Tribunale Perugia n.88/2009
Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta

Disposizioni legislative:

Art. 1463 c.c.:
“Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito.”

Art. 1256 c.c. co. 1:
“L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.”

L’estinzione dell’obbligazione si verifica quando l’impossibilità è:

- sopravvenuta (deve verificarsi dopo che è sorta l’obbligazione);
- oggettiva (l’adempimento deve essere divenuto impossibile indipendentemente dalle condizioni personali o patrimoniali del debitore);
- assoluta (l’impedimento non può essere superato con alcuna intensità di sforzo);
- non imputabile (l’impedimento non deve derivare da dolo o colpa del debitore).

Art. 1467 c.c. co. 1:
"Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto".

Come si evince dal testo della legge, e come ha anche precisato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22396 del 2006, affinchè il giudice accerti l'eccessiva onerosità sopravvenuta è necessario che ricorrano taluni requisiti fondamentali, nella fattispecie:

-
una delle prestazioni deve essere divenuta eccessivamente onerosa per la parte che deve eseguirla;
-
l'evento che rende la prestazione eccessivamente onerosa deve essere straordinario e imprevedibile.

Con riguardo al primo punto è necessario tuttavia precisare che non si può chiedere la risoluzione ogni qual volta vi sia un aggravamento della posizione di una delle parti, in quanto il co. 2 dell'art. 1467 dispone che “la risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto”; in altre parole, la nozione in parola deve avere carattere oggettivo, e non ha dunque rilievo un eventuale maggior costo peculiare solo a chi è in concreto obbligato.

Relativamente al secondo punto, invece, bisogna evidenziare come il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all'apprezzamento di elementi suscettibili di misurazioni (e quindi tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza.
Si veda sentenza del Tribunale di Perugia, n. 88/2009.

 
                         REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                       IL TRIBUNALE DI PERUGIA
                    SEZIONE DISTACCATA DI FOLIGNO
in persona del
GIUDICE MONOCRATICO
DOTT. GENNARO IANNARONE
a  seguito  di  riserva  in  decisione  avvenuta  all'udienza  del 10
ottobre 2008, ha emesso la seguente
                               SENTENZA
nella  causa  iscritta  al  n.  9670/05  del  Ruolo  Generale  Affari
Contenziosi  Civili  dell'anno  2005,  avente  ad  oggetto:  Nullità,
annullamento,  risoluzione scrittura privata tra coniugi separandi, e
vertente
tra:
Mc  G.  D.  C., elettivamente domiciliato in F., Via O. n., presso lo
studio  dell'Avv.  Giovanni  Picuti, rappresentato e difeso dall'Avv.
Nicola di Mario, giusta procura a margine dell'atto di citazione,
attore,
                                  e
M.  D.,  elettivamente  domiciliata  in  F.,  Via G. G. n., presso lo
studio  dell'Avv.  Gianfranco  Angeli  che  la  rappresenta e difende
giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta,
convenuta.
Conclusioni delle parti:
per   l'attore:  nel  merito,  in  via  principale,  voglia  l'Ecc.ma
intestata  Giustizia,  ogni  contraria istanza, eccezione e deduzione
disattesa  -  previa  verifica   dei  relativi  presupposti legali  e
condizioni  di  rito eterogenei  rassegnati - accertare con  sentenza
dichiarativa  la  nullità  radicale  del  contratto  concluso  tra le
stesse  parti  su  scrittura  privata del 09.03.2001, o. gradatamente
disporne  l'annullamento, ad ogni consequenziale effetto restitutorio
e  risarcitorio (quest'ultimo ex artt. 1337 e 1338 c.c.) nella misura
da  determinarsi in corso di causa. In mero subordine, voglia l'On.le
Tribunale  Civile di Perugia, Sezione Distaccata di Foligno, adottare
(sul  riscontro  dei  molteplici  titoli  di  eccessiva  onerosità ed
impossibilità   sopravvenuta  delle  prestazioni  sinallagmatiche  in
narrativa)  pronuncia costitutiva di  risoluzione totale - od  in via
ulteriormente   gradata,  parziale,  nella  misura  che  sarà  meglio
precisata  in corso di causa - del medesimo rapporto convenzionale.
Ad  ogni  buon  conto  voglia   l'Illmo  Sig.  Giudice  adito  -   in
composizione     monocratica     -    provvedere     all'accertamento
dichiarativo    di    una   fondata  eccezione  di  risolubilità  del
regolamento  pattizio  in questione (come appena sostenuto) durante i
trascorsi  storici  di  inadempienze  non imputabili a colpa di parte
attrice.  Con  vittoria  di  spese,  funzioni ed onorari del presente
giudizio;
per  la  convenuta: voglia l'Ill.mo Giudice adito, IN VIA PRINCIPALE:
rigettare  le domande di parte attrice in quanto infondate in fatto e
in  diritto.  IN  SUBORDINE  E  IN  VIA  RICONVENZIONALE: omissis; IN
ULTERIORE  SUBORDINE  E IN VIA RICONVENZIONALE: omissis. Con vittoria
di spese, funzioni ed onorari.

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato Mc G. D. C. conveniva in giudizio M. D. esponendo di avere contratto matrimonio con la convenuta dalla quale erano nati i figli D. e Da. Cl.;
in coniugi erano in comunione legale dei beni;
sopravvenuta l'intollerabilità della convivenza, avevano inoltrato ricorso congiunto per separazione consensuale, cui era seguito il decreto di omologazione emesso dal Tribunale di Perugia in data 21 maggio 2001;
le condizioni della separazione presentate alla attenzione del Tribunale prevedevano esclusivamente l'obbligo in capo all'attore di versare l'assegno di mantenimento in favore del coniuge e dei figli e l'imputazione allo stesso attore delle spese straordinarie, nonché la disciplina del diritto di visita;
l'attore acquistava altresì la quota di proprietà della moglie di alcuni beni immobili in virtù di accordo non trasfuso nelle condizioni di separazione;

ed infatti, con separata scrittura privata, venivano previste prestazioni patrimoniali aggiuntive in favore della M. D., analiticamente indicate in citazione, nonché il versamento di euro 500.000,00 in corrispettivo della cessione in favore dell'attore della quota di comproprietà della convenuta su taluni beni immobili;
il Mc G. D. C. aveva dato sempre puntuale esecuzione alle prestazioni concordate;
tuttavia, sia a causa di una crisi del settore nel quale operava, sia a causa del deterioramento delle sue condizioni di salute, le entrate patrimoniali del Mc G. D. C. si erano notevolmente ridotte per cui era insorta impossibilità di far fronte alle ulteriori obbligazioni assunte con la separata scrittura privata e di ciò era stata resa edotta la M. D.;
ciononostante però la convenuta continuava a pretendere l'integrale adempimento delle predette obbligazioni.

Tutto ciò premesso in fatto, l'attore deduceva in diritto "risolubilità convenzionale per impossibilità da caso fortuito delle prestazioni obbligatorie e loro eccessiva onerosità sopravvenuta per c.d. presupposizione originaria";
esponeva al riguardo che l'attività professionale da egli svolta, a causa dell'imprevedibile compromissione della salute dovuta ad un sinistro occorsogli, fruttava ormai ristretti margini di guadagno che gli rendevano impossibile (ex art. 1463 c.c.) o eccessivamente oneroso (ex art. 1467 c.c.) adempiere le obbligazioni assunte con la citata scrittura privata, la quale era stata sottoscritta sul presupposto della esistenza di un determinato reddito dell'attore che era venuto meno.
Deduceva ancora "titoli molteplici di radicale nullità del contratto strictu sensu atipico: difetto di expressio causae o contrarietà (necessariamente alternativa) a norme inderogabili, ordine pubblico e buon costume; manifesta illiceità condizionale sospensiva, ovvero di motivi determinanti e comuni alle parti; residuale antigiuridicità ed impossibilità dell'oggetto unilateralmente indisponibile ed affatto indeterminato in capo alla Sig.ra M. D.";
al riguardo deduceva che la scrittura intercorsa tra le parti, integrante contratto atipico, doveva considerarsi radicalmente nulla "sotto profili di contenuto disciplinare, oggettivi intendimenti di scambio tra controprestazioni socio-economiche e riservati motivi comuni inter stipulatores nonché per un'accessoria condizione sospensiva contra jus appostavi. Da tutto questo (come si evince in seguito) ne scaturisce un plurimo disvalore antigiuridico della stipulazione de qua, stante il suo aperto contrasto a brocardi assiomatici legislativi e di sovraordinato rango gerarchico, tra le fonti cognitorie del diritto";
ciò in quanto - qualificate come atipiche le intese relative a trasferimenti di beni, cessioni, atti di desistenza o costitutivi di crediti stipulate in occasione della separazione quando non appaiono destinate a garanzia di mantenimento (assicurata dagli accordi sottoposti al vaglio giudiziale) - le stesse, secondo la prospettazione attorea, non potevano ritenersi assistite da presunzione di meritevolezza degli interessi perseguiti con la conseguenza che "quando manchi una estrinseca ed autosufficiente ratio essendi al semplice contratto, formalizzato nell'identico contesto patologico familiare sottoposto al controllo dell'Autorità competente, ma obliterato in questa sede (come emerge dalla scrittura privata controversa) le sue consequenziali validità ed efficacia - traslativa o meramente obbligatoria - vengono ammesse entro i ristretti paradigmi casistici sopra evidenziati";
tali intese potevano dunque considerarsi valide "solo se riconducibili a precise causali pattizie, quali ad es. schemi solutori del contributo di mantenimento coniugale rebus sic stantibus, moduli divisori in senso proprio, o figure classiche di c.d. fiducia statica";
a contrario invece tali regolamentazioni stragiudiziali private della crisi matrimoniale dovevano considerarsi nulle "ogniqualvolta la circostanza di addivenire a separazione di comune intesa tra coniugi vi si trasfonda non già quale presupposto accidentale della stipula, ma ne ridondi a sorta di prestazione unilaterale, assorbente il medesimo contenuto impegnativo dell'accordo", venendo in tal caso il potere discrezionale di separarsi dal coniuge ad "assurgere a precipuo rilievo causale (specie se commisto a mere pretese economiche) di contratti atipici estranei, ma contigui, alle procedure giurisdizionali volontarie ad hoc preposte", divenendo in tal modo "la scelta individuale del rito così azionabile" una sorta di "essenziale corrispettivo di separate attribuzioni economiche non altrimenti giustificate";
in tal modo operando, secondo l'attore, si finiva per condizionare sospensivamente l'efficacia di un possibile accordo di separazione personale tra coniugi alla preventiva accettazione di clausole schiettamente patrimoniali tra coniugi e ciò comportava "un indebito asservimento di posizione giuridiche a vocazione personalistica - finanche universale con riguardo ai diritti infantili coinvolti - in marcato subordine ad istanze di puro interesse economico tra adulti, con aperta violazione del principio solidaristico umano, sub specie familiare, cui è informato il sistema oggettivo a mente degli artt. 2, 3, cpv., 29, 30, I co. e 31, 2° alinea, Cost.";
e che tale condizionamento si era verificato emergeva dalla stipulazione della scrittura privata immediatamente a ridosso dell'inoltro congiunto della richiesta per separazione consensuale, nonché dalla evidente sproporzione tra le sostanze patrimoniali dell'attore (adeguate a sostenere le sole prestazioni giudizialmente convenute) e la abnorme gravosità delle prestazioni aggiuntive;
dimodochè "l'elettiva consensualità della separazione si evince come la pretta ragione giustificatrice del marcato squilibrio controverso", dovendosi quindi concludere che "l'endemico vizio del sinallagma contrattuale per cui è lite attiene in definitiva vuoi alla plurima illiceità originaria di quel negoziato (come supra precisata), ovvero, per alternativa inferenziale necessaria, alla manifesta carenza di expressio causae nell'ambito della stipulazione, matrice, ad ogni buon conto , di inevitabile nullità radicale: tertium non datur";
sosteneva l'attore quindi che, interpretando la scrittura, o l'assenso della sig.ra M. D. alla separazione consensuale integrava la controprestazione rispetto ai debiti assunti dal Mc G. D. C., o il ricorso congiunto non aveva un ruolo centrale nella regolamentazione dei rapporti familiari, così degradando ad una posizione di inammissibile accessorietà condizionata alla accettazione da parte dell'attore delle rilevanti pretese economiche della convenuta;
in entrambi i casi il negozio "non risultava consentito, vuoi dai limiti cogenti di ordine pubblico e buon costume in materia di c.d. negozialità pura e personalissima - qual è l'autodeterminazione privata di ciascun coniuge alla separazione - né (tantomeno) dalla inderogabile natura extra commercium della stessa libertà matrimoniale".
Deduceva ancora l'attore la nullità dell'accordo "giusta l'impossibilità del suo oggetto di scambio, in un contesto causale innominato, ma senz'altro commutativo" in quanto non poteva procedersi alla divisione dei beni prima del passaggio in giudicato della sentenza o del decreto collegiale di omologazione dell'accordo tra le parti.
Argomentava ancora che, mancando un adeguato corrispettivo dalle assorbenti concessioni economiche da parte dell'attore non altrimenti motivate, non era possibile alcuna valutazione della meritevolezza dell'accordo non emergendo il titolo posto a fondamento delle attribuzioni patrimoniali.
Chiedeva quindi, in via principale, dichiararsi la nullità radicale del contratto concluso tra le parti o gradatamente disporne l'annullamento con tutte le conseguenze restitutorie e risarcitorie;
in via subordinata pronunciare la risoluzione del contratto per impossibilità o eccessiva onerosità sopravvenute;
infine "provvedere all'accertamento dichiarativo di una fondata eccezione di risolubilità del regolamento pattizio in questione (come appena sostenuta) durante i trascorsi storici di inadempienze non imputabili a colpa di parte attrice".
Si costituiva la convenuta sostenendo la piena validità della scrittura privata impugnata riconducibile alla causa propria della transazione e non contrastante con i doveri inderogabili derivanti dal matrimonio.
Contestava altresì la fondatezza delle domande di risoluzione, ritenute contraddittorie rispetto alla domanda di nullità.

Con ordinanza in data 29 febbraio 2008 il G.I., ritenuta la causa matura per la decisione, invitava le parti a precisare le conclusioni.
Queste venivano rassegnate, nei termini di cui in epigrafe, all'udienza del 10 ottobre 2008.
La causa veniva dunque riservata in decisione alla scadenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.
Diritto
MOTIVAZIONE
Le domande proposte da parte attrice sono infondate in tutte le plurime prospettazioni.
In estrema sintesi (rinviando all'analitico svolgimento del processo per la complessiva esposizione delle argomentazioni rassegnate) parte attrice sostiene in primo luogo la nullità della scrittura redatta in data 3 marzo 2003 - avente ad oggetto la sistemazione integrale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in vista della separazione consensuale, con previsioni integrative rispetto al coevo ricorso giurisdizionale - in quanto con la stessa le parti avrebbero "commerciato" lo status di coniuge.
Ciò in quanto, a fronte delle gravose prestazioni patrimoniali previste in capo al Mc G. D. C., la controprestazione da parte della M. D. sarebbe consistita essenzialmente nel consenso ad addivenire alla separazione consensuale.

L'assunto è non provato in fatto ed infondato in diritto.
In primo luogo, dalla semplice contemporaneità di ricorso per separazione e scrittura privata, non deriva affatto, con un nesso di necessaria derivazione logica, che la M. D. abbia subordinato il consenso ad addivenire alla separazione non contenziosa, all'assunzione da parte dell'ex coniuge delle obbligazioni previste in contratto.
Ed infatti, non essendo dato conoscere l'ammontare del patrimonio complessivo dei coniugi (che appare notevole), astrattamente potrebbe anche essere accaduto il contrario nel senso che il Mc G. D. C. abbia egli prestato il consenso ad addivenire alla separazione consensuale a condizione che la M. D. si fosse "accontentata" delle prestazioni riportate nella scrittura (le quali, sempre ragionando in astratto - per quanto di notevole entità - ben potrebbero essere relativamente "scarse" rispetto al patrimonio complessivo).
Evenienza tra l'altro adombrata da parte convenuta che ha sostenuto che il corrispettivo di lire 500.000.000 per la cessione della comproprietà dell'immobile sito in località S. Bartolomeo sarebbe largamente inferiore al suo valore di mercato, dimodochè potrebbe derivarne anche un relativo equilibrio tra le prestazioni.
Con ciò si vuol dire che, essendo prospettabili ipotesi alternative, dalla mera contemporaneità degli atti non deriva affatto che il Mc G. D. C. abbia assunto le obbligazioni di cui alla convenzione in cambio del consenso della M. D. alla separazione non contenziosa.
L'assunto inoltre è infondato in diritto perché ciascuno dei coniugi ha il diritto di condizionare il proprio consenso alla separazione personale ad un soddisfacente assetto dei propri interessi economici, sempre che in tal modo non si realizzi una lesione di diritti inderogabili.
In base a tale principio la Suprema Corte ha ritenuto valido un contratto preliminare con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, abbia promesso di trasferire all'altro la proprietà di un immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali sia avvenuta al di fuori di qualsiasi controllo da parte del giudice che provvede alla omologazione della separazione, purché tale attribuzione non sia lesiva delle norme relative al mantenimento ed agli alimenti e ciò a prescindere dalle condizioni economiche del coniuge beneficiario, una volta che il diritto al mantenimento di questo ultimo sia stato così riconosciuto dal coniuge obbligato (Cass. civ., 05/07/1984, n.3940, in Mass. Giur. It., 1984).
Nello stesso senso si è ritenuto che emerge, dall'art. 160 c.c. non già il divieto, per i coniugi, di far valere anche nella materia familiare la propria autonomia (che trova la propria fonte nel diritto-dovere di autorganizzare la propria vita di coppia e che sussiste anche quando fra i coniugi stessi vige una situazione di separazione personale) ma solo il divieto di porre in essere accordi che deroghino ai diritti ed ai doveri previsti dalla legge; ne segue che, in presenza di un accordo consacrato nel verbale di separazione personale consensuale dei coniugi, che preveda la corresponsione, in favore di uno di essi, di una determinata somma mensile, è valida la scrittura coeva tra gli stessi intervenuta, che preveda la corresponsione di una somma maggiore (ancorché non omologata dal tribunale) (App. Brescia, 16/04/1987, in Giur. di Merito, 1987, 843).
Deve quindi ritenersi che non risulta conforme a diritto, innanzitutto, l'affermazione per cui l'efficacia dei patti stipulati fra coniugi, in occasione della loro separazione consensuale o successivamente ad essa, debba necessariamente dipendere dall'omologazione conseguita mediante la procedura disciplinata dall'articolo 711 c.p.c.
In realtà, vero essendo che la separazione consensuale acquista efficacia con l'omologazione (art. 711 cit., 4 co.), non è peraltro esclusa - secondo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, - la validità di pattuizioni stipulate fra coniugi, anche al di fuori degli accordi omologati (Cass. n. 5189/1998), sia posteriori all'omologazione (le quali trovano fondamento nell'articolo 1322 c.c., purché non varchino il limite di derogabilità dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio, fissati dall'articolo 160 c.c.: Cass. nn. 5829/1998, 657/1994, 2270/1993); sia anteriori o contemporanee all'accordo omologato, purché queste non ledano il contenuto minimo indispensabile del regime di separazione (Cass. n. 9287/1997) e non interferiscano con esso (Cass. n. 7029/1997), ma si configurino in termini di maggior rispondenza all'interesse della famiglia (Cass. n. 657/1994), in quanto incrementino, ad esempio, come nel caso di specie, la misura dell'assegno di mantenimento o concernano altro aspetto non incluso nell'accordo omologato e compatibile con esso (Cass. n. 2270/1993).
Ciò posto non sembra che la pattuizioni non omologate di cui alla impugnata scrittura interferiscano con gli altri patti della separazione consensuale, in quanto sostanzialmente li integrano, essendo finalizzati a meglio soddisfare anche l'obbligo di mantenimento della prole stabilito dall'articolo 147 c.c. (si pensi alle statuizioni relative alla fornitura di olio - art. 3 - al pagamento di prodotti farmaceutici e cosmetici - art. 4 - alla stipula di un contratto di assicurazione con beneficiari i figli - art. 10).
Né in senso contrario vale sostenere che ragioni di ordine pubblico (in sintesi attitudine ad influire, in vario senso, sulle determinazioni delle parti in ordine allo "status" personale) ostino alla conclusione di accordi della natura di quello di cui si discute, in quanto il divieto attiene alla regolamentazione preventiva di una eventuale futura separazione e non invece ad una separazione che esse hanno già deciso di conseguire e, quindi, non semplicemente prefigurata o consegnata, comunque, alle loro determinazioni future.
È di tutta evidenza infatti che l'accordo sia stato concluso dalle parti quando la crisi matrimoniale era già in atto, quando già si era manifestata la intollerabilità della prosecuzione della convivenza, tanto che le parti avevano redatto e depositato in pari data il ricorso per separazione personale.
Parimenti infondata è la causa di nullità relativa alla indivisibilità dei beni prima della definitività del decreto di omologazione, posto che, a tutto concedere, i soli trasferimenti immobiliari o le attribuzioni di altri beni (e non anche tutte le altre attribuzioni patrimoniali contenute nella scrittura) verrebbero ad essere semplicemente condizionate nella loro efficacia al venir meno della comunione legale conseguente alla definitività del decreto di omologazione.
In ordine alla domanda di annullamento non risulta neppure allegata alcuna delle ipotesi tipiche che determinano annullabilità del contratto.
Infine, venendo alle domande di risoluzione per impossibilità o eccessiva onerosità sopravvenuta, le stesse risultano parimenti infondate.
Ciò in quanto, in merito alla prima, non viene in considerazione quella impossibilità assoluta ed oggettiva che costituisce causa di estinzione della obbligazione e, conseguentemente, di risoluzione del contratto, ma semplicemente una impossibilità soggettiva o, più propriamente, una mera difficoltà di adempiere alla quale l'attore può ovviare attingendo ad altre risorse economiche diverse dal reddito da lavoro che ha subìto un decremento.
Lo stesso dicasi per la dedotta eccessività sopravvenuta della prestazione che va apprezzata con riferimento al mutamento di valore della prestazione stessa dovuto a cause straordinarie ed imprevedibili e non certo alle mutate condizioni economiche del debitore.
Il mutamento delle condizioni patrimoniali dell'obbligato potrà essere fatto valere ex art. 710 c.p.c. in relazione alle statuizioni sottoposte alla omologazione del Tribunale.

Le domande proposte dall'attore, in via principale e subordinata, devono dunque essere rigettate.
Rimane così assorbito l'esame delle domande riconvenzionali proposte solo in via subordinata da parte convenuta.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
P.Q.M.
IL TRIBUNALE DI PERUGIA
SEZIONE DISTACCATA DI FOLIGNO
in persona del
GIUDICE MONOCRATICO
dott. Gennaro Iannarone,
definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, con atto di citazione in data 13 maggio 2005, da Mc G. D. C. nei confronti di Muzi Daniela, ogni diversa e contraria istanza, deduzione ed eccezione disattese, così provvede:
1) Rigetta le domande, proposte in via principale e subordinata, dall'attore;
2) Condanna Mc G. D. C. al pagamento, in favore di M. D. delle spese di lite che liquida in complessivi euro 3.750,00 di cui euro 1.650,00 per diritti ed euro 2.100,00 per onorari, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge.
Foligno, 9 marzo 2009.
IL GIUDICE
DOTT. GENNARO IANNARONE.
DEPOSITATO IL 27 MARZO 2009

 

 

 

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