LA NATURA GIURIDICA
Il leasing o locazione finanziaria è un contratto di origine anglosassone. Questa fattispecie ha avuto un notevole successo in Italia, ed è qualificabile come un contratto socialmente tipico dato che, ancora, non è oggetto di un'apposita disciplina nel nostro ordinamento. Proprio a causa di ciò, la difficoltà massima in cui s'incorre quando si manifestano conflitti in questa disciplina è quella di stabilire l'ambito al quale far riferimento per risolverli. Le opzioni ipotizzabili sono tre: il contratto di mutuo, quello di locazione e quello di vendita.
Il leasing è un contratto di finanziamento attraverso il quale un soggetto che ha bisogno di un bene, l'utilizzatore, si rivolge ad un intermediario autorizzato con la finalità che questo acquisti il bene dal fornitore (nel caso in cui si tratti di beni mobili) o che chieda al costruttore/produttore di costruirlo (nel caso di beni immobili). Nel momento in cui l'intermediario ottiene il bene lo cederà, per un godimento temporaneo, all'utilizzatore contro il pagamento di un canone periodico.
Il contratto appena descritto concretizza la fattispecie del leasing, ma per far sì che questo possa essere effettuato è necessario valutare un ulteriore contratto, totalmente distinto, che viene in precedenza sottoscritto.
Questo può assumere la forma della compravendita o dell'appalto, attraverso il quale l'intermediario compra il bene che gli è stato richiesto dall'utilizzatore. Va però evidenziato che sarà proprio l'utilizzatore, in quanto ultimo destinatario del bene, a sceglierlo e a definire tutte le clausole contrattuali. L'intermediario subentrerà solo nel momento terminale del contratto, occupandosi della stipulazione e del pagamento.
La responsabilità dell'utilizzatoreL'utilizzatore, per mezzo della stipula del contratto, gode della disponibilità del bene ma si obbliga a pagare all'intermediario, per tutto l'arco temporale concordato, una somma stabilita, assumendosi le responsabilità relative ai rischi di perimento del bene o del suo cattivo funzionamento alla riconsegna. Solitamente, con la finalità di tutelare l'intermediario, in caso d'insolvenza dell'utilizzatore il primo canone che viene corrisposto è di importo largamente maggiore rispetto agli altri.
Ad una prima analisi di questi aspetti sembrerebbe, dunque, che il contratto di leasing non abbia elementi di positività per l'utilizzatore, se non quelli relativi all'utilizzo del bene; in realtà, però, vi è un aspetto che deve essere considerato. Alla scadenza del contratto, l'utilizzatore potrà riacquistare la cosa per un prezzo concordato che, solitamente, è un importo particolarmente modesto rispetto al valore della stessa. Nel caso in cui, invece, l'utilizzatore non abbia alcun interesse a divenire il proprietario del bene, potrà restituirlo. La restituzione deve avvenire nelle modalità e nei termini espressamente previsti dal contratto onde evitare che l'utilizzatore incorra in sanzioni. Dal momento in cui il bene viene consegnato all'utilizzatore questi sarà contrattualmente obbligato a conservarlo in modo ottimale e, qualora dovessero ravvisarsi dei problemi in relazione al funzionamento dello stesso, dovrà darne immediato avviso all'intermediario, così come nel caso in cui si dovessero realizzare sinistri. In caso di sinistro, nonostante la proprietà del bene sia dell'intermediario, sarà l'utilizzatore ad essere responsabile e, quindi, ad assumersi le relative conseguenze seppur il proprietario potrebbe, congiuntamente, risponderne in caso di danni verso i terzi.
La responsabilità dell'intermediarioL'intermediario, prima di decidere se concludere o meno il contratto, deve valutare alcuni rischi ad esso connessi, rischi che potrebbero non produrre elementi di positività. I rischi devono essere valutati in relazione alla congruità di valore del bene rispetto al suo prezzo, alla sua capacità produttiva, alla possibilità di recuperarlo e, quindi, di ricollocarlo sul mercato in caso di rientro anticipato del bene. Per questo motivo, l'intermediario deve valutare due aspetti fondamentali: il costo dell'oggetto e, nell'ipotesi in cui dovesse rimanere di sua proprietà fino al riscatto, che non compaia alla voce "immobilizzazioni" del bilancio.
In capo all'intermediario non risultano essere presenti particolari forme di responsabilità in relazione al bene dato in godimento, dato che, come sopra esposto, esse ricadono principalmente in capo all'utilizzatore. Nonostante ciò, l'intermediario risulta essere responsabile, e quindi sottoponibile ad azioni giudiziarie da parte dell'utilizzatore, nel caso in cui il fornitore non consegni il bene oggetto del leasing.
L'utilizzatore, indipendentemente da pattuizioni effettuate con l'intermediario, che risultano dunque essere nulle, non è mai tenuto a prestare garanzia con riferimento ad eventuali molestie di soggetti terzi che vantino diritti sulla cosa.
La responsabilità del fornitoreLa responsabilità del fornitore è una responsabilità che si manifesta a causa del suo eventuale inadempimento; precisamente, quindi, nel caso in cui egli non ottemperi agli obblighi di consegna. Questo tipo di responsabilità, ovviamente, non sarebbe a lui imputabile nel caso in cui l'inadempimento fosse derivante da quello dell'intermediario. Nel caso in cui invece l'intermediario abbia ottemperato a tutti i suoi doveri, l'impossibilità sopravvenuta del fornitore concretizzerà il meccanismo di risoluzione del contratto, come previsto dal combinato disposto degli artt. 1256 e 1463 cod. civ.
Le tipologie di leasing
Il contratto di leasing, nonostante non sia tipizzato, è molto utilizzato nel nostro ordinamento, e per questo motivo si sono formate diverse tipologie dello stesso.
Il leasing definito operativo è un contratto dalla struttura bilaterale (produttore-finanziatore), e si manifesta quando l'intermediario è anche il produttore della cosa.
Si parla di leasing finanziario quando è lo stesso finanziatore ad acquistare il bene per conto dell'utilizzatore, concretizzando quindi un'ipotesi di contratto trilaterale (produttore - intermediario - utilizzatore). La giurisprudenza ha inoltre introdotto due ulteriori distinzioni: il leasing di godimento e il leasing traslativo. Nel primo caso, l'utilizzatore ha un interesse volto esclusivamente all'uso del bene e all'eventuale acquisto dello stesso per mezzo del diritto di opzione, mentre nel secondo caso, nella prassi molto più frequente, il contratto ha come oggetto un bene rispetto al quale l'interesse dell'utilizzatore si esaurisce parallelamente alla scadenza del contratto, che corrisponde al momento in cui esso bene perde la sua utilità e di conseguenza il suo valore.LA CASISTICA IN ESAME E LA DECISIONE DELL'ARBITRO: l'inadempimento dell'utilizzatoreL'ABF (Arbitrato Bancario Finanziario), con decisione n. 4137 del 1° luglio 2014 del Collegio di Napoli, era stato chiamato a pronunciarsi sul tema della risoluzione del contratto di leasingper impossibilità sopravvenuta della prestazione e, quindi, a pronunciarsi in riferimento al contrapposto accertamento dell'insussistenza del diritto del locatore al risarcimento del danno, conseguente alla risoluzione del medesimo contratto per inadempimento del concessionario.
Per chiarire meglio la questione è opportuno analizzare i fatti. Uno studio di analisi chimiche, parte ricorrente, sosteneva di avere stipulato, in data 30 marzo 2012, un contratto di leasingcon l'intermediario avente per oggetto alcune apparecchiature strumentali per lo svolgimento della propria attività. Il successivo 31 ottobre 2013, tuttavia, chiedeva la risoluzione del contratto per la sopravvenuta impossibilità della prestazione, determinata dalla cessazione dell'attività professionale in forma associata, dichiarando la propria disponibilità alla restituzione dei beni mai utilizzati. La società ricorrente ha chiesto l'accertamento del proprio diritto a sciogliersi dal contratto e la conseguente risoluzione del medesimo, nonché di inibire all'intermediario di "azionare eventuali pretese economiche in spregio alle contestazioni e richieste del ricorrente, il quale ha offerto in restituzione i beni oggetto del contratto medesimo". Con le controdeduzioni, pervenute il 24 febbraio 2014, l'intermediario precisava che, per l'esecuzione del contratto di leasing, aveva dovuto acquistare i beni che ne costituivano l'oggetto presso un fornitore, e che il corrispettivo contrattuale era determinato in € 103.359,50, suddiviso in 60 canoni dell'importo di € 1.722,66. Rispetto a tali obblighi la ricorrente, dopo avere provveduto al pagamento dei primi due canoni, si era resa inadempiente; dopo aver ripianato una prima volta il saldo delle rate in mora mediante l'emissione di un effetto cambiario, aveva nuovamente interrotto il pagamento dei canoni; pertanto, nel momento in cui aveva dedotto la sopravvenuta impossibilità della prestazione, era già inadempiente a far tempo dal mese di giugno 2013. In conseguenza di tanto, alla luce della morosità che aveva raggiunto l'importo di € 5.057,26, con nota del 27 novembre 2013 la società di leasing aveva comunicato alla ricorrente la risoluzione del contratto per inadempimento, invitandola alla restituzione delle attrezzature, e riservandosi il diritto al risarcimento dei danni ex art. 1456 cod. civ. L'intermediario contestava inoltre l'istanza del ricorrente per diversi motivi: in primo luogo, rilevava che nelle pattuizioni contrattuali non era prevista una condizione risolutiva, né accordata alcuna facoltà di recesso o di sospensione del pagamento dei canoni, anche in caso di mancato utilizzo del bene. In concreto, poi, non si era presentata alcuna impossibilità rilevante che, ai sensi dell'art. 1256 cod. civ., deve riguardare un evento del tutto indipendente dalla volontà del debitore.
Il Collegio, dopo aver analizzato i fatti, ritenne di rigettare il ricorso adducendo le seguenti motivazioni: "L'istanza del ricorrente di accertamento dell'avvenuta risoluzione del contratto di leasing per impossibilità sopravvenuta della prestazione esige, preliminarmente, di tratteggiare i confini della fattispecie che, notoriamente, ricalca la nozione di impossibilità su quella determinante l'estinzione dell'obbligazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 1218 e 1256 cod. civ.: pur essendo il tema uno dei più delicati della civilistica, si può ritenere sostanzialmente condiviso che l'impossibilità rilevante debba essere assoluta e oggettiva. Quanto al primo profilo, si può, qui, prescindere dalla scelta tra le varie declinazioni dell'esigibilità della prestazione, giacché è preminente nel caso concreto la valutazione del carattere oggettivo della dedotta impossibilità che, nella prospettazione del ricorrente, andrebbe ricondotta alla cessazione dell'attività professionale in forma associata, che avrebbe reso inutilizzabile il macchinario oggetto del contratto di leasing. Orbene, va, innanzitutto, rilevato che la circostanza non è stata provata nel procedimento, ma, che, comunque, non avrebbe potuto integrare il presupposto della risoluzione ex artt. 1463 ss. cod. civ. In via generale, il carattere oggettivo è escluso allorquando l'impossibilità è conseguente ad un evento che rientra nella disponibilità del debitore; a ciò va aggiunto che, l'ipotesi di cessazione dell'attività di impresa in forma individuale o collettiva, che abbia fondamento in un atto volontario dell'imprenditore, si traduce di fatto in una decisione unilaterale di sottrarsi all'adempimento del contratto. In dottrina si è sottolineato che nessun pregiudizio colpisce la libertà del soggetto che esercita attività di impresa di scegliere di non proseguire l'attività fino alla cessazione dei contratti pendenti, atteso che egli, diversamente, può valutare la convenienza economica, e adottare le decisioni conseguenti, tra l'esecuzione del contratto posticipando la cessazione dell'attività o esporsi alle conseguenze dell'inadempimento. Il ricorrente ha chiesto, inoltre, di inibire (rectius accertare l'insussistenza del diritto) all'intermediario di azionare eventuali 'pretese economiche', senza tenere conto delle proprie contestazioni e del fatto che era stata tempestivamente offerta la restituzione del bene oggetto del leasing. Pur nella sua genericità, si può ritenere che il riferimento sia all'esercizio del locatore dei diritti contrattuali e risarcitori conseguenti all'inadempimento contestato all'istante, che presuppone, però, la correttezza dell'applicazione della clausola risolutiva espressa giusta lettera del 27 novembre 2013.".
GIURISPRUDENZACon riferimento all'ammontare della clausola penale, la giurisprudenza tanto di merito quanto di Cassazione si è espressa copiosamente.
- Corte di Cassazione civile, sez. III, 27 settembre 2011, n. 19732: "In tema di leasing, il concedente, in caso di risoluzione contrattuale, mantenendo la proprietà del bene e acquisendo i canoni maturati fino alla risoluzione, non può e non deve conseguire un indebito vantaggio derivante da un cumulo di utilità (canoni e residuo valore del bene) in contrasto con lo specifico dettato normativo di cui all'art. 1526 c.c., che è norma inderogabile.".
- Corte di Cassazione civile, sez. III, sent. 7 febbraio 2012, n. 1695: "L'art. 1526 c.c. non indica criteri interpretativi ma riconosce al giudice del merito l'apprezzamento di fatto, potendo incidere in via equitativa sull'equilibrio contrattuale, come soluzione per evitare indebiti arricchimenti a danno dell'utilizzatore e dei suoi creditori. Considerando la concreta determinazione dell'importo dell'equo compenso, quindi, questo potrà legittimamente superare il corrispettivo del temporaneo godimento del bene. Mentre, una volta recuperato, da parte del concedente il capitale monetario investito nell'operazione in vista del lucro corrispondente tramite il compenso ed il residuo valore del bene, il risarcimento del danno non sarà rapportato all'intera differenza necessaria per realizzare il guadagno previsto. Infatti, attraverso l'anticipato recupero del bene e del suo valore, il concedente è in grado di ottenere, mediante il reimpiego di quel valore, un utile proporzionale, che deve essere quindi calcolato in detrazione rispetto alla somma che l'utilizzatore stesso avrebbe ancora dovuto pagare nel caso in cui il rapporto fosse continuato.".
- Corte di Cassazione civile, sent. 17 gennaio 2014, n. 888: "Le clausole contrattuali che attribuiscano alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso dell'immobile, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli che essa aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto, venendo a configurare gli estremi della penale manifestamente eccessiva rispetto all'interesse del creditore all'adempimento, di cui all'art. 1384 cod. civ. Nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, infatti, il giudice è tenuto a comparare il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto.".
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