Documento n. 2 -Funzioni dell’Organo di revisione: attività di collaborazione, pareri obbligatori e vigilanza

 

2.1. ATTIVITÀ DI COLLABORAZIONE

 

L’attività di collaborazione con l’organo consiliare è la prima delle funzioni dell’Organo di revisione degli enti locali elencate dal Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali (di seguito Tuel) e continua a rappresentare un aspetto innovativo nelle funzioni assegnate ad un organo di controllo.

La collaborazione riguarda la complessa attività d’indirizzo e controllo amministrativo di competenza dell’organo consiliare che è il destinatario finale di tale funzione.

Tale funzione, propria dell’Organo di revisione, riguarda l’analisi e la valutazione, anche prospettica, dei risultati dell’attività amministrativa dell’ente e si concretizza in osservazioni e suggerimenti che, analizzando aspetti gestionali nelle cause e negli effetti, si traducono in un complesso di elementi utili al Consiglio ad operare valutazioni e scelte ragionate, avendo riguardo alle disposizioni dello statuto e del regolamento dell’ente.

Lo statuto o il regolamento devono qualificare gli ambiti d’intervento, le modalità di svolgimento dell’attività e il coordinamento con le funzioni di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione, nonché la necessaria distinzione dall’attività di consulenza e di prestazione di servizio che non può essere richiesta all’Organo di revisione. La differenza tra consulenza e collaborazione va riferita al fatto che quest’ultima riguarda l’aspetto economico-finanziario delle proposte di deliberazione e di valutazione dei risultati delle politiche realizzate, mentre la consulenza riguarda valutazioni a priori delle politiche al fine di individuare fattibilità e dettagli operativi di un progetto, prestando, nel contempo, le competenze tecniche proprie.

In particolare, la funzione di collaborazione deve riguardare le aree riconducibili alle funzioni di indirizzo e controllo del Consiglio sull’attività della Giunta e degli altri organi dell’ente in ambito di attività amministrativa, comprendendo le funzioni di programmazione, gestione e rendicontazione. Tale attività deve essere limitata agli aspetti economico-patrimoniali e finanziari.

Ove la legge preveda l’espressione di pareri o altre valutazioni ad organi diversi, quale il responsabile dei servizi finanziari o la Giunta, essi sono espressi esclusivamente in funzione del corretto svolgimento delle funzioni dell’organo consiliare e non dei singoli membri.

Eventuali attività, contemplate nei regolamenti di contabilità o in altri atti deliberativi, previste a favore di soggetti e in casi diversi da quelli previsti dalla legge, sono da considerarsi prestazioni aggiuntive a cui va adeguatamente parametrato l’eventuale compenso.

La funzione di collaborazione deve essere giuridicamente distinta da quella svolta dai responsabili dei servizi e deve essere disciplinata in ordine all’individuazione dei compiti e delle specifiche responsabilità.

La collaborazione deve assumere le caratteristiche dell’attività professionale qualificata finalizzata al buon andamento della gestione. Si può concretizzare con pareri, rilievi, osservazioni e proposte sugli aspetti economici patrimoniali e finanziari dell’area di competenza consiliare tesi a conseguire, attraverso la responsabilizzazione dei risultati, una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione, nonché ad ottenere il miglioramento dei tempi e dei modi dell’azione amministrativa.

Tali pareri, rilievi, osservazioni e proposte indirizzati all’organo politico possono essere disattesi solo con scelte opportunamente motivate.

La collaborazione è propedeutica all’efficacia del controllo.

 

 

2.2. PARERI OBBLIGATORI

La collaborazione è obbligatoria sulle proposte di deliberazione relativa alle seguenti aree:

  1. piani e strumenti di programmazione economico-finanziaria;

  2. bilancio di previsione, variazioni e salvaguardia equilibri;

  3. modalita ̀digestione dei servizi, costituzione o partecipazione ad organismi e sterni e rapporti con essi;

  4. ricorso all’indebitamento;

  5. debiti fuori bilancio e transazioni;

  6. utilizzo di strumenti di finanza innovativa;

  7. regolamentidi contabilità, economato-provveditorato, patrimonio, applicazione dei tributi locali.

I pareri alle variazioni di bilancio devono riguardare anche a quelle poste in essere dalla Giunta assunte con i poteri del Consiglio per motivi di urgenza, in quanto il destinatario finale rimane comunque l’organo consiliare.

Le funzioni dell’Organo di revisione inerenti alla formulazione dei pareri obbligatori sono disciplinate dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 239 del Tuel.

L’Organo di revisione deve esprimere pareri su proposte di deliberazione da sottoporre al Consiglio su atti fondamentali della gestione.

I pareri rientrano nella funzione di collaborazione con il Consiglio dell’ente locale. Lo stesso organo è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte dall’Organo di revisione.

Il regolamento di contabilità dell’ente deve stabilire entro quale termine l’Organo di revisione dovrà dare il parere, tenendo conto delle necessità dell’ente e di quelle dell’Organo di revisione di poter approfondire e valutare i contenuti, gli effetti della proposta e formulare il parere. Un termine regolamentare non congruo, non consentendo un adeguato controllo, costituisce una grave irregolarità contabile che può essere oggetto di segnalazione al Consiglio ed alla Sezione di controllo competente della Corte dei conti.

Il comma 1 dell’art. 174 del Tuel come modificato dall’art. 9-bis, comma 1, lett. a), nn. 1) e 2), D.L. 24 giugno 2016, n. 113 non richiede più il parere dell’Organo di revisione nella fase di presentazione al

Consiglio dello schema del bilancio di previsione e del Documento Unico di Programmazione DUP.

La norma distingue la fase di presentazione degli atti per la quale non è richiesto il parere dell’Organo di revisione da quella, nella quale il parere è obbligatorio, di proposta di deliberazione per l’approvazione.

Le sette tipologie di pareri obbligatori su cui interviene l’organo di controllo con funzione di collaborazione con l’organo consiliare sono ribadite dall’art 42, comma 2 del TUEL, dalla lettera b) dell’art. 239 del Tuel, dalla delibera n. 345/2013 della sezione regionale della Corte dei conti del Piemonte e dalla sezione regionale della Corte dei conti della Liguria n. 4/2014.

Per approfondimenti sugli atti di programmazione e sul bilancio di previsione si rinvia al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n.3 – controlli sugli atti di programmazione e sul bilancio di previsione.

Per approfondimenti sul ricorso all’indebitamento e sull’utilizzo di strumenti di finanza innovativa si rinvia al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n.7.

2.2.1. Strumenti di programmazione economico-finanziaria

 

È richiesto il parere su tutti gli atti di programmazione di competenza del Consiglio o sottoposti al Consiglio come propedeutici al bilancio di previsione di cui all’art. 42, comma 2, lett. b) Tuel.

Considerato che tutti gli strumenti di programmazione devono essere inseriti nel Documento Unico di Programmazione DUP o nelle note di aggiornamento al DUP, si precisa che l’Organo di revisione, tranne il caso di atti adottati separatamente ma che in ogni caso devono essere recepiti nel Documento Unico di Programmazione DUP, deve esprimersi nell’ambito del parere sul DUP.

2.3. PROPOSTE DI RICONOSCIMENTO DI DEBITI FUORI BILANCIO E TRANSAZIONI

 

Secondo la Corte dei Conti il debito fuori bilancio è un’obbligazione sorta senza il rispetto delle regole giuridiche contabili proprie degli enti.

L’articolo 194 del Tuel disciplina l’ambito e le procedure di riconoscibilità dei debiti fuori bilancio, ossia delle obbligazioni verso terzi per il pagamento di una determinata somma di denaro, assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli enti locali (vedi anche Ministero degli Interni circolare del 20 settembre 1993). Il debito, quindi, è un’obbligazione maturata senza che sia stato adottato il dovuto adempimento per l’assunzione dell’impegno di spesa previsto dall’art. 191 del Tuel.

Sono riconoscibili i debiti fuori bilancio derivanti da:


  • sentenze esecutive comprese quelle immediatamente esecutive;

 

  •  copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’art. 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
  •  ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile (art. 2447 e 2482 – ter c.c.) o da disposizioni previste dal D.lgs. 175/2016
  •  procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità;
 
  •  acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 del Tuel, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

    Nel caso di sentenze esecutive e di pignoramenti sussiste l’obbligo di procedere con tempestività̀ alla convocazione del Consiglio comunale per il riconoscimento del debito, in modo da impedire il maturare di interessi, rivalutazione monetaria ed ulteriori spese legali (cfr. ex multis Corte dei conti, Sezione Regionale per la Puglia n.122/PRSP/2016 e n. 152/2016).

    Un debito fuori bilancio per essere riconoscibile deve avere i seguenti caratteri:

  •  certezza, cioè effettiva esistenza dell’obbligazione di dare;

  •  liquidità, nel senso che deve essere individuato il soggetto economico creditore, il debito sia definito nel suo ammontare e l’importo sia determinato o determinabile mediante una semplice operazione;

  •  esigibilità, nel senso che sia stata fissata la scadenza del pagamento e che esso non sia subordinato a condizione.

    Ai sensi del principio contabile Allegato 4/2 al D.lgs. n. 118/2011, paragrafo 9.1., infatti, «l’emersione di debiti assunti dall’ente e non registrati quando l’obbligazione è sorta comporta la necessità di attivare la procedura amministrativa di riconoscimento del debito fuori bilancio, prima di impegnare le spese con imputazione all’esercizio in cui le relative obbligazioni sono esigibili. Nel caso in cui il riconoscimento intervenga successivamente alla scadenza dell’obbligazione, la spesa è impegnata nell’esercizio in cui il debito fuori bilancio è riconosciuto».

    Per ripianare i debiti fuori bilancio il comma 3 dell’art. 193 del Tuel, in materia di salvaguardia degli equilibri di bilancio, offre la possibilità di utilizzare, per l’anno in corso e per i due successivi, tutte le entrate e le disponibilità, per le spese correnti, ad eccezione di quelle:

  •  provenienti dall’assunzione di prestiti già contratti;

  •  aventi specifica destinazione per legge;

  •  derivanti da alienazioni di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con riferimento a squilibri di parte capitale.

    È ammesso il pagamento tramite il ricorso ad un piano di rateizzazione della durata di tre anni finanziari, compreso quello in corso, da concordare con i creditori.

 

 

Al riguardo si richiama la delibera Sezioni Autonomie n.21/2018 relativa alle modalità di copertura finanziaria dei debiti fuori bilancio tenuto conto delle nuove regole dettate dall’armonizzazione contabile. In particolare, enuncia i seguenti principi di diritto: 1. “Ai fini di una corretta gestione finanziaria, l’emersione di un debito non previsto nel bilancio di previsione deve essere portata tempestivamente al Consiglio dell’ente per l’adozione dei necessari provvedimenti, quali la valutazione della riconoscibilità, ai sensi dell’art. 194 comma 1, del TUEL ed il reperimento delle necessarie coperture secondo quanto previsto dall’art. 193 comma 3, e 194 commi 2 e 3 del medesimo testo unico. 2. Gli impegni di spesa per il pagamento dei debiti fuori bilancio riconosciuti e già scaduti devono essere imputati all’esercizio nel quale viene deliberato il riconoscimento. Per esigenze di sostenibilità finanziaria, con l’accordo dei creditori interessati, è possibile rateizzare il pagamento dei debiti riconosciuti in tre anni finanziari compreso quello in corso, ai sensi dell’art. 194, comma 2, del TUEL, a condizione che le relative coperture, richieste dall’art. 193, comma 3, siano puntualmente individuate nella delibera di riconoscimento, con conseguente iscrizione, in ciascuna annualità del bilancio, della relativa quota di competenza secondo gli accordi del piano di rateizzazione convenuto con i creditori. 3. Nel caso in cui manchi un accordo con i creditori sulla dilazione di pagamento, la spesa dovrà essere impegnata ed imputata tutta nell’esercizio finanziario in cui il debito scaduto è stato riconosciuto, con l’adozione delle conseguenti misure di ripiano”.

L’Organo di revisione verifica l’effettività della copertura finanziaria rispetto ai criteri e alle regole dettati dai principi contabili, con particolare riferimento agli esercizi finanziari successivi al primo.

L’art. 23, comma 5, della Legge n. 289/2002 dispone che i provvedimenti di riconoscimento di debiti posti in essere dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, siano trasmessi agli organi di controllo ed alla competente procura della Corte dei Conti.

Organo preposto ad accertare se il debito fuori bilancio rientra tra le tipologie dell’art. 194 del TUEL (quindi a ricondurre l’obbligazione all’interno della contabilità dell’ente) e a deliberare è il Consiglio. La deliberazione individua le risorse effettivamente disponibili per farvi fronte che possono essere così elencate in ordine di importanza:

  •  riduzione delle spese correnti, o utilizzo di nuove entrate;

  •  applicazione eventuale avanzo di amministrazione disponibile ai sensi di legge;

  •  utilizzo di disponibilità derivanti da adozione piano triennale di riequilibrio;

  •  vendita dei beni del patrimonio disponibile, altre entrate in conto capitale e contrazione di prestiti, con riferimento a debiti fuori bilancio in conto capitale.

    Il riconoscimento presuppone il contestuale finanziamento. La funzione della delibera consiliare di riconoscimento e finanziamento è diretta a:

  • accertare se il debito è imputabile all’ente;
  • accertare se rientra in una delle cinque tipologie riconoscibili;
  •  limitare il riconoscimento per la tipologia della lett. e) (acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 del Tuel) nei limiti dell’utilità ed arricchimento dell’ente;

  •  reperire il finanziamento;

  •  accertare le eventuali responsabilità.

    L’Organo di revisione rispetto a queste tematiche deve esprimere un giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile obbligatorio secondo l’art. 239 comma 1, lett. b) n. 6) e comma 1 bis del Tuel.

    Inoltre, deve verificare che il provvedimento sia trasmesso alla competente procura della Corte dei Conti. Qualora l’ente non provveda, l’organo di controllo deve provvedere a comunicare alla competente Procura della Corte dei Conti l’inadempienza.

    L’Organo di revisione deve verificare, anche a campione, nel corso dell’esercizio e alla fine, se sussistono spese aventi la natura di debiti fuori bilancio imputate in competenza senza un previo atto di riconoscimento e finanziamento da parte del Consiglio. A tal fine occorre accentuare le verifiche in particolare sulle somme impegnate nei primi mesi dell’esercizio.

    Il mancato rispetto del principio della competenza è un’irregolarità contabile che può derivare da una consapevole scelta gestionale di rinvio all’esercizio futuro di spese non finanziabili o tali da non fare rispettare i limiti.

    Accanto a quelli che tecnicamente si definiscono “debiti fuori bilancio” si collocano le “passività pregresse” o arretrate, spese che, a differenza dei primi, riguardano debiti per cui si è proceduto a regolare l’impegno (amministrativo, ai sensi dell’art. 183 T.U.E.L.), ma che, per fatti non prevedibili, di norma collegati alla natura della prestazione, hanno dato luogo ad un debito in assenza di copertura (mancanza o insufficienza dell’impegno contabile ai sensi dell’art. 191 T.U.E.L.). Sul tema delle passività pregresse si sono espresse diverse sezioni di controllo della Corte dei Conti, tra cui si segnala la deliberazione della sezione di controllo Lombardia n. 82/2015.

    Sostanzialmente la Corte dei Conti evidenzia che, nel caso in cui l’impegno sia stato a suo tempo assunto, ma i corrispondenti residui siano stati eliminati oppure nei casi in cui, ad esempio sulle utenze, l’ente riceva in annualità successive richieste di conguaglio su spese a suo tempo impegnate, tali spese possano essere impegnate sulla competenza dell’esercizio e non siano da considerarsi debiti fuori bilancio.

    2.4. TRANSAZIONI

     

    La previsione dell’art. 239, comma 1, lett. b) n. 6) del Tuel e la possibilità di individuare per tempo le necessarie coperture di bilancio per la transazione, non possono costituire esimente procedurale dalla eventuale necessità di riconoscere a monte un debito fuori bilancio nei casi di legge, aggirando la funzione di controllo e indirizzo del Consiglio in materia di bilancio.

 

La transazione (art. 1965 c.c.) è uno strumento negoziale che in funzione deflattiva del contenzioso cerca di prevenire o porre fine a liti, sia in sede giudiziaria che extragiudiziaria, tutelando l’interesse pubblico, a condizione che vengano rispettati i principi di razionalità, di logica, di convenienza e di correttezza gestionale.

La transazione deve avere ad oggetto “diritti disponibili” (art. 1966 comma 2 c.c.) e determina una rinnovazione del titolo. Tuttavia se il debito pregresso rientra tra i casi di debito fuori bilancio ex art. 194 Tuel, la transazione non ne muta la natura contabile.

La formulazione del comma 1, lett. b) n. 6) dell’art. 239 Tuel individua le materie nelle quali è obbligatorio il parere dell’organo di revisione. Si tratta di materie che, in base all’art. 42 ed all’art. 194 del Tuel, appartengono alla competenza funzionale del Consiglio. Ciò premesso, non è rilevante se l’ente intenda procedere alla definizione di un contenzioso giudiziale o stragiudiziale, quanto se, in ordine all’atto conclusivo del procedimento, debba pronunciarsi o meno il Consiglio, considerato che il parere deve essere reso al solo organo consiliare, il quale è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare la mancata adozione delle proposte espresse dall’organo di revisione.

L’Organo di revisione, nelle sue funzioni di controllo, deve verificare gli atti transattivi predisposti dai responsabili delle varie aree, e dalla stessa Giunta.

Utilizzando i parametri giurisprudenziali e di dottrina riportati nelle varie deliberazioni della Corte dei Conti (cfr Corte dei Conti Lombardia n.26/2008 e n.1116/2009, Corte dei Conti Puglia n.181/2013, Corte dei Conti Liguria n.5/2014, si possono, in sintesi, elencare i seguenti punti da verificare tecnicamente durante la fase dei controlli:

1) che il contenuto della transazione preveda concessioni reciproche;

2) il fatto che vi sia una controversia giuridica, che si tratti di diritti disponibili e a contenuto patrimoniale;

3) circa le modalità di formazione della volontà amministrativa: o si avrà a corredo un parere dell’avvocatura dell’ente, oppure si richiederà una relazione, di norma riservata al legale che assiste lo stesso Ente o del Responsabile del servizio che ne motiva l’opportunità e la convenienza;

4) che l’atto amministrativo deve essere motivato ed ispirato a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento e comunque non presentare caratteristiche di manifesta illogicità. Deve considerare la convenienza economica della transazione in relazione al rischio di causa, tenuto conto anche dell’andamento processuale.

Il parere dell’Organo di revisione, tenendo conto del quadro sostanzialmente delineato dalla dottrina e dai principi giurisprudenziali e consulenziali delle sezioni della Corte dei conti, deve tener conto dei seguenti criteri:

1)  ammissibilità della transazione (cfr. SRC Piemonte n. 344/2013/PAR – SRC Lombardia n. 1116/2009/PAR);

2)  correttezza della procedura;

3)  competenza ad autorizzare;

4)  dimostrazione della convenienza;

5)  corretta imputazione e finanziamento della spesa.

2.5. PARERE SULLE VARIAZIONI DI BILANCIO

L’art. 175 del Tuel concede la possibilità di variare il bilancio di competenza e di cassa per ciascuno dei tre esercizi oggetto di previsione. La competenza a deliberare le variazioni spetta non solo al Consiglio, ma anche all’organo esecutivo e ai responsabili della spesa, o in assenza di disciplina, al responsabile del servizio finanziario.

Il parere dell’Organo di revisione è necessario per le variazioni di competenza del Consiglio; per le variazioni di bilancio di competenza della Giunta o dei responsabili dei servizi non è previsto il parere, a meno che il parere non sia previsto dalle norme o dai principi contabili.

L’Organo di revisione, però, deve verificare in sede di esame del rendiconto della gestione, l’esistenza dei presupposti che hanno generato le variazioni di bilancio, dandone conto nella sua relazione, comprese quelle approvate in corso di esercizio.

 

Schema di sintesi delle variazioni con l’elencazione degli atti per i quali è obbligatorio il parere dell’organo di revisione.

 

Sono di competenza del Consiglio le variazioni che riguardano le unità di voto. Sono considerate unità di voto:

  •  per le entrate, la tipologia;

  •  per la spesa, il programma/titolo.

Le variazioni di bilancio di competenza del Consiglio devono essere deliberate entro il 30 novembre.

Le variazioni di competenza del Consiglio, deliberate dalla Giunta per motivi di urgenza debitamente motivate, devono, a pena di decadenza, essere ratificate dal Consiglio entro 60 giorni e comunque entro il 31 dicembre.

Il parere dell’Organo di revisione deve essere espresso sulla proposta di variazione al bilancio adottata dalla Giunta per motivi d’urgenza.

Nel caso di mancata o parziale ratifica, l’organo consiliare deve adottare, nei successivi 30 giorni e comunque non oltre il 31 dicembre, i provvedimenti necessari per i rapporti eventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata.

 

Nel caso di mancata definizione dei rapporti sorti, i relativi oneri non possono essere inseriti nel rendiconto della gestione. Deve, pertanto, essere attivata la procedura amministrativa di riconoscimento e finanziamento del debito fuori bilancio.

Nel caso di tipologie di entrate prive di stanziamento è possibile istituire la tipologia con stanziamento a zero con delibera del Consiglio.

Nelle variazioni di bilancio occorre verificare, da parte dell’organo di revisione, il rispetto di tutti gli equilibri di bilancio.

Sono vietate le variazioni tra residui e competenza.

L’assestamento generale deve essere deliberato dal Consiglio entro il 31 luglio, secondo l’art. 175 comma 8 del Tuel.

Il parere dell’organo di revisione sulla proposta di variazione al bilancio e sull’assestamento generale deve essere articolato in un giudizio di coerenza, attendibilità e congruità.

 

2.6. PARERE SULLA SALVAGUARDIA DEGLI EQUILIBRI

 

Ai sensi dell’art. 193 del Tuel il Consiglio, tranne diversa periodicità prevista dal regolamento di contabilità, ed almeno entro il 31 luglio, deve provvedere a dare atto del permanere degli equilibri di competenza e di cassa e, in caso di accertamento negativo, adottare le misure necessarie per ripristinare il pareggio qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo:

  •  di gestione di competenza;

  •  di amministrazione;

  •  di cassa;

  •  nella gestione dei residui.

    La mancata adozione del provvedimento di riequilibrio da parte del Consiglio, è parificata alla mancata approvazione del bilancio di previsione.

    L’art. 193 del Tuel enuncia l’obbligo di verifica degli equilibri per i quali spetta all’organo di revisione esprimere parere sull’eventuale proposta di deliberazione di variazione da sottoporre al Consiglio.

    I responsabili dei servizi ed il responsabile del servizio finanziario dovranno formulare apposite relazioni sullo stato di attuazione degli accertamenti e degli impegni e sulla sussistenza di eventuali debiti fuori bilancio.

    Superando precedenti orientamenti interpretativi, si rappresenta che, richiedendo l’art. 239 del Tuel un parere obbligatorio sulla verifica degli equilibri, anche in caso in cui la proposta di deliberazione dia atto del permanere degli equilibri generali di bilancio, e quindi non si traduca in una variazione dello stesso, è necessario il parere dell’Organo di revisione.

 

Verifiche sugli equilibri e vincoli

 

Per la gestione di competenza finanziaria occorre verificare:

l’equilibrio di parte corrente;
l’equilibrio di parte capitale;
il crono-programma lavori pubblici;

l’esistenza di debiti fuori bilancio e passività potenziali da riconoscere e finanziare;

verifica della congruità del Fondo Crediti Dubbia Esigibilità iscritto a bilancio Per la gestione di cassa:

che il risultato non sia negativo. Per la gestione dei residui:

l’accertabilità ed esigibilità dei residui attivi;

la congruità fondo crediti di dubbia esigibilità. Per il saldo di finanza pubblica:

il rispetto dell’equilibrio di competenza come previsto dall’allegato 10 al D.lgs. n.118/2011 al rendiconto.

Per gli organismi partecipati:

la necessità di finanziamenti in conto esercizio o contribuzione straordinaria;

la necessità di copertura di perdite anche infrannuali nel rispetto di quanto stabilito dal comma 552 dell’art. 1 della Legge n. 147/2013 e dal comma 5 dell’art. 14 del D.lgs. n. 175/2016.

Per la verifica sulla salvaguardia degli equilibri, occorre che alla proposta di deliberazione siano allegati:

  1. la relazione dei responsabili di settore sull’andamento delle entrate;

  2. la relazione della struttura preposta al controllo sulle società partecipate di cui all’art. 147 quater nonché, qualora sussista il caso, la relazione del legale rappresentante degli organismi partecipati soggetti al controllo analogo sullo stato di attuazione degli obiettivi, sull’andamento della gestione e su possibili squilibri economici;

  3. la dichiarazione di insussistenza dei debiti fuori bilancio rilasciata dai responsabili dei servizi o di esistenza di debiti con proposta di riconoscimento e finanziamento;

  4. la dichiarazione dei responsabili dei servizi e del responsabile del servizio finanziario attestante che non si profilano variazioni sostanziali nella consistenza dei residui attivi e passivi, rispetto alle determinazioni effettuate all’atto dell’approvazione del rendiconto;

  1. la dimostrazione che il fondo crediti di dubbia esigibilità accantonato nel risultato di amministrazione sia ancora adeguato in caso di gravi squilibri riguardanti la gestione dei residui;

  2. l’aggiornamento del prospetto dimostrativo della possibilità di raggiungere gli obiettivi del pareggio di bilancio;

  3. il prospetto dimostrativo aggiornato del rispetto del contenimento delle spese di personale;

  4. i prospetti dimostrativi degli altri vincoli di finanza pubblica.

2.7. MODALITÀ DI GESTIONE DEI SERVIZI E PROPOSTE DI COSTITUZIONE O DI PARTECIPAZIONE AD ORGANISMI ESTERNI

 

I pareri relativi alla modalità di gestione dei servizi e alle proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni sono obbligatori per evitare i riflessi negativi sul bilancio dell’ente dalle gestioni dei servizi affidati ad organismi partecipati.

Per gli enti con popolazione superiore a 15.000 abitanti l’art. 147 quater del Tuel prevede un sistema di controllo interno sulle società partecipate, con monitoraggio periodico al fine di evitare squilibri economico-finanziari.

I pareri riguardano sia le proposte di deliberazione di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni che le modalità di gestione dei servizi strumentali, pubblici locali a rilevanza economica e privi di rilevanza, sia gestiti direttamente che affidati all’esterno. Per l’approfondimento relativamente alle attività di vigilanza e controllo sugli organismi partecipati si rimanda al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n.10.

2.8. PROPOSTE DI REGOLAMENTO DI CONTABILITÀ, ECONOMATO-PROVVEDITORATO, PATRIMONIO E DI APPLICAZIONE DEI TRIBUTI LOCALI

 

L’Organo di revisione esprime parere sui regolamenti relativi alla contabilità, finanza e servizio di economato degli enti locali.

I regolamenti relativi ai tributi locali sono i seguenti:

  1. regolamento per la disciplina dell’IMU;

  2. regolamento per la disciplina della TARI;

  3. regolamento per la disciplina della TASI;

  4. regolamento per la disciplina dell’imposta di soggiorno;

  5. regolamentoperl’applicazioneaddizionalecomunaleIRPEF;

  6. regolamento per applicazione imposta di pubblicità e per l’effettuazione del servizio pubbliche affissioni;

  1. regolamento per l’occupazione del suolo e per l’applicazione del relativo canone;

  2. regolamentoperleentratecomunali;

  3. regolamento per la concessione di rateizzazione per il pagamento delle entrate comunali;

  4. regolamento per l’accertamento con adesione;

  5. regolamento sul diritto di interpello del contribuente.

La verifica deve essere fatta sulla completezza del regolamento e sul rispetto dell’autonomia demandata all’ente sull’autonoma regolamentazione.

Per i regolamenti tributari occorre verificare i principi di adeguatezza, trasparenza, e semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.

2.9. ULTERIORI PARERI OBBLIGATORI

 

 

Altri pareri obbligatori sono richiesti all’Organo di revisione dal Tuel e dai principi contabili anche su atti di Giunta e del responsabile del servizio finanziario.

In particolare, sono richiesti i seguenti pareri:

2.9.1. Parere su riaccertamento ordinario dei residui

Il riaccertamento ordinario dei residui è effettuato annualmente, con una deliberazione della Giunta, previa acquisizione del parere dell’Organo di revisione, in vista dell’approvazione del rendiconto.

Il riaccertamento annuale ordinario consiste nella verifica dei residui attivi e passivi finalizzata:

alla revisione delle ragioni del loro mantenimento in bilancio, in tutto o in parte (fondatezza giuridica ed esigibilità);

alla loro corretta imputazione secondo le modalità esplicitate dall’articolo 3, comma 4, del D.lgs. n. 118/2011.

Al termine delle procedure di riaccertamento non sono conservati residui cui non corrispondono obbligazioni giuridicamente perfezionate.

Sono residui attivi le entrate esigibili nell’esercizio di riferimento, ma non incassate; invece sono residui passivi le spese impegnate, liquidate o liquidabili nel corso dell’esercizio, ma non pagate.

Possono essere conservati tra i residui attivi le entrate accertate esigibili nell’esercizio di riferimento, ma non incassate. Possono essere conservate tra i residui passivi le spese impegnate, liquidate o liquidabili nel corso dell’esercizio, ma non pagate.

La deliberazione di riaccertamento ordinario è adottata dalla Giunta, previo parere dell’Organo di revisione.

La delibera di Giunta deve contenere:

  •  elenchi dei residui attivi e passivi da cancellare (con separata evidenza degli inesigibili);

  •  elenchi delle variazioni sui residui;

  •  elenchi dei residui attivi e passivi da reimputare perché non esigibili;

  •  la variazione di bilancio sull’esercizio di riferimento del rendiconto;

  •  la variazione di bilancio sull’esercizio in corso e sulle annualità successive, in relazione alle scadenze delle obbligazioni (rimodulazione Fondo pluriennale vincolato FPV);

  •  la reiscrizione di accertamenti ed impegni.

    La variazione al bilancio conseguente al riaccertamento ordinario deve essere trasmessa al tesoriere.

    È possibile effettuare, prima del riaccertamento ordinario, il riaccertamento parziale dei residui che consente la corretta reimputazione all’esercizio in corso di obbligazioni da incassare o pagare e inizialmente attribuite all’esercizio precedente.

    Il riaccertamento parziale garantisce il pagamento (e l’incasso) delle somme originariamente imputate all’esercizio precedente e per le quali la maturazione della condizione di esigibilità sorge nel corso dei primi mesi del nuovo esercizio.

    Il provvedimento è di competenza del responsabile del servizio finanziario che deve avvalersi di proposte dei singoli responsabili dei servizi e deve essere munito del parere dell’Organo di revisione.

    Il riaccertamento dei residui può essere effettuato anche nel corso dell’esercizio provvisorio, entro i termini previsti per l’approvazione del rendiconto. La variazione di bilancio necessaria alla reimputazione degli impegni e degli accertamenti all’esercizio in cui le obbligazioni sono esigibili, è effettuata, con delibera di Giunta, a valere sull’ultimo bilancio di previsione approvato. La delibera di Giunta è trasmessa al tesoriere.

    La ricognizione annuale dei residui attivi e passivi consente d’individuare:

a)  i crediti di dubbia e difficile esazione;

b)  icreditiriconosciutiassolutamenteinesigibili.L’inesigibilitàattieneallaverificadellecondizionidi fatto per la riscossione, che possono mancare anche in presenza delle condizioni legali per la stessa e in mancanza della dichiarazione di inesigibilità dell’agente per la riscossione;

c)  i crediti insussistenti, per l’avvenuta legale estinzione o per indebito o erroneo accertamento del credito;

d)  i debiti inesistenti o prescritti;

e)  i crediti e i debiti non correttamente iscritti in bilancio a seguito di errori materiali o di revisione della classificazione del bilancio, per i quali è necessario procedere ad una loro riclassificazione;

f) i crediti e i debiti imputati all’esercizio di riferimento che non risultano di competenza finanziaria di tale esercizio, per i quali è necessario procedere alla reimputazione contabile all’esercizio in cui il credito o il debito è esigibile.

 

L’Organo di revisione deve effettuare le verifiche come indicato al punto 9.1 del principio contabile applicato n. 4/2 allegato al D.lgs. 118/2011 e sono:

1) la fondatezza giuridica dei crediti accertati e dell’esigibilità del credito.

L’Organo di revisione deve acquisire l’elenco dei crediti per anno di formazione per accentuare il controllo su quelli costituiti in epoca più remota e verificare con motivate tecniche di campionamento la fondatezza giuridica (i residui attivi sono obbligazioni giuridiche per le quali l’ente ha attivato, o deve al più presto attivare, le azioni per il recupero anche mediante procedure coattive) e quindi oltre agli elementi indicati nell’art. 179 del Tuel, anche la comunicazione al debitore, le azioni fatte per il recupero e la percentuale d’inesigibilità;

2) l’affidabilità della scadenza dell’obbligazione prevista in occasione dell’accertamento o dell’impegno.

Dal riaccertamento possono risultare maggiori o minori crediti e debiti; mentre per i residui attivi il riaccertamento può dar luogo sia ad un incremento che ad una riduzione dell’ammontare complessivo dei residui, per i residui passivi il riaccertamento può dare luogo solo ad una riduzione degli stessi, salvo l’ipotesi di errata classificazione dei residui passivi nell’ambito del medesimo titolo di spesa.

È necessario procedere ad una rettifica in aumento dei residui attivi, e non all’accertamento di nuovi crediti di competenza dell’esercizio, in caso di riconoscimento di residui attivi cancellati dalle scritture in quanto valutati assolutamente inesigibili.

I residui passivi in sede di riaccertamento non possono avere una rettifica in aumento in base a un erroneo presupposto che l’entità della spesa non era prevedibile con certezza al momento dell’assunzione dell’impegno iniziale. Ogni comportamento difforme comporterebbe il riconoscimento del debito fuori bilancio e costituirebbe un grave errore contabile. L’unica eccezione a questa regola è prevista nel caso di regolarizzazione di pagamenti effettuati dal tesoriere entro il 31/12.

Su questa tematica interviene il punto 6.3 del citato principio contabile n. 4/2, che prevede che anche i pagamenti effettuati dal tesoriere per azioni esecutive non regolarizzati devono essere imputati all’esercizio in cui sono stati eseguiti.

Pertanto nel caso in cui alla fine di ciascun esercizio risultino pagamenti effettuati dal tesoriere nel corso dell’anno per azioni esecutive, non regolarizzati, in quanto nel bilancio non sono previsti i relativi stanziamenti e impegni, è necessario, nell’ambito delle operazioni di elaborazione del rendiconto, registrare l’impegno ed emettere il relativo mandato a regolarizzare il sospeso, anche in assenza del relativo stanziamento. In tal modo nel conto di bilancio, si rende evidente che la spesa è stata effettuata senza la necessaria autorizzazione.

L’Organo di revisione dovrà evidenziare nella relazione al rendiconto tale eccezione alla regola del limite autorizzatorio segnalando l’effetto prodotto sul risultato d’amministrazione e verificare che contestualmente all’approvazione del rendiconto, sia stato sottoposto al Consiglio il riconoscimento del relativo debito fuori bilancio con le motivazioni che non hanno consentito la necessaria variazione di bilancio.

L’emersione di debiti assunti dall’ente e non registrati quando l’obbligazione è sorta comporta la necessità di attivare la procedura amministrativa di riconoscimento del debito fuori bilancio, prima di impegnare le spese con l’imputazione all’esercizio in cui le relative obbligazioni sono esigibili. Nel caso in cui il riconoscimento intervenga successivamente alla scadenza dell’obbligazione, la spesa è impegnata nell’esercizio in cui il debito fuori bilancio è riconosciuto, utilizzando, per il finanziamento l’eventuale fondo costituito nel risultato di amministrazione in sede di rendiconto.

Le variazioni di bilancio derivanti dal riaccertamento ordinario sono trasmesse al tesoriere attraverso gli appositi prospetti, distinguendo i prospetti previsti nel caso in cui sia stato approvato il bilancio di previsione dell’esercizio in corso da quelli previsti in caso di esercizio provvisorio. In caso di esercizio provvisorio è necessario trasmettere al tesoriere anche l’elenco definitivo dei residui iniziali.

Regole da rispettare per il riaccertamento

Per i residui insussistenti e prescritti: occorre procedere all’eliminazione definitiva dal conto del bilancio dei residui non assistiti da obbligazione giuridica con una descrizione delle procedure seguite per la realizzazione dei crediti prima della loro estinzione.

Sono prescritti i residui attivi per i quali è intervenuta la prescrizione legale del diritto a riscuotere.

Il responsabile del servizio deve indicare le procedure seguite per conseguire il credito e le ragioni che hanno condotto alla prescrizione.

Ogni perdita di valore, se non adeguatamente motivata, può generare responsabilità.

Per i residui attivi inesigibili si procede all’eliminazione. Occorre motivare l’impossibilità di realizzare il credito, le attività poste in essere per la riscossione e i motivi dell’inesigibilità.

I crediti stralciati dal conto del bilancio devono essere elencati in allegato al rendiconto.

I crediti stralciati dal conto del bilancio possono essere mantenuti nello stato patrimoniale coperti dal fondo svalutazione crediti.

Per i residui di dubbia esigibilità occorre valutare il grado d’inesigibilità e fare l’accantonamento al Fondo crediti dubbia esigibilità FCDE.

È possibile procedere alla cancellazione del residuo attivo trascorsi tre anni dalla scadenza del credito, con contestuale iscrizione al conto del patrimonio. L’elenco è allegato al rendiconto.

Non possono rimanere in bilancio obbligazioni giuridiche che non siano scadute.
Un residuo non divenuto esigibile al 31/12 deve essere immediatamente cancellato e reimputato all’anno in cui diverrà esigibile.

 

La reimputazione consiste nell’iscrizione nell’anno in cui giunge a scadenza l’obbligazione, attraverso un incremento della previsione per l’importo reimputato.

I residui attivi non scaduti vanno reimputati attraverso la cancellazione dal rendiconto e la successiva reimputazione nell’esercizio in cui giungono a scadenza.

Eccezioni per i residui passivi

È consentita la cancellazione dell’impegno con contestuale iscrizione nel fondo pluriennale vincolato per la spesa corrispondente ai quadri economici progettuali delle opere pubbliche se ci sono voci di costo cui non corrisponde ancora un’obbligazione giuridica perfezionata purché sia presente una delle seguenti due condizioni:

  • sia stata formalmente indetta la gara (in assenza di aggiudicazione entro l’anno successivo le risorse confluiscono nell’avanzo vincolato);

  • sia stata sostenuta una spesa del quadro economico che manifesti l’inequivocabile volontà dell’ente di dar avvio all’investimento (escluse le spese di progettazione).

    L’ente ha un anno di tempo per aggiudicare definitivamente la gara e perfezionare l’impegno. In caso contrario la spesa costituisce economia.

    Le economie da ribasso d’asta continuano a essere finanziate da FPV se interviene formale rideterminazione del quadro economico dell’opera entro il termine di 2 anni.

    Riclassificazione dei residui

    In occasione del riaccertamento ordinario dei residui è necessario verificare la corretta “classificazione” dei residui.

    Riclassificazione dei residui attivi e passivi nello stesso titolo: si provvede alla rettifica in aumento e alla contestuale diminuzione in modo tale che il totale dei residui per titoli resti invariato.

    Per i residui attivi, nel caso in cui il residuo sia spostato in un titolo di entrata diverso da quello inizialmente attribuito, si opera una rettifica in aumento e una corrispondente riduzione e non un accertamento di nuovi crediti in competenza dell’esercizio, fermo restando la verifica degli equilibri finanziari.

    Nel caso dei residui passivi, la riclassificazione su diversi titoli di bilancio, comporta la rideterminazione delle relative coperture. La procedura amministrativa da seguire è quella tipica del riconoscimento della legittimità di un debito fuori bilancio.

    Analisi dei residui mantenuti

    Maggiori residui attivi

    In caso di maggiori residui attivi, si provvede all’incremento del residuo attivo e non all’accertamento di nuovi crediti nell’esercizio di competenza.

 

 

Maggiori residui passivi

L’eventuale accertamento di maggiori debiti comporta la necessità di attivare la procedura amministrativa di riconoscimento del debito fuori bilancio.

Nel caso in cui il riconoscimento intervenga successivamente alla scadenza dell’obbligazione, la spesa deve essere impegnata nell’esercizio in cui il debito fuori bilancio è riconosciuto.

Presupposti per il mantenimento dei residui

Le spese possono essere conservate a residuo passivo se entro il 31 dicembre:

  • è stato emesso stato di avanzamento lavori;

  • è stata completata la prestazione o consegnata la fornitura.

    Sono considerate esigibili, e quindi liquidabili, le spese impegnate nell’esercizio precedente relative a prestazioni o forniture rese nel corso dell’esercizio precedente le cui fatture pervengono nei due mesi successivi alla chiusura dell’esercizio o per le quali il responsabile della spesa dichiara, sotto la propria responsabilità valutabile a ogni fine di legge, che la spesa è liquidabile in quanto la prestazione è stata resa o la fornitura è stata effettuata nell’anno di riferimento.

    Il residuo passivo cancellato e reimputato conserva la copertura che l’impegno aveva nell’esercizio in cui era stato inizialmente imputato.

    La reimputazione degli impegni è effettuata incrementando, di pari importo, il fondo pluriennale di spesa, al fine di consentire, nell’entrata degli esercizi successivi, l’iscrizione del fondo pluriennale vincolato a copertura delle spese reimputate.

    Il FPV da riaccertamento ordinario rappresenta la copertura d’impegni registrati nell’esercizio oggetto di rendicontazione o negli esercizi precedenti che diverranno esigibili negli esercizi successivi, a prescindere dalla natura vincolata o meno delle entrate che finanziano la spesa stessa.

    Il fondo pluriennale vincolato deve essere distinto per fonti di finanziamento. È opportuno creare diversi capitoli e articoli perché in caso di economie occorre farle confluire nell’appropriato fondo del risultato di amministrazione.

    Eliminazione di un residuo passivo finanziato con entrata a destinazione vincolata

    Nel caso di eliminazione, totale o parziale, di un residuo passivo finanziato con entrata a destinazione vincolata l’economia conseguente manterrà, per il medesimo ammontare, lo stesso vincolo applicato all’avanzo di amministrazione. Tale quota di avanzo è immediatamente applicabile al bilancio.

    Le variazioni sul bilancio dell’esercizio precedente

    In sede di riaccertamento ordinario è necessario assestare le previsioni di spesa e il correlato fondo pluriennale vincolato:

 

si diminuiranno gli stanziamenti di spesa dell’importo relativo ai residui reimputati;
si aumenterà lo stanziamento del correlato fondo pluriennale vincolato per un importo pari a

quello del residuo passivo reimputato.

È opportuno provvedere a verificare il FPV accantonato in spesa se sia alimentato da un’entrata che non sia stata accertata ed imputata.

Impegni di spesa non esigibili nell’esercizio

Nel bilancio dell’esercizio in cui era imputato il residuo da cancellare si aumenta il FPV. Nel bilancio dell’esercizio in corso s’incrementa il FPV costituito nell’entrata per un importo pari a quello dell’impegno cancellato. Nel bilancio in cui la spesa è reimputata s’incrementa o s’iscrive lo stanziamento di spesa necessario per la reimputazione.

Le variazioni sul bilancio dell’esercizio in corso

Con la reimputazione degli impegni e degli accertamenti cancellati occorre variare gli stanziamenti necessari disponendo contestualmente la destinazione temporale degli accertamenti e degli impegni correlati, a bilancio approvato. Di conseguenza vanno ridefiniti e verificati i corrispondenti stanziamenti di cassa.

In tal caso occorre verificare e adeguare le previsioni del fondo pluriennale vincolato in uscita sulla base dell’importo degli impegni rinviati agli esercizi successivi.

2.9.2. Parere sul DUP e aggiornamento al DUP

Il DUP deve essere predisposto dalla Giunta secondo lo schema dettato dal principio contabile applicato alla programmazione (Allegato n. 4/1 al D.lgs. n. 118/2011).

Per approfondimenti si rinvia al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n.3 – controlli sugli atti di programmazione e sul bilancio di previsione.

2.9.3. Parere sul piano di rientro del disavanzo di amministrazione

L’Organo di revisione deve verificare:

  1. cheildisavanzodiamministrazionesiaimmediatamenteapplicatoall’esercizioincorsodigestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto (salva la facoltà di ripianare negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della consigliatura, contestualmente all’adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo di cui al punto successivo), tenendo conto che la mancata adozione della delibera è equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione;

  2. chesiacontestualmenteadottataunadeliberaconsiliare,previopareredell’Organodirevisione, che approva il piano di rientro ed individua i mezzi necessari per ripristinare il pareggio;

  1. cheaifinidelrientrosianostateutilizzateleeconomiedispesaetutteleentrate,adeccezionedi quelle provenienti dall’assunzione di prestiti e di quelle con specifico vincolo di destinazione, nonché i proventi da alienazione di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con riferimento a squilibri di parte capitale, tenendo conto che ai fini del rientro, in deroga all’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006 n. 296, l’ente può modificare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di propria competenza;

  2. che la delibera di ripiano contenga l’analisi delle cause che hanno determinato il disavanzo, l’individuazione di misure strutturali dirette ad evitare ogni ulteriore potenziale disavanzo, e che sia allegata al bilancio di previsione e al rendiconto, costituendone parte integrante;

  3. esprimendo apposito parere, l’attendibilità della relazione, con periodicità almeno semestrale, riguardante lo stato di attuazione del piano di rientro che il Sindaco o il presidente devono tramettere al Consiglio;

  4. che l’eventuale ulteriore disavanzo formatosi nel corso del periodo considerato nell’originario piano di rientro sia coperto non oltre la scadenza di rientro in corso.

2.9.4. Parere sul piano di riequilibrio finanziario

Gli artt. 243-bis, ter e quater del Tuel introducono la nuova procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (di seguito PRFP).

Si tratta di una procedura di rientro, speciale e straordinaria, prevista in alternativa a quella di dissesto, attivabile quando, da un lato, non ci sono risorse sufficienti a ripristinare gli equilibri nei modi e nei tempi degli artt. 193 e 194 del TUEL, e, dall’altro, ci sono ragionevoli margini di recupero entro un orizzonte temporale allargato, da quattro al massimo di 20 anni. È opportuno, in tali casi, che sia stato preliminarmente approvato il bilancio di previsione o constatata l’impossibilità di recuperare gli equilibri in sede di assestamento.

La Corte dei Conti sez. regionale per la Calabria, con deliberazione n. 11/2014, allo stesso tempo, ha specificato che l’alternatività non si può spingere a ritenere il PRFP un mezzo sostitutivo alla dichiarazione di dissesto ai sensi dell’art. 244 del Tuel, poiché in determinate circostanze il dissesto è l’unico rimedio esperibile.

Il PRFP, infatti, non può essere trasformato in uno strumento dilatorio di una situazione di dissesto finanziario e funzionale ormai inevitabile: se le condizioni dello squilibrio sono tali da compromettere la continuità amministrativa nello svolgimento delle funzioni o se lo squilibrio finanziario è tale da non essere ripianabile, ragionevolmente nei termini previsti dal comma 5 bis dell’ 243 bis del Tuel come modificati all’art.1 comma 888 della legge 205/2017, è dunque precluso l’accesso alla procedura. Tale preclusione potrà essere accertata con una delibera di diniego del piano da parte della Corte dei conti competente, con tutte le conseguenze di legge (Conte dei Conti, Sezione controllo della Campania n. 250/2015/PRSP, n. 54/2016/PRSP, n. 119/2016/PRSP, n. 53/2016/PRSP).

Le due procedure, dunque, sono alternative solo nella misura in cui vi è coincidenza di presupposto

62

(c.d. dissesto “per ragioni finanziarie”, cfr. artt. 244 e 243-bis Tuel, consistente, in sostanza, nell’incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni ricorrendo ai mezzi ordinari ex art. 193 Tuel) e tale situazione sia ragionevolmente superabile nei tempi massimi previsti dall’art.243 bis del Tueli; in tale caso la legge ammette il PRFP che comporta l’adozione di una serie specifica e qualificata di misure e determinare un rafforzamento dei controlli interni ed esterni (sia in fase di approvazione, sia in fase di attuazione del PRFP).i.

Se invece il dissesto è di tipo “funzionale” (l’”ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili” che di fatto coincide con un dissesto finanziario “aggravato”, cioè non ripianabile in 10 anni), non rimane che l’unica via della dichiarazione ex art. 244 Tuel con le relative conseguenze e procedure di legge (cfr. Corte dei Conti deliberazione n. 2/AUT/2012/QMIG del 26 gennaio 2012 e SS.RR. n. 34/2014/EL). In questa seconda ipotesi, è obbligatorio segnalare al Consiglio e alla Corte dei Conti, sin da subito, la sussistenza delle condizioni per l’obbligatoria dichiarazione di dissesto, con apertura della procedura concorsuale per i creditori (art. 248, comma 2, Tuel) e l’esercizio provvisorio nei termini stabiliti dalla legge (art. 250 Tuel), sino alla ridefinizione di uno “stabile riequilibrio” (art. 259 e ss. Tuel).

Tanto premesso, occorre precisare che “oggetto” del piano di riequilibrio, alla stregua del dissesto, è il disavanzo sostanzialmente determinato e previamente formalizzato, tramite una sistematica attività di ricognizione di passività e debiti fuori bilancio da riconoscere.

Per la sua quantificazione, è essenziale la procedura di riaccertamento straordinario ai sensi dell’art. 243 bis, comma 8, lett. e) del Tuel, che impone lo stralcio dei crediti inesigibili e/o di dubbia esigibilità. L’ente è altresì tenuto a una ricognizione dei debiti fuori bilancio riconoscibili.

Parallelamente, deve essere effettuata una sistematica attività di accertamento delle posizioni debitorie aperte con il sistema creditizio e dei procedimenti di realizzazione delle opere pubbliche ad esse sottostanti ed una verifica della consistenza ed integrale ripristino dei fondi delle entrate con vincolo di destinazione.

La prossimità con la procedura di dissesto è evidente nella disciplina della fase prodromica all’eventuale valutazione di diniego del piano. Infatti, (a differenza che nel ripiano art. 193 Tuel) l’avvio della procedura è determinata da una prima delibera del Consiglio comunale che determina, ancor prima dell’approvazione del piano, la sospensione delle azioni esecutive, le quali restano in tale stato fino alla data di approvazione o diniego del piano di riequilibrio pluriennale da parte della Corte dei conti (art. 243 bis, comma 1, Tuel).

È quindi determinante considerare, in sede di valutazione del piano, se le procedure esecutive iniziate, seppur sospese, non possano avere conseguenze sulla sostenibilità del risanamento, determinando una latente condizione di illiquidità.

Entro 90 giorni dall’esecutività della delibera, il Consiglio adotta il piano di riequilibrio finanziario della durata compresa tra 4 e 20 anni, compreso quello in corso, corredato dal parere dell’organo di revisione e, quindi, trasmesso alla competente Sezione Regionale di controllo della Corte dei conti e alla Commissione per la stabilità finanziaria degli EE.LL. presso il Ministero dell’Interno.

 

 

2.9.4.1. Il piano di riequilibrio: contenuto ed effetti

Il piano di riequilibrio finanziario pluriennale deve tenere conto di tutte le misure necessarie a superare le condizioni di squilibrio rilevate.

Le misure previste sono più estese e incisive di quelle di cui agli artt. 193 e 194 del Tuel. Infatti, l’ente, a titolo esemplificativo, ha la facoltà di:

  1. ripianareildisavanzodiamministrazioneaccertatoefinanziareidebitifuoribilancionelperiodo massimo di dieci anni;

  2. concordare con i creditori, ai fini del finanziamento dei debiti fuori bilancio, un piano di rateizzazione della stessa durata del piano di riequilibrio;

  3. assumere mutui per la copertura dei debiti fuori bilancio riferiti a spese di investimento in deroga ai limiti dell’art. 204, comma 1, del Tuel;

  4. incrementare le aliquote e le tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita, anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente;

  5. accedere al fondo di rotazione di cui all’art. 243-ter del Tuel.

Il piano deve essere costruito in modo tale che a regime sia raggiunto l’equilibrio di bilancio corrente e che le entrate di competenza siano di entità tale da finanziare le spese di competenza, e l’eventuale esposizione debitoria pregressa accumulata, assicurando anche un margine di sicurezza per fronteggiare eventuali criticità impreviste. A tal fine deve, comunque, contenere:

  1. la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio;

  2. le eventuali misure correttive adottate dall’ente locale in considerazione dei comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno (ora pareggio di bilancio) accertati dalla competente sezione regionale della Corte dei Conti;

  3. l’individuazione, con relativa quantificazione e previsione dell’anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l’equilibrio strutturale del bilancio, per l’integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio entro il periodo massimo di dieci anni, a partire da quello in corso alla data di accertamento del piano;

  4. l’indicazione,perciascunodegliannidelpianodiriequilibrio,dellapercentualediriassorbimento del disavanzo di amministrazione e dei debiti fuori bilancio da finanziare.

Per tutta la durata del piano l’ente:

  •  è soggetto ai controlli in materia di copertura di costo di alcuni servizi, speculari a quelli previsti per gli enti strutturalmente deficitari di cui all’art. 243, comma 2 Tuel, ed è tenuto ad assicurare la copertura dei costi della gestione dei servizi a domanda individuale prevista dalla lett. a) del medesimo art. 243, comma 2;

  •  è tenuto ad assicurare, con i proventi della relativa tariffa, la copertura integrale dei costi della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e del servizio acquedotto;

  •  è soggetto al controllo sulle dotazioni organiche e sulle assunzioni del personale previsto dall’art. 243, comma 1 Tuel;

  •  è tenuto ad effettuare una rigorosa revisione della spesa con indicazione di precisi obiettivi di riduzione della stessa, nonché una verifica dei costi di tutti i servizi erogati dall’ente e della situazione di tutti gli organismi e società partecipate e dei relativi costi e oneri comunque a carico del bilancio dell’ente.

    2.9.4.2. Check list per il raggiungimento dell’obiettivo di riequilibrio pluriennale

    La procedura di riequilibrio finanziario pluriennale deve avere il seguente contenuto necessario e/o facoltativo ex art. 243-bis commi 8 e 9 TUEL

A Misure in caso di non adesione al fondo di rotazione a.1. Misure obbligatorie

1

2

3 copertura dei servizi a domanda individuale 4

a.2. Misure facoltative

riaccertamento straordinario dei residui strumentale alla corretta quantificazione dell’obiettivo di riequilibrio. Si evidenzia che devono essere stralciati i crediti non solo inesigibili, ma in linea di massima anche tutti quelli qualificabili come di “dubbia esigibilità”

copertura integrale dei costi della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e del servizio acquedotto con i proventi della relativa tariffa

rigorosa revisione della spesa con indicazione di precisi obiettivi di riduzione della stessa, nonché una verifica e relativa valutazione dei costi di tutti i servizi erogati dall’ente e della situazione di tutti gli organismi e delle società partecipate e dei relativi costi e oneri comunque a carico del bilancio dell’ente

65

A Misure in caso di non adesione al fondo di rotazione

5

6

B In caso di adesione al fondo di rotazione, si aggiungono i seguenti contenuti obbligatori

  1. 7  esercizio della facoltà di aumento massimo dei tributi locali

  2. 8  rideterminazione della dotazione organica ai sensi dell’articolo 259, comma 6 Tuel

9

10

11

12

13

2.9.4.3. I controlli dell’organo di revisione

L’Organo di revisione deve esprimere un parere sulla proposta di deliberazione che l’organo consiliare deve adottare entro 90 giorni dalla data dell’esecutività della delibera di ricorso al PRFP.

Per esprimere tale parere l’Organo di revisione deve verificare che il PRFP ricostruisca correttamente l’obiettivo di riequilibrio (il disavanzo sostanziale al lordo dei debiti fuori bilancio da ripianare) e che contenga le misure di cui alla sopra riportata check list, in misura adeguata e attendibile, tale da ripianare lo squilibrio rilevato entro l’orizzonte temporale fissato.

facoltà di elevare aliquote o tariffe dei tributi locali, nella misura massima consentita dalla legge (obbligatoria in caso di adesione al fondo di rotazione)

rideterminazione della pianta organica ex art. 259, comma 6 Tuel (obbligatoria in caso di adesione al fondo di rotazione)

previsione dell’impegno ad alienare i beni patrimoniali disponibili non indispensabili per i fini istituzionali

blocco immediato dell’indebitamento, fatto salvo quanto previsto per i soli mutui connessi alla copertura di debiti fuori bilancio pregressi

spending review obbligatoria, segnatamente a decorrere dall’esercizio finanziario successivo, riduzione delle spese di personale, attraverso l’eliminazione dai fondi per il finanziamento della retribuzione accessoria del personale dirigente e di quello del comparto, delle risorse di cui agli articoli 15, comma 5, e 26, comma 3 del CCNL del 1999, per la quota non connessa all’effettivo incremento delle dotazioni organiche

riduzione almeno del 10% delle spese per prestazioni di servizi, di cui all’ex intervento 03 della spesa corrente (ora voce di spesa “acquisto di servizi” del macroaggregato “acquisti di beni e servizi”)

riduzione almeno del 25% delle spese per trasferimenti, di cui all’ex intervento 05 della spesa corrente, (ora macroaggregato “trasferimenti correnti”) finanziate attraverso risorse proprie

 

In particolare deve:

  1. verificare che la massa passiva sia completa e non sottostimata e comprenda anche i debiti fuori bilancio ed eventuali passività potenziali rese note;

  2. valutare l’attendibilità delle misure individuate nel piano cioè l’effettiva probabilità di realizzo delle medesime (in particolare se misure straordinarie, come previsione di recupero evasione, vendita di immobili ecc.).

L’Organo di revisione, ai sensi dell’art. 243-quater, comma 6 del Tuel, deve trasmettere al Ministero dell’Interno e alla competente Sezione regionale della Corte dei Conti:

  1. entro quindici giorni successivi alla scadenza di ciascun semestre, una relazione sullo stato di attuazione del piano e sul raggiungimento degli obiettivi intermedi del piano stesso;

  2. entro il 31 gennaio dell’anno successivo all’ultimo di durata del piano, una relazione finale sulla completa attuazione dello stesso e sugli obiettivi di riequilibrio raggiunti.

Analogamente, l’Organo di revisione deve esprimere un parere in caso di rimodulazione o riformulazione del piano ai sensi di legge (Sez. Autonomie n. 13/2016, su art. 1, comma 714 e ss. della legge n. 208/2015); ad esempio l’Organo di revisione è altresì chiamato ad esprimere un proprio parere in due casi tipici di rimodulazione, segnatamente: nel caso in cui venga eletta una nuova amministrazione che, prima del pronunciamento della Corte dei Conti, intenda rimodulare il piano, ovvero se, durante la fase di attuazione del piano, dovesse emergere un grado di raggiungimento degli obiettivi intermedi superiore rispetto a quello previsto e l’ente intenda ridurre la durata del piano medesimo (art. 243-bis comma 5 e comma 7-bis).

2.9.5. Parere su variazioni bilancio in esercizio provvisorio per utilizzo avanzo vincolato

Nel corso dell’esercizio provvisorio, per garantire la prosecuzione o l’avvio di attività soggette a termine o scadenza, il cui mancato svolgimento determinerebbe danno per l’ente, è consentito l’utilizzo delle quote vincolate dell’avanzo di amministrazione sulla base di una relazione documentata del dirigente competente. A tal fine, dopo avere acquisito il parere dell’Organo di revisione, la Giunta delibera una variazione del bilancio in corso di gestione che predispone l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione vincolato determinato sulla base di dati di pre-consuntivo dell’esercizio precedente.

Sono altresì consentite, con deliberazione di Giunta, le variazioni compensative tra le dotazioni delle missioni e dei programmi limitatamente alle spese per il personale, conseguenti a provvedimenti di trasferimento del personale dell’ente.

2.9.6. Parere sulla proposta di miglioramento su beni di terzi

Nel caso in cui l’ente apporti miglioramenti non obbligatori per legge su immobili di terzi, l’atto di impegno deve motivare la convenienza per l’ente ad effettuare tale miglioramento e su tale motivazione l’Organo di revisione è tenuto ad esprimere parere come previsto dal paragrafo 4.18 dell’Allegato n. 4/3 al D.lgs. n. 118/2011.

Deve trattarsi di miglioramenti da iscrivere nell’attivo patrimoniale tra le immobilizzazioni immateriali e da ammortizzare nel periodo più breve tra quello in cui le migliorie possono essere utilizzate e quello di durata del contratto di locazione.

Possono essere iscritte nel patrimonio e solo su queste è richiesto il parere dell’Organo di revisione, le manutenzioni che si traducono in ampliamento, ammodernamento o miglioramento degli elementi strutturali del bene, che si traducono in un effettivo aumento significativo e misurabile di:

  •  capacità

  •  produttività

  •  sicurezza

  •  vita utile del bene.

2.10. FUNZIONE DI VIGILANZA

 

Le funzioni di vigilanza dell’Organo di revisione sono statuite dal 1° comma dell’articolo 239 del Tuel alla lettera c) e più precisamente:

vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all’acquisizione delle entrate, all’effettuazione delle spese, all’attività contrattuale all’amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità; l’organo di revisione svolge tali funzioni anche con tecniche motivate di campionamento; e dall’art. 147-quinquies del Tuel):
la vigilanza sul sistema di controllo degli equilibri finanziari. Non compete all’Organo di revisione esprimere giudizio in merito alle scelte operate dall’ente locale nell’esercizio della propria autonomia, posto che le sezioni di controllo della Corte dei Conti hanno affermato che “spetta agli enti locali, nell’ampio margine della discrezionalità amministrativa, valutare i bisogni della collettività e concorrere al loro soddisfacimento in base alle risorse disponibili”, nell’ottica della funzionale allocazione delle risorse.

La caratteristica delle funzioni dell’Organo di revisione ne esclude la possibilità di far parte, come componente, del nucleo di valutazione dell’ente o dell’organismo indipendente di valutazione.

L’attività di vigilanza da parte dell’Organo di revisione si svolge nell’arco temporale dell’esercizio finanziario e riguarda:

  •  gli atti di programmazione, gestione e rendicontazione;

  •  la vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione, intesa come controllo concomitante per verificare se la gestione si svolge applicando i principi contabili generali allegati al D.lgs. n.118/2011 suggerendo, nel caso, eventuali azioni correttive che si rendano necessarie;

  •  la vigilanza sugli equilibri finanziari (anche di cassa);

  •  la vigilanza sulla gestione economica;

  •  l’analisi dei risultati;

  •  la vigilanza sugli organismi partecipati intesa anche come verifica della congruità dei contratti di servizio, nell’ottica del perseguimento del principio di sana gestione finanziaria per assicurare il mantenimento degli equilibri ed evitare forme elusive del rispetto dei saldi di finanza pubblica. Tale controllo dell’Organo di revisione non riguarda la regolarità dei bilanci e della contabilità di tali organismi bensì gli effetti che i loro andamenti hanno o possono avere sugli equilibri economici e finanziari dell’ente locale (per approfondimenti si rimanda allo specifico principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali – controlli sugli organismi partecipati n.10.)

    La vigilanza sul rispetto dei vincoli giuridici e contabili non deve limitarsi ad aspetti formali ma deve essere estesa al controllo degli aspetti sostanziali di natura finanziaria, patrimoniale ed economica della gestione.

    In caso di mancata vigilanza e segnalazione, con dolo o colpa grave, l’Organo di revisione può essere chiamato a rispondere solidalmente del danno arrecato. Tale ipotesi si configura anche in caso di omissioni (per inadempimento di doveri), per il danno che non si sarebbe verificato, o sarebbe stato eliminato o ridotto, se i revisori avessero tenuto una condotta diligente e finalizzata a sollecitare una correzione o a mettere in atto interventi tempestivi.

    Nell’ambito di queste attività di sottoscrizione/asseverazione si elencano i seguenti documenti:

  1. sottoscrizione del certificato al bilancio di previsione e del certificato al rendiconto;

  2. sottoscrizione del prospetto delle spese di rappresentanza;

  3. asseverazione della relazione di fine mandato provinciale e comunale;

  4. verifiche in merito ai piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa;

  5. certificazione del rispetto degli obiettivi annuali dei saldi di finanza pubblica;

  6. verifica conto annuale delle spese di personale (per approfondimenti si rimanda al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n.6);

  7. certificazionecompatibilitàdeicostidellacontrattazioneintegrativaedeisuoiistituticontrattuali e del limite del trattamento accessorio (per approfondimenti si rimanda al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n.6);

  8. asseverazione dei crediti/debiti con gli enti strumentali e le società partecipare (per approfondimenti si rimanda al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n. 10);

9. asseverazione del trasferimento di risorse umane nei casi di esternalizzazione dei servizi (per approfondimenti si rimanda al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n. 10);

L’Organo di revisione dovrà sottoscrivere eventuali nuovi documenti se richiesti da specifiche norme di legge.

2.10.1. Certificazione bilancio di previsione e rendiconto

L’Organo di revisione sino all’esercizio 2018 deve sottoscrivere digitalmente il certificato al bilancio di previsione e il certificato al rendiconto previsti dall’articolo 161 del D.Lgs. n. 267/2000. I documenti disciplinati ogni anno da decreti del Ministero dell’Interno, devono essere firmati anche dal Segretario e dal responsabile del servizio finanziario. L’Organo di revisione deve altresì vigilare sull’invio della certificazione nei termini. La mancata presentazione comporta la sospensione del pagamento delle risorse finanziarie dovute dal Ministero dell’Interno e, con riferimento al certificato al rendiconto, la sottoposizione dell’ente ai controlli centrali previsti per gli enti strutturalmente deficitari.

2.10.2. Spese di rappresentanza

L’Organo di revisione deve sottoscrivere il prospetto delle spese di rappresentanza allegato ogni anno al rendiconto secondo la disciplina prevista dall’articolo 16, comma 26 del Dl 138/2011. Per la verifica della correttezza di quanto riportato nel prospetto si rinvia al principio di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali n. 7. Il prospetto è sottoscritto anche dal responsabile del servizio finanziario e dal segretario. L’Organo di revisione deve altresì vigilare che entro dieci giorni il prospetto sia trasmesso alla locale sezione regionale di controllo della Corte dei conti e pubblicato sul sito istituzionale dell’ente.

2.10.3. Attestazione sulla relazione di fine mandato

L’Organo di revisione deve sottoscrivere la relazione di fine mandato secondo quanto previsto dall’articolo 4 del D.L. n. 149/2011 entro quindici giorni dalla sottoscrizione da parte del Sindaco o del Presidente della provincia o città metropolitana. Entro i successivi tre giorni la relazione deve essere trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti. Nel caso di scioglimento anticipato del Consiglio la sottoscrizione della relazione e la certificazione da parte degli organi di controllo interno devono avvenire entro venti giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni.

L’Organo di revisione attesta che i dati esposti nella relazione, nel rispetto dello schema previsto dal Ministero dell’Interno, sono veritieri e corrispondono ai dati economico-finanziari presenti nei documenti dell’ente.

L’Organo di revisione verifica che la relazione di fine mandato sia pubblicata sul sito istituzionale dell’ente entro e non oltre i sette giorni successivi alla data di certificazione, con l’indicazione della data di trasmissione alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.

 

2.10.4. Ulteriori vincoli di finanza pubblica in materia di contenimento della spesa

Il Legislatore ha attuato, attraverso una serie di provvedimenti normativi, un processo di contenimento e di vincoli della spesa pubblica degli enti locali finalizzato alla riduzione e razionalizzazione di specifiche tipologie di spesa che presentano un andamento di crescita, da tenere in considerazione nell’ambito della predisposizione del bilancio di previsione e nelle successive fasi di gestione e rendicontazione.

Gli enti locali devono concorrere al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica anche mediante la riduzione di spese, con l’obiettivo di pervenire ad un miglioramento dei saldi di bilancio di ciascuna amministrazione e favorire il processo prioritario di risanamento dei conti pubblici.

Per facilitare l’attività di controllo da parte dell’Organo di revisione, si riportano di seguito i principali vincoli di finanza pubblica in materia di contenimento della spesa, unitamente ai riferimenti normativi e giurisprudenziali.

Occorre inoltre evidenziare, che la Legge di bilancio 2019 ha previsto che a decorrere dall’esercizio 2019, ai comuni e alle loro forme associative che approvano il bilancio consuntivo entro il 30 aprile e il bilancio preventivo dell’esercizio di riferimento entro il 31 dicembre dell’anno precedente non trovano applicazione le disposizioni sui limiti di spesa ed altri vincoli che prevedono:

  •  l’obbligo di comunicazione al Garante delle telecomunicazioni delle spese pubblicitarie effettuate nel corso di ogni esercizio finanziario, con deposito di riepilogo analitico (di cui all’articolo 5, commi 4 e 5, della legge n.67/1987);

  •  l’obbligo di adozione, ai fini del contenimento delle spese di funzionamento, di piani triennali per l’individuazione di misure finalizzate alla razionalizzazione dell’utilizzo delle dotazioni strumentali che corredano le stazioni di lavoro nell’automazione d’ufficio, delle autovetture di servizio, dei beni immobili ad uso abitativo o di servizio (articolo 2, comma 594, della legge n.2004/2007);

  •  l’obbligo di contenere le spese di missione che non possono superare il 50% della spesa sostenuta nel 2009 e il 30% della spesa sostenuta nel 2011 e le spese per acquisto, manutenzione e noleggio di autovetture che non possono superare l’80% della spesa sostenuta nel 2009 (articolo 6, commi 12 e 14, del decreto-legge n. 78/2010 e articolo 5, comma 2, del decreto-legge n.95/2012);

  •  l’obbligo di attestare con idonea documentazione, da parte del responsabile del procedimento, che gli acquisti di immobili siano indispensabili e non dilazionabili (articolo 12, comma 1-ter, del decreto-legge n.98/2011);

  •  specifici obblighi volti a ridurre, anche attraverso il recesso contrattuale, le spese per locazione e manutenzione di immobili (articolo 24 del decreto-legge n.66/2014).

    2.10.4.1. Piano triennale di contenimento della spesa di funzionamento (art. 2, commi 594 – 598 della legge 244/2007)

    La legge n. 244 del 24/12/2007, (legge finanziaria 2008), prevede alcune rilevanti disposizioni dirette

al contenimento e alla razionalizzazione delle spese di funzionamento delle pubbliche amministrazioni. In particolare, l’art. 2, comma 594 prevede che ai fini del contenimento delle spese di funzionamento delle proprie strutture, le amministrazioni pubbliche adottino piani triennali per l’individuazione di misure finalizzate alla razionalizzazione dell’utilizzo:

a)  delle dotazioni strumentali, anche informatiche, che corredano le stazioni di lavoro nell’automazione d’ufficio;

b)  delle autovetture di servizio, attraverso il ricorso, previa verifica di fattibilità, a mezzi alternativi di trasporto, anche cumulativo;

c)  dei beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali.

Nei piani devono essere indicate le misure dirette a circoscrivere l’assegnazione di apparecchiature di telefonia mobile ai soli casi in cui il personale debba assicurare, per esigenze di servizio, pronta e costante reperibilità e limitatamente al periodo necessario allo svolgimento delle particolari attività che ne richiedono l’uso, individuando, nel rispetto della normativa sulla tutela della riservatezza dei dati personali, forme di verifica, anche a campione, circa il corretto utilizzo delle relative utenze (art. 2, comma 595).

Il comma 596 dispone che nei casi in cui gli interventi esposti nel piano triennale implichino la dismissione di dotazioni strumentali, lo stesso piano è corredato della documentazione necessaria a dimostrare la congruenza dell’operazione in termini di costi e benefici.

Il comma 597 impone alle amministrazioni pubbliche di trasmettere a consuntivo e con cadenza annuale una relazione agli organi di controllo interno e alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti competente.

Il comma 598 statuisce che i piani siano resi pubblici con le modalità previste dall’articolo 11 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e dall’articolo 54 del codice dell’amministrazione digitale, di cui al D.lgs. n. 82/2005.

Il comma 599 dispone che le amministrazioni, sulla base dei criteri e delle modalità definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri all’esito della ricognizione propedeutica alla adozione dei piani triennali di cui alla lettera c) del comma 594 (beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali), provvedono a comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze i dati relativi ai:

a)  beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali, sui quali vantino a qualunque titolo diritti reali, distinguendoli in base al relativo titolo, determinandone la consistenza complessiva ed indicando gli eventuali proventi annualmente ritratti dalla cessione in locazione o in ogni caso dalla costituzione in relazione agli stessi di diritti in favore di terzi;

b)  beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali, dei quali abbiano a qualunque titolo la disponibilità, distinguendoli in base al relativo titolo e determinandone la consistenza complessiva, nonché quantificando gli oneri annui

complessivamente sostenuti a qualunque titolo per assicurarne la disponibilità.

L’Organo di revisione è chiamato a vigilare sul corretto adempimento della suddetta disposizione, verificando che il piano e la successiva relazione finale annuale costituiscano, rispettivamente, allegati ai documenti di bilancio di previsione e di rendiconto della gestione, e che siano assolti i relativi obblighi di informazione e trasmissione della relazione alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti.

2.10.4.2. Riduzioni costi degli apparati amministrativi (art. 6 del D.L. n. 78/2010)

In ordine al regime vincolistico previsto per gli enti locali, con particolare riferimento all’art. 6 del D.L. n. 78/2010, la Corte costituzionale (sentenze n. 182/2011, n. 139/2012, n. 173/2012) è intervenuta affermando che il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre anche agli enti autonomi per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, ma questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.

La Corte dei Conti, Sezione Autonomie, con deliberazione n. 26/2013, ha ulteriormente esteso la discrezionalità, per gli enti locali, di operare compensazioni, nel rispetto del tetto complessivo di spesa risultante dall’applicazione dei singoli coefficienti di riduzione per consumi intermedi, previsti da norme dettate in materia di coordinamento della finanza pubblica, con possibilità di compensazione tra le singole voci di spesa.

La Sezione delle Autonomie ha considerato legittimo che lo stanziamento in bilancio, riferito alle diverse tipologie di spese soggette a limitazione, sia determinato in base alle necessità istituzionali dell’ente, ritenendo che gli enti possano operare compensazioni tra gli importi calcolati nel rispetto dei vincoli di legge, anche al di là delle voci previste dall’art. 6 del D.L. n. 78 del 2010.

Pertanto, fermo restando gli obiettivi di risparmio previsti dalla normativa, i limiti possono essere rimodulati nel rispetto dell’autonomia finanziaria degli enti locali.

Da ultimo, l’art. 21-bis del D.L. n. 50/2017, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 ha introdotto alcune semplificazioni, a favore dei Comuni e delle loro forme associative (Consorzi, Unioni), in materia di applicazione dei limiti di spesa previsti dall’art. 6 del D.L. n. 78/2010 e dall’art. 27, comma 1, del decreto-legge n. 112/2008. In particolare, la norma prevede la disapplicazione delle misure di contenimento della spesa, a decorrere dal 2018, per gli enti che abbiano approvato il bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell’anno precedente e che hanno rispettato nell’anno precedente il saldo tra entrate finali e spese finali di cui all’articolo 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243.

Risultano, quindi, disapplicabili le disposizioni che impongono la riduzione delle spese: per studi ed incarichi di consulenza (art. 6, comma 7 del D.L. n. 78/2010);

  •  per relazioni pubbliche, convegni, pubblicità e di rappresentanza (art. 6, comma 8 del D.L. n. 78/2010);

  •  per sponsorizzazioni (art. 6, comma 9 del D.L. n. 78/2010);

  •  per attività di formazione (art. 6, comma 13 del D.L. n. 78/2010);

  •  per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni (art. 27, comma 1 del D.L. 112/2008).

    L’Organo di revisione deve verificare, in fase di programmazione, di gestione e di rendicontazione, tenendo in considerazione quanto indicato precedentemente, il rispetto dei vincoli di contenimento e di riduzione della spesa pubblica, specificatamente individuati dal legislatore.

    A tal fine è opportuno dedicare un’apposita Sezione del “Parere al bilancio di previsione” e della “Relazione al rendiconto della gestione”, laddove andrà esplicitato il rispetto o meno dei vincoli di spesa.

    L’Organo di revisione deve verificare in modo puntuale che gli strumenti di programmazione siano conformi e coerenti, nelle loro previsioni, ai limiti imposti alle dinamiche della spesa. Le medesime attività di controllo dovranno essere effettuate anche nella fase gestionale, nell’ambito delle variazioni di bilancio e delle verifiche periodiche, nonché nella fase di rendicontazione finale.

    Inoltre, occorre analizzare i casi di esclusione dai limiti di spesa e i presupposti legittimanti l’esclusione medesima.

    2.10.4.3. Riduzione spese per incarichi di studio e consulenza (art. 6, comma 7 del D.L. 78/2010, art. 5, comma 9 del D.L. 95/2012)

    Ai sensi del comma 7 dell’art. 6 del D.L. n. 78/2010, la spese annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi conferiti a pubblici dipendenti, nonché gli incarichi di studi e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi in violazione della norma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.

    Una modifica alla disciplina relativa al conferimento di incarichi di studio e consulenza è stata apportata dall’art. 5, comma 9 del D.L. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 e s.m.i., il quale statuisce il divieto per le amministrazioni pubbliche di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni sono comunque consentiti a titolo gratuito.

Al fine di cogliere nel concreto i confini di tale summa divisio tra attività ricomprese ed escluse dall’alveo della disposizione in commento, la giurisprudenza contabile (sin dalla deliberazione SS.RR. in sede di controllo n. 6 del 15 febbraio 2005) ha fornito un’articolata definizione degli istituti oggetto del divieto: per gli incarichi di studio il riferimento è all’articolo 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione scritta espositiva della soluzione proposta al fine di orientare la successiva attività dell’ente locale, mentre le consulenze si sostanziano nella richiesta di parere ad un esperto esterno. Queste ultime possono assumere un vario contenuto (ad es. soluzione di questioni e problemi controversi, consulenze legali stragiudiziali, tecniche, tributarie e contabili), sfociando anche in valutazioni, espressioni di giudizi e supporti specialistici.

Sempre in merito alla riduzione di spesa per studi ed incarichi di consulenza, la Corte dei Conti ha espresso i seguenti orientamenti:

  •  la norma non prevede alcuna eccezione (Corte dei Conti Sezioni riunite, deliberazione n. 50/CONTR/2011);

  •  sono escluse – sebbene riconducibili a finalità di studio e consulenza – quelle spese che trovano la loro ragione in attività necessitate, come ad esempio il patrocinio legale, o che risultano inscindibilmente connesse alla realizzazione di opere pubbliche (Corte dei Conti, Sezione Emilia- Romagna, deliberazione n. 18/2011/PAR);

  •  sono esclusi gli incarichi che trovano copertura finanziaria in finanziamenti aggiuntivi e specifici da altri soggetti pubblici e privati (Corte dei Conti, Sezioni Riunite, deliberazione n. 7 del 2011). Tale principio è applicabile per analogia a tutte le spese soggette al taglio di cui all’art. 6 del D.L. 78/2010;

  •  sono escluse le consulenze “talmente specialistiche che sono comunque al di fuori delle professionalità interne alla amministrazione” (Corte dei Conti, sezione Lombardia, deliberazione n. 6/2011/PAR); tale impostazione non è condivisa dalla Corte dei Conti, sezione Emilia-Romagna nella deliberazione n. 18/2011/PAR).

    2.10.4.4. Riduzione spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (art. 6, comma 8 del D.L. 78/2010)

    L’art. 6, comma 8 del D.L. 78/2010, successivamente modificato dall’art. 10, comma 20, del D.L. 6 luglio statuisce 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che a decorrere dal 2011 le amministrazioni pubbliche non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le medesime finalità.

    Risultano chiarite dalla giurisprudenza contabile le nozioni di relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza di cui al citato art. 6, comma 8, del D.L. n. 78/2010, come di seguito riepilogate:

  •  Convegni: concerne gli incontri più o meno pubblici organizzati da un ente locale in luogo e tempo definiti per discutere su un argomento di comune interesse (come nel caso, ad esempio, di dibattiti, seminari, congressi, conferenze, o altri incontri di studio comunque denominati su tematiche solitamente di natura amministrativa, sociale, culturale, scientifica).

  •  Mostre: riguardano esposizioni pubbliche organizzate o partecipate da un ente locale aventi svariati possibili oggetti (ad esempio, opere d’arte, prodotti locali, eccetera) e finalità (ad esempio, commerciale, promozionale, didattica, celebrativa, eccetera). In tale prospettiva, si fanno rientrare nella categoria, anche le rassegne, le fiere e, i mercatini espositivi (cfr. Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 172/2015; Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazioni n. 54/2013 e n. 53/2012; Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazioni n. 356/2012 e n. 398/2012). Il vincolo è stato eliminato per disposizione del D.L. n. 50/2017 convertito in Legge n. 96/2017 art. 22 comma 5-quater: “Al fine di favorire lo svolgimento delle funzioni di promozione del territorio, dello sviluppo economico e della cultura in ambito locale, i vincoli di contenimento della spesa pubblica di cui all’articolo 6, commi 8 e 11, del decreto- legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, non si applicano alle spese per la realizzazione di mostre effettuate da regioni ed enti locali o da istituti e luoghi della cultura di loro appartenenza”.

  •  Relazioni pubbliche: ricomprendono tutte le attività di comunicazione svolte da un ente locale con l’obiettivo di sviluppare i rapporti con una propria utenza di riferimento, più o meno estesa a seconda dei casi, al fine di creare un’immagine positiva che di ottenere consenso e sostegno per il proprio operato e i suoi scopi, nonché di influenzare opinioni e comportamenti del pubblico ma anche, reciprocamente, di orientare le proprie scelte in corrispondenza delle opinioni e dei giudizi espressi da quest’ultimo (cfr. Sezione regionale di controllo Emilia Romagna n. 59/2015, Sezione regionale di controllo Puglia n. 54/2013 e n. 53/2012, Sezione regionale di controllo Lombardia n. 356/2012 e n. 398/2012, nonché Sezione regionale di controllo per la Val d’Aosta, deliberazione n. 8/2013).

  •  Pubblicità: riguardano tutte le attività mediante le quali l’ente locale porta all’esterno della propria struttura notizie, anche se riconducibili alle proprie finalità istituzionali come quelle riguardanti la comunicazione istituzionale o le informazioni funzionali alla promozione dei servizi pubblici e delle modalità di fruizione degli stessi da parte della collettività (Corte dei Conti, Sez. Riunite, deliberazione n. 50/2011).

  •  Rappresentanza: attività in presenza di eventi ufficiali con personalità o rappresentanti di istituzioni o enti di rilievo in cui emerga l’esigenza dell’ente locale di valorizzare le qualità del territorio di riferimento o l’azione amministrativa ovvero l’immagine pubblica dell’ente locale organizzatore al fine di incrementare il prestigio e la considerazione generale dell’ente medesimo (Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo Emilia Romagna, 24.10.2013, n. 271; Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo Puglia, 14.3.2013 n. 54; Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo Valle d’Aosta, 29.3.2013, n. 8). Si precisa che le spese di rappresentanza non possono

avere luogo nell’ambito di normali rapporti istituzionali e di servizio, ovvero nei confronti di soggetti esterni privi del requisito della rappresentatività degli enti ed organismi cui appartengono. A conferma di tale impostazione, il D.M. Interno del 23.01.2012 nel definire, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, lo schema del prospetto nel quale tali spese sostenute dagli organi di governo degli enti locali devono essere indicate, ai fini della relativa trasmissione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi dell’art. 16, comma 26, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, individua come spese di rappresentanza quelle che rispondono ai seguenti princìpi e criteri generali:

  • -  stretta correlazione con le finalità istituzionali dell’ente locale;

  • -  sussistenza di elementi che richiedono una proiezione esterna dell’attività dell’ente locale

    per il migliore perseguimento dei propri fini istituzionali;

  • -  rigorosa motivazione con riferimento allo specifico interesse istituzionale perseguito, alla dimostrazione del rapporto tra l’attività dell’ente e la spesa erogata, nonché alla qualificazione del soggetto destinatario dell’occasione della spesa;

  • -  rispondenza ai criteri di ragionevolezza e di congruità rispetto ai fini.
    Ai fini di una puntuale applicazione della disciplina sui vincoli imposti dal citato art. 6, comma 8, del D.

    L. n. 78/2010, si richiamano alcuni orientamenti in materia espressi dalla Corte dei Conti:

    a. Si ritengono non assoggettate ai limiti di cui all’art. 6, comma 8 del D.L. n. 78 del 2010 convertito con Legge n. 122 del 2010, quelle spese legate ad attività connesse a competenze proprie dell’ente locale ovvero a specifici programmi diretti al perseguimento di particolari e predeterminate finalità e sviluppati nel corso degli anni in settori di propria competenza. Vanno invece fatte rientrare nella nozione normativa di “spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza”, quelle spese riconducibili, genericamente, alle relazioni pubbliche o alla rappresentanza, svolte in modo episodico e comunque al di fuori di uno specifico programma che rientri nelle competenze dell’ente locale (in tal senso, Corte dei conti, Sezione regionale Piemonte, deliberazione n. 32 del 2011, già Sezione regionale di controllo per la Lombardia, parere n. 116 del 2011). Restano in ogni caso sempre escluse dall’applicazione della disciplina in esame, le spese dell’Amministrazione che risultino dirette a promuovere la conoscenza da parte della collettività dell’esistenza e delle modalità di fruizione dei servizi pubblici.

    b. Conpareren.1076,indata23dicembre2010,laCortedeiContiLombardiahafornitoindicazioni interpretative di carattere generale in ordine al contenuto dell’art. 6, comma 8. Nel citato parere la Sezione ha rilevato che i limiti afferenti le spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza non ricomprendono gli oneri a carico dell’Amministrazione funzionali a promuovere la conoscenza dell’esistenza e delle modalità di fruizione dei servizi pubblici da parte della collettività, in quanto l’efficace l’erogazione di un servizio presuppone ex se un’adeguata divulgazione del medesimo, al fine di consentirne l’effettivo esercizio da parte dei cittadini. Non rientrano, quindi, nei limiti di cui al D.L. n. 78/2010, le spese per attività “comunicativo-istituzionali”, cioè le attività rientranti nell’art. 1 comma 5 della Legge n. 150 del 2000 (attività di informazione e comunicazione).

 

c. Con riferimento alla riduzione delle spese di pubblicità, l’esclusione dal novero delle spese soggette a limitazione può essere assentita per le sole forme di pubblicità previste dalla legge come obbligatorie. L’ulteriore esclusione, infatti, di quelle relative alla c.d. pubblicità istituzionale porterebbe inevitabilmente a privare il precetto della finalità di risparmio prevista, in ragione principalmente dell’ampiezza delle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni previste all’art. 1, comma 5, della Legge n. 150 del 2000 e dell’assenza per gli enti locali, a differenza di quel che accade per le amministrazioni dello Stato, di momenti di direttiva e di programmazione a livello centrale da parte di un soggetto terzo (Presidenza del Consiglio) rispetto al ramo di amministrazione che sostiene la spesa (Corte dei conti, Sezione Riunite, deliberazione 50 del 2011).

  1. Dal computo delle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, al fine del rispetto del limite di cui all’art. 6 comma 8 D.L. n. 78/2010, andranno escluse quelle coperte mediante finanziamenti trasferiti da altri soggetti, pubblici o privati (Corte dei Conti Piemonte, n. 40 del 2011), nonché i proventi conseguenti all’eventuale vendita di spazi pubblicitari.

  2. Si ritiene di escludere dalle limitazioni in esame le spese finanziate con entrate a destinazione vincolata nonché quelle sostenute nell’ambito di specifici progetti per la quota finanziata dalla UE o da altri soggetti pubblici e privati (Corte dei Conti, Sezione Emilia Romagna, deliberazione n. 18 del 2011).

2.10.4.5. Divieto di effettuare spese per sponsorizzazioni (art. 6, comma 9 del D.L. 78/2010)

Il comma 9 dell’art.6 del D.L. n. 78/2010 impone agli enti, a decorrere dall’anno 2011, l’obbligo di non effettuare spese per sponsorizzazioni.

Ciò che assume rilievo per qualificare una contribuzione pubblica, a prescindere dalla sua forma, quale spesa di sponsorizzazione è la relativa funzione: la spesa di sponsorizzazione presuppone la semplice finalità di segnalare ai cittadini la presenza dell’ente pubblico, così da promuoverne l’immagine (Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 1075/2010/PAR). Non si configura, invece, quale sponsorizzazione il sostegno a iniziative di un soggetto terzo, rientranti nei compiti dell’ente locale, nell’interesse della collettività anche sulla scorta dei principi di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 della Costituzione.

Il divieto di spese per sponsorizzazioni non opera nel caso di erogazioni ad associazioni che erogano servizi pubblici in favore di fasce deboli della popolazione (anziani, fanciulli, etc.), oppure a fronte di sovvenzioni a soggetti privati a tutela di diritti costituzionalmente riconosciuti, quali i contributi per il c.d. diritto allo studio, etc. (Corte dei conti, Sezione Lombardia, deliberazione n. 349/2011).

 

L’attività che rientra nelle competenze dell’ente locale, esercitata, in via mediata, da soggetti privati destinatari di risorse pubbliche piuttosto che (direttamente) da parte degli enti, costituisce una modalità alternativa di erogazione di un servizio pubblico e non una forma di promozione dell’immagine dell’amministrazione. Questo profilo, idoneo ad escludere la concessione di contributi dal divieto di spese per sponsorizzazioni, deve essere indicato dall’ente locale in modo inequivoco nella motivazione del provvedimento. L’Amministrazione è inoltre tenuta ad evidenziare i presupposti di fatto e il percorso logico alla base dell’erogazione a sostegno dell’attività svolta dal destinatario del contributo, nonché il rispetto dei criteri di efficacia, efficienza ed economicità delle modalità prescelte di resa del servizio. In ogni caso, l’eventuale attribuzione deve risultare conforme al principio di congruità della spesa mediante una valutazione comparativa degli interessi complessivi dell’ente locale (Corte dei Conti, Sezione Lombardia, deliberazione n. 279/2015).

2.10.4.6. Riduzione spese per missioni (art. 6, comma 12 del D.L. 78/2010)

L’art. 6, comma 12 del D.L. 78/2010 ha limitato le spese connesse al trattamento di missione, ossia ai trasferimenti effettuati per conto dell’amministrazione di appartenenza per l’espletamento di funzioni ed attività da compiere fuori sede.

La norma prevede l’obbligo per gli enti locali, a decorrere dall’anno 2011, di non effettuare spese per missioni per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009. Gli atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale.

In ordine alla possibilità, da parte degli enti locali, di continuare ad autorizzare l’utilizzo del mezzo proprio, si è chiarito con Deliberazioni n. 8/2011 e n. 21/2011 della Corte dei Conti, Sezioni Riunite che, a seguito dell’entrata in vigore del disposto dell’art. 6, comma 12, del D.L. n.78/2010, convertito con modificazioni dalla Legge n. 122 del 2010, il dipendente può ancora essere autorizzato all’utilizzo del mezzo proprio, con il limitato fine di ottenere la copertura assicurativa dovuta in base alle vigenti disposizioni, mentre non gli può più essere riconosciuto il rimborso delle spese sostenute nella misura antecedentemente stabilita dal disapplicato art. 8 della legge n. 417 del 1988, anche nell’ipotesi in cui tale mezzo costituisca lo strumento più idoneo a garantire il più efficace ed economico perseguimento dell’interesse pubblico (in tal senso anche la circolare della Ragioneria Generale dello Stato del 22 ottobre 2010 n. 36). Diversamente opinando, infatti, si svuoterebbe di significato la portata dell’innovazione introdotta dall’art. 6, comma 12, del D.L. n.78/2010, considerato che anche nel sistema pregresso, l’uso del mezzo proprio da parte del dipendente pubblico presupponeva un’accurata valutazione dei benefici per l’ente. Coerentemente, viene affermata l’impossibilità per l’Amministrazione di reintrodurre, attraverso una regolamentazione interna, il rimborso delle spese sostenute dal dipendente sulla base delle indicazioni fornite dal disapplicato art. 8 della legge n. 417 del 1988. Tale modo di operare, infatti, costituirebbe una chiara elusione del dettato e della ratio del disposto del richiamato art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78 del 2010. Tuttavia, al fine anche di evitare i rischi del ricorso a soluzioni applicative che pur formalmente rispettose delle norme si pongano in contrasto con la ratio stessa della disposizione in esame (ridurre i costi degli apparati

amministrativi), in quanto idonee a pregiudicare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa o a comportare un incremento dei costi (ricorso ad autovetture di servizio, car sharing, noleggio auto, etc.), si è ritenuto possibile il ricorso a regolamentazioni interne volte a disciplinare, per i soli casi in cui l’utilizzo del mezzo proprio risulti economicamente più conveniente per l’Amministrazione, forme di ristoro del dipendente dei costi dallo stesso sostenuti che, però, dovranno necessariamente tenere conto delle finalità di contenimento della spesa e degli oneri che in concreto avrebbe sostenuto l’ente per le sole spese di trasporto in ipotesi di utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto.

Il limite di spesa per missioni può essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un motivato provvedimento adottato dall’organo di vertice dell’amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell’ente locale.

I presupposti di eccezionalità vanno individuati con estremo rigore, limitatamente a quei casi in cui il rispetto del limite del 50% della spesa 2009 per missioni si traduca in una concreta impossibilità di funzionamento dell’ente, in relazione ai compiti istituzionali affidatagli dall’ordinamento. L’eccezionalità del caso va misurata in rapporto all’indispensabilità della missione rispetto all’evasione dei compiti istituzionali; indispensabilità che deve essere oggettiva e non deve avere causa in precedenti deficienze organizzative dell’ente medesimo, che con scelte oculate (per esempio in termini di connettività a distanza, con l’ausilio dei moderni mezzi di comunicazione), avrebbe potuto diversamente raggiungere l’obiettivo cui è servente la spesa di missione (Cfr. Corte dei Conti Lombardia, deliberazione n. 117/2012).

2.10.4.7. Riduzione spese per formazione (art. 6, comma 13 del D.L. 78/2010)

A decorrere dall’anno 2011, la spesa annua sostenuta dagli enti locali per attività esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009. Gli atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione normativa costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale.

Secondo una giurisprudenza ormai consolidata delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “il contenimento nei limiti del 50% della spesa sostenuta nel 2009, previsto dalla norma, presuppone che l’ente locale abbia poteri discrezionali in ordine alla decisione di autorizzare o meno l’intervento formativo mentre, al contrario, laddove disposizioni di legge prevedano come obbligatori specifici interventi formativi deve ritenersi che venga meno la discrezionalità dell’ente locale nell’autorizzazione della spesa e, pertanto, i poteri di contenimento della stessa” (cfr. Corte dei Conti, Sezione Regionale Controllo Lombardia n.120/2011; in senso conforme Sezione Regionale Controllo Veneto n. 377/2011).

Rientrano fra le spese di formazione soggette al vincolo tutte quelle che finanziano attività formative di riqualificazione del personale allo scopo di evitare il ricorso a professionisti esterni (Corte dei conti, Sezione Regionale Piemonte, del. n. 55/2011).

Devono invece ritenersi comunque non assoggettate al vincolo in parola, le spese per attività formative interamente finanziate con contributi esterni (sia pubblici che privati), in adesione a principi autorevolmente espressi dalla Corte dei Conti, in sede di Sezioni Riunite in sede di controllo (delibera n7/2011), sia pure con riferimento ad altre fattispecie previste dall’art. 6 del D.L. 78/2010.

 

Si segnala la direttiva n.10/2010 della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della funzione pubblica, recante linee di indirizzo per gli enti locali in materia di formazione, che può costituire al riguardo utile indirizzo operativo.

2.10.4.8. Riduzione spese per acquisto e gestione autovetture (art. 6, comma 14 del D.L. 78/2010; art. 5, comma 2 del D.L. 95/2012)

Il comma 14 dell’art. 6 del D.L. 78/2010 ha imposto agli enti locali di contenere la spesa per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi nel limite dell’80% della spesa sostenute nell’anno 2009. Il predetto limite poteva essere derogato, per il solo anno 2011, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. Dal divieto, la norma in argomento esclude espressamente le autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica.

Il comma 2 dell’art.5, del D.L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla Legge n. 135 del 2012, come sostituito dall’articolo 15, comma 1, del Decreto Legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89, il legislatore è intervenuto sulla disciplina prevedendo che, a decorrere dal 1° maggio 2014, le PA non possono effettuare spese di ammontare superiore al 30% della spesa sostenuta nell’anno 2013 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi; è stata, inoltre, prevista la possibilità di derogare a tale limite per il solo 2014, esclusivamente per i contratti pluriennali già in essere e sono state introdotte alcune fattispecie di esclusione, tra le quali le spese per le autovetture utilizzate per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, quelle per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e per i servizi di vigilanza ed intervento sulla rete stradale provinciale e comunale.

La legge di stabilità 2013 (Legge n. 228/2012) ha ulteriormente rafforzato i limiti di spesa prevedendo (art. 1) il divieto di acquisto di autovetture (comma 143): il divieto, inizialmente operante per il 2013 e 2014, è stato esteso, da ultimo, al 2016 ad opera della Legge n. 208/2015 (art 1, comma 636). In assenza di ulteriori proroghe, dal 2017 è ripristinata la possibilità di acquistare autovetture.

Secondo la Corte dei Conti Piemonte (delibera n. 90/2018) l’articolo 6, comma 14, del D.L. n. 78/2010 non è stato superato dal successivo articolo 1, comma 143, legge n. 228/2012 con il conseguente venire meno di ogni divieto e/o limite dal 31.12.2016. Trattandosi di disposizioni che operano in modo difforme e non comparabile, il venir meno di una (l’espresso divieto) non incide sull’operatività dell’altra (tetto di spesa). Da ciò consegue la piena facoltà dell’Ente di acquistare autovetture non adibite a servizi istituzionali ma nel rispetto del tetto di spesa oggi fissato dall’articolo 5, comma 2, D.L. n. 95/2012.

L’art. 1 del D.L. n. 101/2013, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha stabilito, ferme restando le vigenti disposizioni di contenimento della spesa per autovetture, e, in

particolare, l’articolo 5, comma 2, del D.L. del 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 135, che a decorrere dall’anno 2014, le amministrazioni pubbliche che non adempiono, ai fini del censimento permanente delle autovetture di servizio, all’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 agosto 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 214 del 14 settembre 2011, adottato in attuazione dell’articolo 2, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, non possono effettuare spese di ammontare superiore al 50 per cento del limite di spesa previsto per l’anno 2013 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi. Si applicano altresì le sanzioni previste dall’articolo 46 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. La violazione delle disposizioni di riduzione della spesa per auto di servizio costituisce illecito disciplinare con la conseguente nullità dei contratti assunti, nonché l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, a carico del responsabile della violazione, da mille a cinquemila euro.

Da una lettura coordinata delle disposizioni richiamate emerge che le norme vincolistiche in materia di riduzione di spesa per acquisto e gestione delle autovetture, di cui al D.L. n. 78/2010 come modificate dal D.L. n. 95/2012, (riduzione del 70% rispetto al 2011) si riferiscono espressamente alle spese per autovetture e non ad altri automezzi quali, ad esempio, camion, autocarri, autobus, motomezzi. In proposito, la magistratura contabile (Corte dei conti, Sezione Regionale Lombardia, del. n. 597/2011, richiamata da Corte dei Conti, Sezione di controllo per il Veneto, parere n. 96/2013), con riferimento all’espressione “autovetture”, ha affermato che la norma impone una limitazione della spesa, riferendosi ad una specifica categoria di veicoli non estensibile ad altre categorie più ampie di quella espressamente prevista, con la conseguenza che la stessa non si applica agli autoveicoli diversi dalle autovetture.

Dal limite sono escluse, quindi, le spese per autovetture per:

  1. i servizi istituzionali di tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica e di protezione civile;

  2. i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza;

  3. i servizi di vigilanza ed intervento sulla rete stradale provinciale e comunale.

La norma considera in un unico limite tutte le spese di gestione del parco auto, dall’acquisto (o noleggio) all’esercizio, da intendersi quest’ultimo comprensivo anche dei costi per carburanti, spese per bollo, etc.

2.10.4.9. Limiti acquisto beni immobili (art. 12 del D.L. 98/2011)

I commi 1-bis, 1-ter dell’art. 12 del D.L. n. 98/2011, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e s.m.i. impongono limitazione alla spesa degli enti locali con riferimento alle operazioni di acquisto di beni immobili.

In particolare, il comma 1-bis dell’art. 12 dispone che “a decorrere dal 1° gennaio 2014 nel caso di operazioni di acquisto di immobili, ferma restando la verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza

pubblica, l’emanazione del decreto previsto dal comma 1 è effettuata anche sulla base della documentata indispensabilità e indilazionabilità attestata dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese fatto salvo quanto previsto dal contratto di servizi stipulato ai sensi dell’articolo 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma”.

Il successivo comma 1-ter del medesimo articolo 12, prevede che “a decorrere dal 1° gennaio 2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano agli enti locali che procedano alle operazioni di acquisto di immobili a valere su risorse stanziate con apposita delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica o cofinanziate dall’Unione europea ovvero dallo Stato o dalle regioni e finalizzate all’acquisto degli immobili stessi. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente locale.”

In attuazione delle disposizioni di cui all’art. 12, comma 1-bis del D.L. 98/2011, è stato emanato il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze recante in ordine all’individuazione dei requisiti di indispensabilità e di indilazionabilità delle operazioni di acquisto di immobili.

In merito al requisito dell’indispensabilità, si chiarisce che lo stesso attiene all’assoluta necessità di procedere all’acquisto di immobili in ragione di un obbligo giuridico incombente all’amministrazione nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali ovvero nel concorso a soddisfare interessi pubblici generali meritevoli di intensa e specifica tutela (ad esempio, rispetto delle norme vigenti in materia di tutela dell’ambiente, della sicurezza sui luoghi di lavoro, etc.), pur se destinati a concretarsi in futuro o a essere soddisfatti soltanto col decorso del tempo, ma che presentino tuttavia, fin dal momento attuale, quel sufficiente punto di concretezza che valga a far considerare necessaria e tempestiva l’operazione di acquisizione.

Quanto all’indilazionabilità, l’attestazione deve comprovare che l’amministrazione si trovi effettivamente nell’impossibilità di differire l’acquisto, se non a rischio di compromettere il raggiungimento degli obiettivi istituzionali o di incorrere in possibili sanzioni.

Tali requisiti si ritengono egualmente soddisfatti anche qualora l’acquisto comporti effetti finanziari ed economici positivi, considerati gli oneri accessori nonché di trasloco e nuova sistemazione, attestati dai pertinenti organi interni di controllo o, per le amministrazioni dello Stato, dal competente ufficio appartenente al sistema delle ragionerie.

Sulla base dei criteri esposti nella deliberazione n. 7/2011 della Corte dei conti, Sezioni riunite, la

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verifica delle condizioni legittimanti l’acquisto di beni immobili può essere disattesa nel caso in cui la relativa spesa trova interamente copertura finanziaria in finanziamenti aggiuntivi e specifici da altri soggetti pubblici e privati.

2.10.4.10.Limiti spesa informatica (art. 1 commi da 512 a 516 Legge n. 208/2015)

Al fine di garantire l’ottimizzazione e la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi informatici e di connettività, fermi restando gli obblighi di acquisizione centralizzata previsti per i beni e servizi dalla normativa vigente, le amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, provvedono ai propri approvvigionamenti esclusivamente tramite gli strumenti di acquisto e di negoziazione di Consip S.p.A. o dei soggetti aggregatori, ivi comprese le centrali di committenza regionali, per i beni e i servizi disponibili presso gli stessi soggetti.

La procedura ha un obiettivo di risparmio di spesa annuale, da raggiungere alla fine del triennio 2016- 2018, pari al 50 per cento della spesa annuale media per la gestione corrente del solo settore informatico, relativa al triennio 2013-2015, al netto dei canoni per servizi di connettività e della spesa effettuata tramite Consip S.p.A. o i soggetti aggregatori documentata nel Piano triennale di cui al comma 513, compresa quella relativa alle acquisizioni di particolare rilevanza strategica di cui al comma 514-bis. I risparmi derivanti dall’attuazione del presente comma sono utilizzati dalle medesime amministrazioni prioritariamente per investimenti in materia di innovazione tecnologica.

Dal 2019 la riduzione della spesa per l’informatica diventa strutturale e deve essere certificata (si veda sul punto la delibera della Corte dei Conti Lombardia n.368/2017).

2.10.4.11.Gli incentivi per funzioni tecniche

L’art. 113 del D.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), rubricato “incentivi per funzioni tecniche”, riproducendo analoghe disposizioni previgenti (art. 18 della Legge n. 109 del 1994, e successive modifiche ed integrazioni, e art. 92, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, confluito in seguito nell’art. 93, commi 7-bis e seguenti, del medesimo decreto legislativo), consente, previa adozione di un regolamento interno e della stipula di un accordo di contrattazione decentrata, di erogare emolumenti economici accessori a favore del personale interno alle Pubbliche amministrazioni per attività, tecniche e amministrative, nelle procedure di programmazione, aggiudicazione, esecuzione e collaudo (o verifica di conformità) degli appalti di lavori, servizi o forniture.

In particolare, il comma 2 del citato art. 113 consente alle amministrazioni aggiudicatrici di destinare, a valere sugli stanziamenti di cui al precedente comma 1, “ad un apposito fondo risorse finanziarie in misura non superiore al 2 per cento modulate sull’importo dei lavori, servizi e forniture, posti a base di gara”. Tale fondo può essere finalizzato a premiare esclusivamente le funzioni, amministrative e tecniche, svolte dai dipendenti interni per le “attività di programmazione della spesa per investimenti,

di valutazione preventiva dei progetti, di predisposizione e di controllo delle procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici, di RUP, di direzione dei lavori ovvero direzione dell’esecuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di collaudatore statico”. Il successivo comma 3 della medesima disposizione estende poi la possibilità di erogare gli incentivi anche ai rispettivi “collaboratori”. Inoltre lo stesso comma 3 prevede che l’80% delle risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi del comma 2 possa essere ripartito, per ciascun lavoro, servizio, fornitura, “con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti”, ai destinatari indicati al comma 2. Il restante 20%, invece, va destinato secondo quanto prescritto dal successivo comma 4 (acquisto di strumentazioni e tecnologie funzionali all’uso di metodi elettronici di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture; attivazione di tirocini formativi; svolgimento di dottorati di ricerca; etc.).

Ad integrazione della norma in esame è intervenuto, da ultimo, l’art. 1, comma 526, della Legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), il quale ha ulteriormente specificato che il finanziamento del fondo per gli incentivi tecnici grava sul medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi o forniture.

Pertanto, il legislatore, con norma innovativa contenuta nella legge di bilancio per il 2018, ha stabilito che i predetti incentivi gravano su risorse autonome e predeterminate del bilancio (indicate proprio dal comma 5-bis dell’art. 113 del D.lgs. n. 50 del 2016) diverse dalle risorse ordinariamente rivolte all’erogazione di compensi accessori al personale e ciò ha convinto la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti (cfr. deliberazione n. 6 /SEZAUT/2018/QMIG) ad escludere gli incentivi in questione dal vincolo posto al complessivo trattamento economico accessorio dei dipendenti degli enti pubblici dall’art. 23, comma 2, del D.lgs. n. 75 del 2017; esclusione che, tuttavia, non può estendersi, secondo l’opinione prevalente della Magistratura contabile, agli incentivi di competenza dell’anno 2017, stante la portata innovativa (e la conseguente irretroattività) della novella.

Nell’ambito dell’attività di controllo e di vigilanza in materia di incentivi per funzioni tecniche, l’Organo di revisione deve innanzitutto verificare:

  1. che sia stata calcolata la percentuale degli incentivi da accantonare nel fondo in coerenza con i tempi di esecuzione del contratto, riportati nel cronoprogramma di attività e di spesa;

  2. che l’accantonamento venga riportato nello stesso capitolo di spesa delle altre voci del quadro economico previsto.

Ai fini della liquidazione dell’incentivo, poi, l’Organo di revisione deve verificare se:

  1. è stato adempiuto l’onere della preventiva fissazione dei criteri e della modalità di distribuzione delle risorse ad esso specificamente “destinate” in sede di contrattazione collettiva decentrata;

  2. l’Ente ha disciplinato e modulato (comma 2 dell’articolo 113 del D.lgs. n. 50/2016) con apposito regolamento la ripartizione degli incentivi per funzioni tecniche con l’obiettivo di premiare i dipendenti che concretizzano l’esecuzione dell’opera, del servizio o della fornitura nel rispetto di importi e tempi programmati

 

  1. ladeterminadiapprovazionedeldirigente/responsabiledelserviziodocumentailcompletamento delle attività e le persone impegnate nello svolgimento dell’attività;

  2. i singoli importi per gli incentivi rispettano i limiti fissati nel regolamento approvato dalla giunta;

  3. le somme complessivamente erogate al personale rispettano i due limiti finanziari di contenimento: uno di carattere generale (il tetto massimo al 2% dell’importo posto a base di gara) e l’altro di carattere individuale (il tetto annuo al 50% del trattamento economico complessivo per gli incentivi spettante al singolo dipendente);

  4. gli incentivi sono destinati solo ai componenti del gruppo di lavoro, già formalmente individuato a monte dal dirigente o dal responsabile del servizio o dal responsabile unico del procedimento, tenendo presente le attività realmente svolte, la spesa sostenuta rispetto a quella prevista, nonché i tempi di realizzazione rispetto a quelli previsti.

 

 

 

 

 

 


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