I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale

 

I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale


Il patrimonio del debitore costituisce la garanzia ultima di cui il creditore dispone: una garanzia generica perché l’asservimento del singolo bene al soddisfacimento coattivo del creditore si realizza solo con il pignoramento; una garanzia potenziale, perché fin quando il creditore non si munisce di un titolo esecutivo, che presuppone l’inadempimento, non può aggredire il patrimonio del debitore.
L’ordinamento tutela sin dal momento in cui il credito sorge l’interesse del creditore alla conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore tramite i c.d. mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (azione surrogatoria, azione revocatoria e sequestro conservativo).
Tali rimedi hanno sia carattere preventivo, sia cautelare: preventivo perché si può ricorrere ad essi prima che l’inadempimento si consumi e che la responsabilità patrimoniale del debitore si concretizzi nell’azione esecutiva; cautelare perché la conservazione del patrimonio del debitore non è in grado si soddisfare l’interesse del creditore, ma è prodromica e funzionale a tale soddisfacimento. Di solito tali rimedi sono utilizzati dai creditori chirografari.
L’ordinamento prevede altri rimedi specifici diretti a preservare la garanzia patrimoniale come la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede, attraverso cui i creditori del de cuius preservano la garanzia patrimoniale del loro credito dal concorso con i creditori dell’erede. Inoltre, i creditori del chiamato all’eredità che vi abbia rinunciato possono surrogarsi al loro debitore nel potere di accettarla, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino a concorrenza del loro credito.

L’azione surrogatoria

 


L’art. 2900 attribuisce al creditore la legittimazione a sostituirsi al debitore nell’esercizio di un diritto o di un’azione che questi, pur essendone titolare, ometta di far valere nei confronti dei terzi. Tale inerzia, infatti, incide negativamente sul patrimonio del debitore, sia perché ne impedisce un possibile incremento (es. mancata riscossione di un credito pecuniario e sua conseguente prescrizione), sia perché ne può causare un decremento (es. mancato esercizio di un’azione di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta). In tal caso l’inerzia pregiudica anche la garanzia patrimoniale del creditore.
Il rimedio in parola è noto come azione surrogatoria, sebbene sia preferibile dire che al creditore è attribuita una legittimazione surrogatoria all’esercizio dei diritti del proprio debitore per 2 ragioni: 1) questa surrogazione può risolversi anche in un’attività stragiudiziale (es. atto con cui il creditore interrompe la prescrizione di un credito del proprio debitore verso un terzo); 2) quando il creditore agisce in giudizio in luogo del proprio debitore, egli non esercita un’azione individuata tipicamente dal legislatore, ma promuove l’azione che di volta in volta compete al proprio debitore (che può essere ad es. un’azione volta ad ottenere l’adempimento di un contratto o l’azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale). In ogni caso il creditore in via surrogatoria opera nel proprio interesse, ma agisce sempre nomine alieno, cioè in luogo del proprio debitore, perché fa valere un diritto di costui.
L’azione surrogatoria è esperibile solo in presenza di 3 presupposti: 1) il creditore deve vantare effettivamente un credito nei confronti del debitore a cui si sostituisce; non è necessario che il credito sia liquido ed esigibile; 2) l’inerzia del debitore, che rileva a prescindere della sua imputabilità o meno al debitore; 2) il periculum damni, ossia è necessario che l’inerzia del debitore determini il pericolo attuale di un pregiudizio futuro, pregiudizio che può consistere anche nella diminuzione della possibilità di ottenere il soddisfacimento coattivo del credito attraverso l’espropriazione forzata; non è, dunque, necessaria la prova che a causa dell’inerzia il patrimonio del debitore risulti incapiente.
Quanto ai diritti che il creditore può esercitare in luogo del debitore, l’art. 2900 si riferisce ai diritti e alle azioni che spettano al debitore verso terzi, ossia a posizioni di vantaggio che, dirigendosi verso un soggetto determinato, si radicano all’interno di un rapporto giuridico: il debitore, dunque, non può sostituirsi al proprio debitore nell’esercizio di diritti reali, perché essi prescindono da un contesto relazionale. I diritti ai sensi dell’art. 2900 devono avere, inoltre, contenuto patrimoniale e devono poter essere esercitati anche da un soggetto diverso dal titolare. Con riferimento al limite della patrimonialità, il fatto che un’azione possa avere conseguenze indirette sul piano patrimoniale non è sufficiente a riconoscere carattere patrimoniale alla situazione giuridica fatta valere: ciò che qualifica il diritto sono le conseguenze immediate del suo esercizio; ne deriva che il creditore non è legittimato a proporre in via surrogatoria le azioni che comportano una modificazione degli status o dei rapporti familiari (ad es. il creditore potrebbe avere interesse a proporre una domanda di separazione giudiziale al fine di ottenere che il coniuge del proprio debitore sia obbligato a corrispondere a quest’ultimo un assegno di mantenimento, ma non può farlo). Quanto al 2° limite si ritiene che il creditore non possa surrogarsi in quei diritti il cui esercizio è connotato da una discrezionalità qualificata, dove la scelta di esercitare o non esercitare il diritto sia strettamente personale (es. diritto agli alimenti, il diritto di convalidare un contratto annullabile).
La giurisprudenza ammette l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di cui all’art. 2932 da parte del promissario acquirente non solo nei confronti del promittente venditore inadempiente degli obblighi nascenti dalla stipulazione di un contratto preliminare, ma anche del suo dante causa che abbia promesso l’alienazione dello stesso immobile con un contratto preliminare (c.d. contratto preliminare a catena), essendo sufficiente, a fronte dell’inerzia del promittente venditore, che il terzo non abbia adempiuto alla propria obbligazione, pur avendo conseguito il prezzo. La peculiarità di tale sentenza è che se fosse accolta l’azione, nel patrimonio del sostituito si produrreb-bero incrementi patrimoniali, ma anche assunzioni di obblighi e promesse di prestazioni la cui decisione (secondo la dottrina) non può essere rimessa al creditore.

L’azione revocatoria ordinaria


Ove il debitore abbia compiuto un atto di disposizione che rechi pregiudizio alle ragioni del creditore, questi può promuovere l’azione revocatoria al fine di ottenere che l’atto di disposizione sia dichiarato inefficace nei suoi confronti, ossia inopponibile. Es. debitore che doni un proprio bene ad un terzo, pregiudicando il creditore posto che in tal modo si sottrae al patrimonio del debitore un cespite che si sarebbe potuto aggredire in caso di inadempimento.
L’atto revocato, tuttavia, resta valido ed efficace erga omnes: la sua inefficacia riguarda solo il creditore che esperisce l’azione revocatoria. Ciò significa che nella procedura esecutiva promossa dal creditore gli altri creditori del disponente non possono intervenire, ma possono intervenire i creditori del terzo acquirente del bene. L’azione revocatoria non ha effetti restitutori: il bene donato resterà nelle mani del donatario, almeno fino al momento dell’espropriazione forzata. Egli potrà cedere il bene ad un altro soggetto. Ne discende che il creditore potrà agire in via conservativa o anche esecutiva presso il terzo, collocandosi sullo stesso piano di un creditore pignoratizio o ipotecario, anche se a partire dai terzi subacquirenti, cioè coloro che hanno acquistato il bene dall’avente causa del debitore, l’opponibilità della revocatoria sarà subordinata alla trascrizione della domanda giudiziale. L’azione revocatoria si prescrive in 5 anni dalla data dell’atto. Nel caso dell’azione revocatoria ad avvalersi dei benefici è solo il creditore, mentre nel caso della surrogatoria saranno tutti i creditori, al momento dell’esecuzione forzata, a giovarsi dell’ingresso nel patrimonio del debitore dei beni recuperati.
Quanto ai presupposti dell’azione revocatoria:
1) effettiva sussistenza del credito (ancorché soggetto a termine o condizione);
2) l’azione revocatoria può colpire solo gli atti di disposizione, ossia gli atti con cui si trasferisce la proprietà di un bene, quelli con cui si costituisce un diritto reale di godimento o di garanzia su un bene e quelli con cui il debitore assume un’obbligazione verso un terzo. In realtà la categoria comprende solo i negozi con effetto reale, ma l’assunzione di un’obbligazione può compromettere la garanzia patrimoniale del creditore, nella misura in cui amplia il novero di coloro che concorreranno sul patrimonio del comune debitore. Non è revocabile per espressa disposizione normativa l’adempimento di un credito già scaduto, trattandosi di un atto dovuto che non comporta alcuna ricaduta negativa sul patrimonio del debitore. In applicazione di tale principio la giurisprudenza ritiene non revocabili gli atti di disposizione compiuti dal debitore per procacciarsi la liquidità necessaria all’adempimento di debiti scaduti, purché si dimostri che l’alienazione costituisca l’unico mezzo idoneo per tener fede alle proprie precedenti obbligazioni.
3) l’atto di disposizione può essere revocato solo se reca pregiudizio alle ragioni del creditore: tale presupposto (c.d. eventus damni) ricorre quando l’atto comporta una diminuzione quantitativa del patrimonio del debitore o renda più difficoltoso il soddisfacimento delle ragioni creditorie. Ciò spiega perché l’azione revocatoria possa colpire la vendita di un bene ad un prezzo corrispondente o superiore al suo valore di mercato: in questo caso il soddisfacimento del creditore diventa più difficoltoso perché il denaro è facilmente occultabile e può essere sottratto alla procedura esecutiva.
4) è necessario un presupposto di carattere soggettivo che si atteggia diversamente a seconda che l’atto di disposizione sia a titolo gratuito o a titolo oneroso: nel 1° caso è sufficiente che il debitore fosse consapevole del pregiudizio procurato dall’atto al suo creditore (scienza damni) e non è necessario provare la conoscenza effettiva dell’eventus damni, essendo sufficiente che questo fosse quanto meno conoscibile; nel 2° caso il creditore dovrà provare che anche il terzo acquirente era a conoscenza dell’incidenza negativa dell’atto sul patrimonio del debitore. La ragione di questo inasprimento dell’onere probatorio a carico del creditore è dovuta al fatti che, trattandosi di atto a titolo oneroso, che ha comportato per il terzo un sacrificio economico, il legislatore ne subordina la revoca alla mala fede dell’acquirente secondo il principio di meritevolezza dell’affidamento nella stabilità dell’atto che trova applicazione in numerose altre iporesi.
L’atto pregiudizievole potrà essere revocato anche se posto in essere prima del sorgere del credito, ma solo se il creditore riuscirà a dimostrare la dolosa preordinazione (consilium fraudis), cioè la volontà di arrecargli pregiudizio da parte del debitore e nel caso l’atto sia a titolo oneroso anche da parte del terzo (partecipatio fraudis).

Il sequestro conservativo


Il sequestro conservativo di un bene mobile o immobile è una misura cautelare che il creditore può chiedere al giudice quando, avendo promosso o essendo in procinto di promuovere una domanda diretta ad ottenere la condanna del debitore all’adempimento di un’obbligazione (anche risarcitoria) nutra il fondato timore di perdere, nelle more del giudizio di merito, la garanzia patrimoniale del credito che il bene di cui si chiede il sequestro offre.
Quanto agli effetti, l’accoglimento dell’istanza di sequestro comporta che gli atti posti in essere dal debitore, per il resto validi e efficaci, risultino inopponibili al creditore sequestrante (sotto questo profilo è simile all’azione revocatoria, ma si differenzia da essa perché precede e non segue il compimento dell’atto). Se all’esito del giudizio la pretesa creditoria si rivela infondata, il sequestro perde ogni effetto; se, invece, il giudizio si chiude con una condanna all’adempimento del debitore, il sequestro si converte in pignoramento del bene. La conversione non si verifica quando il creditore, nell’esercizio di un’azione revocatoria, chieda il sequestro conservativo del bene nei confronti del terzo acquirente, al fine di evitare che egli alieni ulteriormente il bene: in tal caso il sequestro non è volto ad anticipare il vincolo di indisponibilità che sorgerà con il pignoramento, ma l’inopponibilità al creditore dell’atto compiuto dal debitore.
Anche i crediti possono essere oggetto di sequestro, che in tal caso anticiperà gli effetti del pignoramento presso terzi nel quale è destinato a convertirsi.
Il sequestro conservativo differisce dal sequestro giudiziario che è disposto dal giudice per sottrarre il bene controverso alle parti in lite.


 

 

 

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