Con riferimento alle pubbliche amministrazioni nel caso di violazione del termine di durata del contratto di lavoro (precedentemente regolato dalla L 368/01 ed adesso dal DLgs. 81/2015) non puo' conseguire la costituzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma solo il risarcimento dei danni, per effetto dell'articolo 36 comma V del D.lgs n. 165 del 2001 (CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 dicembre 2015, n. 24808). Per la PA I contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione delcitato art 36 sono nulli e determinano responsabilita' erariale. I dirigenti che operano in violazione delle  disposizioni del presente articolo sono, altresi', responsabili ai sensi dell'articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarita' nell'utilizzo del lavoro flessibile non puo' essere erogata la retribuzione di risultato.

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Cagliari con la sentenza n. 299 del 2009, pronunciandosi sull'appello proposto avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Cagliari del 21 giugno 2006 e avverso quella definitiva del 9 novembre 2007, confermava l'illegittimità del termine apposto al contratto intercorso tra G. M. e l'Ente foreste della Sardegna dal 1 aprile 2005 in quanto privo di forma scritta, per il ritenuto contrasto con gli artt. 1 ss. del D.lgs. n. 368 del 2001 e con l'articolo 46 comma 3 del CCNL per i dipendenti addetti ad attività di sistemazione idraulico forestale, applicabile al caso di specie in forza dell'art. 6 della L.r. n. 12 del 9 agosto 2002.

Andando però di contrario avviso rispetto al giudice di primo grado, riteneva che a cagione della natura di ente pubblico non economico dell'Ente foreste della Sardegna, all'illegittimità del termine non potesse conseguire la costituzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma solo il risarcimento dei danni, a mente dell'articolo 36 comma V del D.lgs n. 165 del 2001; nel caso, la domanda risarcitoria ad avviso della Corte territoriale non poteva tuttavia essere accolta, a causa dell'assoluto difetto di allegazione da parte del M. di circostanze dirette a comprovare l'effettiva natura e consistenza del danno che lo stesso avrebbe conseguito per effetto dell'illegittima assunzione da parte dell'amministrazione pubblica.

Per la cassazione della sentenza G. M. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso l'Ente Foreste della Sardegna.

Motivi della decisione

1. Come primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'articolo 340 c.p.c. e lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto tempestiva la riserva d'appello formulata in primo grado dall'Ente foreste con atto depositato in cancelleria il 17 agosto 2006 avverso la sentenza del Tribunale assunta all'udienza del 21 giugno 2006, poi notificata ad istanza di parte il 3 agosto 2006, negando che la fase processuale nella quale il giudice di primo grado, dopo avere dato lettura del dispositivo e della motivazione, aveva rimesso la causa in istruttoria ed adottato i relativi provvedimenti, costituisse la "prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa", individuata dall'art. 340 c.p.c. come sede per la tempestiva formulazione della riserva d'appello.

2. Il motivo non è fondato.

2.1. L'art. 340 c.p.c.I comma prevede che la riserva facoltativa d'appello contro le sentenze non definitive debba essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine per appellare ed in ogni caso non oltre la prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa. Qualora quindi la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza venga celebrata anteriormente alla scadenza del termine per appellare, la natura acceleratoria della disposizione comporta che la riserva debba comunque essere effettuata entro l'udienza (sul punto v. Cass. n. 13085 del 2004, n. 212 del 2000 e n. 3266 del 2005).

Nel caso in esame, si ricava dalla narrativa contenuta nella sentenza della Corte d'appello che il Giudice di primo grado all'udienza del 21 giugno 2006 al termine della discussione ha pronunciato sentenza, dando lettura del dispositivo e, contestualmente, della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

2.2. Occorre premettere che questa Corte, in relazione alla disposizione contenuta nell'art. 281 sexies c.p.c., ha chiarito che la lettura della sentenza in udienza e la sottoscrizione, da parte del giudice, del verbale che la contiene, non solo equivalgono alla pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall'art. 133 cod. proc. civ., ma esonerano il cancelliere dall'onere della comunicazione. La conclusione trova fondamento nel fatto che la lettura del provvedimento in udienza deve ritenersi conosciuta, con presunzione assoluta di legge, dalle parti presenti o che avrebbero dovuto essere presenti (Cass. n. 16304 del 2007; Cass. n. 4401 del 2006; Cass. n. 20417 del 2006, ord., Cass. n. 17665 del 2004; e da ultimo, Cass. n. 22659 del 2010), Tale soluzione è applicabile anche all'analoga disciplina introdotta per il rito del lavoro dall'art. 429 I c. c.p.c., come modificato dall'art. 53 comma 2 del D.L. n. 112 del 2008, conv. nella L. 133 del 2008, in M.nza di diversa previsione ed atteso che l'art. 430 c.p.c. si riferisce ormai ai soli casi in cui il giudice non dia contestuale lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza, ovverosia qualora, attesa la "particolare complessità della controversia", egli decida di limitarsi alla lettura del dispositivo.

Ne consegue che a tale momento occorre avere riguardo per la decorrenza del termine lungo per impugnare previsto dall'art. 327 c.p.c, e che la riserva facoltativa d'appello dev'essere effettuata entro la prima udienza ad esso successiva, se anteriore alla scadenza del termine per proporre impugnazione.

2.3. Nel presente procedimento, la fase processuale in cui, dopo la lettura della sentenza, il Tribunale aveva adottato i successivi provvedimenti istruttori, non poteva poi costituire la prima udienza successiva alla pubblicazione, ai sensi e per gli effetti previsti dall'art. 340, 1 comma c.p.c.. E difatti, benché dotata di una propria logica autonomia, la sentenza ha rappresentato uno dei momenti dell'articolato svolgimento della medesima udienza nell'ambito della quale sono stati dettati anche i successivi provvedimenti istruttori.

La soluzione, che discende dal fatto che la sentenza è parte integrante del verbale di udienza relativo a quella giornata (come ritenuto da Cass. n. 24842 del 21/11/2014), è coerente anche con la necessità di concedere alla parte soccombente nella sentenza non definitiva uno spatium deliberando dopo la pubblicazione della stessa, al fine di valutare l'opportunità di formulare o meno la riserva, che verrebbe altrimenti meno. Il rispetto di tali indici consente, infatti, al difensore la fruizione di un momento di riflessione, oltre che la possibilità di consultazione del cliente in ordine all'andamento della causa ed all' incidenza sugli interessi da tutelare, prima di esprimere la riserva. Tanto più che al compimento di un atto, diretto a paralizzare l'acquicscenza, sono collegati effetti di rilievo, poiché la dichiarazione di riserva implica la preclusione della impugnazione tempestiva, quindi, l'inammissibilità dell'appello immediato (v., in senso conforme, Cass. n. 12482 del 2003).

2.4. Correttamente quindi la Corte di merito ha ritenuto tempestiva la riserva d'appello formulata dall'Ente foreste con atto depositato in cancelleria il 17 agosto 2006, che risultava tale con riferimento al primo dei termini alternativamente individuati dall'art. 340 c.p.c., che era nel caso il termine breve previsto dall'art. 325 c.p.c., essendo stata notificata la sentenza in data 3 agosto 2006, mentre la prima udienza effettivamente successiva si tenne solo il 31 gennaio 2007.

3. Come secondo motivo di ricorso, G. M. deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 46 del CCNL per i dipendenti addetti ad attività di sistemazione idraulico forestale, in correlazione con l'art. 3 della Legge regionale della Sardegna del 13 novembre 1998 n. 31, con l'art. 6 della L.r. del 9 agosto 2002 n. 12, con l'art. 1 della L.r. n. 40 del 1989 e con l'art. 117 della Costituzione.

Lamenta che la Corte d'appello di Cagliari abbia negato ai rapporti di lavoro con l'Ente foreste della Sardegna l'applicazione dell'articolo 46 del suddetto CCNL, che prevede la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di assunzioni senza la necessaria forma scritta.

Sostiene che nonostante la soggettività datoriale pubblica, il rapporto di lavoro con l'Ente foreste della Sardegna manifesta una spiccata peculiarità, che trae origine dalla potestà attribuita alla regione dall'art. 117 della Costituzione di disciplinare l'intera materia riguardante lo stato giuridico ed economico del personale, riscontrato anche nelle sentenze n. 74 del 2003 e 180 del 2004 della Corte costituzionale. Le fonti normative richiamate in rubrica prevedono che la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti dell'Ente foreste Sardegna sia interamente disciplinato dalla contrattazione collettiva, cd i richiami privatistici ad essa connessi determinerebbero l'inoperatività della clausola di salvaguardia dettata per il pubblico impiego c.d. contrattualizzato dell'art. 36 comma 5 del D.lgs n. 165 del 2001 (che all'epoca dei fatti, anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 244 del 2007 e dal d.l. n. 112 del 2008, conv. nella L. 133 del 2008, era contenuta nel comma 2).

4. Neppure il secondo motivo è fondato.

Il primo comma dell'art. 9 della L.r. Sardegna 09/06/1999, n. 24, come sostituito dall'art. 6 della L.r. 09/08/2002, n. 12, dispone che "Al personale dell'Ente, che costituisce un comparto di contrattazione distinto dal comparto del personale dell'Amministrazione regionale e degli altri enti regionali, si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro degli operai forestali ed impiegati agricoli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale eseguiti in amministrazione diretta da enti, aziende o istituzioni pubbliche e il contratto integrativo regionale stipulato secondo quanto previsto dai seguenti commi".

La legislazione regionale demanda quindi alla contrattazione collettiva di diritto privato la regolamentazione del rapporto di lavoro del personale, per tale dovendosi chiaramente intendere il rapporto di lavoro giù in atto, e non riguarda le procedure del reclutamento e dell'accesso agli impieghi.

La stessa Regione Sardegna detta peraltro una propria disciplina per l'accesso agli impieghi dell'Ente Foreste, tanto che la L.r. 05/12/2005, n. 20, all'art. 37 comma 1, come modificato dall'art. 15, comma 24, L.r, 29 maggio 2007, n. 2, prevede che "Le assunzioni a tempo indeterminato e determinato presso l'Ente foreste della Sardegna di personale destinato alla gestione dei cantieri di forestazione, avvengono mediante richiesta di avviamento presso i Centri dei servizi per il lavoro competenti per territorio. Le assunzioni devono essere effettuate tra i disoccupati residenti nel comune nel cui territorio insistono i cantieri, sulla base di accordi stipulati tra l'Ente, le organizzazioni sindacali dei lavoratori c Ì comuni interessati"'. Ed il comma 2 aggiunge che "Gli accordi devono tener conto dell'esigenza di salvaguardare le professionalità esistenti, di superare la precarietà nel settore e dei disagi creati localmente al sistema agro-pastorale".

Una deroga alla disciplina del reclutamento, introdotta dalla contrattazione collettiva di diritto comune (qual è quella richiamata dal ricorrente), violerebbe quindi la stessa disciplina delle assunzioni quale prevista dalla legge regionale sarda sopra richiamata.

4.1. La parte ricorrente valorizza in proposito la previsione dell'art. 46 del CCNL , che così dispone: "Gli operai devono essere assunti secondo le norme vigenti per il collocamento. Gli operai addetti alle attività di cui all'art. 1 del presente contratto, per quanto riguarda la natura del rapporto di lavoro, sono classificati in operai a tempo determinato e operai a tempo indeterminato. Sono operai a tempo determinato: quei lavoratori che sono assunti con contratto a termine per Ì lavori di carattere stagionale o per l'esecuzione di un'opera definita e predeterminata nel tempo, o per sostituire lavoratori assenti per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto. L'apposizione del termine alla durata del rapporto di lavoro deve risultare da atto scritto. Ai rapporti di lavoro a tempo determinato si applicano le disposizioni contenute nella legge 18.4.62 n. 230 e successive modifiche e integrazioni, in quanto compatibili con la particolare natura delle prestazioni di lavoro disciplinate dal presente contratto. Sono operai a tempo indeterminato: (a) quei lavoratori assunti senza prefissione di termine; (b) quei lavoratori che, essendo inquadrati ai fini assicurativi e previdenziali nel settore agricolo e avendo svolto nei 12 mesi precedenti almeno 180 giornate di lavoro effettivo presso lo stesso datore di lavoro, vengono assunti senza prefissione di termine con garanzia di una durata minima del rapporto pari a 181 giornate lavorative".

Sostiene che la previsione secondo la quale l'apposizione del termine deve risultare da atto scritto, combinata con l'inciso successivo secondo il quale i lavoratori assunti senza previsione del termine sono a tempo indeterminato, determinerebbe la conversione del contratto a termine stipulato senza il rispetto dell'onere di forma.

La conseguenza cosi prospettata non è chiaramente evincibile dal testo della disposizione, che prescrive, è vero, l'onere di forma per l'apposizione del termine, ma nel richiamare le disposizioni della L. 18.4.62 n. 230 e successive modifiche e integrazioni, appone una clausola di compatibilità che impone una valutazione della specificità della natura del rapporto di lavoro in questione.

Inoltre, laddove qualifica come a tempo indeterminato il rapporto di lavoro "senza prefissione del termine", non richiama anche il caso in cui il termine non sia stato apposto per iscritto.

4.2. Ove anche comunque quella prospettata in ricorso fosse la volontà espressa dalle parti contraenti collettive, la previsione sarebbe in contrasto con i limiti della potestà di regolamentazione che la legge regionale ha demandato alla contrattazione collettiva, che, come sopra specificato, non attiene alle forme di reclutamento del personale, sicché neppure può ritenersi demandata la possibilità di prevedere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato come conseguenza sanzionatoria della patologia dei contratti di lavoro flessibile e quindi come conseguenza dell'illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro.

5. La Regione Sardegna non avrebbe comunque potuto prevedere la conversione del rapporto a tempo determinato con termine illegittimo in rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'Ente Foreste della Sardegna, senza violare i vincoli imposti dalla legge statale alla legislazione delle Regioni, anche ad autonomia differenziata.

Occorre premettere che il rapporto di lavoro degli operai dipendenti dell'Ente Foreste della Sardegna, istituito con la L.r. 09/06/1999, n. 24, a seguito della soppressione dell'Azienda delle foreste demaniali della Regione sarda, sebbene assoggettato dalla normativa regionale alla disciplina privatistica, va inquadrato nell'ambito di quello che viene tecnicamente oggi definito "'lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche", in considerazione della natura di Ente pubblico non economico del datore di lavoro (che neppure è stata revocata in dubbio nel presente giudizio) e dall'inerenza del rapporto di lavoro degli operati forestali ai fini istituzionali dell'ente.

Né a diverso avviso induce l'art. 3 della L.r.. Sardegna 13/11/1998, n. 31, recante la Disciplina del personale regionale e dell'organizzazione degli uffici della Regione, che prevede che "L'Amministrazione e gli enti assumono ogni determinazione per l'organizzazione degli uffici al fine di assicurare l'economicità, la speditezza e la rispondenza detrazione amministrativa al pubblico interesse. Nelle materie soggette alla disciplina del codice civile, delle leggi sul lavoro e dei contratti collettivi, l'Amministrazione e gli enti operano con i poteri del privato datore di lavoro, adottando tutte le misure inerenti alla organizzazione e alla gestione dei rapporti di lavoro", considerato che tale norma distingue il potere pubblico di organizzazione degli uffici dagli atti di gestione e organizzazione dei rapporti di lavoro, di natura privatistica".

Sulla base delle medesime considerazioni, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 29 luglio 1998 n. 7419 hanno ritenuto operante la giurisdizione amministrativa - in relazione a questione anteriore al 30 giugno 1998- per il rapporto di lavoro degli operai forestali assunti dall'Azienda delle foreste demaniali sarde, per i quali allo stesso modo la L.r. n. 26 del 1980 prevede l'applicazione del contratto collettivo nazionale e gli eventuali contratti integrativi regionali, cd hanno ribadito che non basta la disciplina privatistica del rapporto per inferirne la natura privata e non pubblica, con conseguente sottrazione alla giurisdizione esclusiva, ma occorre un quid pluris, e cioè un fondamento normativo che espressamente affermi lo svincolo dalle implicazioni che nascono dall'inserimento del rapporto nella struttura istituzionale dell'ente pubblico. La disciplina in termini privatistici si presenta pertanto ad avviso delle Sezioni Unite non già come una notazione caratteristica per scelta specifica e determinante del legislatore regionale, ma come mera modalità disciplinatrice del suo contenuto (v., in termini, sempre con riferimento all' Azienda delle foreste demaniali della Sardegna, Cass. S.U. 27 giugno 1986 n. 4277, e, poi, S.U., 17 marzo 1989 n. 1351 e, con riferimento all'analoga fattispecie dell'Afor, Azienda forestale della Regione Calabria, Cass. n. 15357 del 2014). Le sentenze richiamate si inseriscono peraltro nel solco dell'orientamento, largamente condiviso, secondo il quale per la qualificazione pubblicistica del rapporto di lavoro è determinante l'inserimento del prestatore in posizione di subordinazione e con carattere di continuità nell'ambito dell'organizzazione dell'ente pubblico non economico, senza che rilevi l'assoggettamento del rapporto alla disciplina sostanziale dettata da un contratto collettivo di diritto privato (v. ex multisi, sempre ai lini del riparto di giurisdizione, Cass. S.U. n. 13033 del 1991, S.U. n. 2434 del 1992).

5.1. La natura pubblica del rapporto di lavoro del personale dell'Ente Foreste della Sardegna determina l'applicazione della disciplina dettata dal D.lgs n. 165 del 2001, che riguarda tutti gli enti indicati nel comma 2 dell'art. 1 del D.lgs n. 165 citato, tra cui gli enti pubblici non economici regionali.

5.2. Non vale difatti ad escludere l'applicazione della c.d. clausola di salvaguardia prevista dall'art. 36 comma 5 (all'epoca comma 2, come sopra specificato) del D.lgs n. 165 del 2001, il fatto che la normativa regionale preveda le assunzioni tramite il collocamento, senza la procedura del concorso pubblico. E difatti, anche l'art. 35 comma 1 lettera b) del D.lgs n. 165 del 2001 prevede che le assunzioni nella p.a. avvengono, oltre che tramite procedure selettive (lett. a), anche mediante l'avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e i profili per i quali sia richiesto solo il requisito della scuola dell'obbligo, ma l'art. 36 comma 5 non prevede in relazione ai rapporti di lavoro relativi a tali profili professionali alcuna esclusione. E' poi vero che la Corte Costituzionale, con la fondamentale sentenza n. 89 del 27 marzo 2003, affermando la compatibilità dell'art. 36 comma 2 del D.Lgs. 165/01 (che all'epoca prevedeva il divieto di conversione dei contratti a termine, materia ora disciplinata dal comma 5 dello stesso articolo) con l'art. 3 della Costituzione, ha affermato che il principio fondamentale che connota l'instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e lo differenzia dal lavoro privato è quello dell'accesso mediante concorso, tale argomentazione della Consulta - che è stata valorizzata da questa Corte nella sentenza n. 9555 del 22/04/2010 per ritenere che al rapporto fra l'INAIL ed i portieri addetti alla vigilanza e custodia di edifici di proprietà dell'Istituto, disciplinato da un contratto collettivo di natura privatistica, non si applichi l'art. 36 del d.lgs. n. 29 del 1993 - si affianca però all'altra, secondo la quale il principio di accesso mediante concorso è enunciato nell'art. 97 della Costituzione a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, sicché deve ritenersi giustificata e non irrazionale la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle amministrazioni, conseguenze esclusivamente risarcitorie in luogo della conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Non è quindi solo il principio del concorso la ratio ispiratrice dell'art. 36 comma 5 richiamato, che ne determina la compatibilità costituzionale, ma anche l'esigenza di garantire prevedibilità e uniformità nel reclutamento da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ossequio alle regole di buon andamento e imparzialità, parimenti di rango costituzionale, nonché nelle esigenze di contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica.

5.3. Né sono ravvisabili in tale differente disciplina in tema di conseguenze dell'illegittimità del termine problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, ed in particolare con la Direttiva 1999/70/CE - come rilevato dalla Corte territoriale, che ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia Marrosu e Sardino, (7 settembre 2006 in causa C-53/04) - purché il risarcimento assicurato al lavoratore sia conforme ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione di contratti a termine sanciti dalla giurisprudenza europea (v. in proposito Cass. n. 27481 del 30/12/2014, Cass. n. 16363 del 2015, ord., e le altre sentenze della CGUE ivi richiamate).

6. All'applicabilità alla fattispecie della disposizione dettata dall'art. 36 comma 5 del D.lgs n. 165 neppure è di ostacolo la natura della Sardegna di regione ad autonomia differenziata (ai sensi del 1 comma dell'art. 116 della Costituzione, come sostituito dall'art. 2 della L. Cost. n. 3 del 2001).

E difatti, l'art. 3 della L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 3, recante lo Statuto speciale per la Sardegna, nel demandare alla Regione la potestà legislativa nella materia, tra le altre, dell' "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale" (comma 1 e lettera a)), specifica che ciò deve avvenire "in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica". Inoltre, l'art. 1, comma 3, del D.lgs. n. 165 del 2001 dispone che "i principi desumibili dall'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica" e tra queste norme, come rilevato da Cass. 03-06-2004, n. 10605, rientrano anche i principi generali dettati dalle norme statuali in tema di accesso al lavoro (art. 2 legge n. 421 del 1992, art. 11 legge n. 59 del 1997), di cui l'art. 36 comma 5 del D.lgs n. 165, che esclude che si possa procedere a procedure di reclutamento - qual è la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro con termine illegittimo - al di fuori della predeterminazione legale dell'accesso, costituisce un "precipitato pratico".

6.1. La tesi qui affermata non determina infine i problemi di compatibilità costituzionale per contrasto con l'art. 117 della Carta fondamentale, come sostituito dall'art. 3 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, prospettati dal ricorrente, che sostiene che la nuova disposizione prevedrebbe una piena autonomia della Regione in materia di impiego del personale. Al riguardo basti osservare che la particolare forni a di autonomia attribuita dal nuovo art. 117 della Costituzione in favore delle Regioni ordinarie vale anche per le Regioni a statuto speciale, in quanto "più ampia" rispetto a quelle previste dai rispettivi statuti (così Corte Cost. n. 274 del 2003, richiamata anche dal ricorrente). Costituisce poi indirizzo ormai costante della Corte Costituzionale quello secondo cui "per effetto dell' intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, che interessa, altresì, il personale delle Regioni, la materia è riconducibile all'"ordinamento civile" che l'art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost., riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Il legislatore nazionale quindi ben può intervenire a conformare gli istituti del rapporto di impiego attraverso norme che si impongono all'autonomia privata con il carattere dell'inderogabilità, anche in relazione ai rapporti di impiego dei dipendenti delle Regioni" (sent. n. 19 del 2013, n. 286 del 2013, n. 211 del 2014). In altri termini, la disciplina del rapporto lavorativo dell'impiego pubblico privatizzato è rimessa alla competenza legislativa statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. 1), Cost., in quanto riconducibile alla materia "ordinamento civile", che vincola anche gli enti ad autonomia differenziata (così testualmente Corte Cost. n. 0180 del 2015; cfr. anche le sentenze n. 77 del 2013, n. 151 del 2010, in relazione a legge reg. Valle d'Aosta; n. 95 del 2007, in relazione anche a leggi della Valle d'Aosta e del Trentino Alto Adige).

7. Segue il rigetto del ricorso, non essendovi specifica censura con riguardo alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha respinto la domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni.

7.1. L'assenza di precedenti pronunce di legittimità sulla specifica questione, che involge la delicata materia dei rapporti tra legislazione statale e regionale, determina la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali del giudizio.

 

l criterio per quantificare il risarcimento dovuto a un lavoratore nell'ipotesi in cui la PA compia abuso di contratti a termine sarà deciso dalla Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione a seguito del contrasto giurisprudenziale esistente sull'argomento (Ordinanza interlocutoria n. 16363 del 4 agosto 2015).

La Sezione lavoro della Corte di cassazione, con l'ordinanza interlocutoria 16363 depositata ieri, ammette il contrasto sul tema e passa la parola alle sezioni unite. L'occasione per chiedere lumi arriva da un ricorso con il quale un'azienda ospedaliera contestava la posizione della Corte d'appello che, in linea con il Tribunale, aveva ritenuto adeguato il solo criterio forfettizzato dettato dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il datore era stato condannato a pagare 20 mensilità: cinque come misura minima per il licenziamento non valido e 15 in sostituzione della reintegra.

 

 

»»»»»»»»»»»»