caso oggetto di pronuncia  la Corte ha rilevato che gli atti con cui il gestore del servizio  di  smaltimento  dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di  tariffa  di  igiene  ambientale  hanno  natura  di  atti  amministrativi impositivi  di  un  obbligo  pecuniario  di  natura  pubblicistica,   perciò sottoposto dal legislatore alla giurisdizione del giudice tributario;  essi, di conseguenza, debbono rispondere ai requisiti sostanziali propri  di  tali atti: in primo luogo debbono - al fine di consentire  l'esercizio  da  parte del destinatario del diritto alla  difesa  -  enunciare  -  anche  in  forma sintetica, purché chiara - sia la fonte della richiesta sia gli elementi  di  fatto  e  di  diritto  che  la  giustificano,   anche   sotto   il   profilo quantitativo”.

[7] Cass. sez. trib. 8 ottobre 2007 n. 21045 che ha ritenuto ammissibile il ricorso alla commissione tributaria avverso un "invito di pagamento" emesso dal comune per il pagamento della TOSAP. Conforme Cass. sez. trib. 25 febbraio 2009 n. 4513 con riferimento alla fattispecie relativa ad un avviso di pagamento emesso da un Consorzio di bonifica per contributi, e recante allegata una nota, la quale evidenziava al contribuente che "la documentazione che troverà allegata costituisce esclusivamente un avviso di pagamento e cioè un invito a pagare, così da evitare l'emissione della cartella esattoriale ed il conseguente aggravio di spese di riscossione”; Cass. sez. trib. 18 novembre 2008 n. 27385 che ha ritenuto ammissibile il ricorso alla commissione tributaria avverso una visura per consultazione di partita catastale, attraverso la quale una società aveva appreso l'entità della rendita catastale di un immobile acquistato da un fallimento.

[8] Conforme Cass.  n.  14669 del 2005.

[9] Cass. SS.UU. 26 marzo 1999 n. 185.

[10] Cass. SS.UU. 9 giugno 2005  n. 16776 per la quale con l’art. 12, c. 2, L. 448/2001 (secondo cui “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie”) la giurisdizione tributaria è divenuta - nell’ambito suo proprio- una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qual volta si controverta di uno specifico rapporto tributario, o di sanzioni inflitte da uffici tributari. Di conseguenza, è stato modificato l’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, in quanto il contribuente può rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta abbia interesse a contestare (art. 100 c.p.c.) la convinzione espressa dall’Amministrazione in ordine alla disciplina del rapporto tributario. Nel caso dei provvedimenti di autotutela l’impugnabilità discende dalla considerazione che gli stessi attengono non a un danno ipotetico e futuro, ma effettivo e immediato degli interessi del contribuente. Rientrano nella giurisdizione del giudice tributario le controversie relative all’esercizio (o al mancato esercizio) da parte della Amministrazione del potere di autotutela, spettando a tale giudice anche stabilire se l’atto (o il rifiuto) sia o meno impugnabile. Conforme  TAR Campania 8 aprile 2005 n. 519, TAR Trentino Alto Adige 14 luglio 2003 n. 273. Contra in considerazione che tale potere costituisce una facoltà discrezionale Cass. sez. trib.  4 febbraio 2005 n. 2305, Cass. sez. trib. 1 dicembre 2004 n. 22564; Cass. sez. trib.  7 dicembre 2001  n. 1547 in base alla quale i vizi del diniego di autotutela possono esser fatti valere nel successivo atto presupposto; Cass. sez. trib. 9 ottobre 2000 n. 13412; Cass.SS.UU. n. 8685 del 1996. Contra Cass. sez. trib. 25 maggio 2000 n. 13412 per la quale il potere di autotutela tributaria è assolutamente discrezionale e il suo mancato esercizio è insindacabile.

[11] Cass. sez. trib. 5 febbraio 2002 n. 1547; Cass. sez. trib.  9 ottobre 2000 n. 13412.

[12] Si veda Parte I, Capo V, Parag.8.

[13] Cass. sez. trib.  9 agosto 2006 n. 18008.

[14] Cass. sez. trib.  21 dicembre 2004 n. 23731.

[15] Cass. sez. trib. ord., 02 marzo 2009 n. 4968,  relativa ad avviso di recupero di un credito di imposta per insussistenza dei requisiti del beneficio, ai sensi della legge 23 dicembre 2000, n. 388, emesso prima dell'entrata in vigore della legge n.311 cit..

[16] Cass. sez. trib. 23 luglio 2009 n. 17202 per la quale “laddove l’atto  emanato  dall’Amministrazione  finanziaria  e

tempestivamente   notificato   contempli   gli   elementi   necessari    ed indispensabili per l’individuazione da parte del contribuente della pretesa fiscale fatta valere, questi ancorché il nomen iuris non sia annoverato fra quelli previsti all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 è tenuto ad impugnarlo  per evitarne  la  definitività”.

[17]  Cass., SS.UU. 16 marzo 2009 n.  6315.

[18] Cons. Stato Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3199 per la quale  “in materia tributaria la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo”.

[19] Cass. sez. trib.  19 ottobre 2005 n.  20253 in base alla quale “il contribuente ha diritto di contestare innanzi  al  giudice tributario - il quale, di converso, ha il dovere (procedendo agli opportuni accertamenti, anche fattuali) di decidere il punto  -  la  legittimità,  ex art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633  (richiamato  dall'art.  33  del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), dell'acquisizione, da parte degli uffici tributari e/o della Guardia di  finanza  (quest'ultima  nell'esercizio  dei compiti - ad essa demandati - di  collaborazione  con  detti  uffici),  del materiale probatorio e/o documentale  posto  a  fondamento  dell'avviso  di accertamento”. Conforme Cass. 12 ottobre 2005 n. 19837; Cass. 1 ottobre 2004 n. 19690; Cass. 3 dicembre 2001 n. 15230; Cass. 19 giugno 2001 n. 8344.

[20] Cass. sez. trib.  18  aprile 2008 n. 10179; Cass. sez. trib. 14 aprile 2006 n. 8859.

[21] Cass. sez. trib.   6  dicembre  2004 n. 22869.

[22] Cass. sez. trib.   18 aprile 2003 n. 6232.

[23] Cass. trib.  25  gennaio 2008 n. 1652.

[24] Cass. sez. trib. 24 aprile 2002  n. 6029 secondo cui “i vizi dell’atto di accertamento dell’imposta non fatti valere dal contribuente con tempestivo ricorso, rendono definitivo l’atto impositivo e, pertanto, agli atti successivamente adottati,  restano impugnabili esclusivamente per vizi propri”.

[25] Cass. sez. trib. n. 16828 del 16 agosto 2005.

[26] Circ. Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 agosto 2006; Cass. sez. trib. 16 agosto 2005 n. 16929. Contra Cass. sez. trib.  8 febbraio 2006 n. 2798; Cass. sez. trib. 4 luglio 1998  n. 6554; Cass. sez. trib.  6 marzo 1995 n. 2572  in base alla quale il vizio di notifica dell’avviso di accertamento o l’omessa notifica dello stesso rende nulli tutti gli atti consequenziali.

[27] Cass. SS.UU. 25 luglio 2007 n. 16412.

[28] Cass. SS.UU. 25 maggio 2005 n. 10958.

[29] Cass. SS.UU. 4 marzo 2008, n. 5791.

[30] Cass. sez. trib.  31 marzo 2006 n.7649.

[31] Cass., sez. I, 28 aprile 1998, n. 4312 secondo cui “il processo verbale di constatazione non è direttamente impugnabile, perché atto endoprocedimentale il cui contenuto e le cui finalità consistono nel reperimento e nell’acquisizione degli elementi utili ai fini dell’accertamento”. Conforme Cass. sez. trib. 30 ottobre 2002 n. 15305; Cass. sez. trib., 20 gennaio 2004 n. 787; CTC 7 giugno 2001 n. 4347.

[32] Cass. SS.UU. 26 luglio 2007 n. 16428 per la quale “ai fini dell'accesso  alla  giurisdizione  tributaria  debbono essere qualificati come avvisi di  accertamento  o  di  liquidazione  di  un tributo tutti quegli atti con cui l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita compiuta  e  non  condizionata  e  ciò ancorché tale comunicazione si concluda non con una formale  intimazione  al pagamento sorretta  dalla  prospettazione  in  termini  brevi  dell'attività esecutiva, bensì con un invito “bonario” a versare quanto dovuto.  Non  sono invece immediatamente impugnabili le comunicazioni che contengano (come,  ad esempio, quelle previste dal comma 3 dell'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973  e dal comma 3 dell'art. 54-bis del D.P.R.  633/1972)  un  “invito”  a  fornire “eventuali dati o elementi non considerati  o  valutati  erroneamente  nella liquidazione dei tributi” e che quindi manifestano  una  volontà  impositiva ancora in itinere e non formalizzata in  un  atto  definitivo,  cancellabile solo in via di autotutela o attraverso l'intervento del giudice”. Conforme Cass. SS.UU.24 luglio 2007 n. 16293; Cass. Sez. trib. 15 maggio 2008 n. 12194; Cass. Sez. trib. ord. 2 marzo 2009, n. 4968.

[33] Cass. sez. trib. 28 maggio 2005 n. 1791 per la quale “l'avviso di pagamento bonario non è autonomamente impugnabile, poiché non incluso nell'elenco tassativo degli atti (art. 19, Dlgs 546/1992) contro i quali può essere proposto ricorso. La tutela giurisdizionale è comunque assicurata dalla possibilità di ricorrere avverso la successiva cartella, rispetto alla quale l'avviso in parola costituisce solo atto prodromico. Conforme Cass. sez. trib.11 febbraio 2005 n. 2829; Cass. sez. trib. 12 luglio 2005  n. 14668 e n. 14669 per la quale l’avviso bonario proprio perché non rientrante nel novero tassativo degli atti impugnabili ai sensi dell’art. 19 D.lgs.  546/1992 non può violare né l’art.7 della L. 212/00 (c.d. statuto del contribuente), che prescrive per gli atti imposititvi l’indicazione delle modalità, del termine, e dell’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, né l’art.10 della stessa legge, poiché rispetta in pieno, per la sua chiarezza il principio della collaborazione e della buona fede tra amministrazione e contribuente”; Cass. sez. trib. 14 gennaio 2005 n. 653, Cass. sez. trib.  24 novembre 2004 n. 22196, Cass. sez. trib.  4 febbraio 2005 n. 2302 e n. 2303; CTR Napoli 7 maggio 2009 n. 142 in base alla quale non  sussiste   obbligo   di   invio   dell’avviso   bonario, anteriormente alla notificazione della cartella di pagamento ex art. 36-bis, D.P.R. n. 600/1973 la quale, se non  contestata  nel  merito  della  pretesa tributaria deve ritenersi definitiva. Infatti, l'invio del  predetto  avviso  di  liquidazione   non costituisce un atto obbligatorio, ma è concepito al  fine  di  informare  il contribuente    della    esistenza    di    eventuali    errori     rilevati dall'Amministrazione  Finanziaria  in  sede  di  controllo   formale   della Dichiarazione dei redditi. Tanto è vero che l'avviso di liquidazione  non  è impugnabile e per il suo invio  non  è  prevista  la  notifica  a  mezzo  di raccomandata postale o a mezzo di ufficiale giudiziario.  Contra  Cass. sez. trib. 7 aprile 2005  n. 7312 e Cass. sez. trib.  13 aprile 2005 n. 7708, sul presupposto che nelle fattispecie esaminate l’avviso bonario contiene tutti gli elementi per essere qualificato come atto di accertamento o liquidazione. Cass. SS.UU. 24 luglio 2007, n. 16293 per la quale ai  fini  dell’accesso  alla  giurisdizione  tributaria  debbono essere qualificati come avvisi di  accertamento  o  di  liquidazione  di  un tributo tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa  tributaria  ormai  definita,  ancorché  tale  comunicazione  si concluda non  con  una  formale  intimazione  al  pagamento  sorretta  dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito ‘bonario’ a versare quanto dovuto.

[34] Cass. sez. trib.  4 febbraio 2005  n. 2302;  Cass. sez. trib.  11 febbraio 2005 n. 2829; Cass. sez. trib. 28 gennaio 2005 n. 1791.

[35] CTP Milano, Sez. XIX, 26  novembre  2004, n. 242; TAR Emilia-Romagna 18 novembre 2004 n. 47. Corte costituzionale n. 191 del 14 giugno 2007 che, con specifico riferimento all’interpello  ordinario,  ha  ritenuto  che  “la risposta all’interpello, resa dall’Amministrazione  ai  sensi  dell’art.  11 della L. n. 212 del 2000, deve considerarsi un mero parere, che non  integra alcun  esercizio  di  potestà  impositiva  nei  confronti  del  richiedente.

[36] Vedi in tal senso Circolare Agenzia delle entrate n. 7 del 3 marzo 2009 in  base alla quale,  la  non  impugnabilità  delle  risposte  all’interpello  si  giustifica, essenzialmente, alla luce della  loro  natura  di  atti  amministrativi  non provvedimentali.  Al riguardo va evidenziato che sono qualificati “provvedimenti” gli atti della Pubblica Amministrazione che, indirizzati  a  soggetti  determinati  o determinabili, sono in grado di: a) apportare una modificazione  unilaterale  nella  sfera  giuridica  dei destinatari (c.d. autoritarietà del provvedimento); b) produrre automaticamente ed  immediatamente  i  propri  effetti  (c.d. esecutività); c) imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi in  essi  contenuti (c.d. esecutorietà).  I  provvedimenti,  proprio  per  le  suddette  caratteristiche,  possono determinare una lesione, suscettibile di immediata tutela giurisdizionale.     La mancanza di una  sola  delle  prerogative  sopra  elencate  qualifica l’atto come non provvedimentale. la risposta  all’interpello  manca  dei caratteri dell’autoritarietà e dell’esecutorietà, propri  dei  provvedimenti amministrativi. Quanto all’esecutività si osserva che  la  risposta  all’interpello  non produce nei confronti del  richiedente  effetti  diretti  ed  immediati,  in quanto  la  stessa  ha  essenzialmente   la   funzione   di   rendere   nota preventivamente  al  contribuente  la  posizione  dell’Agenzia   in   ordine all’interpretazione  ovvero  all’ambito  di  applicazione   di   una   norma tributaria in  relazione  ad  un  caso  concreto  prospettato  dallo  stesso contribuente.

[37] Cons. Stato dec. V 28 giugno 2005  n. 6423 per cui “è inammissibile,  per difetto d’interesse, l’impugnativa di una circolare ministeriale (nel caso esaminato relativa al tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti), in quanto recante mere disposizioni di carattere interpretativo. Infatti, quali atti a contenuto sostanzialmente esplicativo ed orientativo per le Amministrazioni tenute ad applicare la norma primaria - da cui solo discende l’obbligo per il contribuente di sottostare alla potestà di prelievo - non costituiscono manifestazioni di potestà impositiva idonee a comportare una lesione giuridicamente rilevante, con carattere di immediatezza e attualità, in capo al soggetto passivo del rapporto giuridico d’imposta, che trova la sua fonte direttamente nella norma, e non nella circolare, presupponendo la detta lesione, per l’appunto, l’esercizio della potestà di prelievo da parte dell’Amministrazione. La configurabilità dell’interesse al ricorso - attuale e concreto - richiede quindi l’emanazione di un atto applicativo del tributo che tragga causa dalla detta circolare, e ciò anche relativamente alle pretese “previsioni innovative” che avrebbero asseritamente ampliato l’ambito di operatività del tributo medesimo e la cui contestazione nei termini indicati nell’atto di appello (e già in prime cure) non può prescindere dal concreto esercizio della potestà impositiva: basti semplicemente considerare, sul punto, che ben potrebbe l’Ente destinatario dei “chiarimenti” disattendere in sede applicativa le indicazioni fornite con la circolare, in quanto prive di carattere vincolante in ragione della natura della stessa”.

[38] Cass. 6 agosto 2008 n. 21154 per la quale a  detti atti ministeriali non si estende  il  controllo  di  legittimità  esercitato dalla Corte di Cassazione (ex art. 111 Cost., art. 360 c.p.c.),  in quanto essi non  sono  manifestazione  di  attività  normativa,  bensì  atti interni della medesima Pubblica Amministrazione destinati ad esercitare  una funzione direttiva nei confronti degli  uffici  dipendenti  ma  inidonei  ad incidere sul rapporto tributario.

[39] Cass. n. 10488 del 23 aprile 2008, in base alla quale “per  la  sua  natura  e  per  il  suo contenuto (di mera interpretazione di  una  norma  di  legge),  non  potendo essere riconosciuta alla circolare alcuna efficacia normativa esterna,  questa  non può essere annoverata fra gli  atti  generali  di  imposizione,  impugnabili innanzi al giudice amministrativo, in via di azione,  o  disapplicabili  dal giudice tributario od ordinario, in via incidentale. Il che rileva, in primo luogo, sul piano generale, perché le circolari, come è stato affermato dalla dottrina prevalente, non possono né  contenere  disposizioni  derogative  di norme di legge, né essere considerate alla stregua  di  norme  regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti  dell’ordinamento, essendo   dotate   di   efficacia   esclusivamente    interna    nell’ambito dell’Amministrazione all’interno della quale  sono  emesse;  e,  in  secondo luogo, con particolare riferimento all’ordinamento tributario, il quale come è noto, è soggetto alla riserva  di  legge”; Cass. sez. trib. 2 novembre 2007 n.  23031.

[40] Cass. SS.UU. 20 novembre 2007 n. 24011.

[41] Cass. sez. trib. 01 luglio 2004 n. 12070.

[42] Cass. sez. trib. 30 aprile 2003 n. 14482. Contra seppur con temperamento Cass. Sez. trib. 13 dicembre 2007 n. 26116 per la quale   “Se  è  vero che questa Corte ha avuto, talora, a riconoscere  che,  dalla  eventualmente erronea indicazione – da parte dell’autorità amministrativa  –  dei  termini per   ricorrere   nonché   dell’autorità   giudiziaria   adenda   ai    fini dell’impugnazione  dell’atto  amministrativo,   possa   discendere   ‘errore scusabile’ che valga a rimettere in termini il destinatario  dell’atto,  sia da ritenersi del pari indubitabile come un tal principio non si attagli alla presente  fattispecie,  nella  quale,   nonostante   –   oltretutto   –   la configurabilità di un evidente e concorrente onere di autodiligenza da parte della ricorrente, la stessa ha lasciato decorrere oltre sedici mesi  prima di adire la competente commissione tributaria provinciale”; Cass. 26 luglio 2007 n. 16428; Cass. 24  luglio 2007 n. 1629; Corte Cost. 1 aprile 1998 n. 86, in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’applicazione di sanzioni amministrative. 

[43] L’ufficio federalismo fiscale del Dipartimento per le politiche fiscali con nota n. 11159/Dpf del 19 marzo 2007, nel fornire risposte a talune problematiche attinenti l'applicazione dell'imposta di pubblicità, ha chiarito che in virtù del combinato disposto dei commi 161 e 171 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (L. finanziaria 2007), il termine decadenziale di cinque anni per la notifica dell'avviso di accertamento trova applicazione anche ai rapporti di imposta pendenti.

[44] Cass. sez. trib. 26 giugno 2009 n. 15143; Cass. sez.  trib.  6 settembre 2006 n. 19189; Cass. sez. trib. 22 settembre 2006 n. 20532.

[45] Si veda Parte II, Cap. III, Parg. 1 e 3.

[46] Cass. sez. trib. 20 gennaio 2009 n. 1280 per la quale “la  decadenza   del contribuente dal diritto al rimborso per non  aver  presentato  la  relativa istanza entro il termine stabilito dalla legge, dal versamento dell'imposta indebitamente corrisposta, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (anche per la  prima  volta  in cassazione), purché dalla  sentenza  impugnata risultino  i  dati  fattuali costituiti dalla data del versamento dell'imposta e da  quella  dell'inoltro dell'istanza per il relativo rimborso (V. Cass. nn. 646/06, 24226/04)”.

[47] Cass.sez. trib. 13 novembre 2008 n. 27057 per la quale “la  domanda  di rimborso del credito IVA è sottoposta al termine decadenziale  di  due  anni previsto, in mancanza di una  disciplina  specifica  per  l'IVA,  prima  dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, e poi dal D.Lgs. 31 dicembre  1992, n. 546, art. 21, comma 2, ferma restando la decorrenza del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c., dal momento del diniego della domanda  di rimborso o della formazione, su di essa,  del  silenzio  rifiuto  (conforme Corte  di Cassazione: 20 agosto 2004, n. 16477; 22 aprile 2005, n. 8461)”.

[48] Il termine decadenziale decorre dal giorno del versamento nei casi in cui viene effettuato un maggiore versamento rispetto al dovuto oppure viene effettuato un versamento ad un Comune incompetente (Cass. 26 settembre 2003 n. 14291).

[49] Il termine decadenziale decorre da quando è stato accertato il diritto alla restituzione nel caso, ad esempio, di riduzione della rendita catastale.

[50] L’art. 37 c. 50 D.L. 223/2006 convertito nella L. 248/2006 ha stabilito che “gli interessi previsti per il rimborso dei tributi non  producono in nessun caso interessi ai sensi dell’art. 1283 c.c. (interessi anatocistici). Prima dell’entrata in vigore della citata normativa in giurisprudenza veniva ammessa tale possibilità  (Cfr. Cass. sez. trib.  1 luglio 2004 n. 12043; cass. sez. trib. 11 agosto 2000 n. 10628)   e la relativa giurisdizione veniva riconosciuta al giudice tributario (cfr. Cass. sez. trib. 22 settembre 2003  n. 14002).

[51] Cass. sez. trib.  4 febbraio 2004 n. 2087.

[52] Cass. sez. trib.  10 luglio 2003 n. 2710; Cass. sez. trib.  8 maggio 2003 n. 7007; Cass. sez. trib.  12 maggio 2003 n.7236.

[53] Poiché il tasso legale attualmente vigente, così come fissato dal D.M. 12 dicembre 2007 è pari al 3%, gli Enti locali possono fissare un  tasso annuo nella misura massima del 6%.

[54] Cass. sez. trib. 8 giugno 2000 n. 7803.

[55] Cass. sez. trib. 22 luglio 2002  n. 10725, Cass. sez. trib. 26 gennaio 2001  n. 8; Cass.  sez. trib.  4 settembre 2001 n. 11403; Cass. SS.UU. 14 maggio 2001 n. 207. Cass. sez. trib. 13 settembre 2005 n. 18120 per la quale “è riconosciuta l’esperibilità dell’azione di indebito oggettivo anche allorquando manca la contestazione della sussistenza del debito”.

[56] Cass. n. 24 gennaio 2003 n. 10342.

[57] CTC n.201 18 novembre 1999.

[58] In base al quale la presentazione dell’istanza ad ufficio  diverso,  e  quindi  territorialmente incompetente, osta alla formazione del provvedimento negativo,  anche  nella forma del silenzio - rifiuto, e conseguentemente determina l’inammissibilità del  ricorso  presentato  alla  commissione  tributaria   per   difetto   di provvedimento impugnabile; improponibilità rilevabile d’ufficio dal  giudice anche in sede di gravame,  salvo  che  si  sia  già  fermato  sul  punto  un giudicato interno (v. ex plurimis Cass. sez. trib. 16 luglio 2004 n. 13194;  Cass. sez. trib. 15 novembre 2007 n.  23701; Cass. sez. trib. 21 giugno 2002 n. 9095; Cass. SS.UU. 13 novembre 1997 n. 11217).

[59] Cass. sez. trib. 27 febbraio 2009 n. 4773. La soluzione accolta appare conforme  al  principio  più  volte affermato dalla Corte e secondo cui le leggi devono essere  interpretate alla luce delle esigenze di celerità processuale e di sollecita  definizione dei diritti delle parti di cui all’art. 11 Cost., (cfr.  le  sentenze  delle Sezioni Unite n. 24883 del 9 ottobre 2008 e n. 4109 del 22  febbraio  2007); appare infatti inutilmente defatigatorio imporre ad un contribuente, il cui diritto non è venuto meno, di presentare una seconda istanza  ed  instaurare un secondo giudizio, senza che ciò risponda ad alcuna esigenza  sostanziale, dal  momento  che  l’amministrazione  ha  resistendo  nel  primo   giudizio, manifestato la inequivocabile decisione di non procedere al rimborso. Contra Cass. sez. trib. 6 maggio 2005 n. 9407 e Cass. sez. trib. 28 luglio 2004   n.14212.

[60] Cass. SS.UU. 8 luglio 2005 n. 14332 per la quale “in mancanza di una decisione definitiva che contenga una condanna dell'Ente impositore al pagamento di somme dovute (della quale può chiedersi l'esecuzione in via civile ovvero l'ottemperanza), deve sempre attivarsi il procedimento di rimborso, contro il cui rifiuto può soltanto esperirsi la tutela dinanzi alle Commissioni tributarie”.

[61] Cass. sez. trib. 9 gennaio 2004 n. 139; Cass. sez. trib. 10 gennaio 2004  n. 181.

[62] L’art.21 D.Lgs. 46/1999, prevede che, salvo che sia diversamente disposto da particolari disposizioni di legge, le entrate degli Enti locali, che  hanno causa in rapporti di diritto privato, sono iscritte a ruolo soltanto quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva.

[63] Cass. Sez. I 19 luglio 1999 n. 7662.

[64] Cass. sez. trib. 16 settembre 2005 n. 18385 in base alla quale “un'adeguata motivazione  è  requisito  di  legittimità  anche delle cartelle esattoriali; può tuttavia accadere che - data la particolare natura delle pretese tributarie fatte valere mediante questo  mezzo  -  per mettere il contribuente in condizione  di  conoscere  (e  contestare)  tali pretese, siano sufficienti i dati prescritti dall'art.  25  del  D.P.R.  29 settembre 1973, n. 602 (tributo, periodo  d'imposta,  imponibile,  aliquota applicata, eccetera)”.

[65] Il c. 3 dell’art. 25 prevede ai fini della scadenza del termine di pagamento che il sabato è considerato festivo e quindi i pagamenti scadenti in tale giorno sono prorogati di diritto al giorno seguente non festivo (art. 2963, comma 3 c.c.).

[66] Tale disposizione è stata introdotta dall’art. 36 c. 4-ter del D.L. 31 dicembre 2007 n. 248 convertito in L. 28 febbraio 2008 n. 31 e si applica, per espressa previsione normativa, solo alle cartelle con le quali viene richiesto il pagamento di somme iscritte in ruoli consegnati al concessionario a decorrere dal 1 giugno 2008. Con ord. 6 novembre 2009 n. 291, ord. 17 luglio 2009 n. 221 e sent. n. 58 del 27 febbraio 2009 la  Corte Cost. ha affermato che non è fondata la questione di legittimità costituzionale  dell’art.  36, comma 4-ter, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 nella parte  in  cui  discrimina  il  periodo antecedente al 1 giugno 2008 e quello ad esso  posteriore  per  il  quale  ultimo  scatta  la sanzione di nullità delle cartelle esattoriali. Per la corte costituzionale la disposizione in commento non viola i parametri  costituzionali  in quanto l’art. 7, comma 2, L. n.  212/2000  non  contempla  espressamente  la nullità dell’atto impositivo emanato nell’inosservanza della citata norma né appare viziata da irragionevolezza  in  quanto  rientra  nella  facoltà  del legislatore  prevedere   un   aggravamento   ex   post   delle   conseguenze dell’inottemperanza al dettato normativo in questione.

[67] Si veda la circ. n. 16/E del 6 marzo 2008 dell’Agenzia delle entrate avente ad oggetto “art. 7, c. 2, lett. a), l. 212/2000 – indicazione del responsabile del procedimento – ordinanza della Corte costituzionale n.377 del 9 novembre 2007 – gestione delle controversie. In tale circolare l’Agenzia delle Entrate evidenzia il carattere non vincolante della ordinanza n. 377/2007 con la quale la   Corte Costituzionale ha ribadito che è  manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimità costituzionale dell'art. 7, c.  2,  della  L.  27  luglio  2000,  n.  212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione, in quanto l'obbligo di  indicazione  del  responsabile  del  procedimento  non  costituisce   un adempimento di  scarsa  utilità  posto  a  carico  dei  concessionari  della riscossione bensì ha lo  scopo  di  assicurare  la  piena  informazione  del cittadino/contribuente (anche  ai  fini  di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e garantire il diritto di difesa, altrettanti aspetti del  principio  di   buon   andamento   ed   imparzialità   della   Pubblica Amministrazione.

[68] CTP di Torino 12 febbraio 2008 n. 1.

[69] In senso contrario CTR Bari 4 maggio 2009  n. 63 per la quale dalla sentenza della Corte cost. n. 58/09 emergono due principi:

    a) il primo, secondo  cui  la  nullità,  in  quanto  sanzione  di  ordine pubblico, deve essere espressamente comminata dal legislatore;

    b) il secondo principio, in forza del quale  le  cartelle  di  pagamento riguardanti il periodo precedente a quello sanzionato per legge di  nullità, non  possono  essere  affette  della  stessa  nullità  in  assenza  di   una comminatoria espressa (tale statuizione sub specie  iuris  è  conforme  alle regole giurisprudenziali di merito e di legittimità).

Da quest'ultimo principio, tuttavia, non può legittimamente argomentarsi che l'assenza di previsione legislativa che sanziona di nullità gli atti  in questione comporti  sul  piano  interpretativo  la  legittimità  degli  atti medesimi.

Occorre sul punto rammentare che le forme d'invalidità, nell'ordinamento giuridico amministrativo sono riconducibili  a due tipologie: a) la  nullità,di  carattere  assoluto,  non  sanabile,  non  soggetta  a  prescrizione   e rilevabile d'ufficio  dal  giudice;  b)  l'annullamento  -  costituente  una sanzione meno grave - che attiene  ad  un  vizio  di  legittimità  dell'atto amministrativo e può portare alla caducazione dell'atto impugnato.     Orbene secondo i principi generali le cartelle di pagamento,  in  quanto atti  amministrativi  privi  di  sottoscrizione  e/o  del  responsabile  del procedimento,  non  si  sottraggono  alle  censure  di  annullamento;   tali principi, che nella specie devono  trovare  applicazione,  sono  conformi  e coerenti con i contenuti sia dell'ordinanza della c.c. del 9.11.2007 n.  377 (che  ha  ritenuto  viziato  il  procedimento  riguardante  le  cartelle  di pagamento prive di sottoscrizione e/o del responsabile del procedimento) sia

della recente sentenza n. 58/2009, avanti esaminata, che, nel  ritenere  non applicabile al periodo precedente all'1.06.2008 la sanzione di nullità delle cartelle di pagamento, in quanto prive di sottoscrizione, non ha escluso  la sanzione meno grave dell'annullamento delle cartelle medesime;  entrambe  le decisioni della c.c. (ord. n. 377/2007 e sent.  58/09),  quindi,  lungi  dal costituire una contrapposizione di contenuto, rivelano al loro  interno  una coerenza  logico - interpretativa  derivante  da  uno  ius  superveniens  (L.31/08) che innova il regime d'invalidità degli atti comminandone la nullità, a fronte della disciplina previgente che considera i medesimi atti,  affetti da  una   invalidità   meno   grave   (vizio   di   legittimità)   sfociante nell'annullamento (in tal senso argomenta sul  punto  la  Corte  nell'ultimo capoverso che precede il dispositivo della sentenza esaminata).  Peraltro il sistema delle garanzie apprestato in via generale  dalla  L. 27.07.2000 n. 212 (statuto del contribuente) ed in particolare,  per  quello che ci occupa, dall'art. 7  c.  2  della  medesima  legge  secondo  cui  "le cartelle di pagamento devono tassativamente  indicare  il  responsabile  del procedimento"  recupera  l'esigenza  di  protezione  degli   interessi   del contribuente e, quindi, la invalidità delle cartelle di pagamento  prive  di sottoscrizione.     Opinare diversamente  significherebbe  attribuire  al  contribuente  una garanzia di protezione senza contenuto: il che configge con l'"in sé"  della garanzia stessa che ha valore di tutela effettiva e sostanziale.     Può, pertanto, conclusivamente ammettersi che le cartelle  di  pagamento emesse in relazione a ruoli consegnati  prima  dell'1.08.2007  afflitte  dal vizio  di  sottoscrizione  sono  annullabili;  quelle,  invece,   successive all'1.08.2007 sono nulle per  effetto  di  un  inasprimento  della  sanzione (nullità) che il legislatore ha voluto imprimere alla medesima fattispecie.

[70] Cass. sez. trib. 16 settembre 2005  n. 18415 per la quale, “poiché non compete al cittadino la ricostruzione dell'operato dell'ufficio tributario, attraverso difficili operazioni interpretative  di  codici e numerazioni, la cartella esattoriale  emessa  deve  contenere,  in forma  comprensibile  e  non  criptica,  l'indicazione  della  qualifica  e dell'ammontare del tributo richiesto (nel  caso  di  specie,  la  Corte  ha deciso nel merito dichiarando la nullità di una cartella esattoriale in cui era stato indicato solo il codice del tributo richiesto)”.

[71] In merito alla natura del termine in giurisprudenza si è consolidata la tesi della natura perentoria del termine cfr, Cass. sez. trib. 25 marzo 1999  n. 7662 in base alla quale laddove il termine fosse considerato ordinatorio e quindi soggetto a prescrizione decennale, il contribuente sarebbe l’indefinita soggezione del contribuente all’azione esecutiva del fisco. Corte Cost. ord. 1 aprile 2003 n. 107; Corte Cost. ord. 19 novembre 2004 n. 352.

[72] La Corte cost. 7 luglio 2005 n. 280 ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 come modificato dal D.Lgs. 193/2001, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto il contribuente verrebbe esposto senza limiti di tempo all’azione del fisco.

[73] Tale termine era ritenuto inoperante in considerazione che il termine decadenziale era privo di un termine iniziale  in quanto la normativa non prevedeva un termine per la consegna del ruolo.

[74] Le modifiche apportate per effetto della L. n. 156 del 31 luglio 2005, che ha convertito con modificazioni il D.L. n. 106 del 17 giugno 2005 hanno natura processuale e quindi sono applicabili anche ai rapporti pendenti.

[75] A seguito di tale disposizione nonchè dei commi 172 e 173 della L. finanziaria 2007, per l’ICI e l’imposta di pubblicità sono stati abrogati rispettivamente l’art.12 D.lgs. 504/1992 e l’art. 9 D.lgs. 507/1993 che prevedevano un termine di decadenza entro il quale il ruolo deve essere formato e reso esecutivo. Detto termine era rappresentato dal 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’avviso di accertamento, di liquidazione e di rettifica sono stati notificati al contribuente. Sono stati, inoltre, abrogati l’art. 51 D.Lgs 507/1993 in materia di TOSAP e l'art. 71, ad eccezione del comma 4; l'art. 75; il comma 5 dell'art. 76 del D.Lgs. 507/1993 in materia di TARSU.

[76] Cass. sez. trib. 17 novembre 2005 n. 23251.

[77] Cass. sez. trib  3 dicembre 2007 n. 25158.

[78] Cass  19 giugno 2009 n. 14324. Conforme Cass. sez. trib. 6 settembre 2004 n. 17937; Cass. sez. trib. 6 aprile 2001 n.  5105.

[79] Cass. sez. trib.  7 dicembre 1993 n. 12000.

[80] Cass. sez. trib.  8 febbraio 2006  n. 2798 per la quale “nel caso in cui l'atto impositivo non notificato al contribuente era una cartella di pagamento, mentre al contribuente era pervenuto in notifica solo l'avviso di mora. Tale circostanza, tuttavia, non è stata ritenuta sufficiente dal giudice di legittimità, poiché la questione non è la maggiore o minore motivazione dell'avviso di mora, ma la correttezza delle forme scelte dall'Amministrazione; questa, in particolare, non è libera di agire a suo piacimento, ma deve rispettare le cadenze imposte dalla legge, in base alla quale la cartella esattoriale costituisce un adempimento indefettibile la cui mancanza comporta la nullità dell'avviso di mora indipendentemente dalla completezza o meno delle indicazioni in esso contenute”; Cass. sez. trib.  31 marzo 2006 n. 7649; Cass. sez. trib.  11 novembre 2003 n. 16875; Cass. sez. trib. 30 luglio 2002 n. 11227.

[81] Cass.  21 aprile 2005 n. 16929 per la quale “l'avviso di mora che non sia stato preceduto  dalla  notifica della cartella esattoriale non è nullo, ma il contribuente  è  legittimato, impugnando l'avviso di mora,  a  far  valere  anche  i  vizi  propri  della cartella esattoriale infatti l'omessa  notifica  della  cartella  di pagamento non invalida la procedura di esazione, in quanto il  contribuente può ricorrere contro la pretesa tributaria impugnando anche il solo  avviso di mora, "non soltanto per far valere vizi propri di tale ultimo  atto,  ma anche per recuperare la  tutela  in  sede  di  esecuzione  esattoriale  non esercitata per la mancata notifica della detta cartella”; Cass. sez. trib. 19542 del 2005; Cass. sez. trib.  22 novembre 2002 n. 16464; Cass. SS.UU. 5  febbraio  1993,  n.  1455; Cass. 10 settembre 2007, n. 18972; Cass. sez. trib. 8 luglio 2008 n. 18649 per la quale “la  responsabilità  solidale  ed  illimitata  del socio, prevista dall’art. 2291 c.c., comma 1, per i debiti della società  in nome collettivo, opera, in assenza  di  un’espressa  previsione  derogativa, anche per i rapporti tributari, con riguardo alle obbligazioni dagli  stessi  derivanti. Il socio, quindi, pur essendo privo della qualità di obbligato, e come tale estraneo agli atti impositivi rivolti alla formazione  del  titolo nei confronti della società, resta sottoposto, a seguito  dell’iscrizione  a ruolo a carico di quest’ultima, all’esazione del  debito,  alla  condizione, posta dall’art. 2304 c.c., che il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio  della  società.  Pertanto,  una  volta  escusso  inutilmente  il patrimonio sociale, legittimamente  può  essere  chiamato  a  rispondere  il socio,  senza  che  risulti  necessaria  la  notificazione  dell’avviso   di accertamento, rimasto inoppugnato, né quella della  cartella  di  pagamento, rimasta inadempiuta, bastando la notificazione del solo avviso di  mora,  il quale svolge in tal caso una  funzione  secondaria  di  atto  equivalente  a quelli d’imposizione,  oltre  a  quella  primaria  di  atto  equivalente  al precetto nell’esecuzione forzata, con la conseguenza che contro di  esso  il socio può ricorrere ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,  art.  19, comma 3, ultimo periodo, impugnando congiuntamente gli atti presupposti (Cass. n. 10584/07, n. 6260/01, n. 7000/03, n. 18012/05, n.10533/06,  n. 19188/06, n. 5003/07)”.

[82] La Corte di Cass. con ord. 3 aprile 2006  n. 13314 aveva rimesso al Primo presidente la controversia avente ad oggetto la legittimità della notifica dell’avviso di mora, applicabile ratione temporis che non sia stato preceduto dalla notifica della cartella esattoriale perché valuti l’opportunità di decisione della causa da parte delle Sezioni unite, rilevando l'esistenza di un contrasto  giurisprudenziale circa la legittimità della notifica dell'avviso di  mora  in  assenza  della previa notifica della cartella esattoriale. 

[83] Cass. sez. trib. 25 agosto 2004 n. 16855 per la quale “lo speciale  procedimento  disciplinato  dal  regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 e'  utilizzabile,  da  parte  della pubblica amministrazione, non solo per le entrate  strettamente  di  diritto pubblico (tributarie o patrimoniali), ma anche per quelle di diritto privato, trovando  il  suo  fondamento  nel  potere  di autoaccertamento della medesima pubblica  amministrazione;  e'  tuttavia necessario che il credito in base al  quale  viene  emesso  l'ordine  di  pagare la somma dovuta sia certo, liquido ed   esigibile,  senza  alcun  potere  di  determinazione  unilaterale dell'Amministrazione, dovendo    la    sussistenza   del   credito,   la   sua determinazione quantitativa  e  le  sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da  fatti  e  da parametri obiettivi e predeterminati, e riconoscendosi all'Amministrazione un  mero  potere  di  accertamento  dei  detti elementi ai fini della  formazione  del  titolo  esecutivo”.  (Nel  caso di specie, la P.A. aveva emesso   l'ordinanza   opposta   assumendo  l'esistenza  di  un  credito derivante dal  pagamento  delle  spese  di  lite  in  favore  del  procuratore antistatario in  un  giudizio  svoltosi nei confronti dell'ex INAM; enunciando il principio  di  cui  in  massima,  la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che  aveva  escluso  la legittimità del ricorso alla procedura del regio decreto  n.  629  del  1910, ritenendolo limitato alla riscossione delle entrate patrimoniali  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici,  intendendo  per entrata patrimoniali  tutti  i  proventi  derivanti  dal godimento di pubblici beni o  servizi,  e  sempre  che vi sia una diretta connessione con la normale attività istituzionale degli enti medesimi).

[84] Cass. sez. trib. 11 marzo 1997 n. 2200.

[85] Cass. SS.UU.   31 marzo 2008 n. 8273 in base alla quale “l’ingiunzione   nel caso esaminato dalla Corte costituisce   non   un   atto dell’esecuzione ma un atto prodromico  all’esecuzione,  alla  stessa  stregua della cartella di pagamento”.

[86] Cass. SS.UU. 25 maggio 2005 n. 10958.

[87] Cass. sez. trib. 10 luglio 2002 n. 10496.

[88] Cass. sez. trib.  7 ottobre 1996 n. 8764; Cass.SS.UU. n. 6299/1990.

[89] Cass. sez. trib. 2 luglio 2003 n. 10436.

[90] Si veda Circ. Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa e Contenzioso n. 28 del 04 agosto 2006.

[91] CTP di Treviso Sez. 15 dicembre 2008 n. 90; Conforme CTP Milano 100/12/08

[92] Si veda Circ. Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa e Contenzioso n. 28 del 04 agosto 2006.

[93] Il preavviso di fermo è  stato  istituito  dall'Agenzia  delle Entrate con nota n. 57413 del 9 aprile 2003.

[94] Cass. SS.UU. 11 maggio 2009 n. 10672. Contra Cass. civ. Sez. II, 14 aprile 2009 n. 8890 per la quale  “si ritiene non impugnabile il preavviso di fermo, in quanto privo di effetti pregiudizievoli. Infatti, la comunicazione preventiva del fermo amministrativo (c.d. preavviso) di un veicolo, notificata a cura del concessionario esattore, non arrecando alcuna menomazione al patrimonio – poiché il presunto debitore, fino a quando il fermo non sia stato iscritto nei pubblici registri, può pienamente utilizzare il bene e disporne – è atto non previsto dalla sequenza procedimentale dell'esecuzione esattoriale e, pertanto, non può essere autonomamente impugnabile ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 23, non essendo il destinatario titolare di alcun interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 c.p.c. L'azione di accertamento negativo del credito dell'amministrazione, da parte sua, non può essere astrattamente proposta in ogni tempo per sottrarsi alla preannunciata esecuzione della cartella esattoriale, impugnabile (eventualmente in via recuperatoria) con le forme, i tempi e il rito specificamente dipendenti dalla sua origine e dal tipo di vizi fatti valere)”..

[95] Cass. SS.UU. 26 luglio 2007 n. 16429.

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