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Le impugnazioni

1. Profili generali

Il sistema delle impugnazioni è disciplinato dagli artt. da 49 a 67 del D.Lgs. 546/1992.

Nel processo tributario non sono applicabili i  poteri inibitori previsti dagli artt. 283 c.p.c. (qualora ricorrano gravi motivi) e 373 c.p.c. (qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno), che consentono la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata con l’appello o con il ricorso per cassazione.

L’art. 49 del D.Lgs. 546/1992, nell’estendere alle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni tributarie le norme generali del codice di procedura civile, espressamente esclude l’applicabilità del dell’art 337 c.p.c. (sospensione dell'esecuzione  e  dei   processi). Quest’ultimo   stabilisce   che "l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa, salve le disposizioni  degli  articoli  283,  373,  401  e  407".  In particolare,  l'art.  373  c.p.c.  (sospensione dell'esecuzione) richiamato nella  anzidetta  disposizione,  statuisce,  al comma 1, che "Il ricorso per cassazione  non  sospende  l'esecuzione  della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte  e  qualora  dall'esecuzione  possa  derivare  grave  e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione".

La disciplina dell’art 49 del D.Lgs. n. 546/1992,  è stata  sottoposta al vaglio della Consulta,  a  seguito  dei  sollevati  dubbi  di legittimità  costituzionale  con  riferimento  agli  artt.  3  e  24  della Costituzione, nella parte in cui  non  consente  nel  processo  tributario, contrariamente a quanto  previsto  nell'ambito  processual-civilistico  con l'art. 373, la sospensione ope iudicis della esecutività della sentenza  di secondo grado, in pendenza di ricorso per  Cassazione  o  di  ricorso  alla commissione tributaria centrale.

La Consulta, con sentenza del 25 maggio 2000, n. 165, nel  confermare che la disponibilità di misure cautelari costituisce componente  essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall'art. 24 della Costituzione,  ha statuito che, nel processo tributario, "la tutela cautelare debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga una pronuncia di  merito che accolga,  con  efficacia  esecutiva,  la  domanda,  rendendo  superflua l'adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la  respinga,  negando  in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza  del  diritto  e  dunque  il presupposto stesso della invocata tutela".

Del  resto,  la  particolarità  innanzi   evidenziata   rientra   nella discrezionalità del legislatore costantemente ammessa dalla  giurisprudenza della Corte, che ha escluso l'esistenza  di  un principio, costituzionalmente rilevante, di  necessaria  uniformità  tra  i vari tipi di processo.

Pertanto, nel caso di controversie pendenti per  le  quali,  a  seguito della sentenza emessa dalle commissioni  tributarie  regionali,  sia  stato proposto, dalla controparte, ricorso per Cassazione, l’Ente impositore,  in ipotesi di presentazione ai sensi dell'art. 373  c.p.c.  di  istanza  di  sospensione  della  esecutività  della   sentenza, dovrà provvedere,   in  tempo  utile  rispetto  alla  data   dell'udienza   di comparizione di cui al c.  2  dell'art.  373  citato,  ad eccepire l’inammissibilità del procedimento e, in via  del  tutto subordinata, è opportuno che nel merito eccepisca in ordine  al  fumus  boni  iuris  (ovviamente  con riferimento alla fondatezza della sentenza impugnata) ed  al  periculum  in mora  (in  ordine  agli  effetti  negativi   scaturenti   dall'accoglimento dell'istanza di sospensione comportante l'inibizione della  riscossione  in corso di giudizio ex art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992, con  riferimento  alla inaffidabilità, dal punto di vista economico, del soggetto debitore)[1].

Il giudice tributario d'appello è, quindi, privo del potere di sospendere l'efficacia esecutiva sia della  sentenza di primo grado in pendenza dell'appello (art. 283 c.p.c.), sia della sentenza di  secondo  grado  in  pendenza  del ricorso per cassazione (art. 373  c.p.c.),  come confermerebbero tanto l'art. 47 c. 4  del  D.Lgs.  n.  546/1992 (dichiarando "non impugnabile" l'ordinanza con cui la Commissione tributaria provinciale provvede sull'istanza di sospensione  dell'esecuzione  dell'atto impugnato),  quanto  l'inapplicabilità  al  procedimento  di  appello  delle disposizioni relative alla tutela cautelare dettate per il  procedimento  di primo grado, in  quanto  non  compatibili  con  la  disciplina  del  gravame (art. 61 D.Lgs. 546/1992). Infatti, con riferimento  a quest’ultimo punto,   l’oggetto   della sospensione  cautelare  è l'efficacia  del  provvedimento  impositivo  di  cui all'impugnazione e non quella della sentenza del giudice di prime  cure  che ha rigettato il ricorso del contribuente[2].

Attraverso l’impugnazione della sentenza la parte richiede ad un giudice diverso (appello oppure ricorso per cassazione) oppure allo stesso giudice (revocazione) che ha pronunciato la sentenza impugnata, di operare un controllo sulla sentenza.

La sentenza della commissione tributaria provinciale può essere impugnata mediante:

-         proposizione dell’atto di appello, principale o incidentale alla Commissione tributaria regionale;

-         revocazione (artt. 64 ss. D.Lgs. 546/1992).

La sentenza della commissione tributaria regionale può essere impugnata per Cassazione.

L’interesse all’impugnazione è dato dalla soccombenza totale o parziale, nella causa, avuto riguardo alle situazioni contenute nella sentenza. Pertanto, è inammissibile un'impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche sostanziali o processuali volta a non influenzare domande o eccezioni proposte e che sia diretta, quindi, all'emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico[3] ovvero nel caso in cui la parte non ha un effettivo interesse ad agire[4].

Sorge l’obbligo  della riunione delle impugnazioni da parte del giudice tributario nell’ipotesi in cui esse siano proposte avverso la medesima sentenza a norma dell’art. 335 c.p.c. richiamato dall’art. 49 D.Lgs. 546/1992. Nel caso, invece, di pluralità di sentenze la riunione può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, solo in presenza di ragioni di unitarietà  sostanziale  e processuale della controversia[5].

 

2. I mezzi di impugnazione

I mezzi di impugnazione previsti nel processo tributario riproducono la previsione dell’art. 323 c.p.c. con l’eccezione del regolamento di competenza e l’opposizione di terzo. Essi sono:

a)      l’appello contro le sentenze della Commissione tributaria provinciale;

b)      il ricorso per Cassazione, per impugnare le sentenze della Commissione tributaria regionale;

c)      il ricorso per revocazione, nei casi previsti dall’art. 395 c.p.c..

 

3. Termini per le impugnazioni

Il termine previsto dalla legge per le impugnazioni è perentorio, decorso il quale la sentenza acquista autorità di cosa giudicata, e varia a seconda che la sentenza da impugnare sia stata o meno notificata.

In particolare si avrà:

-         un termine d'impugnativa breve,  di 60 giorni,  che decorre,  ex art. 51,  c. 1, dalla  notifica  della sentenza, che dovrà avvenire  a cura delle parti a mezzo ufficiale giudiziario[6].  La parte vittoriosa avrà interesse a notificare la sentenza al fine di accorciare i tempi del processo;

-         un termine di impugnativa lungo[7], che è stato modificato dalla riforma del 2009 al processo civile attuata con L. n. 69/2009. Si avranno pertanto due ipotesi: a) per i procedimenti instaurati[8] fino al 3 luglio 2009 il termine è di un anno (prolungato dal periodo di sospensione feriale dei termini pari a  46 giorni)[9]; b) per i procedimenti instaurati dal 4 luglio 2009 il termine è di sei mesi. Tale termine decorre, ex art. 327, c. 1 c.p.c.,  dalla pubblicazione della sentenza (dies a quo) - coincidente  con  il deposito della sentenza nella segreteria-, senza che  assuma  rilievo  la  comunicazione  del  relativo avviso da parte della segreteria[10], attestato dalla firma e dalla  data  apposti  sulla  sentenza  dal  pubblico ufficiale (art. 37 stesso D .Lgs., analogo  all'art.  133  c.p.c)[11], indipendentemente dalla notificazione.  Le parti devono diligentemente controllare quando è stata depositata la sentenza per non rischiare di decadere dal diritto di impugnarla, infatti ancorché la segreteria ha l’obbligo di comunicare il dispositivo della sentenza entro 10 giorni dal deposito (ex art. 37 c. 2), l’omissione di tale adempimento non produce alcun effetto processuale.

In concomitanza dei due termini, quello lungo ha la prevalenza. Scaduto il termine lungo la sentenza diverrà inoppugnabile anche se è  ancora  in corso  il  termine  breve  di  60 giorni dalla notifica della stessa, pertanto l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei nr. 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c. non sono più proponibili.

Il termine lungo per proporre appello, ricorso per cassazione e la revocazione per motivi indicati nei n. 4 e 5 dell’art. 395 subisce eccezioni nei seguanti casi:

-         la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per  nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione di udienza (art. 38 c. 3);

-         sospensione dei termini da parte del legislatore (es. condono o accertamento con adesione);

-         mancato funzionamento degli uffici.

Nei gradi di giudizio successivi al primo vige il principio del divieto dello ius novorum.



[1] Circ. Agenzia delle Entrate  n. 73/E del 31 luglio 2001.

[2] Corte Cost. ord. Ord. 5 aprile 2007 n. 119.

[3] Cass. sez. trib. 21 dicembre 2007 n. 27006.

[4] Cass. sez. trib. 17 novembre 2007 n. 23884 per la quale “il  soggetto  che  dichiari  di  aver  rinunciato  all’eredità difetta dell’interesse ad impugnare la sentenza, mentre ha interesse al processo - ovviamente - l’erede che abbia  accettato con beneficio di inventario”. Cass. sez. trib. 8 febbraio 2008 n. 3040 per la quale “la pronuncia di estinzione del giudizio comporta, ex art.  393 c.p.c., il venir meno dell’intero processo  e,  in  forza  dei  principi  in materia di impugnazione dell’atto tributario, la definitività dell’avviso di accertamento  con  il  conseguente  integrale  accoglimento  delle   ragioni erariali; ciò in quanto la pretesta tributaria  vive  di  forza  propria  in virtù dell’atto impositivo in cui è stata formalizzata  e  l’estinzione  del processo travolge la sentenza di primo grado, ma non  l’atto  amministrativo che non è un atto processuale bensì l’oggetto  dell’impugnazione  (pertanto, l’Amministrazione difetta di interesse ad impugnare la sentenza che dichiari l’estinzione del giudizio, ancorché tale estinzione sia dichiarata  a  causa di un errore  della  Amministrazione  nella  riassunzione  del  giudizio  di merito)”.

[5] Cass. sez. trib.  16  maggio 2002 n. 18072; Cass. 2 giugno 1995  n. 7080; Cass. 4 maggio 1989 n. 2065.

[6] Cass. sez. trib. 8 marzo 2006 n. 4940 in base alla quale “in tema di contenzioso tributario, l'art. 38, c.2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in forza del rinvio agli artt. 137 c.p.c. e seguenti, legittima la notificazione delle sentenze delle Commissioni tributarie a mezzo del servizio postale solo per il tramite dell'Ufficiale giudiziario che è espressamente previsto dall'art. 149 c.p.c., e perciò esclude che la notificazione della sentenza eseguita direttamente dalla parte a mezzo posta sia idonea a far decorrere il termine breve per la sua impugnazione stabilito dal successivo art. 51 dello stesso D.Lgs. n. 546/1992”.

[7] Cass. SS.UU. 20 gennaio 1992 n. 668 e n. 669; Cass. SS.UU. 6 dicembre 1983  n. 4424; Cass. SS.UU. 6 febbraio 1990   n. 1024. Contra Cass. 29 ottobre 1990 n. 10456.

[8] Per procedimenti instaurati, ci si riferisce ai ricorsi introduttivi del processo tributario di primo grado notificati alla controparte.

[9] Cass. sez. trib. 27 maggio 2009 n. 12373 per la quale “il  termine  annuale di decadenza dall’impugnazione che, qualora inizi a  decorrere  prima  della sospensione per il periodo feriale, deve prolungarsi di  quarantasei  giorni per effetto della stessa (non dovendosi tener conto del periodo compreso tra il 1 agosto e il 15 settembre),  è  suscettibile  di  un  ulteriore  analogo prolungamento quando l’ultimo giorno di detta proroga venga  a  cadere  dopo l’inizio del nuovo periodo feriale dell’anno successivo". Conforme Cass. n. 2059  del 2005; n. 200 del 2001.

[10] Cass. sez. trib. 7 maggio 2008 n. 11114; Cass. Sez. trib. 10 settembre 2007 n. 18986.

[11] Tali attestazioni, in base anche a quanto affermato dalla Cass. sez. trib. 5 dicembre 2007  n. 25356, costituiscono atto pubblico  la cui efficacia probatoria può esser inficiata soltanto  con  la  proposizione della querela di falso (Cass. 6991/2007) e  prevalgono  sulla  comunicazione che il segretario deve dare alle parti di detto deposito (Cass.  4220/1998).

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