Le parti del processo tributario. Legittimazione ad agire e rappresentanza processuale
1. Profili generali
L’Ente locale, può essere parte del processo tributario sia nella qualità di parte resistente in quanto soggetto impositore (e quindi soggetto legittimato a contraddire), sia nella qualità di parte ricorrente (soggetto legittimato ad agire) laddove il contenzioso abbia da oggetto una pretesa impositiva erariale.
In base all’art. 10 del D.Lgs. 546/1992[1] i soggetti aventi la capacità di essere parte del processo tributario sono:
- dal lato attivo: il ricorrente (legittimato attivo), che si identifica con il contribuente, che ricorre avverso un atto impositivo recante una pretesa tributaria;
- dal lato passivo: l’ente impositore (l’Ente locale, l’Agenzia delle entrate subentrate all’ufficio del ministero delle Finanze[2] o del Territorio o delle Dogane) o l’Agente della riscossione[3] (legittimato passivo), che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto, titolare della pretesa tributaria.
L’Ente impositore assume la qualifica di parte necessaria del giudizio[4], in considerazione della natura impugnatoria del processo tributario, mentre dal lato attivo per esser parte del processo è necessario che sussista la legittimazione ad agire (legitimatio ad causam[5]), ossia è necessario che sussista un interesse concreto ed attuale.
E’ opportuno esaminare distintamente la posizione dell’Ente impositore da quella del contribuente ricorrente, poiché con riferimento alle parti diverse dall’Ente locale (e dall’Amministrazione finanziaria) in attuazione della delega contenuta nelle lettere i) e t) dell’art. 30 L. 413/1991 è previsto l’obbligo dell’assistenza tecnica da parte di un difensore abilitato.
2. Legittimazione ad agire
L’art.100 c.p.c. prescrive che “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”.
Il difetto di legittimazione ad agire, ancorchè non dedotto dalle parti, è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo tributario[6], salvo che sul punto si sia formato il giudicato interno.
La carenza di legittimazione comporta la nullità degli atti compiuti, in quanto concerne “la regolarità del contraddittorio e la sua valida instaurazione”.
Il ricorso proposto nei confronti dell’Ente impositore non legittimato è improponibile e non è idoneo a costituire il rapporto processuale. Tale vizio determina la nullità dell’impugnazione e quindi:
a) non è emendabile con ordine di rinnovazione della notificazione medesima;
b) non è sanabile per effetto della costituzione in giudizio dell’ente impositore;
c) non opera l’integrazione del contraddittorio che presuppone un processo ritualmente instaurato nei confronti dell’Ente legittimato ad causam[7].
3. Legittimazione processuale
La legittimazione processuale (c.d. legitimatio ad processum) rappresenta la capacità di agire nel processo ossia di esercitare il diritto di azione.
In base all’art. 81 c.p.c. “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno puo' far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”, mentre l’art. 75 c.p.c. stabilisce che “possono stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere”.
Di norma legitimatio ad causam e legitimatio ad processum coincidono. Tuttavia vi sono casi in cui la parte che ha la legitimatio ad causam non può stare in giudizio personalmente (ad. es. minori o falliti).
4. Legittimazione passiva: Ente locale ed Agente della riscossione
Nel caso in cui il contenzioso abbia ad oggetto tributi locali il ricorso andrà proposto dalla parte ricorrente:
a) nei confronti dell’Ente locale impositore, qualora la causa petendi riguardi la debenza del tributo;
b) nei confronti dell’Agente della riscossione, per vizi propri dell’atto di riscossione ad esso riferibili o del procedimento esecutivo[8]. L’Agente della riscossione è parte del processo tributario qualora l’oggetto della controversia è relativa all’impugnazione di atti ed errori direttamente allo stesso riferibili[9]. Tale posizione è stata confermata dalla sezione tributaria della Cassazione con la sentenza n. 3242 del 14 febbraio 2007, con la quale viene affermato che “il concessionario del servizio di riscossione è parte del processo tributario (non ogni volta che sia impugnato un atto da lui formato, ma solo) quando oggetto della controversia sia l’impugnazione di atti viziati da errori a lui direttamente imputabili, ossia solo nel caso di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora[10].
In linea generale si può affermare che fino alla formazione del ruolo legittimato passivo è l’Ente locale in quanto la causa pretendi riguarda l’accertamento del rapporto tributario, mentre dalla formazione della cartella di pagamento legittimato passivo è l’Agente della riscossione. Infatti, la fase della riscossione si articola in due sottofasi, la prima delle quali – che si conclude con la consegna dei ruoli – compete all’Ente creditore, mentre la seconda – che inizia con la formazione della cartella di pagamento – è attribuita all’Agente. La suddivisione comporta, sul piano processuale, la necessità della corretta individuazione, da parte del ricorrente, della controparte.
Si possono avere , quindi, le seguenti situazioni:
a) il ricorso ha ad oggetto l’atto impositivo emanato dall’Ente locale (l'avviso di liquidazione del tributo, il provvedimento che irroga le sanzioni, il ruolo, il rifiuto espresso o tacito di rimborso o sgravio di tributi). Legittimato passivo è l’Ente impositore, mentre l’Agente della riscossione qualora chiamato in causa potrà eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva[11]. E’onere dell’Agente chiamare in causa l’ufficio competente ai sensi dell’articolo 39 D.Lgs. 112/1999, al fine di evitare gli effetti pregiudizievoli di una condanna;
b) il ricorso ha ad oggetto l’atto della riscossione emanato dall’Agente della riscossione, e concerne esclusivamente vizi propri (errori collegati alla compilazione e alla intestazione della cartella di pagamento[12] o all’avviso di mora, ovvero alla notifica degli stessi[13]) senza eccezioni nel merito della pretesa impositiva. Legittimato passivo è l’Agente, pertanto l’eventuale ricorso proposto solo avverso l’ufficio impositore è inammissibile[14]. Quest’ultimo laddove chiamato in causa potrà eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto trattasi di vizi imputabili all’attività riscossiva e, successivamente, laddove non chiamato già in causa, provvederà a chiamare in causa lo stesso Agente della riscossione[15];
c) il ricorso ha ad oggetto l’atto della riscossione emanato dall’Agente della riscossione, ma concerne anche il merito della pretesa tributaria, ad esempio nel caso in cui non sono stati preventivamente notificati al contribuente atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato. Legittimati passivi sono sia l’Ente locale che l’Agente che sono inscindibilmente parti in causa. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo. Pertanto, l'impugnazione avverso l'avviso di mora emesso dal concessionario alla riscossione, deducendo l'omessa notifica della cartella di pagamento, può essere promossa dal contribuente indifferentemente[16] nei confronti dell'ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l'ente creditore (allo scopo di renderlo partecipe della responsabilità della gestione del processo)[17].
Qualora il ricorrente eccepisca la tempestività della notificazione della cartella di pagamento deve proporre ricorso anche nei confronti del concessionario.
Nei casi sopra esaminati è necessario prestare particolare attenzione alla individuazione della commissione tributaria provinciale nei confronti della quale il contribuente ha proposto ricorso, nel caso in cui l’Ufficio e l’Agente della riscossione hanno sede in due ambiti territoriali differenti. Al riguardo si rappresenta che, qualora il contribuente faccia valere esclusivamente vizi inerenti alla pretesa erariale e proponga ricorso nei confronti dell’Ufficio che ha formato il ruolo, la Commissione tributaria provinciale competente si determina, ai sensi dell’art. 4 D.Lgs. 546/1992, con riferimento alla sede dell’Ufficio impositore e non alla sede dell’Agente della riscossione che ha notificato la cartella di pagamento contenente il ruolo. Di conseguenza, qualora la Commissione tributaria provinciale dinanzi alla quale sia stato incardinato il ricorso venga individuata con riferimento alla sede dell’Agente della riscossione che ha notificato la cartella di pagamento, l’Ufficio che ha formato il ruolo potrà eccepire il difetto di competenza della commissione adita, secondo quanto previsto dall’art. 5 D.Lgs. 546/1992. Al riguardo, le sezioni unite della Corte di Cassazione, 16 gennaio 1986, n. 211, con riferimento ad un fattispecie analoga, hanno affermato che nel caso di contestazione di vizi concernenti l’iscrizione a ruolo, “la competenza spetta alla Commissione nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio fiscale che ha emesso il detto provvedimento”.
Per contro, nella diversa ipotesi in cui il contribuente presenti ricorso lamentando esclusivamente vizi relativi al procedimento di emissione e notificazione della cartella di pagamento, la Commissione tributaria provinciale competente va individuata in quella nella cui circoscrizione ha sede l’Agente della riscossione. Pertanto, qualora il contribuente abbia proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio che ha iscritto a ruolo, quest’ultimo, nell’ipotesi in cui sia destinatario del ricorso, potrà eccepire l’incompetenza della commissione tributaria adita dal contribuente, oltre che il proprio difetto di legittimazione passiva[18].
5. Il fallito
Ai sensi dell’art. 43 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare) “nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge”. Pertanto, il fallito perde la legittimazione processuale attiva e passiva rispetto ai beni e diritti assoggettati a spossessamento e nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniali compresi nel fallimento, sta in giudizio il curatore.
Il curatore del fallimento, pur essendo l'organo deputato ad assumere la qualità di parte nelle controversie inerenti la procedura fallimentare, non è fornito di una capacità processuale autonoma, bensì di una capacità che deve essere integrata dall'autorizzazione del giudice delegato, in relazione a ciascun grado del giudizio (art. 25, R.D. 267/1942). In mancanza di specifica autorizzazione per il singolo grado di giudizio, sussiste il difetto di legittimazione processuale[19], pertanto l’attività processuale del difensore nominato dal curatore è invalida e non suscettibile di sanatoria con autorizzazione rilasciata a posteriori se già accertata dal giudice.
Nel caso di disinteresse del curatore al rapporto tributario contestato è riconosciuta la legittimazione processuale del fallito ad agire o resistere in giudizio[20].
Tale norma, va in ogni caso riletta alla luce dell’art. 24 Cost. in base alla quale “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi e la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Consolidata giurisprudenza ha affermato la legittimazione processuale del fallito, in ordine a rapporti patrimoniali ricompresi nel fallimento, nel caso in cui si verifichi una situazione di totale disinteresse da parte della curatela, ravvisabile ad esempio, nell’omesso esercizio, da parte del curatore, del diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell’atto impositivo[21]. A tali conclusioni è pervenuta, partendo dal principio che l’accertamento tributario i cui presupposti verificano prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta deve essere notificato non solo al curatore, ma anche al contribuente, il quale non è privato a seguito della dichiarazione di fallimento della qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi sanzionatori, che conseguono alla definitività dell’atto impositivo,
Il termine di impugnazione decorre dal momento in cui il fallito abbia conoscenza dell’atto impositivo, per effetto della rimessione in termini.
Gli atti del procedimento tributario debbono essere emessi nei confronti del soggetto esistente al momento dell'emissione e, quindi, nei confronti della società finché questa è in bonis. Con il fallimento la società non viene meno ma i suoi organi perdono la legittimazione sostanziale (art. 44 L. fallimentare - R.D. n. 267/1942) e processuale (art. 43 L. fallimentare) che viene assunta dalla curatela fallimentare la quale, per tale ragione, subentra nella posizione della fallita. Ciò comporta che sono opponibili alla detta curatela (salva la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 2704 c.c. nella specie non contestati) gli atti formati nei confronti della società in bonis, mentre dopo la dichiarazione di fallimento gli ulteriori atti del procedimento tributario debbono indicare quale destinataria l'impresa in procedura e quale legale rappresentante della stessa il curatore[22].
Dopo la chiusura del fallimento per ripartizione finale dell’attivo (art. 118, n. 3) e insufficienza dell’attivo (art. 118, n. 4) il debitore tornato in bonis riacquista il potere di disporre del proprio patrimonio e di esercitare le azioni relative, pertanto può esperire le azioni di rimborso nei confronti dell’Ente impositore, anche relative al periodo del fallimento.
Con riferimento alle ulteriori procedure concorsulali, la legittimazione a stare in giudizio è riconosciuta:
- nel caso di concordato preventivo, in capo all’imprenditore e non al commissario giudiziale;
- nel caso di liquidazione, al liquidatore.
6. Il sostituto d’imposta
Il debitore di imposta "sostituito" non deve necessariamente partecipare a pena di nullità del giudizio (art. 102 c.p.c.), promosso dal sostituto di imposta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria ed avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di accertamento allo stesso notificato per omesso adempimento dell'obbligo di ritenute di acconto (ex art. 64 del DPR 29 settembre 1973, n. 600)[23]. Ove, invece, l’accertamento stesso sia stato effettuato nei confronti del debitore sostituito, la controversia deve svolgersi nel contraddittorio del sostituto[24], pur riconoscendo l’autonomia giuridica dei rapporti tra sostituto e Amministrazione finanziaria e fra sostituto e sostituito (Cass. n. 3252/1987), il primo a carattere pubblicistico il secondo a carattere privatistico.
In merito alla controversia promossa, dal sostituito d’imposta nei confronti del sostituto, relativamente “alla legittimità delle ritenute operate” ed al fine di pretendere il pagamento di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto o versato a titolo di ritenuta, ad un orientamento giurisprudenziale in base al quale sussisterebbe la giurisdizione delle commissioni tributarie[25] e la controversia deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, in litisconsorzio necessario con l’Amministrazione finanziaria[26], si contrappone un altro orientamento in base al quale le controversie tra sostituto e sostituito, relative all’esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario[27], e l’Amministrazione finanziaria non assume la veste di litisconsorte necessario[28].
7. Litisconsorzio ed intervento
L’art.14, completa il quadro soggettivo del rapporto processuale, mutuando nel processo tributario, istituti propri del diritto processuale civile quali il litisconsorzio e l’intervento. Tali istituti tendono ad evitare i rischi che si formino giudicati contrastanti e che la sentenza sia inutiliter data[29], caso che si verifica allorquando in caso di litisconsorzio necessario la sentenza è pronunciata solo nei confronti di alcuni soggetti. In tal caso non produrrà effetti neanche verso coloro nei cui confronti è stata pronunciata.
Si realizza il litisconsorzio quando vi è una pluralità di parti che interagiscono nello stesso rapporto processuale. Può essere necessario o facoltativo.
8. Litisconsorzio necessario
Il litisconsorzio necessario è disciplinato dall’art. 14 c. 1 D.Lgs. 546/1992 che mutua la previsione disposta dall’art. 102 c.p.c., stabilendo che “Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi”.
La Cassazione, in sede di composizione di contrasto di giurisprudenza, ha statuito che ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario ogni qualvolta che, per effetto della norma tributaria, o per l’azione esercitata dall’Amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia a oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato[30].
Pertanto il fatto che l'impugnazione concerna la posizione comune ai diversi soggetti obbligati impone - in ragione della ricordata inscindibilità - un accertamento giudiziale unitario (con il conseguente litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti obbligati cui sia comune la posizione dedotta in contestazione) sulla fattispecie costitutiva dell'obbligazione, il solo che possa effettivamente realizzare una giusta imposizione. Qualora, invece, colui che abbia proposto l'impugnazione abbia dedotto un profilo che sia proprio esclusivamente della sua posizione debitoria, è da escludere che si determini quella situazione di inscindibilità cui, ai sensi dell'art. 14, c. 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, consegue il litisconsorzio necessario tra i soggetti obbligati, e potrà darsi solo un'ipotesi di intervento volontario nel processo degli (eventuali) altri destinatari dell'atto impositivo, giusta il c. 3 della citata norma.
Esemplificando si elencano alcune ipotesi di liticonsorzio:
- mutamento della legittimazione processuale agli eredi in caso di morte del contribuente[31];
- controversie catastali, allorquando si impugni il provvedimento di attribuzione di rendita catastale relativo ad un immobile in comproprietà;
- controversia relativa alla ripartizione d’estimo tra più comproprietari di una medesima unità immobiliare;
- controversie tra sostituito e sostituto per il pagamento di quella parte del credito che il sostituto convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’imposta, da definirsi in litisconsorzio necessario anche dell’Amministrazione finanziaria;
- ricorso avverso un avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi di una società di persone, o avverso un avviso di rettifica notificato ad un socio, in conseguenza della rettifica del reddito della società. In tali ipotesi ricorre una litisconsorzio necessario originario tra tutti i soci e la società, purché il ricorso venga proposto per contestare il reddito della società o le modalità del suo accertamento[32]; ricorre, invece, litisconsorzio necessario, solamente tra i soci, quando il ricorso introduttivo abbia ad oggetto la mera ripartizione del reddito, anche quando il socio contesti la propria qualità (nel qual caso gli altri soci hanno interesse a contrastare la tesi del ricorrente, il cui accoglimento determina un incremento del loro carico fiscale)[33].
Ne consegue che il ricorso deve esser proposto e notificato nei confronti di tutti i soggetti inscindibilmente collegati. L’inscindibilità tra più soggetti si riferisce ad una pluralità di soggetti che costituiscono un’unica parte del rapporto processuale, pertanto in assenza di uno dei soggetti viene meno il concetto di parte processuale, con la conseguenza che la controversia non può essere decisa limitatamente ai soggetti che hanno dato vita al rapporto processuale.
In quest’ultima ipotesi risulterebbe viziato l’intero procedimento qualora né il giudice di primo grado abbia disposto la integrazione del contraddittorio e né il giudice di appello abbia provveduto a rimettere la causa al primo giudice[34] ai sensi dell’art. 59, c. 1, lett. b) del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 354, c. 1 c.p.c.. Di conseguenza, il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è nullo per violazione del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. ed art. 111 Cost., c. 2. Trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio[35].
8.1 Integrazione del contraddittorio
Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti sopra indicati, i soggetti interessati alla prosecuzione del giudizio devono provvedere all’integrazione del contraddittorio, attraverso la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e del provvedimento della Commissione che ordina l’integrazione del contraddittorio entro un termine[36] stabilito a pena di decadenza, la cui inosservanza determina l’estinzione del processo, per inattività delle parti, a norma dell’art. 45 c. 1 del D.Lgs. 546/1992 (ex art. 14 c. 2).
Se la parte interessata non provveda alla notifica dell’atto di chiamata del terzo ovvero vi provveda tardivamente il processo si estingue per inattività delle parti.
Se la parte interessata procede alla notifica dell’atto di chiamata del terzo, dovrà provvedere a depositare in giudizio il ricorso entro il termine perentorio stabilito dal giudice, il quale una volta verificata la regolarità della notificazione del ricorso al liticonsorte, fisserà la data dell’udienza di trattazione, che sarà comunicata alle parti a cura della segreteria della Commissione tributaria. In caso di mancata integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 45, c. 1, il processo si estingue.
Il terzo chiamato in causa potrà:
a) costituirsi in giudizio, con le forme previste per il resistente;
b) non costituirsi in giudizio e quindi quest’ultimo proseguirà in sua assenza.
Invece, in ipotesi di litisconsorzio, per l'esistenza di una situazione che comporti l'obbligo di chiamare in causa anche in appello, tutte le parti presenti nella prima fase del processo, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., e' necessario che i rapporti dedotti in causa siano inscindibili, non suscettibili di soluzioni differenti nei confronti delle varie parti del giudizio, o che due (o più) rapporti dipendano logicamente l'uno dall'altro, o da un presupposto di fatto comune, in modo tale da non consentire razionalmente l'adozione nei confronti delle diverse parti di soluzioni non conformi perchè comporterebbero capi di decisione logicamente in contraddizione tra loro. Ne consegue che, quando il giudice di primo grado adotti, senza contraddizioni insanabili, soluzioni diverse nei confronti di più parti, se ne deve dedurre l'insussistenza di alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario, nemmeno di carattere processuale, e l'applicabilità dell'art. 332 c.p.c., sulla impugnazione relativa alle cause scindibili.
La sentenza emessa in difetto di integrazione del contraddittorio è nulla.
9. Litisconsorzio facoltativo ed intervento
L’art.14 richiama l’ipotesi del litisconsorzio facoltativo attraverso gli istituti dell’intervento volontario e della chiamata in giudizio, sia su istanza di parte sia per ordine del giudice.
Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato oppure sono parti di un unico rapporto tributario controverso, ed il ricorso non sia stato presentato da tutti gli interessati o nei confronti di tutti i medesimi.
E’ da ritenersi inammissibile l’intervento di un terzo in quanto non sono applicabili al rito tributario gli artt. 344 e 404 c.p.c., in quanto incompatibile con le caratteristiche delle controversie tributarie che insorgono in via di impugnazione di determinati atti impositivi[37].
L’interveniente può costituirsi entro il termine previsto per la costituzione della parte resistente. Più in particolare, in caso di pubblica udienza, entro il termine di 20 giorni prima dell’udienza, di trattazione, mentre nel caso in cui non vi sia stata richiesta di trattazione in pubblica udienza, il termine è quello di 5 giorni liberi prima della camera di consiglio. La domanda di intervento, entro il termine ultimo per la costituzione, va notificata a tutte le parti costituite e poi va depositata presso la segreteria della Commissione tributaria. La Commissione tributaria non è tenuta a dare alcun avviso o comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di intervento. Trovano applicazione le norme in tema di capacità di essere parti, di capacità di stare in giudizio e di assistenza tecnica.
Si ritiene ammissibile l’intervento principale nel caso di un soggetto che relativamente ad un’azione di rimborso esperita nei confronti dell’Ente locale, afferma di essere l’effettivo titolare del rimborso. Oppure l’intervento dell’Ente locale che afferma relativamente ad un certo tributo la non competenza dell’Amministrazione finanziaria.
Si ritiene non ammissibile l’intervento delle associazione a tutela dei diritti dei contribuenti, in quanto carenti di un interesse giuridicamente rilevante[38]. Infatti, l’associazione, non è destinataria dell'atto impugnato[39] o parte del rapporto tributario controverso. A tali conclusioni è pervenuta la giurisprudenza nelle fattispecie relative all’opposizione ad un diniego di rimborso ai fini ICI[40], ed all’impugnazione dell’iscrizione a ruolo della TARSU e della cartella di pagamento fatta da un Comune[41].
Il litisconsorzio facoltativo trova applicazione, anche nelle ipotesi di obbligazione solidale. La natura solidale dell'obbligazione, in forza della quale ciascuno dei debitori può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri (art. 1992 c.c.), esclude che tra i predetti obbligati in solido si determini, ove agiscano congiuntamente in giudizio, una situazione di inscindibilità delle cause e quindi di litisconsorzio necessario, regolata dall'art. 102 c.p.c., (e, in sede di impugnazione, dall'art. 351 c.p.c.). Infatti, l'obbligazione solidale (dal lato passivo), pur avendo ad oggetto una medesima prestazione, si configura come una pluralità di rapporti giuridici di debito-credito tra loro distinti. Sicché, quand'anche le cause concernenti tali rapporti siano state trattate in unico processo, le stesse mantengono la loro autonomia e la sentenza di esso conclusiva, pur formalmente unica, si risolve in tante pronunzie quante sono le cause trattate: pronunzie che rimangono indipendenti le une dalle altre[42]. I principi sopra esposti valgono ovviamente anche per il caso - come quello in esame - di avvenuta riunione delle cause per connessione, essendo evidente che la riunione, finalizzata ad esigenze di speditezza ed economia processuale (oltre che di uniformità di decisioni), lascia inalterata l'autonomia dei giudizi anche per quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi[43]-[44].
[1] Il successivo articolo 11, disciplina la capacità processuale.
[2] In base all’art. 57 D. Lgs. 300/1999, alle Agenzie Fiscali sono stati trasferiti i relativi rapporti giuridici delle direzioni “fiscali” del Ministero dell’Economia e delle Finanze, poteri e competenze che vengono esercitate secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna Agenzia”. Pertanto nei processi introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 la legittimazione appartiene soltanto all'Agenzia" (la quale "puo' semplicemente avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato") mentre "ai procedimenti introdotti anteriormente alla data predetta... si deve... fare riferimento ai principi enunciati dalle SS.UU. 29 aprile 2003, n. 6633 e 5 maggio 2003, n. 6774, con la precisazione (contenuta infine al punto 4.3 della sentenza n. 3116/2006) che "la proposizione dell'appello esclusivamente da parte dell'Agenzia, senza esplicita menzione dell'ufficio finanziario periferico che era parte originaria, ha comportato la conseguente estromissione di quest'ultimo", e b) che "il ricorso per cassazione può essere proposto anche nei confronti dell'ufficio periferico dell'Agenzia (che e' subentrata all'ufficio periferico del Ministero... e ne esercita, in via esclusiva, i poteri, curando il relativo contenzioso) e, ovviamente, ad esso notificato". Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile allorquando proposto soltanto contro il Ministero, il quale e' privo di qualsivoglia legittimazione passiva (sia sostanziale che processuale) in ordine all'oggetto dello stesso, costituito dal provvedimento di diniego impugnato emesso da un ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate, la quale e' una persona giuridica pubblica diversa dal Ministero (Cass. sez. trib. 13 ottobre 2006 n. 22101).
[3] L’art. 3 c. 1 D.L. 203 del 30 settembre 2005, convertito dalla L. n. 248 del 2 dicembre 2005, ha previsto con decorrenza dal 1 ottobre 2006, la soppressione del sistema di affidamento in concessione ad enti privati della riscossione e l’affidamento delle relative funzioni all’Agenzia delle entrate che le esercita mediante una società per azioni a totale capitale pubblico “Equitalia Spa” (già Riscossione S.p.A ) i cui Soci sono "l'Agenzia delle Entrate", con una partecipazione pari al 51% del capitale sociale e "l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - I.N.P.S.", con una partecipazione pari al 49% del capitale sociale. Il fine di Equitalia è quello di dare impulso all'efficacia della riscossione riducendo i costi. Essa ha inoltre il compito di ottimizzare il rapporto con il contribuente e contribuire all'equità fiscale.
[4] Cass. SS.UU. 15 dicembre 2005 n. 3118.
[5] Mentre la legitimatio ad causam riguarda la legittimazione ad instaurare il giudizio, la legitimatio ad processum concerne l’idoneità della parte a compire atti processuali.
[6] Cass. sez. trib. 30 ottobre 2007 n. 22918.
[7] Cass. sez. trib. 26 marzo 2002 n. 4336; Cass. sez. trib. 28 gennaio 2004 n. 1511.
[8] Cass. sez. trib. 15 gennaio 2002 n. 6450 per la quale “in caso di impugnazione di cartella esattoriale, la legittimazione passiva del concessionario del servizio di riscossione dei tributi sussiste se l'impugnazione concerne vizi propri della cartella o del procedimento esecutivo, mentre va esclusa qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo”; Cass. sez. trib. 26 aprile 2005 n. 14668; Cass. sez. trib. 17 dicembre 2001 n. 11667.
[9] Circolare n.98/E del 23 aprile 1996.
[10] Conforme Cass. sez. trib. 17 settembre 2001 n. 11667, secondo la quale “il ricorso avverso l’avviso di mora, qualora tale atto venga impugnato esclusivamente per vizi propri, deve essere proposto nei confronti del concessionario per la riscossione dei tributi, senza che sia necessario integrare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nei confronti dell’ente impositore; Cass. 10 settembre 2007 n. 18972.
[11] Con la sentenza n. 22529 del 26 ottobre 2007, i giudici di legittimità, richiamando i principi di diritto enunciati nella citata sentenza n. 16412 del 2007, hanno affermato che il contribuente che impugni l’avviso di mora sostenendo il venir meno del debito tributario per prescrizione ben può notificare il ricorso esclusivamente all’Amministrazione, senza coinvolgere l’Agente della riscossione.
[12] In virtù dell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 la cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi propri.
[13] Cass. sez. trib. 6 maggio 2002 n. 6450; CTR Lazio 9 marzo 2004 n. 2; CTR Lazio 25 ottobre 2004 n. 77.
[14] Cass. sez. trib. 21 gennaio 2007 n. 3242; Cass. sez. trib. 8 febbraio 2006 n. 2798; CTR Roma 16 gennaio 2007 n. 17 per la quale non può essere accolta la richiesta di integrazione del contraddittorio o di un rinvio al primo grado, per l’integrazione del contraddittorio poiché a norma dell’art. 102 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio può essere ordinata tra soggetti tutti ugualmente legittimati, attivi o passivi, all’azione.
[15] Al riguardo la Corte di cassazione ha affermato che la chiamata di terzi nel processo tributario può essere effettuata dal resistente con l’atto di costituzione in giudizio, a pena di decadenza, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica del ricorso (Cass. sez. trib. 26 novembre 2007 n. 24563; Cass. sez. trib. 20 luglio 2007 n. 16119; ; Cass. sez. trib. 13 maggio 2003 n. 7329; Circ. n. 98/E del 23 aprile 1996, a commento dell’articolo 23 D.Lgs. 546/1992).
[16] L’Avvocatura generale dello Stato nel parere espresso con nota n. 65100P del 14 maggio 2008 ha evidenziato che la sentenza n. 16412 del 2007 può essere interpretata nel senso che “la … affermata indifferenza nella individuazione del destinatario del ricorso del contribuente - e quindi la ammissibilità del ricorso stesso pur se notificato al solo ufficio - si configuri unicamente nel caso di impugnativa di atto consequenziale del concessionario che sia fondata sulla allegazione della mancata notifica dell’atto presupposto costituente esercizio del potere impositivo dell’Amministrazione, quale che sia la domanda in concreto proposta, e cioè sia richiesto annullamento in sé dell’atto del concessionario per effetto del predetto vizio procedurale, sia in impugnativa anche dell’atto presupposto non notificato”.
[17] Cass. SS.UU 25 luglio 2007 n. 16412 che nel caso di specie ha cassato la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che la mancata notifica della cartella di pagamento non determinasse la nullità dell'avviso di mora e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso introduttivo del contribuente avverso l'avviso di mora.
[18] Circ. n. 51/E del 17 luglio 2008 Agenzia delle Entrate – Dir. normativa e contenzioso Riscossione - Legittimazione processuale – Motivi di ricorso concernenti l'attività dell’agente della riscossione – Istruzioni operative.
[19] CTC 30 ottobre 2006 n. 8644; Cass. sez. trib. 26 ottobre 1987 n. 7810; Cass. sez. trib. 22 luglio 2005 n. 15392.
[20] Cass. sez. trib. 15 marzo 2006 n. 5671 per la quale “il fallito, nell'inerzia degli organi fallimentari, è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso la propria tutela, anche in materia tributaria, alla luce dell'interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 43 della L. fallimentare e 10 del D.Lgs. 546/1992, in conformità ai principi del diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa. Il termine per impugnare l'avviso di accertamento decorre dal momento in cui quest'ultimo sia stato portato a conoscenza del fallito stesso”. Conforme Cass. 18 maggio 2007 n. 11572; Cass. 22 marzo 2006 n. 6392 e n. 6393; Cass. sez. II civ. 5 novembre 1990 n. 110612. Contra Cass.SS.UU. 19 gennaio 1970 n. 100.
[21] Cass. sez. trib. 24 febbraio 2006 n. 4235; Conforme Cass. sez. I 19 dicembre 1994 n. 3094 che ha stabilito che “nel caso di mancato interesse del curatore alla controversia tributaria e di mancata notifica dell’avviso di accertamento al fallito, questo conserva la capacità di impugnare ed il termine decorre dal momento in cui l’accertamento stesso sia portato a sua conoscenza”. Cass. sez. trib. 16 aprile 2007 n. 8990; Cass. sez. trib. 19 febbraio 2000 n. 1901; Cass. sez. trib. 3667/1997, 14987/2000, 6937/2002; Cass. sez. trib. 3 aprile 2003 n. 5202; Cass. sez. trib. 23 giugno 2003 n. 9951; Cass. sez. trib. 14 maggio 2002 n. 6937; Cass. sez. trib. 8 marzo 2002 n. 3427.
[22] Cass. sez. trib. 5 aprile 2007 n. 12893.
[23] Contra Cass. sez. trib. 27 settembre 2000 n. 12814.
[24] Cass. sez. trib. 12 maggio 1999 n. 12991.
[25] Cass. SS.UU. 6 giugno 2003 n. 9074; Cass. SS.UU. ord. 19 febbraio 2004 n. 3343.
[26] Cass. SS.UU. 13 giugno 2002 n. 18158; Cass. sez. trib. 20 magio 1991 n. 5664; Cass. 10 ottobre 1994 n. 8277; Cass. SS.UU. 7 maggio 1996 n. 4223; Cass. SS.UU. 12 gennaio 2007 per la quale “Tale principio non soffre deroga né quando la controversia stessa sia insorta soltanto fra sostituito e sostituto né quando siano scaduti i termini per chiedere la restituzione delle somme versate all'Amministrazione finanziaria, in quanto tale scadenza incide sulla fondatezza e sull'ammissibilità dell'azione da proporre innanzi al giudice tributario, ma è priva di effetti circa la giurisdizione sullo stesso, non essendo prevista alcuna giurisdizione residuale dell'Autorità giudiziaria ordinaria a seguito dell'improponibilità, inammissibilità o infondatezza della domanda devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario”.
[27] Cass. SS.UU. 26 giugno 2009 n. 15031 per la quale “le liti tra sostituto e sostituito hanno ad oggetto la legittimità della rivalsa (sia in relazione all’an che in relazione al quantum) del sostituto nei confronti del sostituito ed entrambi, se è stato versato più di quanto dovuto (o è stato effettuato erroneamente un versamento totalmente non dovuto) possono richiedere il rimborso all’amministrazione finanziaria ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, impugnando poi dinanzi al giudice tributario l’eventuale rifiuto. Ne deriva che sia il sostituto che il sostituito, chiamati in causa dinanzi al giudice ordinario per errori di calcolo che non abbiano inciso sui versamenti a favore del fisco, non hanno titolo per adire il giudice tributario. Se invece si tratta di lite che abbia effetti nei confronti del
fisco (quando il sostituto abbia versato una ritenuta non dovuta o in eccesso, rivalendosi o non rivalendosi sul sostituito) il rimedio della richiesta di rimborso consente una efficace tutela dei diritti. Anche quando il sostituto convenga in giudizio il sostituito, perchè, dopo avere versato la ritenuta, erroneamente abbia omesso di esercitare la
rivalsa, la controversia riguarda esclusivamente le parti in causa (non rilevano profili sanzionatori, di cui all’art. 14, violazione degli obblighi di esecuzione di ritenute alla fonte, che attengono ai rapporti autonomi nei confronti dell’amministrazione finanziaria e che trovano applicazione in forza di un apposito provvedimento amministrativo, che va impugnato dinanzi al giudice tributario). Nel caso inverso, in cui l’azione sia proposta dal sostituito nei confronti del sostituto che asseritamente abbia effettuato una ritenuta (rectius: rivalsa) indebita o eccessiva, se l’errore sussiste ed abbia comportato un versamento indebito, lo stesso sostituto può richiedere il rimborso all’amministrazione finanziaria, impugnando poi l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario”.
[28] Cass. SS.UU. 26 giugno 2009 n. 15032.
[29] Cass. sez. trib. 7 luglio 1987 n. 5903.
[30] Cass. SS. UU. 18 gennaio 2007 n 1052; Cass.SS.UU. 18 gennaio 2007 n. 1057.
[31] Cass. Sez.I civ. 12 luglio 2001 n. 9418;
[32] CTR Roma 20 maggio 2009 n.3 in base alla quale in tema di accertamento di redditi prodotti in forma associata le posizioni dei soci e della società sono inscindibili poiché l'accertamento è unico e, sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario, tutte le parti devono partecipare allo stesso giudizio. Poiché nel caso esaminato, nel giudizio di primo grado la società non ha partecipato al giudizio, pur essendo litisconsorte necessario, sussiste una violazione del principio del contraddittorio e quindi le condizioni di cui all'art. 59 D.Lgs. n. 546/92, che impone di rimettere la causa alla Commissione tributaria provinciale per l'integrazione del contraddittorio. Cass. sez. trib. n.31 luglio 2009 n. 17799 per la quale “il ricorso tributario proposto contro un solo avviso di rettifica da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società sia i soci, sichhè tutti qusti soggetti devono esser partee dello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi”.
[33] Cass. SS.UU. 4 giugno 2008 n. 14815 per la quale “quando ricorra un' ipotesi di litisconsorzio necessario originario, il giudice tributario deve attenersi alle seguenti regole: a) se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice deve disporne la riunione ai sensi dell'art. 29 D.Lgs. n. 546/1992, se sono tutti pendenti dinanzi allo stessa commissione (la facoltà di disporre la riunione si trasforma in obbligo in considerazione del vincolo del litisconsorzio necessario). Altrimenti, la riunione va disposta dinanzi al giudice preventivamente adito, in forza del criterio stabilito dall'art. 39, c.p.c., anche perché con la proposizione del primo ricorso sorge la necessità di integrare il contraddittorio e quindi si radica la competenza territoriale, senza che possa opporsi la inderogabilità della stessa, sancita dall'art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992. b) Se, invece, una o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento, o avendola ricevuta, non l'abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l'integrazione del contraddittorio, mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992)”. Cass. sez. trib. 25 giugno 2009 n. 14980 per la quale “la celebrazione del processo tributario avente ad oggetto la rettifica del reddito di società di persone nei confronti soltanto di alcuni dei soci deve essere dichiarata nulla per violazione del litisconsorzio necessario con rimessione del giudizio alla commissione tributaria provinciale competente”.
[34] La Corte di cassazione, in più occasioni, ha sottolineato come le Commissioni tributarie siano giudici sia dell'atto che del rapporto (Cass. SS.UU. 25 maggio 2005 n. 10958; Cass. sez. trib. 19 febbraio 2004 n. 3309).
[35] Cass. SS.UU. 4 giugno 2008 n. 14815.
[36] Tale termine in virtù dell’art. 307 c. 3 c.p.c., così come modificato dalla L. n. 69/2009, non potrà essere inferiore ad un mese né superiore a tre (anziché di sei mesi previsti dalla norma ante riforma).
[37] Cass. sez. trib. 18 giugno 1988 n. 4178; CTC 31 gennaio 2000 n. 3555.
[38] Cass. sez. trib. 9 gennaio 2004 n. 139 che in tema di legittimazione a proporre ricorso di un ente esponenziale di una indefinita categoria di contribuenti ha affermato che tali enti non possono neppure svolgere un intervento adesivo dipendente, a tutela delle ragioni del contribuente ricorrente, a norma dell'art. 105 c.p.c., atteso che l'interesse che legittima un tale intervento deve essere giuridicamente rilevante e qualificato e non può consistere in una utilità di puro fatto; Cass. sez. trib. 06 settembre 2004 n. 17934 secondo cui in tema di contenzioso tributario, non è ammessa la tutela dei cosiddetti interessi diffusi; Cass. sez. trib. 23 luglio 2009 n. 17194 per la quale “sulla disciplina generale dall’art. 105 c.p.c. prevale la disciplina speciale del contenzioso tributario. Con riguardo alla posizione processuale della ONLUS (Cass. nn. 139/2003, 181/2003, Cass. n. 139/04, Cass. n. 12598/04, Cass. n. 1909/08) la legge attribuisce qualifica di ricorrente nel processo tributario al soggetto destinatario dello specifico atto amministrativo secondo la tipologia elencata nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e tali atti contengono o l’esplicitazione di una richiesta fiscale nei confronti di uno o più soggetti ben individuati, o il rifiuto della restituzione di somme richieste da chi le abbia versate, od ancora il rifiuto di agevolazioni nei confronti di specifici soggetti con la conseguenza che non vi è spazio di intervento per gli enti esponenziali, che agiscono per la tutela di un’indefinita categoria di interessati, ai quali non sono diretti gli atti impugnabili, e dunque, non hanno legittimazione sostanziale a proporre opposizione né autonomamente nè congiuntamente al contribuente destinatario dell’attoimpugnato. Questi principi non meritano rivisitazione critica neppure alla luce delle disposizioni a tutela di consumatori ed utenti che hanno attribuito una generale “legitimatio ad agendum” alle Associazioni rappresentative in virtù della L. n. 281 del 1998 predisponendo un sistema di tutela collettiva inibitoria e emendativa poi trasfuso negli artt. 139 e 140 Codice di Consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005). Al di là della natura degli interessi diffusi che sono chiamati a garantite tali enti esponenziali con interventi comunque esperibili avanti all’AGO (e dunque in sedi diverse da quella appartenente alla giurisdizione tributaria) e contro "violazioni seriali di massa" che hanno nel caso ben poco da spartire con atti fiscali singolari od al più litisconsortili (estranei alla classe che dovrebbe altrimenti ricomprendere tutti i soggetti passivi di imposta per genere di tributo e modalità di esazione), è appena il caso di soggiungere che la titolarità della rappresentative action non spetta a qualsiasi tipo di aggregazione o comitato di consumatori ed utenti ma solo alle associazioni ufficiali che siano state inserite in apposito elenco ministeriale dopo la verifica dei prescritti requisiti, avendo il legislatore - come è noto - preferito ad un modello di legittimazione processuale "aperta" un modello di legittimazione processuale "selettiva" e precostituita sottoposta alla preventiva valutazione dell’autorità amministrativa”.
[39] Cass. sez. trib. 27 giugno 2003 n. 181.
[40] Cass. sez. trib. 4 dicembre 2003 n. 18541.
[41] Cass. sez. trib. 8 luglio 2004 n. 12598.
[42] Cass. sez. lav. 24 aprile 2001 n. 6043; Cass. sez. II 26 marzo 2001 n. 4364 per la quale “l'obbligazione solidale passiva non fa sorgere un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo a litisconsorzio necessario nemmeno in sede di impugnazione, per cui non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei debitori che siano rimasti estranei al giudizio anche solo nella fase di appello per essere stata la sentenza impugnata pronunciata pure nei loro confronti”.
[43] Cass. SS.UU. 3 dicembre 1992 n. 12885; Cass. sez. II 23 maggio 200 n. 6733.
[44] Cass. sez. trib . 13 novembre 2008 n. 27071 in base alla quale “quando l’imposta di registro o l’INVIM gravino solidalmente su più soggetti (come si verifica, in ipotesi di compravendita immobiliare, a carico di tutte le parti contraenti, per il primo di detti tributi, ovvero a carico dei comproprietari - venditori, per il secondo) ed uno solo dei coobbligati insorga avverso l’accertamento in rettifica, gli altri coobbligati per il medesimo tributo - in base alla previsione dell’art. 1306 c.c., comma 2, che opera, sul piano processuale, in deroga ai comuni limiti soggettivi del giudicato - possono soltanto far valere, contro la pretesa dell’Amministrazione finanziaria nei loro confronti diretta (e salva, comunque, l’irripetibilità di quanto spontaneamente versato), il giudicato formatosi a favore del coobbligato che abbia impugnato l’accertamento (v. Cass. 19850/05, 1225/95, 7053/91)”. Cass. sez. trib. 18 marzo 2003 n. 3926 in base alla quale “l'art. 1306 c.c. incide soltanto sul piano sostanziale, cioè riconosce al debitore che non abbia presentato tempestivo ricorso il diritto di opporre all'Amministrazione la sentenza ottenuta dal condebitore più diligente; non incide invece sul piano processuale, cioè non consente a chi non si sia autonomamente rivolto alla giustizia tributaria di inserirsi nella procedura contenziosa aperta da un altro soggetto”.
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