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 Problemi e casi pratici

4. Strumenti preventivi e deflativi del contenzioso

 4.1 D. L’istanza di interpello inoltrata da un Ente locale all’Amministrazione finanziaria può esser firmata dal dirigente competente?

R. No.  L’ istanza di interpello proposta dagli Enti locali, in qualità di soggetti passivi d’imposta, deve esser sottoscritta dal legale rappresentante (sindaco o presidente della provincia), secondo quanto stabilito dall’art.3, c. 1 del D.M. 26 aprile 2001, n.209.

 

4.2 D. Nel caso di interpello avanzato ad un Ente locale, qual è il termine entro il quale l’Ente è tenuto a rispondere all’istanza e trascorso il quale si forma il silenzio assenso sull’istanza di interpello proposta dal contribuente?

R. Il termine va individuato nel regolamento dell’Ente locale che disciplina l’istituto dell’interpello. In mancanza regolamentazione si ritiene applicabile il termine di 120 giorni previsto dall’art. 11 della L. 212/2000. Giova, ribadire che, a norma dell'art. 11, c. 2, dello statuto, in  fase  di  accertamento  del tributo, l'Ente locale non potrà emettere, se non a pena di nullità, atti a contenuto impositivo o sanzionatorio in difformità della risposta  fornita, ovvero dell'interpretazione sulla quale si è formato il silenzio assenso.

 

4.3 D. Un’istanza di interpello proposta ad un Comune può avere ad oggetto la valutazione di aree edificabili ai fini ICI?

R. No. L’interpello non è ammesso per questioni di carattere estimativo. 

 

4.4 D. Il contribuente può proporre ricorso in CTP avverso il diniego espresso ovvero il silenzio serbato dall'Ente in relazione all'istanza volta a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela?

R. Il  rifiuto  espresso  o tacito  dell'Amministrazione  a  procedere   ad   autotutela può essere impugnato innanzi al giudice tributario al solo fine di far valere l’illegittimità del rigetto dell’istanza di autotutela. Mentre, non può avere ad oggetto  la fondatezza della pretesa tributaria, così come il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, sia  per  la  discrezionalità  propria,  in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla  legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass. SS.UU. 3 febbraio 2009 n. 2870 e Cass. SS.UU. 16 febbraio 2009 n. 3698).

 

4.5 D. Qual è la disciplina delle spese processuali in caso di annullamento di un atto impositivo in  autotutela, nel corso del giudizio tributario?

R. Nel corso del giudizio tributario, in caso di cessazione della materia del contendere, le spese processuali sono a carico di colui che ha richiesto la cessazione della materia del contendere. Di conseguenza, l’ufficio tributario deve valutare l’opportunità di esercitare il potere di autotutela prima che si incardini il giudizio tributario, laddove vi siano elementi che facciano propendere per l’accoglimento del ricorso presentato dal contribuente.

 

4.6 D. In quali casi l’Ufficio  tributario può modificare o integrare l’atto definitivo di accertamento con adesione?

R. L'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio. La definizione non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice nei seguanti casi:

a)      se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore ad €  77.468,53;

b)      se la definizione riguarda accertamenti parziali;

c)      se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 , ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria;

d)      se l'azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell'azienda coniugale di cui alla lettera c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione (art. 2 c.4 D.lgs. 218/97).

 

4.7 D. Qual è il termine ultimo per proporre una proposta conciliativa?

R. L'istituto della conciliazione giudiziale, previsto all'art. 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992, contempla due differenti iter. Una procedura ordinaria che si conclude in udienza a mezzo della redazione di processo verbale; una semplificata, caratterizzata dal raggiungimento di un accordo stragiudiziale fra il contribuente e l'Amministrazione i cui effetti si riverberano sulle questioni oggetto della controversia. Poiché la ratio della disposizione è quella di contribuire alla deflazione del contenzioso, deve ritenersi che la proposta conciliativa possa essere legittimamente proposta anche successivamente alla fissazione dell'udienza di trattazione nel qual caso il potere decisorio circa la verifica e relativa pronuncia in merito è avocato al giudice tributario.

 

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