Le clausole “claims made” (o a richiesta fatta) relative ai contratti di assicurazione sulla responsabilità civile prevedono che la copertura assicurativa sia operante solo allorché l’evento di danno sia stato denunziato alla compagnia assicuratrice nel periodo di vigenza del contratto. In altri termini, ai fini della risarcibilità di un sinistro da parte dell’assicurazione, rileva il momento della denunzia del fatto e non quello in cui si è verificato materialmente l’evento (ad esempio, l’errore professionale). Ne consegue che, se viene formulata una richiesta risarcitoria nei confronti dell’assicurato quando la vigenza del contratto è conclusa, il professionista risulterà privo di copertura assicurativa. E, proprio da qui, prende le mosse la vicenda oggetto della pronuncia in commento.
La clausola claims made subordina la copertura assicurativa al fatto che il sinistro venga denunciato durante la vigenza della polizza: in altre parole, essa determina uno spostamento del rischio dall’evento di danno alla denuncia dello stesso.
Due categorie:
1) le clausole miste o impure prevedono l'operatività della copertura assicurativa solo quando sia il fatto illecito sia la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di vigenza del contratto, con retrodatazione della garanzia, in taluni casi, alle condotte poste in essere in epoca anteriore (in genere due o tre anni dalla stipula del contratto);
2) le clausole pure, invece, sono destinate a coprire tutte le richieste risarcitorie formulate nei confronti dell'assicurato nel periodo di vigenza della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito.
È di tutta evidenza che le problematiche maggiori afferiscano alla prima categoria di clausole (le miste o impure), in cui la retroattività della copertura assicurativa è limitata.
I contratti di assicurazione con clausola claims made impura o mista: le SS.UU risolvono il conflitto giurisprudenziale in ordine alla natura vessatoria, alla nullità e alla meritevolezza della stessa clausola
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n.9140/2016, intervenendo in materia di contratto di assicurazione con clausola claims impura o mista, ha affermato i seguenti principi di diritto: “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005 , per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata”.
Il Giudice di nomofilachia, per la prima volta, ha così affrontato alcune questioni oggetto di un acceso dibattito in dottrina e giurisprudenza, estendendo il proprio sindacato a temi ulteriori rispetto a quelli espressamente introdotti dalle parti, relativi alla natura vessatoria della clausola claims made impura o mista e alla nullità della stessa per violazione dell’art.2965 c.c. e del principio generale di buona fede.
Infatti, la sentenza, sulla scorta della natura grandangolare del giudizio di nullità, verifica la compatibilità della suddetta clausola con lo schema legale previsto dal primo comma dell’art.1917 c.c. e la validità della stessa in termini di meritevolezza e ai sensi dell’art.36 della d.lgs n.206/2005 (nullità di protezione).
Ciò posto, si riportano i passaggi essenziali della citata sentenza delle SS.UU, dopo aver ricordato le sentenze di primo e secondo grado.
Il Tribunale di Roma, con pronuncia del 18 dicembre 2008, nell’accogliere una domanda risarcitoria proposta nei confronti di una struttura sanitaria per i danni causati da alcuni medici, affermava la responsabilità dell’ente e, contestualmente, dichiarava le compagnie assicurative, chiamate in causa dal convenuto, tenute a manlevare la responsabile assicurata.
Avverso tale sentenza, interponeva appello una delle compagnie assicurative (anche come delegataria delle altre società), affermando che il giudice di prime cure avrebbe errato nel non applicare la clausola claims made, in ragione della natura derogatoria rispetto al principio dettato dal primo comma dell’art.1917 c.c., secondo cui la copertura assicurativa si estende a tutti i fatti accaduti durante la vigenza del contratto.
Precisava l’appellante che la clausola intitolata “Condizione speciale – Inizio e termine della garanzia”, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, era valida ed efficace anche in assenza di una specifica sottoscrizione, in quanto la stessa - nel circoscrivere l’ambito di applicazione della manleva alle istanze presentate per la prima volta nel periodo di vigenza del contratto di assicurazione, purché il fatto da cui è derivato il danno fosse stato commesso nel stesso periodo di vigenza o nel triennio precedente alla stipulazione – delimita l’oggetto del contratto e, quindi, non stabilisce una limitazione di responsabilità.
Ai fini di una maggiore chiarezza, è utile evidenziare che nella fattispecie oggetto della sentenza annotata la condotta dannosa (il sinistro) risale all’agosto 1993 e che la polizza copriva un lasso temporale compreso tra il 21 febbraio 1996 e il 31 dicembre 1997 con effetti retroattivi al triennio precedente, laddove la domanda del paziente è stata formulata nel giugno 2001.
Con sentenza n.405/2012, la Corte di Appello di Roma ha accolto il gravame, dal momento che la clausola prima citata, concorrendo a determinare l’oggetto del contratto, non implica una limitazione di responsabilità.
La struttura sanitaria, quindi, ha proposto ricorso in Cassazione e, a seguito di specifica istanza del medesimo impugnante, il Primo Presidente ha ritenuto di sollevare questione di massima innanzi alle SS.RR
Il ricorso è basato su tre motivi, con i quali vengono introdotte le seguenti doglianze in ordine alla clausola claims made impura o mista:
a) natura vessatoria ai sensi dell’art.1341 c.c.;
b) nullità ai sensi dell’art.2965 c.c., in ragione dell’eccessiva difficoltà che l’assicurato incontrerebbe nell’esercitare il diritto alla manleva;
c) nullità per violazione del principio di buona fede e correttezza, poiché la stessa condizione non contiene alcun richiamo espresso alla circostanza che la copertura assicurativa non riguarda la condotta, ma la richiesta di risarcimento del danno che, unitamente alla stessa condotta, deve verificarsi in pendenza della polizza.
Il Giudice di nomofilachia, innanzi tutto, ricorda che “il contratto di assicurazione per responsabilità civile con clausola claims made (a richiesta fatta) si caratterizza per il fatto che la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza (o anche in un delimitato arco temporale successivo, ove sia pattuita la c.d. “sunset close” ), laddove, secondo lo schema denominato “loss occurrence” o insorgenza del danno, sul quale è conformato il modello delineato nell’art.1917 c.c., la copertura opera in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di durata del contratto”.
Ricordano, quindi, le SS.UU che l’inserimento della clausola claims made permette alla società di assicurazione di determinare l’ambito di applicazione della manleva e, allo stesso tempo, semplifica anche il calcolo del premio.
Nella prassi commerciale sono emerse due tipi di clausole claims made.
Si parla di clausola pura quando la manleva si stende a tutte le richieste risarcitorie presentate dal danneggiato all’assicurato e da questi all’assicurazione nel periodo di efficacia della polizze a prescindere dalla data di commissione del fatto che ha generato il danno.
La clausola è, invece, definita impura o mista, in caso di operatività della copertura soltanto quando sia il sinistro, sia la richiesta intervengono nel periodo di efficacia del contratto, con eventuale retrodatazione, come nella fattispecie oggetto del giudizio, alle condotte anteriori alla stipula del contratto (in genere due o tre anni).
Le SS.UU, per ragioni di ordine logico, esaminano, innanzi tutto, le doglianze avanzate con il secondo e terzo motivo del ricorso.
Per quanto concerne il riferimento all’art.2965 c.c. (“È nullo il patto con cui si stabiliscono termini
di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto”), la
sentenza afferma che tale disposizione fa riferimento alla perdita di un diritto per mancato esercizio
dello stesso e, pertanto, presuppone situazioni soggettive attive, laddove nel caso in esame la clausola incide sulle modalità operative della garanzia in relazione all’iniziativa di un terzo estraneo.
In ordine alle censure incentrate sul principio di correttezza e buona fede, le SS.UU - dopo aver ricordato che il principio di buona fede, manifestazione del dovere generale di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione, costituisce (per generale asserzione) fonte di autonomi obblighi di protezione, di cooperazione e di informazione - affermano che l’eventuale violazione di tale principio, anche se integrasse un contrasto con una norma imperativa, non può comportare l’applicazione della sanzione della nullità invocabile soltanto in caso di vizi strutturali, ma soltanto un rimedio di natura risarcitoria o l’eventuale risoluzione (ex multis, Cass. SS.UU. n.28056/2008, sulla distinzione tra vizi strutturali e violazioni di regole di comportamento).
Il Giudice di nomofilachia analizza poi un ulteriore profilo di invalidità concernente il c.d. rischio putativo.
Al riguardo la sentenza sostiene che l’eventuale estensione della copertura a fatti commessi prima della stipula non fa venir meno l’alea e, quindi, non determina l’invalidità del contratto, se al momento di conclusione dello stesso le parti - e in particolare l’assicurato - ne ignoravano l’esistenza.
Infatti, così precisano le SS.UU, in disparte l’eventuale applicazione degli articoli 1892 e 1893 c.c. in caso di dichiarazioni inesatte o reticenti, il rischio non si esaurisce nella sola condotta materiale, occorrendo anche l’esercizio del diritto risarcitorio da parte del danneggiato.
Ad ulteriore supporto, la sentenza evidenzia che il rischio putativo è previsto dall’art.5141 del codice della navigazione, norma di natura non eccezionale e, quindi, applicabile a fattispecie diverse.
Ma lo scrutinio delle SS.UU non si limita alle questioni prima indicate.
1 Codice della navigazione art. 514. Rischio putativo.
Se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere ovvero se il sinistro è avvenuto prima della conclusione del contratto, l'assicurazione è nulla quando la notizia dell'inesistenza o della cessazione del rischio ovvero dell'avvenimento del sinistro è pervenuta, prima della conclusione del contratto, nel luogo della stipulazione o in quello dal quale l'assicurato diede l'ordine di assicurazione.
Si presume, fino a prova contraria, che la notizia sia tempestivamente pervenuta nei luoghi suddetti.
L'assicuratore, che non sia a conoscenza dell'inesistenza o della cessazione del rischio ovvero dell'avvenimento del sinistro, ha diritto al rimborso delle spese; ha diritto invece all'intero premio convenuto se dimostra una tale conoscenza da parte dell'assicurato.
Infatti, la sentenza - in ragione della natura “grandangolare” del giudizio di nullità, concernendo la stessa domanda di nullità un diritto autodeterminato (Cass. SS.UU 26242 e 26243/2014) – procede con la verifica dell’eventuale compatibilità della clausola in esame con la struttura tipica del contratto, e in particolare con la causa, secondo il citato primo comma dell’art.1917 c.c.
Altra questione esaminata riguarda la meritevolezza di un assetto contrattuale con clausola claims made, in particolare mista o impura, in ragione della delimitazione dei rischi, del pericolo di mancanza di copertura in caso di cambio dell’assicuratore e delle possibili ripercussioni negative sulla concorrenza tra le imprese e sulle libertà contrattuali.
Al fine di risolvere tali questioni, le SS.UU si occupano, quindi, del primo motivo del ricorso, incentrato, come già riportato, sulla natura vessatoria della clausola claims made impura o mista.
E allora, il Giudice di nomofilachia ricorda in via preliminare che una clausola riguarda l’oggetto del contratto quando concorre a stabilire gli obblighi assunti dalle parti, mentre è idonea ad incidere sulla responsabilità, ove produca l’effetto di escludere una responsabilità che, rientrando nell’oggetto, sarebbe altrimenti insorta.
Ciò posto, nessun dubbio, così le SS.UU, che il primo comma dell’art.1917 C.C. faccia riferimento alla condotta da cui è derivato il danno e ciò anche considerando le disposizioni concernenti gli oneri informativi (art.1913 c.c.) e l’obbligo di salvataggio (art.1914 c.c.).
Da ciò consegue l’estraneità della clausola claims made pura rispetto alla fattispecie di cui al citato primo comma dell’art.1917 c.c.: infatti, in questo caso, il rischio non sarebbe più la responsabilità tout court, ma la responsabilità reclamata.
In altri termini, l’oggetto dell’obbligo di manleva non coinciderebbe col rischio derivante dall’esercizio dell’attività, ma col rischio connesso alla richiesta risarcitoria.
Nulla di tutto questo – precisa la sentenza – a fronte di una clausola claims made impura o mista: infatti, la copertura, in questo caso, viene circoscritta sulla base di un fattore temporale aggiuntivo (la richiesta risarcitoria) rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva.
In sostanza con quest’ultima clausola le parti definiscono l’area dei sinistri indennizzabili, ai sensi del primo comma dell’art.1917 c.c., andando così a delimitare l’oggetto piuttosto che la responsabilità.
Una volta esclusa la natura vessatoria della clausola oggetto del giudizio, la sentenza annotata affronta la questione relativa alla meritevolezza, precisando immediatamente che tale scrutinio può riguardare anche una singola clausola e deve essere effettuata in concreto sulla base delle peculiarità di ogni singola fattispecie, anche in relazione al rapporto di corrispettività tra il premio e l’indennizzo, a fronte di una condotta posta in essere nella vigenza del contratto, ma con richiesta risarcitoria dopo la scadenza della polizza.
E allora la verifica in ordine alla meritevolezza appare più complessa in relazione alla clausola claims made impura o mista, che non prevede alcuna copertura per periodi anteriori alla stipula del contratto, mentre si atteggia in modo differente in caso di estensione della copertura a periodi pregressi.
Per quanto concerne la clausola pura, stante la piena retroattività della stessa, in via di principio, così le SS.UU, la prospettazione di non meritevolezza è infondata.
La sentenza, quindi, affronta la questione se alla fattispecie in esame possa applicarsi la nullità di protezione, prevista dall’art.36 del D.lgs n.206/2005.
Le SS.UU. - dopo aver evidenziato che tale nullità potrebbe ipotizzarsi soltanto in casi residuali, in quanto in genere il contratto di assicurazione con clausola claims made è collegato ad un’attività professionale – affermano che, in ogni caso, il giudice, nell’accertare un eventuale “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, dovrà tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto e tale scrutinio, ove adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.
In ogni caso, precisa la sentenza, l’eventuale valutazione di non meritevolezza comporta l’applicazione dello schema legale loss occurence e ciò in applicazione del secondo comma dell’art.1419 c.c.2 o del principio generale di buona fede, a sua volta fondato sul dovere generale di solidarietà secondo l’art.2 della Costituzione3, che consente eventuali interventi del giudice in senso modificativo o integrativo dello statuto negoziale.
2 c.c. art. 1419. Nullità parziale.
La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
3 art. 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Infine, il Giudice sviluppa alcune brevi considerazioni in ordine all’introduzione in alcuni settori dell’obbligo di assicurare la responsabilità connessa all’esercizio della propria attività (art.3, comma 5, d.l. n.138/2011, convertito nella legge n.148/2011 – sulla riforma degli ordinamenti professionali; d.l. n.158/2012, convertito nella legge n.189/2012 – sulle professioni sanitarie in particolare).
Tali disposizioni, per la cui concreta attuazione è prevista l’adozione di decreti attuativi, prevedono anche la stipula di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali.
E allora, le SS.UU. affermano che il giudizio sull’idoneità di tali convenzioni non potrà essere positivo in presenza di buchi di copertura e tutto ciò in ragione della considerazione secondo cui l’inserimento della clausole claims made non coinvolge soltanto i rapporti tra assicuratore e assicurato, ma anche, e soprattutto, quelli tra il professionista e il terzo danneggiato, sul quale, in definitiva, potrebbero ricadere gli effetti di attività dannose poste in essere dal soggetto assicurato.
Quindi, le SS.UU, applicando i suddetti criteri alla fattispecie oggetto del giudizio, affermano che, stante l’estensione della garanzia ai fatti dannosi verificatisi prima della conclusione del contratto, il percorso logico-giuridico seguito dal giudice di secondo grado appare immune da vizi e, comunque, non sindacabile in sede di legittimità.
La clausola “claims made” inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., atteso che realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione.
Conferma due principi enunciati dalle Sezioni Unite, e precisamente: 1) la clausola claims made non è vessatoria, perché ha la funzione di determinare l’oggetto della copertura assicurativa e non di limitare la responsabilità del- l’assicuratore; 2) la clausola claims made può offrire una copertura retroattiva senza che ciò comporti nullità per inesistenza del rischio assicurato.
La sentenza in commento accredita, sulla scia delle Sezioni Unite, il meccanismo di sostituzione auto- matica della clausola claims made giudicata immeritevole di tutela con la norma dell’art. 1917, comma 1, c.c.
FATTI DI CAUSA
1. Il sig. (OMISSIS) convenne (in data che nè le parti, nè la sentenza impugnata indicano) dinanzi al Tribunale di Milano l'Azienda Ospedaliera (OMISSIS) (che in seguitò sarà trasformata in "Azienda Socio Sanitaria (OMISSIS)"; d'ora innanzi, per brevità, "l'Azienda").
L'attore chiese la condanna dell'Azienda convenuta al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un intervento chirurgico che assumeva imperitamente eseguito.
L'Azienda si costituì e, oltre a chiedere il rigetto della domanda, chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a.; d'ora innanzi, per brevità, "la (OMISSIS)").
La (OMISSIS) si costituì e negò di essere tenuta al pagamento dell'indennizzo. Dedusse che il contratto escludeva la garanzia per i fatti illeciti commessi dall'assicurato, anche durante la vigenza del contratto, se la richiesta di risarcimento da parte del terzo fosse pervenuta all'assicurato dopo la scadenza del periodo di assicurazione indicato nella polizza della polizza (c.d. clausola claim's made).
Soggiunse che, nel caso in esame, il terzo danneggiato aveva avanzato per la prima volta la sua richiesta di indennizzo all'ospedale dopo la scadenza della polizza, e per effetto della suddetta clausola l'indennizzo non era quindi dovuto.
2. Il Tribunale di Milano, con sentenza 18 marzo 2010 n. 3527, accolse la domanda principale e rigettò quella di garanzia, ritenendo il sinistro escluso dalla copertura.
La sentenza venne appellata, su questo punto, dall'Azienda.
La Corte d'appello di Milano, con sentenza 20 luglio 2012 n. 2655, accolse il gravame dell'Azienda e condannò la (OMISSIS) al pagamento dell'indennizzo, ritenendo che:
(-) la clausola claim's made, nella sua forma tipica, dovrebbe prevedere una retroattività della copertura assicurativa per i 10 anni precedenti la stipula del contratto;
(-) nel caso di specie il contratto prevedeva la copertura per i soli fatti illeciti commessi dall'assicurata entro i tre anni precedenti la stipula del contratto;
(-) ergo, la clausola claim's made pattuita nel caso in esame era atipica e vessatoria; doveva ritenersi nulla perchè non espressamente sottoscritta, e per effetto della nullità si doveva sostituire di diritto con la regola generale di cui al 1 comma dell'articolo 1917 c.c..
3. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su un solo motivo.
Ha resistito con controricorso l'Azienda.
Il ricorso, già fissato per la pubblica udienza del 23 febbraio 2016, con ordinanza pronunciata in udienza è stato rinviato a nuovo ruolo, nell'attesa che le Sezioni Unite di questa Corte si pronunciassero su una questione di diritto (la validità della clausola claim's made) rilevante ai fini della decisione sul ricorso.
Il ricorso è stato quindi nuovamente fissato e discusso all'udienza pubblica del 20 gennaio 2017.
Ambo le parti hanno depositato memoria; l'Azienda ha depositato altresì una seconda memoria prima della discussione fissata per il 20 gennaio 2017.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Questioni preliminari.
1.1. Con ambedue le memorie depositate ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., e poi nella discussione orale, la difesa dell'Azienda ha invocato la formazione del giudicato esterno sulla questione oggetto del contendere.
A fondamento di tale eccezione ha dedotto che la polizza della cui validità si discute nel presente giudizio, distinta dal n. 704346212, ha formato oggetto di un secondo giudizio tra l'Azienda e la (OMISSIS), relativo ad un diverso fatto colposo per il quale un paziente dell'ospedale "(OMISSIS)" chiese all'Azienda il risarcimento del danno. Ha soggiunto che tale giudizio è stato definitivamente chiuso dalla sentenza di questa Corte n. 22891 del 2015; che con tale sentenza questa Corte, cassando la sentenza impugnata e decidendo nel merito, ha dichiarato l'inefficacia della stessa clausola contrattuale, la cui validità forma oggetto del presente ricorso.
1.2. L'invocazione del giudicato esterno da parte della ricorrente è infondata, come correttamente rilevato anche dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni.
Ciò per due ragioni.
La prima ragione è che col proprio ricorso per cassazione la (OMISSIS) ha censurato la sentenza impugnata sul presupposto che la Corte d'appello ha escluso la garanzia assicurativa, dopo aver dichiarato vessatoria una clausola del contratto di assicurazione (l'articolo 23, comma primo, delle condizioni generali) che non doveva essere applicata al caso di specie, perchè disciplinava un caso diverso da quello oggetto del contendere.
Oggetto del presente giudizio è dunque stabilire se la Corte d'appello abbia correttamente individuato i patti contrattuali da applicare al caso concreto.
L'oggetto del giudizio concluso dalla sentenza n. 22891 del 2015 era invece diverso: in quel giudizio si doveva infatti stabilire se la clausola claim's made contenuta nel contratto di assicurazione fosse vessatoria ai sensi dell'articolo 1341 c.c..
La seconda ragione è che, in ogni caso, è onere di chi invoca il giudicato dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi di esso. Nel caso di specie, nella sentenza n. 22891/15 di questa Corte si legge solo (pag. 10, § 6) che le parti controvertevano sulla validità della clausola "di cui alla polizza stipulata fra le parti", ma non è possibile stabilire se tale polizza coincida o meno con quella oggetto del presente giudizio.
2. Il motivo unico del ricorso.
2.1. Con l'unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1322, 1341, 1917 e 1932 c.c.; 112 c.p.c.); sia dal vizio di illogicità della motivazione, di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio, ovvero quello anteriore alle modifiche di cui al Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, che la Corte d'appello ha accolto la domanda dell'Azienda, reputando vessatoria una clausola che non era rilevante e non doveva essere applicata nel caso di specie.
Spiega che il contratto di assicurazione prevedeva una clausola (l'articolo 23 delle condizioni generali) la quale estendeva la copertura alla responsabilità dell'assicurata per i fatti commessi sino a tre anni prima della stipula del contratto, a condizione che la richiesta risarcitoria pervenisse all'assicurata stessa nel periodo di vigenza del contratto; ed escludeva la copertura della responsabilità dell'assicurata per i fatti commessi in costanza di contratto, ma per i quali la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato le fosse pervenuta dopo la scadenza del periodo assicurativo.
La Corte d'appello, reputato che fosse "vessatoria" la limitazione della copertura pregressa solo ai tre anni precedenti la stipula del contratto, ha dichiarato vessatoria l'intera clausola.
Tuttavia - prosegue la (OMISSIS) - nel caso in esame non era in discussione se l'assicuratore dovesse o non dovesse garantire gli illeciti commessi prima della stipula della polizza, ma se dovesse o non dovesse coprire gli illeciti commessi durante il contratto, ma per i quali l'assicurato fosse stato escusso dopo la scadenza di questo.
La Corte d'appello, pertanto, ha deciso la controversia sulla base d'un patto contrattuale che non doveva essere applicato al caso di specie.
2.2. Il motivo è fondato.
La Corte d'appello ha accolto la domanda dell'Azienda con un sillogismo così riassumibile:
(a) esistono clausole claim's made "tipiche" e clausole claim's made "atipiche";
(b) le clausole claim's made "tipiche" devono prevedere la copertura della responsabilità dell'assicurato per i fatti colposi commesso fino a dieci anni prima la stipula del contratto;
(c) nel caso di specie era invece prevista la copertura per la responsabilità scaturente da fatti commessi dall'assicurato solo nei tre anni precedenti la stipula della polizza;
(d) questa riduzione costituiva una "riduzione della normale estensione retroattiva della clausola claim's made", ed era perciò vessatoria.
Questa motivazione effettivamente presenta tutti i vizi denunciati dalla ricorrente.
2.3. In primo luogo, essa è illogica, perchè la Corte d'appello ha dichiarato nullo il patto "A", e di conseguenza accolto la domanda dell'assicurato, in un caso in cui l'assicuratore aveva rifiutato l'indennizzo invocando il patto "B".
L'Azienda, infatti, chiese alla (OMISSIS) di essere tenuta indenne per un illecito colposo commesso durante la vigenza del contratto, e non già per un fatto commesso prima della stipula di esso. Pertanto che il contratto prevedesse una retroattività di uno, tre o dieci anni era circostanza irrilevante ai fini del decidere.
La sentenza impugnata presenta dunque una evidenza incoerenza logica tra la premessa del ragionamento (la domanda invoca la nullità della clausola "A") e la conclusione di esso (la domanda è fondata perchè è nulla la clausola "B").
2.3. In secondo luogo, e ad abundantiam, sussiste anche la violazione dell'articolo 1341 c.c..
Tale norma prevede la nullità della clausole, unilateralmente predisposte e non espressamente approvate per iscritto, che prevedano "limitazioni di responsabilità" del predisponente.
La "limitazione di responsabilità" del predisponente sussiste quando il patto contrattuale riduce gli obblighi posti a carico di quello o dalla legge, o da altre clausole contrattuali.
Nel caso in esame la Corte d'appello ha dichiarato vessatoria una clausola contrattuale, perchè restrittiva non già responsabilità addossata all'assicuratore dalla legge o da altri patti contrattuali, ma perchè restrittiva rispetto alle previsioni di una "clausola claim's made tipica".
In buona sostanza, la Corte d'appello ha ritenuto che, dato un patto atipico diffuso, sarebbe vessatoria la clausola che vi deroga. Ma tale affermazione è manifestamente erronea: sia perchè non esiste una clausola "claim's made tipica", se non sul piano della c.d. tipicità commerciale; sia perchè il parametro di valutazione delle vessatorietà d'una clausola riduttiva della responsabilità del predisponente può essere solo la legge o un patto contrattuale concreto e contenuto nel medesimo contratto.
3. La ritenuta fondatezza del ricorso, tuttavia, non impone la cassazione della sentenza impugnata, poichè la statuizione di accoglimento della domanda di garanzia proposta dall'Azienda è comunque conforme a diritto. Sarà dunque sufficiente, in questa sede, provvedere alla sola correzione della motivazione, per le ragioni che seguono.
3.1. L'Azienda e la (OMISSIS) hanno stipulato un contratto di assicurazione della responsabilità civile.
Tale contratto prevedeva, all'articolo 23, che "la garanzia esplica la sua operatività per tutte le richieste di risarcimento presentate all'assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia della presente assicurazione".
Della validità di questo tipo di clausole, comunemente dette claim's made, si sono occupate le Sezioni Unite di questa corte con la sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016.
Con questa decisione le Sezioni Unite hanno stabilito che:
(a) la clausola claim's made, nella parte in cui consente la copertura di fatti commessi dall'assicurato prima della stipula del contratto, non è nulla, e non rende nullo il contratto di assicurazione per inesistenza del rischio, ai sensi dell'articolo 1895 c.c.;
(b) la clausola claim's made, nella parte in cui subordina l'indennizzabilità del sinistro alla circostanza che il terzo danneggiato abbia chiesto all'assicurato il risarcimento entro i termini di vigenza del contratto, delimita l'oggetto di questo, e non la responsabilità dell'assicuratore, e di conseguenza non è vessatoria;
(c) la clausola claim's made, pur non essendo vessatoria, potrebbe tuttavia risultare in singoli casi specifici non diretta a "realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico", ai sensi dell'articolo 1322 c.c.. Quest'ultima valutazione tuttavia va compiuta in concreto e non in astratto, valutando:
(c') se la clausola subordini l'indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto;
(c'') la qualità delle parti;
(c''') la circostanza che la clausola possa esporre l'assicurato a "buchi di garanzia".
Per effetto dell'intervento delle Sezioni Unite, resta dunque definitivamente stabilito che la clausola claim's made non rende il contratto privo di rischio, e non ne comporta la nullità ex articolo 1895 c.c.; e che la suddetta clausola non è vessatoria ai sensi dell'articolo 1341 c.c..
Resta, invece, da stabilire caso per caso se quella clausola possa dirsi anche "diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela", ai sensi dell'articolo 1322 c.c., in particolare quando, come nel caso di specie, escluda il diritto all'indennizzo per i danni causati dall'assicurato in costanza di contratto, ma dei quali il terzo danneggiato abbia chiesto il pagamento dopo la scadenza del contratto (d'ora innanzi, per brevità, "le richieste postume").
Ritiene questa Corte che la clausola in esame non superi il vaglio di meritevolezza richiesto dall'articolo 1322 c.c., e che pertanto corretto sia il dispositivo della sentenza impugnata, nella parte in cui ne ha escluso la validità.
3.2. La clausola claim's made è un patto atipico, sorto in un ordinamento giuridico il cui diritto assicurativo è stato in passato, e resta ancor oggi, molto distante da quello italiano: per genesi, sviluppo e contenuto. In quanto patto atipico, alle parti è consentito adottarla solo se intesa a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento giuridico.
La "meritevolezza" di cui all'articolo 1322 c.c., comma 2, non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Secondo la Relazione al Codice civile, la meritevolezza è un giudizio (non un requisito del contratto, come erroneamente sostenuto da parte della dottrina), e deve investire non il contratto in sè, ma il risultato con esso perseguito.
Tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, all'economia, al buon costume od all'ordine pubblico (così la Relazione al Codice, § 603, 2 capoverso). Principio che, se pur anteriore alla promulgazione della Carta costituzionale, è stato da questa ripreso e consacrato negli articoli 2, secondo periodo; 4, secondo comma, e 41, secondo comma, cost..
Affinchè dunque un patto atipico possa dirsi "immeritevole", ai sensi dell'articolo 1322 c.c., non è necessario che contrasti con norme positive: in tale ipotesi sarebbe infatti di per sè nullo ai sensi dell'articolo 1418 c.c..
L'immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. Il giudizio di immeritevolezza, in definitiva, non costituisce che una parafrasi moderna del secolare ammonimento di Paolo nei Libri LXII ad edictum, ovvero non omne quod licet, honestum est (Dig., 50, XVII, 144).
3.3. Questa Corte, pur evitando definizioni generali della nozione di "immeritevolezza", in passato ha più volte implicitamente affermato i principi appena esposti.
È stata ritenuta "immeritevole" la clausola, inserita in una concessione di derivazione di acque pubbliche, che imponeva al concessionario il pagamento del canone anche nel caso di mancata fruizione della derivazione per fatto imputabile alla p.a. concedente, per contrarietà al principio di cui all'articolo 41 Cost., comma 2, (Sez. U, Sentenza n. 4222 del 17/02/2017).
Immeritevole è stato ritenuto il contratto finanziario che addossava alla banca vantaggi certi e garantiti, ed al risparmiatore non garantiva alcuna certa prospettiva di lucro (è la nota vicenda del contratto "Myway", che prevedeva l'acquisto di prodotti finanziari, emessi da una banca, mediante un mutuo erogato dalla stessa banca, e poi costituiti in pegno a garanzia del mancato rimborso del finanziamento: ex aliis, in tal senso, Sez. 1, Sentenza n. 22950 del 10/11/2015; per una vicenda analoga ed una analoga statuizione, relativa al contratto finanziario denominato "4You", si veda altresì Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 19559 del 30/09/2015).
Immeritevole, altresì, è stato ritenuto il contratto atipico stipulato tra farmacisti, in virtù del quale gli aderenti si obbligavano a non aprire al pubblico il proprio esercizio commerciale nel giorno di sabato, in quanto contrastante con la "effettiva realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato" (Sez. 3, Sentenza n. 3080 del 08/02/2013).
Immeritevole, ancora, è stata ritenuta la clausola, inserita in un mutuo di scopo per l'acquisto d'un bene materiale, che obbligava il mutuante al pagamento delle rate persino nel caso di mancata consegna del bene da parte del venditore (Sez. 3, Sentenza n. 12454 del 19/07/2012).
Immeritevole, poi, è stata ritenuta la clausola contrattuale che vietava al conduttore di ospitare stabilmente persone non appartenenti al suo nucleo familiare, in quanto contrastante coi doveri di solidarietà (Sez. 3, Sentenza n. 14343 del 19/06/2009).
Immeritevole, altresì, è stato ritenuto il contratto fiduciario in virtù del quale ad una banca, presso cui il cliente aveva depositato somme di denaro su un libretto di risparmio ed aperto un conto corrente, di compensare l'attivo del primo con il passivo del secondo (Sez. 1, Sentenza n. 1898 del 19/02/2000).
Immeritevole, ancora, è stato ritenuto il patto parasociale in virtù del quale i soci firmatari si obbligavano, in occasione delle deliberazioni assembleari di nomina degli amministratori e dei sindaci, a votare in conformità alle indicazioni formulate da uno di essi (Sez. 1, Sentenza n. 9975 del 20/09/1995).
Nè può tacersi, infine, un richiamo alla importante decisione pronunciata dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di esercizio officioso, da parte del giudice, del potere di ridurre la clausola penale manifestamente eccessiva (Sez. U, Sentenza n. 18128 del 13/09/2005). Nella motivazione di tale sentenza, infatti, in piena sintonia col § 603 della Relazione al Codice civile sopra ricordato, si ribadisce che l'autonomia negoziale delle parti non è sconfinata, ma è circoscritta entro il limite della meritevolezza, travalicato il quale l'ordinamento cessa di apprestarle tutela.
3.4. Riducendo a "sistema" le motivazioni dei precedenti appena ricordati, se ne ricava che sono stati ritenuti immeritevoli, ai sensi dell'articolo 1322 c.c., comma 2, contratti o patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di:
(a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l'altra (sentenze 22950/15, cit.; 19559/15, cit.);
(b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra (sentenze 4222/17; 3080/13; 12454/09; 1898/00; 9975/95, citt.);
(c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (sentenza 14343/09, cit.).
È alla luce di questi criteri che va valutata, nel caso di specie, la meritevolezza della clausola claim's made inserita nel contratto di assicurazione stipulato tra l'Azienda e la (OMISSIS).
È incontroverso che quel contratto copriva il rischio di responsabilità civile, cui l'Azienda fosse rimasta esposta nell'esercizio della propria attività, ovvero lo svolgimento di prestazioni sanitarie. Come già detto, essa escludeva l'indennizzabilità delle richieste postume. È, infine, incontroverso che i sanitari dipendenti dell'Azienda causarono danno ad un paziente nel 2003; che il contratto di assicurazione scadde il 31 dicembre 2003; che il terzo danneggiato rivolse la sua richiesta di risarcimento all'Azienda nel 2005.
Una clausola di questo tipo, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulata da un soggetto esercente la professione sanitaria, ed a copertura dei rischi propri di questa, non appare destinata a perseguire interessi meritevoli di tutela, sotto nessuno dei tre aspetti enucleati poc'anzi, nell'esordio del presente paragrafo.
3.4.1. In primo luogo, la clausola claim's made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all'assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita.
La clausola claim's con esclusione delle richieste postume riduce infatti il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall'assicurato nella prossimità della scadenza del contratto. È infatti praticamente impossibile che la vittima d'un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile.
Ciò determina uno iato tra il tempo per il quale è stipulata l'assicurazione (e verosimilmente pagato il premio), e il tempo nel quale può avverarsi il rischio. È vero che tale iato ricorre anche in alcuni tipi assicurativi (ad es., nei trasporti marittimi, nei quali la copertura inizia al momento della caricazione anche se il contratto è stato stipulato prima di tale momento), ma è altresì vero che in quei contratti prima dell'inizio della copertura, o dopo la sua fine, non è possibile l'avveramento del rischio (la merce non può essere perduta dal vettore prima della caricazione o dopo la scaricazione), mentre nell'assicurazione della responsabilità civile sanitaria è ovviamente possibile che l'assicurato causi danni a terzi anche negli ultimi mesi, o giorni, od ore precedenti la scadenza del contratto.
Questo iato temporale, è inconciliabile con il tipo di responsabilità professionale cui può andare incontro il medico, la cui opera può talora produrre effetti dannosi a decorso occulto, che si manifestano a distanza anche di molto tempo dal momento in cui venne tenuta la condotta colposa fonte di danno.
3.4.2. In secondo luogo, la clausola claim's made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto pone l'assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra.
La clausola claim's made, infatti, fa dipendere la prestazione dell'assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile a colpa dell'assicurato, ma altresì da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente dalla volontà del terzo danneggiato: la richiesta di risarcimento.
L'avveramento di tale condizione, tuttavia, esula del tutto dalla sfera di dominio, dalla volontà e dall'organizzazione dell'assicurato, che non ha su essa ha alcun potere di controllo. Ciò determina conseguenze paradossali, che l'ordinamento non può, ai sensi dell'articolo 1322 c.c., avallare.
La prima è che la clausola in esame fa sorgere nell'assicurato l'interesse a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in aperto contrasto col principio secolare (desumibile dall'articolo 1904 c.c.) secondo cui il rischio assicurato deve essere un evento futuro, incerto e non voluto.
La seconda conseguenza paradossale è che la clausola claim's made con esclusione delle richieste postume pone l'assicurato nella seguente aporia: sapendo di avere causato un danno, se tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura; se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l'obbligo di salvataggio di cui all'articolo 1915 c.c..
3.4.3. In terzo luogo, la clausola claim's made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto può costringere l'assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.
La clausola in esame infatti, elevando la richiesta del terzo a "condizione" per il pagamento dell'indennizzo, legittima l'assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia mancata: con la conseguenza che se l'assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), l'assicuratore potrebbe rifiutare l'indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all'assicurato, sicchè è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell'assicuratore (si veda, al riguardo, la fattispecie concreta già decisa da Sez. 3, Sentenza n. 5791 del 13/03/2014). Esito, si diceva, paradossale, posto che quanto più l'assicurato è zelante e rispettoso dei propri doveri di solidarietà sociale, tanto meno sarà garantito dall'assicuratore.
3.5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, previa correzione della motivazione nei termini che precedono, in virtù del seguente principio di diritto:
La clausola c. d. claim's made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un'azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall'assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell'assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell'articolo 1322 c.c., comma 2, in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell'assicuratore, e pone l'assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione.
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate integramente tra le parti, in considerazione della novità e controvertibilità della questione.
4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
(-) rigetta il ricorso;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.
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